A - ira ra dA i i FOR THE PEOPLE FOR EDVCATION FORSSIENCE. | LIBRARY OF THE AMERICAN MUSEUM OF NATURAL HISTORY XA Ami al ' x tà | "IN a af dA Br Re rA o t » Ci) OA LIE Ti LAZIA ART { {{ i CRAL iI | av SPENTE ERPATROANT TRI PRETI PI SCI lol; prgn L fe: . DELLA ha R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO® 5 06(45,1) ialteico % PUBBLICATI a DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI POE, POTE STR STI JT PST bo sea 1a x da de SRO Drag DELLE DUE CLASSI RARO < VOLUME DECIMO i 1874-75 SARRI A TORINO STAMPERIA REALE DI G. B. PARAVIA e (i. DO MOT CAI - RBOT, HI se ABS He Lo PROPRIETÀ LETTERARIA È “ h » ° ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI E STRANIERI al 1° Novembre AVA PRESIDENTE S. E. il Conte ScLopis pi SaLeRANO (Federigo), Senatore del Regno, Ministro di Stato, Primo Presidente onorario di Corte d'Appello, Presidente della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia patria, Socio non residente della Reale Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli, Membro onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio corrispondente del Regio Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), C. O. S.S5S.N., Gr. Cord. #, Cav. e Cons. onorario £, Cav. Gr. Cr. della Concez. di Port., Gr. Uffiz. dell'O. di Guadal. del Mess., Cav. della L. d’O. di Francia. VICE —- PRESIDENTE RicaeLmy (Prospero), Professore di Meccanica applicata e Direttore della Scuola d'applicazione per gl Ingegneri, Socio della R. Accademia d’Agricoltura, Comm. &, Uffiz. dell'O. della Cor. d’Italia. TESORIERE Srswonna (Angelo), Senatore del Regno, Professore eme- rito di Mineralogia, Direttore del Museo Mineralogico della R. Università, Socio della R. Accademia di Agricoltura, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro della Socictà Geologica di Londra, e dell Imp. Società Mineralogica di Pietroborgo, Gr. Uffiz. *, &, Comm. dell'O. della Cor. d’It., Cav. dell'O. Ott. del Mejidié di 2.* cl., Comm. di 1. cl. dell'O. di Dannebrog di Dan., Comm. dell'O. della St. Pol. di Sv., e dell'O. di Guadal. del Mess., Uffiz. dell'O. di S. Giac. del Mer. scient. lett. ed art. di Port., Cav. della L. d’O. di Fr., Comm. 0. R. del Br., ecc. POLASSE" DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DIRETTORE Sismonpa (Angelo), predetto. SEGRETARIO PERPETUG Sosrero (Ascanio), Dottore in Medicina ed in Chirurgia, Professore di Chimica docimastica nella Scuola di appli- cazione per gl’ Ingegneri, Membro del Collegio di Scienze fisiche e matematiche, Presidente della R. Accademia d'Agri» coltura, Comm. *, £, Uffiz. dell'O. della Cor. d’Italia, Accademici residenti Siswonpa (Angelo), predetto. Sosrero (Ascanio), predetto. Cavatti (Giovanni), Luogotenente (renerale d’Artiglieria, Comandante (renerale della Reale Accademia Militare , Membro. dell’Accademia delle Scienze militari di Stoccolma, Gr. Cord. +, £, Comm. ® e dell'O. della Cor. d’It., Gr. Cord. degli Ordini di S. Stanislao e di S. Anna di «Russia, Uffiz. della L. d’O. di Fr.. dell'O. Milit. Port. di - Torre e Spada, e dell'O. di Leop. del B., Cav. degli 0. della Sp. di Sv., dell’Aq. R. di 3.° cl. di Pr., del Mejidié RicueLmy (Prospero), predetto. | DeLponte (Giovanni Battista), Dottore in Medicina e in Chirurgia, Professore di Botanica e Direttore dell'Orto botanico della R. Università, Socio della R. Accademia d'Agricoltura, Uffiz. »*. Gevoccui (Angelo), Professore di Calcolo differenziale ed integrale nella R. Università, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Uffiz. *. Govi (Gilberto), Professore di Fisica nella R. Università, Socio della R. Accademia d'Agricoltura, Uffiz. #*, Comm. dell'O. della Cor. d’Italia, Motescnort (Giacomo), Professore di Fisiologia nella R. Università, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Comm. «. Gastarpi (Bartolomeo), Dottore in Leggi, Professore di Mineralogia nella Scuola d'applicazione per gl Inge- gneri, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Uffiz. *, &. i Copazza, Dott. Giovanni, Direttore del R. Museo In- dustriale, Socio della R. Accademia di Agricoltura, M. E. del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio della R. Accademia dei Lincei, Uffiz. +, Comm. dell'O. della Cor. d’'It. e dell'O. Austr. di Fr. Gius. Lessona (Michele), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Zoologia e Direttore del Museo zoologico della R. Università, Socio delle RR. Accademie di Agricol- tura e di Medicina di Torino, Uffiz. *, Cav. dell'O. della Cor. d'Italia. i *: Dorna (Alessandro), Professore d'Astronomia nella Regia Università, Professore di Meccanica razionale nella R. Mi- litàare Accademia, e di Geodesia nella Scuola Superiore di Guerra, Direttore dell'Osservatorio astronomico di To- rino, &, Cav. dell'O. della Cor. d’Italia. = Satvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Assistente al Museo zoologico della R. Uni- versità, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour, Socio della R. Accademia d'Agricoltura, Bruno (Giuseppe), Professore di Geometria descrittiva, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche , mate- matiche e naturali nella R. Università, &. Berruti (Giacinto), Ingegnere Capo delle Miniere, Uffiz. &, Comm. dell'O. della Cor. d'Italia. Curioni (Giovanni) Professore di costruzioni nella Scuola d'applicazione degli Ingegneri, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università, Socio della R. Accademia di Agricoltura, $, Cav. dell'O. della Cor. d'Italia. Cossa (Alfonso), Professore di Chimica agraria, e Diret- tore della Stazione agraria presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio del R. Accademia di Agricoltura, Uffiz. +, e' dell'O. della Cor. d'Italia. Accademici Nazionali non residenti S. E. Menasrea (Conte Luigi Federigo), Senatore del Regno, Luogotenente (renerale nel Corpo Reale del Genio Militare, Professore emerito di Costruzioni nella R. Uni- versità, Uno dei XL della Societa Italiana delle Scienze, Membro onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, (0. 0. S. SS. N., Gr. Cord. #&, &, Gr. Cr. ®, e dell'O. della Cor. d’It., dec. della Med. d’oro al Valor Militare, Gr. Cr. degli O. di Leop. del Belg., di Leop. d'A. e di Dannebrog di Dan., Cav. dell'Ordine del Serafino di Svezia, Comm. degli Ordini della L. d’O. di Fr., di Carlo IM di Sp., del Mer. Civ. di Sass., e di Cr. di Port. De Noraris (Giuseppe), Professore di Botanica nella Regia Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Comm. +, , Uffiz. dell'O. della Cor. d'Italia. Brioschi (Francesco), Senatore del Regno, Professore d Idraulica e Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Presidente della Società Italiana delle Scienze, Gr. Uffiz. *+, e dell'O. della Cor. d'It., &, Comm. dell'O. di Cr. di Port. Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Comm. *&, &, Uffiz, dell'O. della Cor. d'Italia. Berti (Enrico), Professore di Fisica Matematica nella R. Università di Pisa, Direttore della Scuola Normale superiore, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Comm. *, £, Uffiz. dell'O. della Cor. d’Italia. Scacchi (Arcangelo), Senatore del Regno, Professore di Mineralogia nella R. Università di Napoli, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Comm. +, Uffiz. dell'O. della Cor. d’Italia. Barcana pi S. RoserT:( Conte Paolo). SeccHi (P. Angelo), Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia, *. Cornaria (Emilio), Direttore del Museo civico e Pro- fessore di Zoologia nell'Istituto tecnico superiore di Mi- lano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia, Uffiz. *, Cav. dell'O. della Cor. d'Italia. ScmapareLLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Uffiz. +, =, Cav. dell'O. della Cor. d’It., Comm. dell'O. di S. Stan. di Russia. Seta (Quintino), Membro del Consiglio delle Miniere, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro dell’Imp. Società Mineralogica di Pietroborgo, Gr. Cord. *,£&, Gr. Cord. degli O. di S. Anna di R., di Leop. d’A,, della Concez. di Port., e di S. Marino. Accademici Stranieri Dumas (Giovanni Battista), Segretario Perpetuo dell’Ac- cademia delle Scienze dell'Istituto di Francia, Gr. Cr. della L. d'O. di Fr., a Parigi. De Baer (Carlo Ernesto), Professore nell’ Accademia Medico-chirurgica di S. Pietroborgo, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia. Mayer (Giulio Roberto), Dottore in Medicina, Socio cor- rispondente dell'Istituto di Francia, ad Heilbronn { Wur-. temberg ). HeLmHoLrz (Ermanno Luigi Ferdinando), Professore nella Università di Heidelberg, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia. RenaULT (Enrico Vittorio), Professore: nel Francia, Membro dell’ Istituto di Francia, Comm. , Lo 0: di. sBr PIE “at Fa Chasces (Michele), Membro dell Istituto di dg Comm. della L. d’O. di Fr. NAM i Darwin (Carlo), Membro della Società Reale di Lon: Dana (Giacomo), Prof. di Storia naturale a New ide Socio corrispondente dell'Istituto di Francia. he CLASSE DU 3 | SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE DIRETTORE Baupi di Vesyr (Conte Carlo) Senatore del Regno, Vice-Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Comm. &, «>. bi: bi i i ea SEGRETARIO PERPETUO ue a A o | Gorresio (Gaspare), Prefetto della R. Biblioteca Univer- sitaria, e Dottore aggregato alla Facolia di Lett. e Filosofia della R. Università, Socio corrispondente dell Istituto di t; Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), della R. Accademia della Crusca, ecc., Membro onorario della i Reale Società Asiatica di Londra, Comm. &, &, Comm. È dell'O. della Cor. d'It., dell'O. di Guadal. del Mess., e dell’O. della Rosa del Brasile, Uffiz. della L. d’O. di Fr., ecc. Accademici residenti Scropis pi SaLerano (Ecc."° Conte Federigo), predetto. Baupi pi Vesur (Conte Carlo), predetto. nl Ba PIÙ ei A RAR t + wriFg Ù Ricorti (Ercole), Senatore del Regno, Maggiore nel R. Esercito, Professore di Storia moderna nella R. Uni- versità, Vice-Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Gr. Uffiz. ®, Comm. dell'O. della Cor. d'Italia, Cav. e Cons. &, ®. | Bon-Compacni (Cav. Carlo), Senatore del Regno, Mem- bro delia R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria e della Facoltà di Lettere e Filosofia, e Professore di Diritto costituzionale nella R. Università, Gr. Cord. &, Cav. e Cons. =, Gr. Cr. dell'O. della Cor. d Ialia. Gorresio (Gaspare), predetto. Bertini ( Giovanni Maria), Professore di Storia della Filosofia antica nella R. Università, Uffiz. &. Fasretti (Ariodante), Professore di Archeologia greco- latina nella R. Università, Direttore del Museo d’Antichità ed Egizio, Uffiz. &, &, della Leg. d'O. di Fr., e C. 0. R. del Br. GuirincneLto (Giuseppe), Dottore in Teologia, Profes- sore emerito di Sacra Scrittura e Lingua Ebraica nella R. Universita, Consigliere onorario dell’ Istruzione pub- blica, Uffiz. &. Peyron (Bernardino), Professore di Letlere, Vice-Biblio- tecario onorario della R. Biblioteca Universitaria, & . Reymonp (Gian Giacomo), Professore di Economia po- litica nella R. Università, &. Vacauri (Tommaso), Professore di Letteratura latina nella R. Università, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico corrispondente della Crusca, Comm. &. FLecHia (Giovanni), Professore di Lingue e Lettera- ture comparate nella R. Università, Uffiz. *, e dell'O. della Cor. d’Italia. CLarETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Uffiz. &, e dell'O. della Cor. d’Italia. Canonico (Tancredi), Professore di Diritto e Procedura penale nella R. Università, *. Biancm (Nicomede), Direttore dell'Archivio di Stato, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Gr. Uffiz. #, Comm. dell'O. della Cor. d’Italia, e Gr. Uffiz. dell'O. di S. Mar. GareLLi (Vincenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Università, Socio della R. Ac- cademia d’Agricoltura, Provveditore agli studi per la pro- vincia di Torino, Uffiz. * e dell'O. della Cor. d’Italia. Accademici Nazionali non residenti Spano (Giovanni), Senatore del Regno, Dottore in Teo- logia, Professore emerito di Sacra Serittura e Lingue Orien- tali nella R. Università di Cagliari, Gr. Uffiz. *, e dell'O, della Cor. d'Italia. Carurti DI CantoGNO (Domenico), Consigliere di Stato, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Gr. Uffiz. &, Cav. e Cons. £, Gr. Cord. dell’O. d'Is. la Catt. di Sp. e di S. Mar., Gr. Uffiz. dell'O. di Leop. del B., dell'O. del Sole e del Leone di Persia, e del - Mejidiè di 2° cl. di Turchia, Gr. Comm. dell'O. del Salv. di Gr., Comm. dell'O, del Leone Neerlandese. Dt dn iii e ATA ATI ci ri NA È AFTER li IR AT 14 Amari (Michele), Senatore del Regno, Professore ono- rario di Storia e Letteratura Araba nel R. Istituto Su- periore di perfezionamento di Firenze, Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Gr. Uffiz. *, Cav. e Cons. &, Comm. dell'O. della Cor. d’Italia. Ricci ( Marchese Matteo), a Firenze. o Minervini (Giulio), Bibliotecario della R. Università di Napoli, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Cav. dell'O. della Cor. d’It.-e della L. d'0. di Fr. »De Rossi (Comm. Gio. Battista), Socio Straniero dell'Isti- tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), ‘’ Presidente della Pontificia Accademia Romana d’Archeologia. Conesrapite peLLA Srarra (Conte Gian Carlo ), Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), &, Uffiz. * e dell’O. della Cor. d'Italia. $ Cantù (Cesare), Membro effettivo del R. Istituto Lom- bardo, Comm. &, #, Cav. della L. d'O. di Francia, Comm. 0. del €. di Port., Gr. Uffiz. dell'O. di Guad. del Messico. Tosti, D. Luigi, Monaco della Badia Cassinese, Socio ordinario della Società Reale delle Scienze di Napoli. Accademici Stranieri Tuiers (Luigi Adolfo), Membro dell’ Istituto di Francia (Accademia Francese ed Accademia delle Scienze morali « e politiche), Gr. Cr. della L. d’O, di Francia. pio 15 Momnsen (Teodoro), Professore di Archeologia nella Regia Università e Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Ac- cademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Mutter (Massimiliano), Professore di Letteratura straniera nell Università di Oxford, Socio Straniero dell'Istituto di . Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Rirsca (Federico), Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), in Lipsia. i Misner (Francesco Augusto Alessio), Membro dell'Istituto di Francia (Accademia Francese) e Segretario Perpetuo dell’Accademia delle Scienze morali e politiche, Gr. Uffiz, della L. d'O. di Francia. RenieR (Leone), Membro dell’ Istituto di Francia ( Acca- demia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Uffiz. della L. d'O. di Francia. Eecer (Emilio), Professore alla Facoltà di Lettere di Parigi, Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Ufliz. della L. d’O. di Francia. Bancrort (Giorgio), Ministro degli Stati Uniti d'America presso l’ Imperatore di Germania, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche). CLASSE e Novembre 1874. Liy.1. é h i 5) W . wermodite-/2, piicosseno. S: vo feuo ») >» P. fermacchie mere sono gia fite Ingrandimento 70 volte "CLASSE — | DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Adunanza del 15 Novembre 1874. "0 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPI& Il sig. Comm. Angelo Siswonpa, Direttore della Classe, ‘d presenta, a nome dell'Autore sig. Cav. Ingegnere Giorgio bi Spezia, Assistente al Museo mineralogico della R. Univer- 3 — sità, la seguente R NOTA SOPRA UN CALCIFIRO DELLA ZONA DELLE PIETRE VERDI. Nelle mie ricerche mineralogiche che sto facendo nella zona, la quale, denominata dal Gasratpi (1) delle pietre + ‘’verdi, è nella valle di Strona e in quella del Toce costi- SL tuita sopra tutto da rocce anfiboliche (2), ebbi occasione di esaminare uno dei tanti ammassi di calcare cristallino che a forma di lenti vi si trovano inchiusi; e dei quali alcuni contengono altri minerali in tale fb da co- stituirne una varietà speciale. La massa calcare da me osservata si trova nel vallone | del torrente Arza comune di Rumianca, e più esatta- mente nel piccolo confluente dell’Arza che discende dal sino dei Beoli fra l’alpe del Ballio e quello del Cabanon. (1) Studi geologici sulle Alpi occidentali. Memorie del R. Com. geol. Vol. (O OMSTI: te (2) Gentaca Die Penninischen Alpen. Il calcare è corroso per la parte che attraversa il letto del torrente, e la roccia dioritica che lo rinserra, seb- bene non presenti una stratificazione molto distinta, tuttavia sembra avere una direzione di N 50°E ed una inclinazione di 55° NO. Il calcare di colore biancastro ha una struttura sacca- roide, e ciò che mì spinse a farne uno speciale esame fu la presenza in esso di alcuni minerali di forma granu- lare porfiricamente disseminati ed in tale quantità da costituirne quasi i due decimi. Mediante il trattamento della roccia con acido clori- drico molto diluito ho potuto facilmente separare dal calcare solubile i grani dei minerali insolubili, e questi colla cernita fra loro. I grani di colore verdastro e di color bianco sono i pre- dominanti e di maggiore volume, quelli di colore rossigno sono più piccoli ed in generale appena visibili; tutti poi hanno un aspetto vetroso e la trasparenza in essi aumenta colla loro piccolezza. Un quarto minerale poi si presenta sotto forma di polvere grossolana di colore nero lu- cente, e le indagini fatte mi constatarono essere grafite. I tre minerali d’aspetto vetroso non erano di facile determinazione ad occhio, perchè la forma cristallina in essi è scomparsa specialmente nei piccoli grani che sem- brano fusi; e se in altri di maggiore grandezza si può. osservare qualche apparenza di forma cristallina per la presenza di qualche rarissima faccia, mancano gli spi- goli che sono tutti arrotondati. Si potrebbe avere un'idea esatta dell’aspelto dei detti minerali immaginandosi quello che avrebbe un cristallo di una sostanza qualunque che fosse attaccato da una soluzione per esso corrosiva , ed in tal modo che il cambiamento morfologico del cristallo non potesse farsi secondo le leggi di simmetria a cui è sog- getta la coesione molecolare delle sostanze cristallizzate. Se però la forma esterna lasciava dubitare dell’esistenza di una struttura cristallina, essa era chiaramente dimo- strata sia dall’importante proprietà del clivaggio sia dal- l'osservazione ottica, che le sezioni dei detti minerali poste fra i prismi di nicol incrociati del microscopio polarizzatore non si mostravano continuamente oscure. Privo quindi dell’aiuto che mi poteva dare la cristal lografia per la conoscenza dei minerali ho dovuto ricor- rere alla chimica. ; Un esame preliminare fatto al cannello, del minerale di color rossiccio, mi assicurò massime per la presenza constatata col sale di fosforo, del titanio, che esso era sfeno: e ne ebbi corferma dal dicroismo di colore olivo chiaro e giallo rosso osservato sul minerale mediante il microscopio polarizzatore «disposto secondo il metodo di TscHERMACK, cioè senza il prisma analizzatore. Sottoposti parimente al saggio del cannello gli altri due minerali, trovai che quello di colore verdastro poteva essere pirosseno od anfibolo, e quel bianco, a causa della sua fusibilità con rigonfiamento, che lo distingueva dall'essere un felspato, poteva appartenere al gruppo della scapolite. A meglio constatare la natura dei due minerali dub- biosi ho ricorso all'analisi chimica da me eseguita nel laboratorio del Museo industriale italiano (1), essendo il Museo mineralogico mancante del necessario Laboratorio chimico-fisico. ta ug I ARCER TORE TO TA } a) sa de ere .*- tè il LA SME RO RO DT MO stu "VS, LE tirato ea ' ne. REN (1) Ringrazio vivamente il Prof. Copazza, Direttore del Museo, d’avermi dato il permesso di lavorare, e l'Assistente di chimica, sig. Conti, d'avere messo a mia disposizione tutto l'occorrente per le analisi. "4 ) » Lx val Lied ME L’analisi qualitativa mi confermò la supposizione che il minerale bianco fosse wernerite; mi trovai quindi iu obbligo di farne un'analisi quantitativa, massime perchè la wernerite, a mia conoscenza, non fu sinora osservata nelle nostre alpi. L’analisi della wernerite in cui ho determinato la si- lice per mezzo dei carbonati alcalini e le basi, decompo- nendola con acido fluoridrico mi diede il seguente ri- sultato : Si 0* siii al SA REPARTO cc R060 Peo IRR SEAL Ca 0 P A 19;28 Naf0 : ESRI KA'G< usi 1,41 ACQUa' ug e 98,92 La perdita di 1,08 p. 0) è da attribuirsi ad acido carbo- nico che era combinato colla calce, e ciò perchè , sebbene diligente fosse stata la scelta dei piccoli grani da ana- lizzarsi fatta colla lente, tuttavia ho osservato che ridotti in polvere davano con acidi effervescenza; inoltre dal- l'osservazione microscopica conobbi come i grani non sono omogenei ma contengono altra sostanza, come facilmente si scorge dalla fig. 2 in cui il preparato è veduto fra i prismi incrociati. Se togliamo quindi dalla quantità di calce trovata quella necessaria a combinarsi con 1,08 di acido carbo- nico eguale a 1,37, la calce dovuta alla wernerite rimar- rebbe 17,86 p.° e completerebbe l’analisi l'agguato di 2 ,49 di carbonato di calce. —_ . Omettendo poi il calcare e riducendo gli altri compo- |» nenti a proporzioni centesimali avremo che la werne- rite in discorso contiene: Se ora si calcolano la quantità di ossigeno della silice e delle basi avremo: per REAGIRE ia De rod iO da cui si ricava che la proporzione dell’ossigeno fra i monossidi, sesquiossidi , e la silice , sta come 1:1,91: 3,88. Quindi io credo che la wernerite dell’Arza debba porsi in quel gruppo che, secondo RawmeLsBERG (1), contenendo dal 46 al 50 p. °/, di silice, 25-27 di allumina, 13-18 di calce, e 4-8 di soda è caratterizzato dal rapporto: R0-R'0*: Sfondo: | Questa wernerite sebbene si avvicini a quella bianca di Malsjo in Svezia ed alla varietà detta glaucolite del "PA (1) Handbuch der Mineralchemie, pag. 724, lago Baikal, analizzate da RaTH (1) massime per il rapporto dell’ossigeno, e per il peso specifico, che nel nostro mi- nerale è di 2,652, tuttavia vi è differenza nelle basi, mas- sime nella quantità di calce maggiore nella varietà alpina. La wernerite dell’Arza è da annoverarsi fra quelle che sono meno alterate, sia perchè il suo quoziente d’ossi- geno di 0,750 è quello stabilito da BiscHor (2) per le varietà normali, sia per la tenue quantità d’acqua e quasi mancanza d’ossido di ferro, sempre presente, secondo RaTA, quando il minerale comincia decomporsi. Solo la presenza del carbonato di calce osservata può dinotare un principio di decomposizione prodotta, al dire di BiscHor (3) dal bicarbonato di calce in soluzione il quale lasciando intatto il silicato di calce della wernerite può scomporre i silicati alcalini formando carbonato di calce e silice insolubili, e carbonati alcalini solubili. 3 Venendo infine al minerale verde che l’analisi quali- tativa m’indicò essere un silicato di calcio magnesio e ferro, sebbene la quasi totale mancanza di dicroismo osservata col microscopio polarizzatore potesse essere, come fu trovato da TscHERMAK (4), un carattere sufficiente per dire che il minerale fosse pirosseno e non anfibolo, il quale possiede un dicroismo più sensibile, tuttavia ho. creduto bene farne l’analisi onde paragonare questa varietà con quelle già da altri segnalate nei calcari cristallini. {1) Ueber die Zusammensetzung des Wernerites. — Pogg. Ann. der Physik u. Chemie, vol. XC, pag. 98. (2) CdA di chemischen und Physykalischen Geologie 1864, vol. II pag. 522... (3) Op. e. pag. 527. (4) Mikroskopische Unierscheidung der Mineralien aus der dugiie Amphibol u. Biotitgruppe. — Sitz. ber. der l. k. Ah. Wiss. Wien. Let 60, I Abth., pag. 10. i i ELE Raga 50,58 2,99 23,75 11,90 8,72 LI 0,81 98,71 Anche i grani di questo minerale dimostrarono cogli acidi ed al microscopio che non sono omogenei, e che contengono carbonato di calce come la wernerite; quindi fatta astrazione del calcare corrispondente a 1,29 di per- dita d’acido carbonico, e ridotte le quantità trovate a proporzioni centesimali, il pirosseno del calcifiro del- l’Arza avrebbe la composizione : Sio aida ALL. 0P Lu 3,04 Gaber l078 Meer 26 Fe 0 iena 8408 Acqua PRPPMBIORE LINE UE dna 100 Questa varietà di pirosseno, per l'aspetto morfologico , per la composizione chimica e per la giacitura, credo debba unirsi alla coccolite di ‘Tunaberg analizzata da Erpmann (1) ed alla funkite di Bocksater in Ost-Gothland ì) (1) RAMMELSBERG, OP. C., pag. 454. descritta da K. v. Hauer (1) minerale che corrisponde, secondo KenNGoTT, alla coccolite di Arendal analizzata da Simonin. In altri esemplari dello stesso calcifiro procuratimi dopo le analisi fatte, trovai anche dei grossi cristalli bianchi col medesimo aspetto di corrosione, ma non così avanzata come negli altri minerali descritti. Essi possono facilmente sfaldarsi secondo due piani perpen- dicolari fra loro, con diverso aspetto fisico di clivaggio, sono meno fusibili e meno decomponibili dall’acido clo- ridrico della wernerite. Ne farò più tardi oggetto di studio. Parimente in posteriori ricerche fatte sul posto nel calcifiro osservai dei noduli di pirosseno, sfeno, werne- rite, e traccia di grafite e pirrotina; il calcare manca quasi affatto, ed è la wernerite che ne forma il cemento. La forma cristallina è anche alterata, i cristalli di sfeno sembrano avere predominanti le combinazioni 111, 100, 110, e la sfaldatura secondo 110. Nei cristalli di pirosseno poi sono inchiusi sovente, dello sfeno, wernerite e traccie di calcare, essi presentano dei piani come di clivaggio, e dalla misura fatta, in un cristallo meno imperfetto degli altri, dell'angolo che detti piani formano con due faccie le quali, a cagione del loro angolo misurato di 86° 58’, debbono appartenere al prisma rombico 110, trovai gli angoli uno di 79° 26' e l’altro di 79° 7' mi- sura compatibile collo stato fisico delle faccie, e suffi- ciente per assicurarmi che il piano era parallelo a 001. Mi parve anche di osservare in un cristallo che dovessero esistere alcune faccie di prismi posteriori ed anteriori, fatto che mi pare raro nelle varietà cristalline che pre- (1) Mineralogische Notizen von Kenngott. Sitz. Dericnle der k. p ; Aka Wien. Vol.12, pag. 164. sentano detti piani come quelle di Sala, Baikal, Mussa ece., le quali in generale non hanno oltre alle faccie della zona orizzontale che il pinakoide 001. Tali piani che non sono ritenuti di clivaggio da MiLLer e Des-CLoIzeAUX si trovano in tutti i grani del pirosseno descritto, e sovente vi è fra essi interposto del calcare. Se poi sì osservano col microscopio polarizzatore le sezioni fatte perpendico- larmente ai suddetti piani, si vedono delle linee paral- lele le quali sono di colore bianco giallastro quando la sezione, posta fra i prismi incrociati, sì trova in una delle posizioni di oscurità. Tali linee debbono essere e- suali a quelle che TscHERMAK (1) già osservò nella cocco- lite di Tunaberg e nelle salite di Dean, e le quali, a suo avviso, sembrano causate da lamelle di cristalli geminati. L’associazione dei minerali, wernerite, pirosseno, sfeno, grafite, e traccie di pirrotina comunissima nelle roccie anfiboliche della zona delle pietre verdi, trovati nel nostro calcifiro si incontra sovente in altri calcari cristallini, e le località di Tunaberg, Feasterville Penn, Cornwall Conn, Kirbiz ed Amity New York (2), ed altre ne danno numerosi esempi. Venendo ora al calcifiro troviamo che nella stessa zona delle pietre verdi esistono altre località dove sono in- chiusi lenti di detta roccia. Sismonpa (3) cita le località di Postua in Val Sesia, e di Andorno-Cacciorna vicino a Biella; e GerLacH (4) parlando degli ammassi di calcare cristallino che vi si trovano nella stessa zona da lui chiamata semplicemente dioritica, non fa menzione di (1) Ueber Pyroren und Amphibol-Mineralogische Mittheilungen 1871, pag. 22. (2) Dana. A system of mineralogy. (3) Memorie della R. Acc. di Scienze di Torino. Serie 2°, tom. Il e IX. (4) Op. c., pag. ill. quello dell’Arza, ma cita solo un calcare del Monte S. Gottardo di Rimella in Val Sesia, nel quale sono disse- minati piccoli grani di ornblenda che sembrano come fusi e di un colore verde nerastro, senza però darne un'analisi: da niuno poi è accennata la presenza della wernerite. Un altro calcifiro di cui esistono esemplari nel Museo di Torino e che ha molta analogia, sia per la struttura che per la giacitura, con quello dell’ Arza, e quello, che, descritto da Bovg (1) si trova nell’ Isola di Tiree in Scozia, entro un gneiss che fu determinato per laurenziano da MurcHIson e GeIKIE (2). Dico ciò perchè la formazione geologica di detto gneiss potrebbe, secondo GastaLDI in parte coincidere con quella della zona delle pietre verdi. In detto calcifiro il calcare è di colore roseo, e la struttura cristallina molto compatta, ma i grani di pirosseno si trovano per colore, aspetto e struttura così identici che impossibile sarebbe distinguerli da quelli del calcifiro dell’Arza. Solo vi manca la wernerite, ma vi esiste invece la mica, che io non rinvenni nel nostro calcifiro; e che generalmente si trova in detta roccia come la si è osservata in gran copia nei calcifiri che sono inchiusi nel gneiss dei Vosgi a Laveline, Chippal, Saint Philippe, i quali secondo la estesa descrizione di DeLEssE (3) contengono pure pirosseno, sfeno, grafite , pirrotina ed altri minerali, ma non la wernerite. fui fo ho adottato il nome di calcifiro dato da BRONGNIART, sia perchè è mantenuto da Zirger nella sua classica opera (4), sia perchè finora non furono studiati abba (1) Essai géologique sur l’Écosse, pag. AT. (2) Quart. Jour. of the geo. soc. of London. Vol.17, 1861, pag. 175. (3) Sur la costitution minéralogique et chimique des ‘roches des Vosges. — Ann.des Mines, 4me série, t. XX, pag. i4i. (4) Lehrbuch der Petrographie. 6 Dara 29 stanza dal lato petrografico e geologico quei calcari cri- stallini che con una costanza affatto caratteristica con- tengono dei minerali accessori. Che se si ammeltesse più sovente nel regno minerale una metamorfosi prodotta dalle lentissime ma potenti e forse più naturali forze idrochimiche così bene svolte da BiscHor, invece delle violenti e talvolta molto ipotetiche forze plutoniche, un minerale che sembra accessorio potrebbe in alcuni casi diventare essenziale per il geologo. Se si confrontano a cagion d'esempio le numerose varietà di calcari a strut- tura cristallina, ne vediamo di quelli che racchiudono resti fossili e di quelli che privi di essi contengono certi minerali cristalizzati i quali non solo appartengono di consueto a roccie azoiche, ma che talvolta hanno subìto una tale profonda modificazione da perdere la forma cri- stallina serbandone solo la struttura. Ora tali calcari, dei quali si ha esempio nei calcifiri dell'Arza, Rimella, Tiree, Vosgi ecc., non potrebbero essi dinotare a parità di forze chimiche metamorfosanti, un’epoca ben più remota di quella a cui appartengono calcari cristallini racchiudenti ancora evidenti reliquie dei più antichi resti organici? Infine il sopprimere il nome di calcifiro per sostituire quello di calcare cristallino coll’aggiunta di granatifero, micacifero, anfibolifero ecc., come vorrebbe Coquanp (1) non mi sembra troppo a proposito, od almeno si do- vrebbe attendere fin quando uno studio esteso e compa- rativo petrografico e geologico di tutte le varietà di calcare cristallino contenenti costantemente determinati minerali abbia dimostrato essere essi affatto accessori e di niuna importanza. (1) Trailé des roches, pag. 312. Il sig Comm. Jacopo Motescnorr presenta e legge alla Classe una Memoria del Dott. S. Fugini, Assistente Vi SCO al Laboratorio di Fisiologia della R. Università , avente " per titolo : "a INFLUENZA DELLA LUCE ci SUL PESO DEGLI ANIMALI. « La lumière solaire ..... n’intervient chez les ani- vi » maux d'une maniére nécessaire que dans les phénomènes de la vision pour leur faire connaître les couleurs, (i; » les formes et les distances des objets extérieurs » (1) questa è la conclusione emessa da E. BecouerEL nell'esame dei rapporti, che esistono fra la luce e gli organismi io. animali. Tale proposizione non sembrami rigorosamente esatta, quantunque le ricerche, che finora sì posseggono sulla influenza, che ha la luce sugli animali, sieno assai meno numerose di quelle, che si hanno per l’azione della luce sui vegetali ed inoltre sovra alcune sperienze dirette a simili investigazioni non si trovi accordo fra i diversi sperimentatori. E valga il vero: W. F. Epwarps (2) nel 1824 studiando l'influenza, che ha la luce sugli animali, ci fa conoscere che essa ha un'azione nello sviluppo degli embrioni, giac- chè vide che le uova di rana, che trovavansi in vasi (1) La lumière, ge causes el ses effels, par E. BecquereL. Paris, 1868, tom. II, p. 293. (2) wW. F. Epwarps, De Linuande, des Gao physiques sur da vie. Paris, 1824, 396-400, 31 esposti alla luce, subivano le ulteriori evoluzioni, mentre non avveniva lo stesso in quelle, che erano sottratte alla sorgente luminosa, donde concludeva che la luce non limita la sua azione alle sensazioni luminose. HiGGInBoTTOM (1) invece, in opposizione ai risultati di Enpwarps, asserisce lo sviluppo embrionale del tritone e della rana avere luogo del pari bene per rapidità e per grossezza sia all’oscurità che alla luce. Rosert Mac Donvwet (2) conferma in tutto l’esperienze - di HicinBorToM, giacchè asserisce che lo sviluppo dei girini, si fa bene ed egualmente presto alla oscurità ed alla luce. In una nuova memoria pubblicatasi nel 1863 da Hrc- GINBOTTOM (3), questi afferma di nuovo che la metamor- fosi dei girini si effettua in modo eguale sia alla luce che all’oscurità e che la mancanza della luce non ritarda questa metamorfosi. In queste ultime sue ricerche v’ha però un’osservazione, che ha per noi speciale interesse (4): « Dans mes expé- » riences sur les ceufs, dice HieGinBoTTOM, je n’avais » jamais obtenu de tétards pesant plus de huit grains en » l’absence de la lumière, mais je trouvai dans une mare » de mon voisinage nombre de tètards, dont quelques-uns » pesaient de onze à quinze grains, et parmi ceux-cì sept » pesaient quinze grains chacun ». Con altre osserva- (1) On the influence of Physical Agents on the developmerit of the tadpole of the Triton and the Frog, by John HiscinsorTox : in Philo- sophical Transactions, 1850, p. 481. (2) Influence des agents physiques sur le développement du télard de la grenoville commune; nel Journal de Brown-Séquarp, 1859, p.627-31. ‘ (3) Influence des agents physiques sur le développement du tétard de la grenouille. Journal de. Brown-Séquarp, 1863, pag. 209. 0 (4) L. c», pi 210, zioni dice avere confermato questo risultato : parrebbe quindi che anche per HiGrnBoTTOM la luce possegga qual- che azione nello sviluppo embrionale delle rane. AvERBACH (1) osservò che la luce del giorno, e più spe- cialmente la luce diretta, è un eccitamento energico per le contrazioni del protoplasma dell'uovo di rana, e per il forte eccitamento luminoso in alcuni punti dell’uovo sì dimostrano sotto l’occhio stesso dello sperimentatore progressivi cambiamenti di forma. Secondo PoucHer (?) la mancanza dell’organo della vista può essere cagione di alterazioni nel colorito della pelle di alcuni animali, difatti accecando dei pesci col renderli ca- terattosi o coll’estirpazione della cornea, Ja loro pelle pren- deva ben presto un colore oscuro, che però andava poi diminuendo e lo stesso effetto si aveva quando gli ani- mali erano tenuti in luogo, dove non v'era riflessione di luce o quando erano paralizzati per effetto del curare. Nell’Enciclopedia anatomo-fisiologieca di Topp v'ha un ar- ticolo di Jonn Rein (3), nel quale, accennando alle spe- rienze, che ScHartine fece sull'uomo ed a quelle di MarcHann sulle rane, asserisce che la quantità di acido carbonico esalato, è molto minore di notte che di giorno, ma soggiunge essere fino allora impossibile di potere sta- bilire da quale causa precisa dipenda, se da letargia, da mancanza di raggi solari o da altri motivi. Mirne Epwarps (4) afferma che la luce, che spiega tanta (1) Veber die Einwirkung des Lichtes auf befruchtete Frosch-Eier;. nel Centralblatt fiir die medicinischen Wissenschaften. 1870, pag. 357. (2) Povc®ner, Veber die Wechselbeziehungen zwischen der Netzhaut und der Hautfarbe einiger Thiere; nel Wiener Med. Jahr., 1874, 42-44, (3) Cyclopedia of Anatomy agi Physiology, edited by Robert Topp. Vol. IV, 1852, p. 346. (4) Lecons sur la physiologie, 1857. Tome II, p.554.. J i si ; azione sui fenomeni della respirazione nelle piante, non sembra avere che poca influenza nell’èsercizio di questa funzione sugli animali. Da questi fatti parmi risultare essere grande l’impor- - tanza, che assume nello sciogliere alcuni di questi pro- blemi, il lavoro del Prof. MoLescHort (1), nel quale studia l'influenza, che ha la luce nella quantità di acido carbo- nico espirato, giacchè con numerose sperienze fatte sulle rane tenute alla luce ed all’oscurità, potè arrivare alle seguenti conclusioni: I. Le rane emettono ad eguale temperatura, per eguale peso di corpo e di tempo alla luce un dodicesimo fino ad un quarto più di acido carbonico che all’oscurità. II. Quanto è più intensa la luce, maggiore è la pro- porzione di acido carbonico emessa. Da queste ricerche, siccome altrove (2) asserisce il Prof. MoLescHoTT, si verrebbe a concludere che «la differenza » fra la respirazione animale diurna e notturna non trova » la sua spiegazione nello stato particolare di sonno e di » veglia, sibbene nell’antitesi di luce ed oscurità, riposo » e lavoro ». Egli è oggidì verità dimostrata nella scienza, che du- rante la respirazione, siccome si esprime il botanico SacHs (3) la formazione dell’acido carbonico è necessa- riamente collegata colla distruzione d’una parte dei pro- dotti di assimilazione. (1) Veber den Einfluss des Lichts auf die Menge der vom Thierkòrper ausgeschiedenen Kohlenstiure, von Jac. MoLEscHOTT, nel Wiener Medi- zinischl Wochenschrift, n. 43, 1855. (2) Vie et lumière, par Jac. MorLescHort, nella Revue des Cours scientifiques, 1864-65, p. 700. (3) SacHs; Physiologie végétale. Genève, 1868, p.314. D (e, RR n RT Le . iu dat Li RI » Nr dA UEAIP O SL SPIN RIVER 34 Ora il problema, che mi era proposto di sciogliere era il seguente: Se la luce ha influenza sul movimento mole- colare della respirazione, avrà pure qualche azione sul peso degli animali od in altre parole, mi proposi d’inve- stigare quali rapporti possano esistere fra la luce ed il peso degli animali. Per tale scopo la mia scelta sperimentale doveva ca- dere su quegli animali, che per un tempo piuttosto lungo si potessero mantenere in rigorosa dieta senza che il loro peso fosse di molto alterato. I batraci si prestano bene a tale scopo. Difatti dalle classiche ricerche del CHossat (1) si conosce che la du- rata della vita delle rane private di cibo e tenute in acqua limpida, che era di quando in quando rinnovata, è dai sei alli sedici mesi; in media si può calcolare di nove mesi. La media poi delle perdite diurne delle rane (2) era di quindici decimilligrammi. Non si poteva sperimentare con rane tenute all’aria libera perchè, secondo quello che osservai, soffrono presto ed in questo fatto sono d’accordo con W. F. Epwarps. Riguardo all’influenza, che la luce può spiegare sul peso degli animali non trovai nella letteratura fisiologica delle sperienze fatte in questa direzione, sebbene alcune no- tizie quà e là sparse, confermino quello ch'io ottenni collo sperimento sulle rane. Bipprr e ScamiDT (3) hanno in uno dei loro importanti (1) Recherches expérimentales sur l’inanition, par Ch. Cnossar. Paris, 1843, p.36-8. (2) E CopiR8 (3) Die Verdauungssaefte und der Stoffwechsel, von F.BinpeR und G.Scampt. Miteu und Leipzig, 1852, p.317. < ai ara VA A AR TIE pr e aaa ae a I Mich Poet, II ERI AN E. ‘35 lavori questa proposizione: «in ogni periodo d’inanizione, » la perdita di peso durante il giorno è assai più consi- » derevole che nella notte quando era conservato l’or- » gano della vista, invece diminuiva questa differenza fra » il giorno e la notte, quando l’ animale era diventato » cieco ». Nelle ricerche sulla respirazione degli animali, fatte da RecnauLT e RreiseT (1), si accenna ad alcune sperienze, che aveva incominciato il Prof. Sacc di Neufchàtel sulle marmotte e che non aveva continuato avendo inviato gli animali agli sperimentatori francesi. RecnauLT e-ReIser riguardo alle osservazioni del SAcc, asseriscono come un résultat curieux che nello stato di torpore completo le marmotte aumentano spesso di peso in modo assai sensibile (2) quindi lamentano di non aver potuto continuare le sperienze di questo interessante fe- nomeno, le cui circostanze non erano ancora molto stu- diate: queste però furono poi con molta diligenza inve- stigate da VaLENTIN (3) in una delle monografie da lui pubblicate sullo stato letargico delle marmotte. Gli sperimenti da me intrapresi, erano fatti sulle rane esculente. Per lo studio comparativo fra gli animali ciechi e gli intatti si sceglievano quelli di egual sesso, e che aves- sero eguale epoca di prigionia nel laboratorio. Mantenendoli nello stesso recipiente, erano conservati nelle identiche condizioni di temperatura. (1) Recherches chimiques sur la respiration des animaux des diverses classes, par RecnauLT et Reiset, negli Annales de Chimie et de Phy- sique. Tome 26, 3° série, 1849, p. 429. (2) L. c., p.435. (3) Beitràge zur Kenntniss des Winterschlafes der Murmelthiere von G. VaLeNTIN nei MoLeseROTT's Untersuchungen. IV. Band. Le rane erano rese cieche o coll’esportazione del globo oculare, oppure cauterizzando l'occhio con ferro incan- descente o con qualche sostanza acida od alcalina in modo da privare del tutto l’animale del suo potere visivo. Dopo la lesione, si tenevano le rane all’oscuro e si rin- novava l’acqua nel recipiente tre, quattro volte al giorno. Solo dopo che erano trascorse 24 ore dall’atto opera- tivo si cominciavano le pesate; però, prima di mettere le rane sulla bilancia, dice CHnossat (1), si deve cercar di far sortire dall'ano per compressione del ventre l’acqua ab- bondante che spesso inghiottiscono e che potrebbe alte- rare il peso malgrado il prolungarsi dell'astinenza. Mo- dificherei l’ enunciato di CHossar avvertendo che bene spesso quando si fa compressione sulla regione addomi- nale e nello stiracchiarsi delle gambe, si vede l'emissione delle urine. Prima di pesarle, aveva cura di asciugare per bene le rane con pannolino, e mi assicurava che sulla pelle e nella membrana interdigitale non si avesse più traccia di acqua per mezzo della carta asciugante. L'acqua del recipiente, in cui si tenevano le rane, era rinnovata due volte nella giornata. Quando gli animali erano esposti all’azione luminosa si teneva il recipiente di vetro avanti a finestra bene il- luminata, non però direttamente al sole, si mettevano inyece in spazio ben oscuro, quando dovevano essere sottratte alla sorgente luminosa. Durante queste ricerche, ebbi spesso occasione di ve- rificare l’esattezza della proposizione di CHossat (2) che le (1) L.c., p.36. (2) Ivi. rane quando trovansi negli ultimi giorni di loro vita, essendo spossate, si lasciano facilmente infiltrare dall’ac- qua, in cui stanno immerse, sicchè al momento della morte arrivano a pesar più di prima. Allora sospendeva le mie ricerche con tali animali ed è questo un fatto, di cui si deve tenere ben conto qualora si volessero rifare queste sperienze, affine di evitare errori. Il metodo sperimentale era poi così disposto: Un determinato peso di rane cieche ed intatte si espo- neva alla luce per un determinato tempo. Si ripesavano le rane dopo che erano state esposte alla luce e si notava quindi la differenza assoluta, che v'era tra il primo ed il secondo peso, poi col calcolo si deduceva il valore centesimale non solo ma anche il va- lore centesimale, che si otteneva per sei ore. Così si aveva una cifra, che poteva servire di confronto. Lo stesso si faceva prima e dopo che le rane erano state all’oscuro. Quando si avevano le cifre delle singole pesate riferi- bili al valore centesimale, che si aveva per ogni sei ore, con addizione algebrica si faceva la media delle cifre ot- tenute alla luce e la media del valore, che si otteneva all’oscurità: questi numeri ci indicavano la cifra media del guadagno o della perdita, che si aveva delle rane cieche ed intatte sottoposte alla luce o sottratte alla sor- gente luminosa. Ecco le tavole, che racchiudono alcune delle pesate che ho fatto: 38 al giorno. DATA dell’ esperimento 1874 > [e] [He] (ee) (e) Ce] De] (ex) Do ui (dA > » 10 » 10 » fl » fl » 12 4 febb. - 10 NUMERO d’ ordine delle sperienze u sugli stessif |) esperi- mento (4) ——_—_ _____ __——zzie enni animali I XVI NUMERO d’ore durante le quali 10h 16 9 15 —_——t—__r_—_—_—_ ( È X 39 i lengono nello stesso recipiente pieno d’acqua. Di queste quattro rane, i pesarle si lasciano due giorni all'oscuro. Si cambia l’acqua due volte ia da filtro. Rane cieche Differenza di peso medio centesimale — ____T________ _ bm6 : per sei ore Differenza| Differenza Differenza centesimalet __ i n assoluta | cente- di peso di simale per sei ore inlalte. cieche Spa ATTI — ——"P cia E I — rasata) peso di peso luce buio luce buio luce buio RE Ce a rn DI I ri — 0,6|]— 0,68 0, 68 — 2,33 + 0,69 — 1,06|-+ 0, 43 — 0,1|— 0,11 —2 |- 2,29 — 0,3|— 0,35 — 1,7|— 2,00 + 4,8] + 5,78 — 2,9|— 3,30 + 0,8/+0,9 + 0,8/+ 0,93 + 1,7|+ 1,96 1,47 0, 69 1,37 0, 23 0 1,38 0,91] + 0,91 s D Tav. E. — N° 4 Rane esculente - eguale sesso - epoca di prigionia - per mezzo del nitrato d'argento. Si tengono all'oscuro due giorni da l’acqua del recipiente. Prima di pesarle si asciugano con pannolino, @ NUMERO | NUMERO Rane intatte pi d’ordine| d’ore = seni delle { durante I II | Differenza] Differenza|Differenza centesià sperienze le Kee peso | peso | assoluta | cente- P i Regi 8 sugli stessi l'on — di simale | ——— 2 animali mento in grammi peso di peso luce dell’ esperimento . — 4,96|— 5,95 + 0,53 — 4,24|— 5,08 + 3,10 — 4,72|— 5,66 + 5,86 — 2,02|— 2,42 + 1,63 ee To “ » Od Wu Ut 0 09» 0 Uto Ceffelo Iieftefle}te]te, 9 19 do Lo © = co 00 tHI+[+141 a rus dv a - questo intervallo di tempo, in cui — 5,26 4: 37 — 4,07 — 3,08 1,72 2,68 2,48 1,04 -- 0,39 — 2,48 — 4,42 — 3,22 — 1,30) —. Le enni NPI LIS LI VI (ICE NOTO eRo. 29 >— a 090 —_ ded e nernTrourowuc utcto 28 febb. 1 mar. 9 x © dI dI iti ' » Ta ISIS Ao) Dì N DI Utd da UO dI 00 Uierio «fe i Lei fin BBFBRGILESENNN NO S ee”) ' si (S°) Ù CONSCI) III Peli ' -_ (er) ut , ee i fi fat +I+FI4I+FI4I[H+1t41+1+4[+4[+4#1+]+1 t14[+[+H{F[[IFIFIFtI/t[#1+[+#] Dì UT UA > 10 00 O dI — Ù o —-_ _ DD Usi Da —_ a I de + 414 o 1 . . . , . mvano nello stesso recipiente pieno d'acqua. Due di esse furono accecate operativo e prima d’incominciare le pesate. Si rinnova due volte al giorno Rane cieche Media delle differenze centesimali di peso LL ; : durante sei ore | XI |Differenza Differenza|Differenza centesimale PEER SOLE. Gia +1 Ra di peso assoluta | conio: | per sel ore intalle cite peso I di peso luce | buio luce | buio luce | buio Colgo DI5OI —3,00 | + 1,1/+ 1,28 + 0,40|{— 3,07|+0,74|— 1,75]+ 0,5f SRI 15 — 1800 EST L 4:99 + 0, 62 MD TL 001) — 3,85) 869] + 27/4 3/20 [4 4,01 Mi85. | -1,9|— 2,18 iii 86,3 | + 1,3|+ 1/52 + 0,48 erono fare le pesate, le rane rimasero all’oscuro. — 3,5|— 4,04|— 4,04 RAI 413,20 + 1,02 — 2,71|—- 3,15|— 3,78 SER ha 03,01 + 1,00 — 0,8 |—.0,93j— 0,93 + 0;5/+ 0,59 + 0,19 t — 0,7 | 0,82/— 0,82 + 0,5 {+ 0,59 + 0,18 — 1,3 |— 1,52|— 1,82 + 0,5 |+ 0,59] + 0,19 ORSI AT + 0,3]+ 0,55 + 0, 1l 0) 0 (0) + 0,6/+ 0,71 + 0,22 — 1,1 |— 1,29— 1,54 et +--0:83 + 0, 26 SI Li DAT 250, 56 i ati 40,22 () () 0 + 0,7|+ 0,82 + 0, 27 T 479 | 1,99 — 1,99 i; - 2,91 + 3,47 + 1,15 Si. 3 |- 231! 9,31 si +2,31+ 2,72 + 0,85 ir: — 0,9|— 1,03|— 1,23 i dî + 1,7|]+ 1,98 + 0,62 LA — 0,6|T— 0,68|— 0,81 tra + 1,1|+ 1,26 + 0,39 Sa Mata e di CSA ì he) Ù i fit de i ta Re -d» + Pi i è n } A DTA ; ib i Pai da dat >» LI a 7° A A ' ; Ae «Sat ORE AF = x de ciù IO ALT te at, er . IN =L Îa 42 Nav. EXX. — N° 4 Rane esculente di eguale sesso - della stessa epocafli accecate coll’esportazione dei globi oculari. Dopo l’ poscia con carta da filtro. Do | DATA dell'esperimento 1873 22 dic. rp ARESE 4: PANINI o |a I » 2 » | pi de=<20 » | | | | i » 26 » » 26 - 27 » » 3A | » » 27-28 » » 28 » "097 SES IO » 29 » » 29-30 » » 30 » » 30 - 31 >» » 3I » 31 dic. e 1 genn. 1874 1874 1 gen. » Sed » i H » » » | » » » » » » 10 UT UT 0 090 ' = i (dal > (de) Rata Re +3 7,7 ; noie a IRA E. ROIO I PIPE, Ra Aa td anta operazione sì tengon 4 peo. tot + ++ +44 +4 + +4 ++ + +4 ore: e na o fe NUMERO | NUMERO Rane intatte d’ordine | d’ore aero i delle durante I II |Differenza] Differenza|Differenza centesffal. ; le quali ‘ | assoluta | cente- sperienze ; peso | peso | sugli stessi ar Tri ei di nale E animali | ‘mento in grammi peso di peso | luce Î bu Î | gh 15| 72,2/681|—41|— 5,67|— 5,67 I |a5 9|681|692/+4£1|+ 1,61 III 9 15|69,2|686|—06|— 0,86!— 0,86 IV {15 9686/69 |+0,4|+ 0,58 V 9 15169 |664|- 2,6 |— 3,77|— 3,77 VI |15 9|66,4|6791+15|+ 2,26 VI | 9 15/679 656/33 — 3/38|— 3,38 Vil |15 9|65,6|67 |+4,4|+ 2,13 IX 9° 15/67 |664/5—0,6|— 0,89|— 0,89 x {15 9|66,4|667|+.03|+ 0,45 XI 9 1531 66,7/616|— 2.1 |— 3,15|= 3,45 XI |15 9|64,6166,8|+22|+ 3,41 XII | 9 15|66,8|64,6|]—2,2|—3,29/— 3,29 XIV |15 9|64,6|66,8/+2,2|+ 3,40 XV 9 15|66,8|643|—2,5]|— 3,74|— 3,74 XVI |15 -9|64,3|663|+2 |+3,1f XVII | 9 15/663 65° | —41,3|— 1,961— 14,9% XVII |15 965 |66,6!+ 41/6 |+ 2746 XIX | 9 15|66,6|643{—23|- 3,45|— 3,45 XX {15 9|64,3|66,7|+2,4|+ 3,73 XXI | 9 15|66,7|643|—24|- 3,60|— 3,60 XXI |15 9|64,3|66,6)+23|+ 3,58 XXIII | 9 15|66,6/642/—24|— 3,60|— 3,60 XXIV [15 9|642|66 |+418|+ 2/80 XXV | 9 15/66 |64,3|—47|T— 257|- 2,57 XXVI | 15 9|643|66,3j/+2 |+3411 XXVII | 9 15|66,3| 64,31 —2 |—-3/02|= 3,02 XXVII | 15 9|64,3]|65,8|+ 1,5 |+ 2,33 XXIX | 9 15165,8/65 {—&8|—1,21|— 4,21 XXX [15 9165. | 66. {+41 |+4553 XXXI | 9 15|66 |64 |—2 |—3,03|— 3,03 XXXI |15 9|64 |65,4 +4,4|+ 2,19 XXXIII | 9 15|65,4 63,3 — 21 SW si # i 43 nia - mantenute nello stesso recipiente pieno d' acqua. Due rane sono o rane all'oscuro. Prima di essere pesate sono asciugate con pannolino, Rane cieche Media delle differenze centesimali di peso «TP ___——— . durante sei ore Differenza| differenza |Differenza centesimale di peso assoluta | cente- _ - , I IT e e Elia peso di peso luce | buio luce | buio luce buio sai 1,49! Le fi4 Ra 1,49 S| 192 j- 0.64j— 2,96|+ 0,80j— 0,74|+ 0,10 + 0,3 {+ 0,42/+ 0,42] +0,7|+ 0,97] {+ 0,32 DEL AE E MET A + 0,9|+ 1,27 + 0,42 — 0,6|— 0,84{— 0,84| — 0,1 | 0,14 — 0,05 —-0,4|— 0,56|— 0,5 +0,2/+0,2 + 0,09 () 0 + 0,1|+0,14 + 0,04 — 0,8|- 1,11|— 1,1{ +0,5|+ 0,7! 1+ 0,23 — 0,7|— 0,99|— 0,99 + 0,5|+ 0,82 Pi 0,27 — 0,9|— 4,28|— 1,28] +0,6|+ 0,86 + 0,28 +0,5|+0,71j+ 0,71 — 04]— 0,56 — 0,18 — 0,3 {— 0,43|— 0,43 + 0,1 |+ 0,14 + 0,04 — 1,3| — 1,86|— 1,86 +1,4|+ 2,03 + 0,67 ì — 0,3|— 0,43/— 0,43 +0,2/+ 0,29 + 0,09 — 0,1{_-0,14|— 0,14 + 1,0|+ 1,43 + 0,47 DA 1) 0 — 0,9|- 1,27 — 0,42 — 0,5|— 0.71|— 0,71 i +.0,2|+ 0,29 + 0,09 — 1,1|— 1,57|— 1,57 Rane intatte Rane cieche luce buio luce buio i I Tavola..... .{— 2,33|+ 0,69/T— 1,06|+ 0,43 e. HI» .......]— 3,07|+0,74|— 1,75|+ 0,51 II» .......f-— 2,96/+0,80/— 0,74|+ 0,10 È —— —r 6 Media........ — 2,78|+ 0,74|— 1,21 |+ 0,34 Nello studio della metamorfosi della materia, i rap- porti numerici sono l’espressione assoluta dei rapporti funzionali della sostanza attiva, dice il MoLEscHOTT, nella celebre sua prelezione: vita e luce. Il rapporto medio ricavato fra le rane sane e le acce- cate riguardo alla perdita in peso quando sono esposte alla luce è di 2,29 :1. Quando le rane sono sottratte all’azione luminosa, le sane guadagnano in peso rispetto a quelle cieche nel rapporto medio di 2,02 :1. La luce accelera il lavoro respiratorio. Fino dai tempi della grande scoperta di Lavorsier il processo di respira- zione animale è considerato come un vero processo di combustione. E Sotto l'influenza della luce la respirazione è più at- tiva: ora gli animali, essendo. privati di cibo, subiscono una diminuzione di peso ed è maggiore la perdita presso gli animali, in cui è conservato intatto l'organo della vista. i Rispetto all'aumento di peso, che presentano le rane quando sono sottratte all’azione iuminosa, una delle cause può essere la differenza di rapporto fra l’ossigeno inspi- rato e l’acido carbonico emesso: ma probabilmente questo fatto non basta ancora per renderci ragione del fenomeno; dacchè le classiche ricerche di VALENTIN (1) sulle mar- motte ci hanno edotti che per l'aumento di peso che talvolta si osserva in questi animali nello stato di le- targia, oltre che l'eccesso di ossigeno preso sull’acido carbonico emesso, hanno parte importante sia i vapori (1) Beitrige zur Kenntniss des Winterschlafes der Murmelthiere von G. VaLentiN nel V Band. dei MoLescHort’s Untersuchungen, pag. 11. TÀ | 45 acquosi, sia l’attività igroscopica dei tessuti del corpo, sovratutto dei prodotti cornei, che coprono la loro su- perficie esterna. Dai fatti sovra esposti mi pare si possano ricavare le seguenti deduzioni: 1° Eguale peso di rane cieche ed intatte, di eguale specie e sesso, tenute alla stessa temperatura per eguale tempo esposte alla luce subiscono perdita in peso, la quale è maggiore per le rane intatte che per le cieche. Questo risultato sarebbe in armonia col fatto trovato da MoLescHOTT, che paragonando rane cieche ed intatte, tenute ambedue alla luce, quelle emettono minor quan- tità di acido carbonico che queste, sebbene la differenza sia minore che quando si paragonano rane intatte esposte alla luce con quelle tenute al buio. 2° Le rane intatte e cieche sottratte all’azione luminosa gua- dagnano în peso, le intatte più delle cieche. Questi risultati si ottennero sotto l’azione alternata della luce e dell’oscurità. In questa adunanza leggesi una lettera del Generale MenaBrEA, Socio nazionale non residente, il quale fa istanza per una correzione da introdursi nella sua Me- moria che porta per titolo: Principe géenéral pour déter- miner les pressions et les lensions dans les systèmes élasti- ques. Questa correzione consiste in ciò, che là dove è detto: D’où l'on conclut, que l'equation (15) représentant ecc., e _ _ ° devesi leggere D'où l'on conclut, que l'équation (15 bis): D+A'd+ B'B*+C")°=0, représentant ecc. I lettori dei Volumi Accademici sono pregati di fare l’indicata cor- alta rezione nel vol. XXV, serie 2°, pag. 173, linea 25. Nelle copie distribuite a parte dall’Autore la medesima corre- si zione vorrà essere introdolta nella linea 4* della pagina 38. À Ro” si $$ i pda ; (tai “vu: ta A ds. Sa) i GINg STRO Ki tati d uit ai nego 4 “0 Adunanza del 29 Novembre 1874. \ PR PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Cav. Michele Lessona legge alla Classe la se- guente sua HT, NOTA Bi INTORNO ADE aa PRODU ONE th DELLA SALAMANDRINA PERSPICILLATA. Spetta esclusivamente all’Italia, per quanto fino ad ora si sappia, la bella piccola specie di anfibi urodeli cui il Firzincer diede il nome generico di Salamandrina, ed il Savi il nome specifico di perspicillata, e fu dal Gray con- È siderata come unica rappresentante di una famiglia. SI Vive lungo il versante mediterraneo dell’Apennino che si distende dalla Liguria al Napoletano, non fu trovata in Sicilia, il DumériL dice di averla avuta dalla Sardegna, ca ma il Gexé non l’annovera fra gli anfibi di quell’isola. Ne parlarono, variamente denominandola, dapprima Fer- rante ImPeRATO , poi LacipÈDE, BONNATERRE, LATREILLE, DaupIin, MERREM, Savi, FirzincER, Cuvier, BARNES, WA- GNER, BonAaPARTE, DumérIiL e BrBron, GRAY, HALLOWELL. È singolare l’errore di LacépèpE che la dichiarò fornita di sole tre dita, e la denominò corrispondentemente, gd, mentre in realtà ha quattro dita, e per questo carattere d appunto si distingue dalle Salamandre, come si distingue de; dai Tritoni per la rotondità della coda, me 48 Il BonaparTE ed il Savi scrissero più a lungo intorno a questo animaletto, segnatamente il secondo, che colla sua consueta maestrevolezza ne descrisse le forme ed i costumi. Nessuno era riuscito a vederne la riproduzione, mal- grado i tentativi fatti, e questa sorte toccò a me pel primo, durante la mia dimora in Genova, ove questa specie è comune. i Giù dai pendii dei monti nudi e rocciosi che s’innal- zano semicircolarmente a guisa di anfiteatro intorno alla bella città scendono ruscelletti che si fanno torrentacci negli acquazzoni, ma consuetamente hanno appena un filo d’acqua. Lungo il corso di questi ruscelletti si trovano di tratto in tratto delle pozze con pareti e fondo rocciosi ove l’acqua limpida quasi ristagna e lentissimamente si rinnova, albergando vegetazione e vita animale inferiore. Poco discosto da questi ruscelli stanno sotto le pietre le Salamandrine , che lungo la state, come la Salamandra nera sulle Alpi, non si lasciano vedere, appaiono meno raramente l'inverno, sono numerose fuori lungo le pioggie autunnali, e in sul principio della primavera vengono all’acqua per l’opera della riproduzione, e poi per la muta della pelle. Ho avuto opportunità di osservare per parecchi anni le uova ed i girini nelle loro pozze native, ho avuto poi in Torino dalla cortesia dei miei amici di Genova uova che feci sviluppare negli acquari, e riuscii persino in un caso ad ottenere in Torino nel mio studio la metamorfosi di uno di tali girini. Nelle mie osservazioni in Genova ebbi sovente a com- pagno il signor Giovanni Ramorino, allora studente di scienze naturali, ora Professore a Buenos-Ayres. Alcune MM rdon LL rbt AI 49 osservazioni mie e sue egli raccolse nella sua tesi di laurea, intitolata: Appunti sulla storia naturale della Salamandrina perspicillata, pubblicata in Genova dalla tipografia dei Sor- domuti nel 1863. Un cenno mio intorno allo stesso argo- mento venne comunicato dal signor Dottore Mivart alla Società Zoologica di Londra e pubblicato nel volume del 1868, e riprodotto in nota nella traduzione italiana della Vita degli animali del Dottore BRERM. Io spero di poter compiere lo studio di questo anima- letto nel suo essere e nei suoi rapporti. Piacemi intanto oggi riferire qualche cosa di più intorno alla riproduzione di esso ed allo sviluppo del girino, giovandomi dei di- segni che si compiacque fare per me il signor Lorenzo CameRANO , ottimo giovane da cui ho molto aiuto, e dal cui amore ardente per lo studio senza fallo sarà in breve per trarre non poco vantaggio la scienza. L’opera della riproduzione per la Salamandrina nel con- torno di Genova comincia in sul principio del mese di marzo. Le femmine vanno nelle pozze dei ruscelli a de- porre le uova. Io non ho mai trovaio un maschio nel- l’acqua: anzi in verità debbo dire che non ho mai trovato un maschio di questa specie: cercando sempre nell’acqua ed in primavera ho raccolto centinaia di individui che, aperti, conobbi sempre per femmine. Bisogna dire adunque che la fecondazione in quesia specie è interna, e segue fuori dell’acqua. Le prime Salamandrine che arrivano alle pozze scel- « gono il luogo meglio acconcio per deporvi le loro uova. Le attaccano, mercè la materia glutinosa onde sono av- volte, in mucchi alle pietre e ad altri corpi solidi, al piede della parete verticale delle pozze nella parte più interna di esse e più lontana dal punto d’onde l’ acqua 4 de [ta cà Vs ge REFERTO, DR, Lian ga i IS pasta, it a « "; da esce per incanalarsi nel ruscello. Così sono al riparo dal precipitare degli acquazzoni. i Le Salamandrine che vengon dopo e trovano già i buoni posti occupati s’aggiustano come possono: metton le uova sul fondo, anche presso al margine della pozza, e negli acquazzoni queste uova vengono portate via e si SO in mare. La figura 1 rappresenta il modo in cui sovente sono attaccate queste uova a fuscelli sommersi (Questa figura, invero, rappresenta non l'uovo, ma il germe in un pe- riodo già inoltrato di sviluppo). Altre volte le uova sono attaccate, come ho detto, alle pietre, oppure a foglie secche sommerse, pagliuzze od altri corpi, mercè la ma- teria glutinosa appiccaticcia; ma non galleggiano mai. L'uovo è grosso come un grano di miglio, la segmen- tazione totale, ma il solco equatoriale non è appunto un circolo massimo, trovandosi più vicino al polo dell’e- misfero bruno. i La formazione del germe alla temperatura di + 15° comincia 48 ore dopo l’apparizione del primo solco me- diano, e si manifesta col solco primitivo di REICcHERT, seguito dopo 24 ore dalla formazione delle lamine dor- sali. Dopo appaiono il cappuccio cefalico ed il caudale , il primo assai più sviluppato del secondo, e più svilup- pata ancora la parte ventrale. Questo stadio rappresen tano le figure 2, 3, 4: in questo stadio segue la rota- zione dell'embrione. it In breve appaiono nell’embrione i rudimenti dei suc- ciatoi, quegli organi ventosiformi chiamati bottoncini dallo SPALLANZANI, ed uncini (crochets) dal Rusconi, che sono due e si sviluppano in due peduncoli molto allungati: appa- iono contemporaneamente i rudimenti delle branchie, e 51 quelli delle zampe anteriori, che sono poi le prime a spuntare. In questo stato l’embrione, rappresentato nella figura 5, fa, entro alla materia glutinosa da cui è ancora avvolto, forti e frequenti movimenti, indizio di inoltrato sviluppo di parti muscolari. Finalmente, dopo 20 o 22 giorni dalla fecondazione dell'uovo, il piccolo girino esce vincendo collo spinger del capo la resistenza della materia glutinosa che ancora lo avvolgeva, dà qualche guizzo nell’acqua coi rapidi movi- menti della coda, poi cade sul fianco spossato da questa sua nuova fatica. In questo periodo appare quale è rap- presentato nella figura 6: è lungo 12 millimetri, giallo- gnolo scuro sul dorso e chiaro sul ventre con minute macchiette brune, che qualche giorno dopo si fanno più gremite e diventano chiazze, quali le mostrano le figure 15 e 16. Si vedono bene gli occhi, appaiono il fesso della bocca ed i fori delle narici. Le branchie sono tre fila- menti semplici, quali si vedono nella figura 9 in b, c, d, e lasciano vedere benissimo, al microscopio, il rapido correre del sangue. Nella stessa figura si vede in 4a uno dei due succiatoi, ed in e il rudimento di una delle zampe anteriori. Le figure 7 ed 8 lascian vedere il girino al suo quinto giorno di vita, dalla parte del dorso e dal ventre: in questo stadio ha quel coloramento giallognolo chiazzato di bruno che appunto è rappresentato nella figura 15. Dalla parte del ventre lascia vedere il cuore pulsante, e l’aorta colle sue diramazioni. In questo pe- ‘ riodo la zampa anteriore si mostra distintamente in un piccolo moncone, quale è rappresentato nella figura 10. I due primi filamenti branchiali lasciano vedere le prime ramificazioni, più il primo che non il secondo, come appare dalla figura 11. Questo ramificarsi delle branchie in breve 52 si spinge assai oltre, ed al decimo giorno della vita del girino il suo apparato branchiale è quale si vede nella figura 12. In questo periodo della vita del girino il mon- cone della zampa anteriore si è riotevolmente allungato, e comincia a tripartirsi alla estremità (figura 13) mentre spunta il moncone delle estremità posteriori in foggia di piccolo cono affusato (figura 14). Al 18° giorno della vita del girino le zampe anteriori lunghe 25 decimillimetri mostrano distinti i quattro diti (figura 18), mentre le zampe posteriori lunghe 15 decimil- limetri hanno tre ditini sviluppati, il quarto non rappre- sentato ancora se non che da un tubercoletto (figura 19). Al 24° giorno della vita del girino la zampa posteriore mostra le quattro dita (figura 20), ed ha tatto il suo sviluppo come è rappresentata poco prima della meta- morfosi nella figura 27, mentre la figura 26 rappresenta nello stesso periodo la zampa anteriore. I succiatoi sono scomparsi al 18° giorno della vita del girino, e le branchie appaiono sviluppate nel modo in- dicato dalla figura 17. Le figure 21, 22, 23 rappresentano il ramificarsi sempre progressivo delle branchie al 30°, 34°, 40° giorno della vita dell’ animaletto, mentre la fi- gura 26 rappresenta queste stesse branchie notevolmente ridotte e prossime allo atrofizzarsi al 50° giorno della vita del girino, quando poco più di tempo manca all’operarsi della sua metamorfosi. Fra il 40° ed il 50° giorno della vita del girino la testa sopporta una notevole modifica- zione, essendo dapprima allungata ovalmente (figura 28), e poi allargata, depressa, tendente al triangolare (figura 29). Al 40° giorno della vita del girino sono stati disegnati i denti quali si vedono nelle figure 24 e 25, denti che subito rivelano l’indole schiettamente carnivora del girino. Nella parte superiore i denti palatini appaiono forti con salda base, conico-subulati, aguzzi, con una sorta di un- cinatura rivolta all’indentro, mentre sull’arcata mascellare sono tanti dentini triangolari; ed altri più piccoli e più numerosi, conici ed aguzzi, sono sull’arcata mascellare in- feriore; gli uni e gli altri ricordano i denti di certi squali. Intorno all’ indole carnivora di questo girino non ho dubbio nissuno: l'ho veduto abboccare minute larve d’in- setti: ma oltre a questa prova di tutta evidenza, ne ho acquistata un’altra in un modo singolare; il signor Lo- renzo CaxeRANO ebbe il pensiero di porgere ad un girino, ultimo superstite di moltissimi morti, verso il quaran- tesimo giorno della sua vita, sopra la punta di uno spillo un minutissimo minuzzolo di carne cruda, facendolo muo- vere come preda viva. Il girino abboccò, e da quel punto in poi per una quindicina di giorni fu nutrito regolar- mente con carne cruda, e riuscì a compiere la sua me- tamorfosi, approssimativamente verso il 55° giorno della sua vita. Cinque giorni prima della metamorfosi egli aveva le branchie ridotte quali si vedono nella figura 26. In questo stadio teneva spesso il capo fuori dell’acqua: ma molto prima di questo stadio questi girini, come già aveva osservato per quelli delle rane il Rusconi, vengono alla superficie a prendere una boccata d’aria, quando co- minciano i loro primi esercizi di respirazione polmonare. Una differenza notevole dai girini delle rane presentano questi della Salamandrina in ciò che mentre quelli si mo- strano irrequieti e sempre guizzanti, questi sono consue- tamente fermi. Ho detto sopra che appena libero il girino dopo qualche guizzo cade spossato al fondo. In questo primo periodo della sua vita si giova dei suoi succiatoi, e si vede talora attaccato, anche con un succiatoio solo , 54 A ad una parete verticale. Più tardi striscia col ventre sul fondo, e si giova delle estremità anteriori, che presto si sviluppano, appoggiandosi sopra di esse come certi pe- sciolini fanno colle loro natatoie pettorali. Tocco fugge con rapidi guizzi, ma în breve nuovamente si arresta. Spia immobile ia preda: quando se la vede a tiro davanti alla bocca a qualche centimetro di distanza, con pochi mo- vimenti della coda, e più tardi anche delle zampe ante- riori, le si precipita sopra, la azzanna, e ripiglia la sua immobilità. Questa immobilità costante, che dura fino alla metamorfosi, fa sì che facilmente l’animaletto sfugga all’oc- chio del ricercatore, e non riesca facile trovarlo, chi non ne abbia pratica. Il girino, di cui ho ottenuto la metamorfosi, mi ha dato argomento a credere, siccome ho detto, che essa si compia in cinquantacinque giorni: ma questo limite na- turalmente non è che approssimativo. L'animaletto è rap- presentato appena compiuta la metamorfosi nella figura 30. Lo tenni in terra umida, tentai di fargli mangiare carne eruda, come aveva fatto ancora il giorno precedente, ma non volle più saperne. Cercai di dargli altro cibo, ma non mangiò , e visse digiuno 67 giorni. In Liguria trovansi già le piccole Salamandrine tras- formate nel mese di giugno, ciò che conferma «appunto il limite approssimativo indicato sopra pel compimento della metamorfosi; probabilmente non ottengono tutto il loro sviluppo se non che coll’ anno seguente, ed allora sono già in istato di dare opera alla riproduzione. _ Lrezieadi SALAMANDRINA PERSPICILLATA — I.Gamerano dis. Sit. Giordana e Salussolia. << I Cantù ht. SALAMANDRINA PERSPICILLATA — I.Gantulit > $ "60 MT o CAS EA e SLI Agi SETE n SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tavola I. I. Germi di Salamandrina in corso di sviluppo, attaccati ad un fu- scello sommerso. 2. Sviluppo del germe verso il quattordicesimo giorno. 3. Sviluppo del germe al 16° giorno. 4, Sviluppo del germe al 18° giorno. 5. Girino al momento di uscire dall’invoglio glutinoso. 6. Girino il 1° giorno di vita libera. 7. Girino il 5° giorno di vita libera. 8. Girino il 5° giorno di vita libera visto inferiormente. 9. Branchie del girino al i° giorno di vita libera. 10. Zampa anteriore del girino al 5° giorno di vita libera. Il. Branchie del girino al 5° giorno di vita libera. 12. Branchie del girino al 10° giorno di vita libera. 13. Zampa anteriore del girino al 10° giorno di vita libera. 14. Zampa posteriore del girino al 10° giorno di vita libera. 15. Macchie del capo e fra gli occhi nero-violacee su fondo giallastro al 10° giorno di vita libera del girino. 16. Chiazze sul capo e fra gli occhi al 15° giorno di vita libera del girino. i Tavola II. 17. Branchie del girino al 18° giorno, scomparsi i succiatoi. 18. Zampa anteriore del girino al 18° giorno. 19. Zampa posteriore del girino al 18° giorno. 20. Zampa posteriore del girino al 24° giorno. 21, Branchie del girino al 30° giorno. 22, Branchie del girino al 34° giorno. 23. Branchie del girino al 40° giorno. 24. Denti superiori del girino al 40° giorno. 25. Denti inferiori del girino al 40° giorno. 26. Branchie del girino al 50° giorno con zampa anteriore. 27. Zampa anteriore del girino al 50° giorno. 28. Testa del girino al 40° giorno. 29, Testa del girino al 50° giorno. 30, Metamorfosi del girino al 55° giorno. x PRIA e PA Bee iL Mraag®. Il Socio Cav. “A ltonzo Cossa dà lettura alla Classe della seguente sua Nota SULLA COMPOSIZIONE DEL MOSTO ue... DELL'UVA IN DIVERSI PERIODI DELLA SUA MATURAZIONE. Per incarico del Ministero d’Agricoltura, nel corso di questo anno, si dovettero eseguire nei laboratorii chimici delle stazioni agrarie italiane, delle ricerche sulla com- posizione del mosto di ben accertate qualità di vitigni in diverse epoche della maturazione d.ll’uva. Nella stazione agraria di Torino che ho l’onore di dirigere, a motivo del gran numero di analisi fatte per incarico di privati e d'altri lavori, ho dovuto limitare queste ricerche ad una sola varietà di vite. Però ho cercato di compensare in parte questa limitazione col moltiplicare le analisi in modo da rendere più palese la graduale mutazione che si avvera nella composizione dell’uva di mano in mano che essa si avvi- cina allo stadio di perfetta maturanza. L’uva di cui mi sono servito per le mie ricerche appar- tiene ad una varietà di vitigno bianco, che gli agronomi dicono d’ Aramont, e che venne coltivato a bassa ceppaja, dal Prof. Panizzarpìi nel giardino del Museo Industriale, che serve ai piccoli saggi di coltivazione che si fanno per iscopo di ricerche di chimica agraria nella stazione di Torino. 1 ta x PIITRENIE TE I ST Si analizzò il mosto in otto epoche differenti, con un intervallo di dieci giorni, e comprese tra il 26 luglio ed il 30 settembre (1). La densità del mosto venne determinata a temperature che variarono da 17,5 C. a 22. C. colla bilancetta ideata da MoHgR e costruita dal meccanico WestPHaL di Celle. Con questa bilancia, che ora è adoperata generalmente nei laboratorii di chimica e di fisiologia, si hanno risultati esatti fino alla quarta cifra decimale. Si determinò il glucosio con una soluzione alcalina di rame (liquore di FeHLING) titolata in modo che per ridurre l’ossido cuprico contenuto in 10 centimetri cubici, occor- revano 5 centigrammi di glucosio. — Il mosto essendo stato ottenuto da acini ben separati dai graspi , e senza schiacciare i vinacciuoli, non si ebbe a temere che all’a- zione riduttrice dello zucchero si aggiungesse pur quella dell'acido tannico; infatti in due ricerche fatte per con- fronto con un mosto naturale, e collo stesso mosto a cui erasi aggiunta una soluzione diluita di ittiocolla, si ebbero gli stessi risultati saccarimetrici. L’acidità totale del mosto, cioè quella che deriva dagli acidi liberi e dal tartrato acido potassico, fu calcolata come dipendente da acido tartarico e venne determinata con una soluzione titolata di soda corrispondente per ogni centimetro cubico a 75 decimilligrammi d’acido tartrico. Il bitartrato potassico venne determinato col metodo suggerito da BertHELOT e FLEURIEN, il quale consiste prin- cipalmente nel precipitare questo sale da un volume conosciuto di mosto mediante una mescolanza a volumi (1) In questo lavoro mi servii con grande vantaggio dell’opera assidua ed intelligente degli Assistenti D. PeciLe e B. Porro, VUE) È Ò ” "x tata si < asi, * vigne La To a SRI RIepot d g07 ISEE CI dn Ain è N eguali di alcoole e di etere. -Rigiagioglisato vell'uagua bollente il tartrato acido, si desume la sua quantità dal volume di soluzione di soda richiesto per neutralizzarlo. Per determinare poi l’acido tartarico il quale si trova nel vino allo stato di libertà, e non sotto forma di sale acido, si seguì pure il metodo proposto dai due ‘autori ‘ succitati, il quale consiste nel neutralizzare parzialmente con potassa un dato volume di vino e quindi nel preci- pitare nuovamente il tartrato acido di potassio. La dif- ferenza tra le quantità di bitartrato ottenute in questa e nella precedente determinazione forniscono un criterio che serve di guida per conoscere approssimativamente la quantità d’acido tartarico libero. La differenza poi che si osserva, paragonando l’acidità complessiva del bitartrato di potassio e dell'acido tarta- rico libero con l'acidità totale, deve essere riferita alla presenza nel mosto d’altri acidi differenti dall’ acido tar- tarico. Le sostanze minerali contenute nel mosto, si desunsero dalla quantità delle ceneri, calcolate prive di carbone e d’ anidride carbonica. I risultati delle determinazioni ottenute sono. riassunti. nei due prospetti iva La ogt spaccia sfruttò: cRadii ant e) In 1000 DATA | GRAPPOLI dell’ analisi e È ini Raspi docLvplipsi;a0) uluzi * 75 4 Agosto lr. 0300 62 65 56 74 83 73 DATA della DENSITÀ Analisi | il Ì Il | i ì Glucosio Acidità | totale Bitartrato | polassico Acido tartari A Mosto 913 957 958 962 963 948 955 960 | | e libero Materie estrattive Grammi 26 Luglio | 4,0204 a +479,3| 5,5| 36,00 4 Agosto | 1,0182 » +479,5 | 6,94| 34,87 1,0218 » + 479,5 | 15,601 30,00 4,0323 » + 179,5 | 28,70 | 29,92 1,0333 » + 249,2 | 57,50) 20,10 4,0477 » + 249,2 | 96,20! 47,77 4,0638 » +489,2 |134,70| 12,75 1,0583 » +22° |119,00| 9,82 7,89! 4412 dai 40,95 5,52 47,55 4,86 70,65 3,68. 72,40 2.50 420,43 2,24 452,40 4,84 439,20 parti in peso di CINI Buccie Tr— ca_’”’°’PP@6966 e Vinaccioli 87. 43 42 38 37 52 45 40 In 4000 centimetri cubici di mesto Azolo | minerali Dalle cifre suesposte si scorge come le quantità dello zucchero e delle materie estrattive si accumulano sempre più nel mosto dell’uva esperimentata fino al 20 settembre, cr l 6 st gr he” è; n 2a3! gia, sa È i sola” E; dopo la qual epoca queste sostanze cominciano a . imi- nuire, mentre aumenta la quantità di azoto , il quale dal 26 luglio fino al 20 settembre era andato sempre dimi- nuendo. Nella quantità degli acidi la diminuzione con- tinuò sempre in tutte le determinazioni fatte. Le materie minerali rimasero quasi stazionarie dal 26 luglio al 1° settembre; aumentarono fino al 10 dello stesso mese, per poi nuovamente diminuire. Continuando, come mi propongo di fare nel venturo anno, queste ricerche sopra vitigni di altra qualità, dai risultati che si otterranno, confrontati a quelli già avuti, si potranno dedurre sulla composizione del mosto conclu- sioni più attendibili di quelle che ho accennate in questa breve nota. de I L’Aceademico Segretario À. SoBRERO. CLASSE è pa passò | °—’ DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE [a CLASSE ù d è ; Adunanza del 22 Novembre 187%, PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS È S. E. il sig. Presidente Conte Federigo ScLopis fa | lettura alla Classe del seguente suo scritto biografico : L E | NOTIZIE 3 DELLA VITA E DEGLI STUDI DEL CONTE È LODOVICO SAUL! D’IGLIANO. L'Accademia nostra ha perduto il suo decano; io ho i X perduto uno de’ miei più cari e vecchi amici; le lettere . + italiane hanno perduto un diligente storico ed un forbito ea scrittore. Bi Il dì 25 di settembre di quesi’anno, 1874, la morte ci cu ha rapito il Conte Lodovico Sauri d’Igliano, che fu per 9 molti anni Direttore di questa Classe di Scienze morali, 3 storiche e filologiche. Nato in Ceva, antica città dell’ alto Piemonte, il 10 di novembre del 1737, Lodovico Sauri passò la puerizia tra il frastuono delle armi. Su quella regione si combattè SA aspramente la guerra quando, dopo una serie di fatali ES incertezze e di crudeli inganni durante il corso della “e campagna dal 1795 al 1796, si dovette cedere al genio » vincitore di Napoleone Bonaparte. Dal campo di Ceva si fece, per così dire, il cuneo onde ne venne lo stacca-. mento delle forze Piemontesi dalle forze Austriache, e si aprì il varco alla fortuna dell’armi che guidò Bonaparte trionfatore a Cherasco. Se accenno a questi fatti egli è perchè essi fecero così profonda impressione sull’animo del Sauri che non cessava di ricordarli con certa energia d’accento anche quando già quasi facevagli difetto la me- moria d'ogni altra cosa. Nato di famiglia nobile e distinta, ma non di alan ceuso, il giovane SauLi, finiti i primi studi, venne a To- rino per aver modo così di attendere al corso dello studio del diritto nella Università dove conseguì il grado di li- cenza, come di trovare un’occupazione atta a procurargli un vivere più agiato, e ad aprirgli la strada dei pubblici impieghi. Dotato di felicissimo ingegno, assai ben coltivato, e di un carattere quanto probo altrettanto schietto, egli non tardò ad entrare in una via conforme a’ suoi desi- deri. Non poco gli valse in que’ primi tempi l’amicizia di che lo favorirono due riputatissimi Membri di questa nostra R. Accademia, il Conte Giuseppe Franchi di Pont suo zio materno, ed il Conte Gian-Francesco Napione suo largo parente. Questi due egregi congiunti non solamente lo diressero negli studi letterari, ma ponendolo in rela» zione con quei che tenevano allora il primato nelle let- tere Piemontesi, quali erano il Conte Prospero Balbo, l'Abate Tommaso Valperga di Caluso e il Barone Giuseppe Vernazza, fecero sì che il giovane SauLI sapendo rendersi loro accetto ne ritraesse valida protezione. E così fu che egli il 13 di febbraio :1812 venne eletto a prestare assi- stenza nella Segreteria e nella Biblioteca di questa Acca- . Rec n Sii demia, e poscia dopo restaurato il Regio Governo ebbe anche la carica di Bibliotecario dei Regii Archivi. Piacemi di entrare in questi particolari non solamente perchè toccano alle circostanze degli esordi della vita pubblica, che spesso tanto influiscono sullo svolgimento di quella, ma anche perchè ciò mi porge l’occasione.di avvertire come dai modesti uffici di Aggiunti alla nostra Segreteria, più d'uno, mercè della celebrità acquistata per lavori scientifici e letterari, siasi quindi elevato al punto d'essere eletto a sedere fra gli Accademici. Tali furono oltre al Sauri, il Professore Stefano Borson, il Cavaliere Luigi Provana ed il Professore Augusto Gras, la cui recente perdita lamentiamo. Mi sia di più qui conceduto di rammemorare la bontà d’indole, la cortesia di modi, l’amorevolezza d’uffici con cui que’ vecchi antesignani dei nostri studi usavano coi giovani bene avviati sul sentiero ch’essi loro avevano aperto. Nulla v'ha che più giovi al progresso del bene che la benevolenza degli ottimi rettamente collocata e giusta- mente rimeritata. Ebbi io pure la sorte di vedere dap- presso alcuni di quegli uomini altamente benemeriti del nostro paese e ne ricordo la saviezza dei detti e la sa- pienza delle opere, e parmi ancora sentire il profumo che spandevano le loro virtù. Toccasse pure alla risorta Italia di aver tra i suoi figli buon numero che imitassero quegli esempi di robustezza d’ingegno e austerità di costumi, di fermezza di propositi, che ben raccomandato sarebbe il suo avvenire: Deus omen accipiat ! Quando il nostro paese, quello che da’ più chiamasi oggi con affettazione il piccolo Piemonte, venne nel 1814 ricostituito in forma e dignità di Regno, si passò dalla 5) è io È pia ss de f quiete dei placidi esercizi letterari ad una attività. di. go- vernazione e di affari politici conforme alla mutata con- dizione delle cose. Se il restaurato Governo diede luogo a molte e giuste censure per non aver compreso ciò che la voce dell’ e- quità gli raccomandava e che la ragione dei tempi mu- tati gli prescriveva, la diplomazia piemontese non venne tuttavia guasta. Essa non abbandonò le tradizioni che l'avevano resa abilissima e gloriosa nel secolo xvmi,.du- rante il corso delle fortunose vicende che dischiusero alla politica della Real Casa di Savoia. i'vasti orizzonti verso i quali si andò man mano dirizzando. Lodovico SauLi fu tra i primi ammessi a far parte della Segreteria di Stato per gli affari esteri. Dirigevala in qua- lità di Ministro il Conte Alessandro di Vallesa. Dotato d’ingegno e d’esperienza per essere già stato adoperato nella Legazione all’estero, questi ch'era. « uom d'alto af- fare al portamento e al volto ». prese di subito verso le altre Potenze un’attitudine atta. a dimostrare la dignità delle corone non doversi misurare dalla estensione dei dominii ma bensì dalla qualità della Dinastia. A.tale.eletta scuola ebbe ad istruirsi il SAULI, e vi aggiunse la pratica delle incombenze diplomatiche all’estero, essendo andato come Segretario nell’ Ambascieria del Marchese. Alfieri. a Parigi. Ivi assistette a due spettacoli che. gli rimasero profondamente fitti nella memoria, il solenne trasporto della salma di Luigi XVI alla Badia di San Dionigi, che era come il suggello del risorto. sistema dell’antica legit- timità, e l’arrivo di Napoleone dall’isola d’Elba che disco- priva quanto di quel sistema fosse fragile la costruzione. Ritornato a Torino a lui fu affidata la corrispondenza politica colle grandi Potenze, ed egli non cessò mai di > gl MG ar Ra SR ARI Sl NR AA Lc AI ae DAI Ta Pope bag co SIATE NC GIONE radi 4 È n) \ mi NE ONT dro] n AA AA MRI Pe SE QUA ARTT N Di ILA 1 i ; DN ud 67 ‘rispondere ‘a quella fiducia ‘con una’ intelligenza ed ‘uno zelo da valer di modello a’ suoi colleghi negli uffizi di quel Ministero. Uno tra gli affari importanti di cui più si compiaceva il Sauri d’aver avuto l’incarico, fu l’aver liberate le coste dell’isola di Sardegna dalle scorrerie déi Barbareschi! Il Ministero. intavolò e proseguì energicamente questo ne- goziato col Gabinetto di S. Giacomo ed ottenne che le forze britanniche capitanate dall’Ammiraglio Lord Exmouth sì spingessero contro la Reggenza di Barberia e dettas- sero la legge ‘a que’ pirati: Ma per giungere a tanto molto ebbe che fare il Ministero Sardo. Dopo aver esso eccitati, pur troppo inefficacissimamente, gli altri Stati d’Italia a stringere lega con noi, esso si rivolse all'Inghilterra scri- vendone spesso al nostro Ministro a Londra, massime quando nel Parlamento inglese gridavasi contro la tratta dei negri. Finalmente incalzò Ia pratica allorchè gli ‘Afri- cani fecero ‘na scorreria nell’isola di Sant'Antioco, e fu dietro la pittura ‘compassionevole di tanti strazi fattagli dal gabinetto di Torino che il Governo inglese deliberò di mandare Lord Fxmouth a fermar le paci del 1816. Di quanto beneficio queste riuscissero alle marine Liguri ed al commercio di Genova niuno ‘è che nol veda, onde a ragione poteva felicitarsi il Sauri d’esserne stato il prin- cipale istrumento. Sopraggiunta l'insurrezione militare del 1821, Lodovico SauLI dovette piegarsi alle raccomandazioni del Marchese di S. Marzano, succeduto al Vallesa nel Ministero degli affari esteri, ed assumere la reggenza del Ministero stesso. Ma quella insurrezione era un movimento del quale ap- pena veduto il principio si prevedeva il fine, è ‘quindi non ebbe a far altro il Reggente se non a tenere in sesto 1 ra FERStO gli uffizi del Winistoa: “impedire. lo sfogo. di due passioni e salvar mol ti dai pericoli creati dal moto rivo- luzionario. TASSI Ristabilitosi ri Governo assoluto il Savti desiderò | e dopo breve tempo ottenne d’uscire dagli uffizi di i quel Mi- nistero. Ma non andò guari che l’opera sua fu di nuovo richiesta al servigio dello Stato. Fu egli incaricato di un'importante missione, quale era di aprire relazioni di plomatiche permanenti colla Porta Ottomana, ; d° seguito del trattato, che coll’intermediario dell’ Inghilterra, il Re di Sardegna aveva conchiuso colla Porta il 96 ottobre 1898. Il soggiorno del Sauri in Costantinopoli divenne per lui non solo l’occasione di mostrare la sua abilità diploma tica, ma anche la causa d’intraprendere un lavoro. storico di grande importanza. Le sponde del Bosforo. gli ridus- ù sero a mente le grandi spedizioni colà fatte dai Genovesi, le colonie introdotte, i dominii acquistati, tutti que’ "premi di una operosità senza pari sorretta da un coraggio co- stante e da una abnegazione assoluta. Le molte memorie ed i pochi ruderi parlarono all’immaginazione del nostro Collega. Egli Ii interrogò pazientemente, e scrisse con amore un libro da erudito. Dico con amore, non adope- rando a modo volgare una frase troppo sovente ripetuta, ma perchè potei io stesso discernere con quali ben di- sposti preparativi s'accingesse all’opera, e lungo tempo vi stesse sopra perchè rispondesse alla sua intenzione. Prova di ciò ne sia la prefazione del libro stesso, nella quale si fa un accuratissimo accennamento delle. Tonti cui attinse l’Autore ed un esame della purezza di ciascuna di esse., Colà si vede come al difetto di veridiche rela- zioni sincrone uscite da penna genovese, l'Autore avesse dovuto ricorrere alle cronache veneziane, agli storici Bi- manoscritti che servirono dì supplemento ge di riscontro calla. cognizione dei fatti ricavata dalle opere stampate. Uno scrittore che procede con così schietta ed intemerata ‘coscienza si procaccia sicuramente la fede de’ suoi lettori, ), LI Efs_fY 1 tale. la possiamo prestare ai racconti del nostro SautI. — La storia adunque della Colonia di Galata, fondata dai e poco dopo la metà del secolo xt, si divide in sei libri e, terminando a mezzo il secolo xv, comprende ‘uno spazio di duecent'anni pieno di vicende politiche e ‘guerresche, fra le quali spicca sempre l’accortezza geno- vese. nei commerci, e la perseveranza nelle imprese di quel popolo navigatore. La Colonia di Galata era il fondamento della potenza genovese su quelle spiaggie; quindi non è maraviglia che si attendesse a fortificarne il sito e ad estenderne la ‘influenza. I Genovesi profittando delle diserazie succedute dal Greco Imperatore, non meno che di quelle ch’essi me- desimi avevano patite, prima di collocarvisi permanente- mente, seppero con singolare industria rendere le loro ‘condizioni più sicure e migliori in Costantinopoli. Una convenzione conchiusa tra il Comune di Genova e l'Imperatore Andronico nel marzo 1304, che l'Autore | trasse dall'Archivio di Corte di Torino, basta a dimostrare “a qual grado di potenza fossero giunti a quell'epoca i Genovesi in Oriente. Si scorge in essa una larghezza di . | esigenze in chi richiede non minore della arrendevo- lezza in chi concede; la rilassatezza bizantina a fronte — del ligure vigore. ‘Tale superiorità della laboriosa e ristretta Repubblica | rimpetto alla fastosa e prodiga Corte dei Paleologhi, ri- saliva a tempi ben più antichi secondochè appare da un. documento del 1155 in questa storia pur riferito. CIS Il concetto storico del nostro SauLr cotanto si allargò nel suo libro “la. comprendere tutti i fatti più memora-: bili occorsi nei «due secoli sovra indicati nel Comune” di Genova. La vastità della tela non impedì ‘all'Autore d'infiorarla con ogni maniera di dilettevoli racconti, intro-. ducendo con arte sottile descrizioni e considerazioni di- stinte nel corso della narrazione. Bello ed utile è adunque questo libro in cui la fedeltà dello storico va. compagna. all’ eleganza del ‘letterato. Ivi molte argute osservazioni - rivelano la pratica delle avvertenze diplomatiche rese fa-' migliari all'Autore dalla qualità delle cariche «da lui so- stenute. Il suo stile sciolto ed aggraziato accenna al molto. studio da lui posto negli scritti di Niccolò Macchiavelli. ‘Lo stesso ‘desiderio di mettere in evidenza i fatti del commercio genovese in Levante, lo mosse a. pubblicare nel 1838, tra le leggi municipali edite per cura della Regia. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, di cui era. Membro, lo Statuto che si qualifica ‘mposicio oficîî Gazariz, “nome dedotto da una ricca Colonia genovese. Esso risale. alla prima metà del secolo xrv e racchiude molti parti- colari sul commercio che allora si estendeva a grano vantaggio dei Liguri in Pera, in Cipro, in Caffa , in Tra- S bisonda, ed altri luoghi. Se una cura grande ‘era posta. dal Governo genovese nel procacciare ricchezze, non venia. meno per ciò il rispetto all’ umanità, poichè, come av-. verte il SAauLI stesso; fu d'a esso vietato teterrimum mame- % luchorum commercium allora în uso presso altri mercatanti.. ce «L’analogia «del: grande ‘lavoro storico del: SavLi colla. sua missione a Costantinopoli ci ha fatto deviare dall’ore 00 dine cronologico. Rientrandovi, diremo che un) altro ini: carico‘ gli venne dato dal Governo poco tempo dopo il suo ritorno in patria, e fu di agevolare i lavori del passo alpino, onde porre in comunicazione l’alto Novarese colla valle del-Reno, valicando il monte detto di S. Bernardino. Non. si aveva ancora: a quel tempo l’idea dei trafori che sono la maraviglia dei giorni nostri. Idea tanto ostina- tamente combattuta allorchè l’ardimento piemontese osò il primo tentarne la esecuzione, quanto premurosamente ora accolta dagli stranieri, emuli se non invidiosi di quel che:s’è fatto, e solleciti forse a sminuirne il frutto che dovrebbe «singolarmente raccogliersi a pro di chi primo tanto osò, tanto fece e tanto ottenne. L'apertura della. strada del S. Bernardino non andava a-verso all’Austria, perchè diveniva nocevole a’ suoi com- merciali interessi. creando una forte concorrenza alla strada della Spluga. Questa potenza, gelosissima allora di serbare il suo predominio: in Italia e di renderlo istro- mento di vantaggi alle sue possessioni germaniche, tutto pose in opera per indurre il Cantone dei Grigioni ad av- versare i disegni del Governo Piemontese. L’abilità del SauLi fu validamente impiegata nel persuadere il Governo Elvetico, ed. in particolare il Cantone dei Grigioni dell’im- portanza che per loro vi aveva di secondare le mire del Piemonte, sottraendosi dalle insidie di chi per essere il più forte non era il più ragionevole. Essi ben compre- sero .che il loro utile si confondeva col nostro e con- chiusero l’accordo desiderato. Alcuni anni trascorsero nei quali il Sauri, libero dai doveri. di pubblico ufficio, si dedicò a letterari lavori, principale fra i quali fu la storia dei Genovesi in Galata, della quale. parlammo, che è il maggior titolo del. no-. stro Collega alla riconoscenza degli studiosi, e gli aprì FRE PIOR rallo COR SA l’adito a‘’sedere fra i Membri della rostra* Accademia, come gli procurò l'onore di essere annoverato tra î primi Cavalieri dell'Ordine Civile di Savoia creato ig Re to Alberto il-29 ottobre 1831. - VAT "I volumi delle Memorie della nostra Accademia racchiù- dono due altri memorabili lavori condotti dal SAauLI con quella squisita diligenza ch’egli poneva così nelle ricerche erudite come nel dettato, forbitissimo sempre e vivace. | Il primo di que’ lavori risale al 1819, e contiene quattro lezioni sovra un romanzo inedito, che sta tra i codici della Biblioteca: della Università di Torino, composto da Tommaso Ill Marchese di Saluzzo, il quale porta il titolo del Cavaliere errante. Esso è scritto parte in prosa, parte in ‘versi, o per ‘meglio dire in linee di varia lunghezza senza emistichio nè cesura, ma con una rima od imper- fette consonanze in fine. La forma è di un viaggio ima- ginario ed allegorico nei regni di Amore e di Fortuna e di ‘una donna di buon consiglio detta Conoscenza. L'età in cui fu ‘scritto sta tra gli ultimi anni del secolo-xiv od i primi del ‘secolo ‘xv. L'Autore prese ad imitare i poeti proven- zali scrivendo però in francese. Fra le allegorie ‘e le poe- tiche digressioni si rinvengono in questo romanzo giudizi speciali sovra i casi politici, e le qualità dei ‘Principi dell’epoca nella quale fu scritto. Sono cenni sommari di fatti storici dal nostro Collega maestrevolmente ‘svolti. ‘ __ 7) Gna riflette nia, mia, mia; quindi p. e. Galugnano-= i: È Galonianum, - Antegnana = Anthemiana, Bolognano =-Volum- si È nianum, (cf. p. e. nap. neegnare = encaeniare, lagno = lamio, È: (da lama), palude, scigna = simia, tosc. sognor= somnium, calogna = calumnia, ecc.). Abbiamo però la. palatinizza- si «zione di j ne’ due nomi. calabresi Settingiano (= Septi- a] mianum. e Mongiana = Munniana; «e la: gutturalizzazione 3 ip Giungano = Junianum di Principato Cit., evin Volgano ve = Volianum di Capitanata (cf. nap. rancio da rangio; ranio, si aranea, tengo = fenio, teneo, ecc.). in sof 8) Glia riflette lia come nel. toscano, quindi p. e. Gujtiaso Ri, = Gallianum ,. Magliano = Mallianum , Ostigliano = Hostilia- num (cf. nap. fameglia = familia, sporteglione= vespertilione «ecc.). Sembra però che in alcuni casi lia. venga riflesso da gna come p. e. in Lucignano = Lucilianum, Lucugnano = Lucullianum, Lugnano = Julianum (vedansi questi nomi). ..9) Sono ancora. osservabili : i a). A per e, od î, od anche o protonici, massime se a iniziali. «(cf. Aggitto = Agypium, accellenza excellentia ; \aser- e zeto erercitus, quarera querela, sprannente splendente, anchire implere,, addejoto idiota, ciarantola girandola, giagante gigante, sarvateco silvaticus); quindi Arnesano = Hirnicianum, Praga- gnano Freganianum, Quagliano Quelianum, Traugnano Trebo- nianum, Vaturano Veturianumi 0/00 ir db), Contrazione d’ija (eju, così originario, come ro- manzo,.in:ia (cf. Diamo = Tejano, Tegianum, nap. miullo da mejulo per mojùlo, modiolu e sic. miòlu da" mijolu per mujolu= modiolus, mozzo della ruota [ of. Mussarra, Beîtr. 5. Kunde d.nordit. Mund. im xvJahrh., p.719; 8 mizuole ni pl DI «sic. miriari =" mirijari, meridiare), specialmente notevole -nei dialetti dell’Italia superiore (ef. Di alc. forme d. n. loc. ecc. p. de segg); quindi Caliano =" Calijano, Calidianum; Falciano 1 Falcijano, Falcidianumj Pantuliano = Pantulejanum ; Sa- viano =* Savijano, Sabidianum; Spiano=* Spejano, Spedianum ; Taviano = * Tavijano, Octavidianum. mune) Attrazione d’i, principalmente notevole in dialetti «dell’Italia superiore (cf. nap. cudjero da cuoiro = corium, ‘cojeraro da coiraro =coriarius; chiairo =' clarius, clarus; gaifà (da:gavia, gavianus) gabbiano; airola = ariola, areola; cf. - ‘Ascoti, Arch. gl. it.1, num. 235); quindi Aîlano Alliamum, Cairano Carianum, Faibano Fabianum, Vairano Varianum. In Caivano Calviamum, piuttosto che attrazione d’i, vocaliz- zazione d’/ (cf. nap. aizà = altiare, alzare). 0 d) Assimilazione di vocale: progressiva in Nepex- zano = Nepotianum; regressiva in Prepezzano = Propertianum; ‘e qui pur con assimilazione di r colla seguente sibilante (cf. per es. nap. mozzecà = morsicare, veron. Lughezzano =" Lugherzano, Lucretiamum). e) Prostesi di s: (cf. nap. sbafuogno = favonio , schi- nibizzo = ghiribizzo, smeraglia = medaglia}; quindi Scari- sciano Carisianum, Spezzano Pettiamum, Scarano Carianum , Spisciano Pisianum, Squinzano Quintianum. ‘f) S' pel comune z secondario, massime in Terra d'Otranto: Arnesano per Arnezzano , Alessano per Alezzano, Corsano per Corzano, Melessano per Melezzano, Pulsano per Pulzano, Supersano per Superzano, Taurisano per Taurizzano. >». 19) Metatesi così di consonanti come di vocali (cf. Cotrone = Crotonem, Falvaterra = Frabateria, Grabbiele = Ga- | briele, ecc.); quindi Supersano =" Supilcianum da Sulpicia- num, Sulpicius; Depignano o Dipignano = Depiliamum, da Lepidianum, Lepidius; Pernosano = * Pirnusianum da Prusì- i Pg a è e MAE, VAS LTT O Prato k n nianum, Prusinius; Limosano =* Nimusianum da Numisia- num, Numisius, con mutazione di n in } per dissimila- zione (cf. nap. Antolino per Antonino; berg. liminà = no- minare ecc.). (h) Quasi superfluo. l’avvertire lo scambio reciproco tra be v, più o meno proprio anche degli altri dialetti; quindi Alvano, Arvano = Albanum, Albianum; Balvano = Balbanum, Balbianumj; Barisciano = Varisianum; Bisignano = Visinianmum; Bolognano = Volumnianum ; Saviano = Sabi- dianum; Savignano = Sabinianum; Trivigliano = Trebellia- num ecc. (cf. nap. arvaro = herbarium, arvolo = arborem; nl. Badolato = vadum latum, Bovino = Vibinum, Boturno = Volturnus, bolara = * volaria, bossoria = vossorìa, vostra st- gnorìa, balie = * vali, valuit, becariello = vecariello, vico- letto; sebbene nel napolitano il bd = v iniziale sia tal- volta determinato dal costrutto sintattico). Segue ora la serie alfabetica dei nomi locali del Napo- litano che, con più o meno evidenza od almanco verosimi- glianza, si possono dedurre dal loro gentilizio, general- mente attestato da iscrizioni napolitane /IN./. Il riscontro di questi nomi napolitani cogli etimologicamente equi- valenti delle altre parti d’Italia aggiugne non di rado, parmi, alla verisimiglianza dell’ etimo proposto. Aeciano (Abr. ult. 2), Appianum, Appius (IN.). Un fundus Appianus è nella tavola alimentaria de’ Liguri Bebbiani (IN. 1364) e due in quella di Velleja; e tre Appiani sono nell’Italia superiore. L’ Acciano dell'Umbria (Nocera) ri- sponde più probabilmente al tipo Accianum (Accius) che nel Napoletano sarebbe stato più verisimilmente Azzano, com’è appunto ‘in varie parti dell’Italia media e supe- riore. V. p. 87, 4. Acigliano (Princ. cit.), Acilianum, Acilius (IN.). Un fundus Acilianus è nella tavola al. di Velleja. Cf. Di ale. forme ece. p. 16 s. Asiago. Agnana (Calabria ult. 1°), Anniana Agnano, lago d’(Pozzuoli), Annianum recchi di questi nomi locali in Italia; e frequentissimo il gentilizio Annius, attestato un centinaio di volte dalle sole iscrizioni napolitane. La forma femminile si potè origi- Anmius (IN.). Pa- nariamente collegare con #des, casa, domus, villa, figulina, turris ecc., od anche essere neutro plurale accoppiato con predia (Cf. p. 81). Il lago d’Agnano fu probabilmente così detto dall’esser sorto in luogo denominato da un fondo Anniano. E d’un fundus Annianus appunto fa men- zione la tav. al. de’ Liguri Bebbiani; ed è noto essere stata illustre fra l’altre la gente Annia di Pozzuoli, e come lo splendido teatro d’Ercolano fosse dovuto alla munifi- cenza di L. Annio Mammiano Rufo (IN. 2419, 2420, 2421). Il nome di /acus Anienus e l’altro d’Anguianus da anguis, messi innanzi da alcuni eruditi, non han fondamento; nè più probabile io credo l’Anclanum od Anglanum, prodotto, fra gli altri, dal Mazzocchi (Diss. de cathedralis eccl. neap. vicibus, p. 214) sopra un luogo di Gregorio Magno (IV, dial. 40), quantunque la fonologia non abbia nulla da opporvi (Agnano = Anclanum od Anglanum, come p. e. nap. cravugno = carbunclum, granogna= ranuncla, ogna = ungla). Ailano (Terra di Lavoro) e Aliamo (Basilicata), Allia- num, Allius (IN.). Frequente in antico questo gentilizio, come parecchi oggidì questi nomi locali (Agliano) in Ita- lia. Cf. p. 13, c. e Di ale. forme di nl. ecc. p. 12 s. Agliè. Albano, scritto anche Alvano, Arvano (Basilicata), Albianum, Albius (IN... Un fundus Albianus nella tav. al. de’ Liguri Bebbiani e quattro in quella di Velleja; e una decina di nomi locali Albiano nell'Italia media è supe- riore. E così Vico Alvano od Arvano = Vicus Albianus, presso Sorrento. Cf. p. 84, 1; 90, 10. (aagiagl Alessano (Terra d'Otranto), VAGONE, OE (I), od Alitiamum, Alitius (IN.) Gf. p. 89, f. ‘di oasi Alefana (Terra di Lavoro), Alifiana, cagli i - Ver, On. Lat. s.v.). Cf. p. 84, 1. Alfano (Principato citeriore), Alfianum, vu cm x de p: 84, 1 e l’Alfiano dell’Italia superiore. Alvignano (Terra di Lavoro), Albinianum, Albinius av } Cf. Albignano del Milanese e p. 90, 10. SEO Alzano (Abr. ‘ult. 1° e 2°, Alsianum, Alsius (IN.). Ancarano (Abr. ult. 1°, Ancharianum, Ancharius (IN.). Sette altri luoghi di nome equivalente (Ancarano, Anga- rano, Ancajano) sono nell'Italia media e superiore; è due fundi Anchariani ha'la tav. al. di Velleja, all'uno de” quali forse risponde anche topograficamente l’Ancarano del Pia: centino. I due luoghi chiamati Anchiano, l’uno del Fioren- tino e l’altro del Lucchese, potrebbero presentare un nome contratto da Ancaiano (cf. p. 88, b) che sarebbe la forma più regolare della Toscana, così mantenutasi nel Sanese. Antessano (Prince. cit.), Antistianum, Antistius od An- testius (IN.). Cf. fundus Antistianus della tav. di Velleja, l’Antistiana ‘dell’It. Ant., 398, © VAntisciana della ‘Garfagnana. Forse cotesto Antessano ebbe nome “da quella stessa fa- miglia; donde il L. Antistius Vetus, che divenne padrone. della ‘villa di Cicerone a Pozzuoli. Cf. p. 87, Wont Antignano (Napoli), Anthemianum, Anthemius (Gf. DE Vrr, Onom. Lat. s. v.). Etimologicamente identici ann Antignatica e Intimiano dell'Italia superiore. | (c Antrosano (Abr. ult. 2°) DANA, Antracius (IN. NA dn con singolar mutazione da ino. eten dieta. Anzano | (Capitanata), Antianum , Antius, (IN.). Due. Ans, zami nell'Italia superiore. wgtinà b; I, Appignano (Abr. ult. 1°), siena dppinio (LL r NI, 2817). Altri due nella media Italia... | ae Aprano (Terra di Lavoro), \Apriamunasi doris (a) CispaBiariiuà ros Aprigliane (Cal. dagli inci 3 Apriio lA dol III, 728). Aquilano (Abr. ult. 19) pe Menna (IN. Da uno stesso tipo. procedono. i. nomi locali Agugliano (An- cona), Agugliana (Vicenza), Gugliana (Abr: ult. 4° e.Lucca) (Cf. it. e nap. aguglia, guglia = aquilia per aquila; e-agu- glino), come pure. il comasco Ghiano = Ghijano ;. Aquiliano (Cf. p. 84, 1). Vedi inoltre fundus Aquilianus della. tav. al. de’ Liguri Bebbiani. EH MISE infina sr Ariano (Princ. cit. e ult.) da Arrianumi, Arrius (IN.) od anche da Herianum , Herius.(IN.). Un fundus Arrianus-è nella tav: al. di Velleja e sette.altri luoghi ‘omonimi nell'Italia media e superiore. CÉ. Di ale. forme ecc, p..13,.s. Airago. Arigliano (Terra d'Otranto), Arellianum, Arellius: (IN); o Aurelianum, Aurelius (IN). Un. fundus Arellianus è mene tovato dalla tavola de’ Liguri Bebbiani ; come anche. un fundus. Aurelianus,, che poi s'incontra cinque volte nella. Vellejate. Quanto ai nomi locali tterivati da. Aurelius; cf. Di alc. forme ecc. p.48,s.0riago; e circa l'a awcef. perres. agosto = augustus, e il nap. arecchia = auricla, auricula. > Arnesano, (Terra , Pa; Hirnicianum,, fenici (IN.). Cf. p...889., 4,89; fa ilogeX.)} amaunidni- Arzano (Napoli), Arcianum, chis (GRUT: AI) pe Ar tianum, Artius (Murat: 676,, 15); se già non fosse un:equi+ valente d’Alzano (v.. p.. 92), colla ness enni in r, anche propria del napolitano, ...... i 9 Aterrano (Princ. cit.), Aterianum, Aterius (scritto anche Atherius, Haierius, IN.). Cf. p. 33. Atigliana (Sorrento), Atiliana, Atilius (IN.). Un Atti- gliano nell’Umpria. Cf. Di alcune forme ecc. p. 12, s. Ade- gliacco. Avezzano (Abr. ult. 2° e Terra di Lavoro), SOMEIIROA, Avittius (IN.). Avigliano (Basilicata), Avilianum, Avilius (IN.) o Avil- lianum, Avillius. (IN.). Un fundus. Avillianus nella tav. al. de’ Bebbiani, e un altro in quella di Velleja; un altro Avigliano nell’Umbria e un’Avigliana presso Torino. Of. Vi- gliano, p. 55; e Di ale. forme ecc., p. 16, s, Aveacco. Bajano (Terra di Lavoro), Badianum, Badius (IN.). D'un fundo Badiano fa memoria Viscrizione del frammento di un’anfora trovato a Pompei nel 1867 (ZanGEMEISTER, Inscer. par. Pompeiane, 2551). C£. p.84, 2. Banzano (Princ.cit., Bantianum, Bantius. Di un Lucio Bantio, nobilissimo cavaliere di Nola, parla. T. Livio (XXIII, 15). Barano (Napoli), Barianum, Barius (IN.) 0, forse anco più verisimilmente secondo p. 90, h, Varianum, Varius (IN). Cf. Vairano. Barbarano (Terra d’Otranto), Barbarianum, Barbarius (IN.). Altri tre luoghi omonimi in altre parti d’Italia; e anche due Barbaraschi, verisimilmente d’una stessa origine (Cf. Di ale. forme ecc. p. 65). Cf. inoltre i due Barbariana dell’It. Ant., 406, 450. Barbazzano (Princ. cit.), Barbatianum, Barbatius (IN.). Probabilmente d’una stessa origine il mant. Barbassò = Barbatiatum (Of. Di alc. forme ecc., 76). Barisciano (Abr. ult. 2°), Varisianum, Varisius o it dn ee è dal “Bini (3 Se e irta sith pui sidianum, Varisidius (Prin. Ep. IV, 4). Varisius sarebbe reso verisimile dal Barisano forlivese e dallo stesso Varisidius. Cf. p.90, A. Basciano (Abr. ult. 1°), Bassianum, Bassius (IN.). Un fundus Bassianus è nella tav. al. de’ Bebbiani; e una quin- dicina di luoghi di questo nome sotto la varia forma di Basciano, Bassano. Il Bassiano del Milanese (e forse anco quello di Velletri) è più probabilmente da Bassilianum, Bassilius (Cf. fundus Bassilianus della tav. vell.). Bazzano (Abr. ult. 2°), Battianum, Battius (IN). Altri otto luoghi di questo nome nell'Italia media e superiore. Bisignano ((Calabr. cit.), Visinianum, Visinius (Murat. 1608, 1; Gori, Inscr. ant., I, 53, 363; cf. Veisinnius, C. I L., I, 1366). I quattro. Visignani, di cui due toscani e due, con un Vesignano, dell’ Italia superiore, rendono, parmi, assai più verisimile cotesta origine di Bisignano che non quella da Besidie, antica città degli Abruzzi, donde suolsi deri- vare Bisignano = Besidianum. Cf. p.90, h. Bocciano o Bucciano (Benevento), Bocianum, Bocius (IN.) o Bucianum, Bucius (IN.) o Buccianum, Buccius (IN.). Probabilmente d’una stessa origine il Bozzano del Luc- chese ve il Bozzana del Piacentino. Bojano (Molise), Bovianum, Bovius (IN.). L’antichità di Bojano (Bovianum) dee naturalmente far dubitare del- l'analogia d’origine che qui si darebbe al suo nome coi tanti comparativamente recenti, connessi con nomi fon- diarii. Credo tuttavia che la sua appellazione da Bovius sia molto più verisimile che non dal bue di cui si favo- leggia (Cf. Hiiswxer, Ephem. Epigr. II, p. 34). Nomi locali che non dubito menomamente far rispondere a Bovianum da Bovius sono il Buggiano Lucchese e il Bobbiano del Pia- centino; e d'una stessa origine è probabilmente il Bob- mi ar FA: di = fn dati dt e latgg Gol SII I "a Apr IPO + LA biate di Como (Cf. Di ale. forme ecc., p. 78). Il gent. Bo-. vius trovasi riflesso senza derivazione in Bobbio (dial, Bobi), nome locale dell’Italia superiore. Cf. Di ale: forme ece., p. 96. Bolognano (Abr.cit.), Volumnianum, Volumnius (IN.). Of. Saltus Volumnianus della tav. di Velleja e il Volognano della Toscana. ll gentilizio senza derivazione è riflesso dal Vologno d'Emilia. Cf. p. 90, he Di ale. forme ecc., p. 96. Borrano (Abr. cit.), Burrianum, Burrius (IN.). Bracigliano (Prince. cit.), da Braccilianum, * Braccilius, reso non inverisimile da Braccius (IN.), ma più. probabil- mente da Procilianum Procilius (IN.). L’a = 0 sarebbe fe- nomeno non punto insolito al nap. (Cf. p..88,9,a) e la. mutazione di p, anche iniziale, in è non estranea nè al nap. nè all'it., onde p. e. nap. Bicentino = Picentinum (nome di fiumicello, da Picentia), allebrecà = replicare , sbrannore = splendore, tosc. brivilegio = privilegio, rom. $.. Brancazio = S. Pancrazio, ecc. Briano (Terra di Lavoro), Amaredianum, Amaredius (IN.): ardita congeitura, lo concedo; ma al tutto accet- tabile dalla glottologia. * Amarejano, * Amrejano, * Ambrejano, * Ambriano, * Mbriano, Briano. Tutte queste forme vanno,. si può dire, pe loro piedi (Cf. p. 84,2;88,.9, 6). La sin-. cope d’Amarejano in Amrejano è assai naturale anche pel napolitano (Cf. p. e. sbriogna = verecundia; pricolo, precolare = pericolo, pericolare). Dato * Amrejano, ne vien quasi di necessità * Ambrejano (Cf. gr. peonuBpia =* peonppia, * pe- onpepia, duBporos, = * duporos, it. membrare = memrare, me- morare; ecc., ScaLeioHer, Comp., $ 48. Dinz. R. Gr, B, 216). La vocale iniziale, seguìta da gruppo consonantico comin- ciante per nasale, nel napolitano, per legge si può dir ge-. nerale, si dilegua; quindi come p. e. mbrello da ombrello, DI “i 97 LO umbrello, Mbruoso da* Ambrosio, così Mbriano da* Ambriamo. Ora quantunque il nap. coniporli questo gruppo iniziale a di mbr, pure da Mbriano, ammettendo un fenomeno occorso di RI nel greco (p. e. Bporss da * wBporos, * uporos, cf. SCHLEICHER, n I. c.) e anche in qualche altro volgare italiano (p. e: ro- si magn. brenda = *mbrenda, *mrenda, merenda) avrebbe fatto fo Briano, di quella stessa guisa appunto che per la forma” si più comune di mbriana, maga, figura, usa anche briana, "I come nella vecchia catubba che dice: A ddo va, a ddo va ni — Sta fatella, sta briana (Cf. D’AmprA, Voc 's. mbriana)? Ri E poichè mi vien citato mbriana, non posso non aggiu- SE gnere come io tenga per assai probabile che questo vo- È cabolo, circa la cui etimologia già fantasticarono il Maz- 3; zarella Farao, il Galliani e altri, non sia se non un’alte- e fe ca razione di meridiana, operatasi con processo analogo a È quello che per Briano: fata meridiana, merijana, mrijana , | mbrijana, mbriana, briana (Cf. il demone meridiano dei Se- miti), in origine connessa per avventura coi fenomeni ot- tici (e chi sa se non anche col nome?) della fata Morgana dei Calabresi e de’ Siciliani. Ma qui m’avvedo d’entrare in quistione troppo lontana dall’argomento; sicchè finirò contentandomi di ripetere come probabilmente Briano venga da Amaredianum, di quella stessa guisa che briana sarebbesi svolto da meridiana (1). (1) Mi permetterò ancora di aggiungere in nota come Imbriani, nome di famiglia napolitana, venga ad avvalorare la. mia conget- tura circa l’origine di Briano. Quel nome non può non essere uno di que’ tanti, che, originariamente nomi di luoghi, lo diventa- rono poi anche di famiglie (cf. p.e. Ascoli, Brioschi, Cantù, Plechia, Giussani, Lignana, Marazzi, Teza, ecc.). Ora.io non dubito di ve- dere in Imbriani uno Mbriano che cavato dal nostro nome locale, quando questo conservava ancora la m, assunse nell’uso stradia- So lettico forma meglio rispondente a tipo italiano, mediante la pre- 250% 7 > de Brignano (Salerno), Brinnianum ,. Brinnius (IN.). Lia altri luoghi di questo nome sono. nell’Italia superiore... Brusciano (Terra di Lavoro) Prosianum, Prosius (IN. ), con db =p come in Bracigliano. 80% Bruzzano (Cal. ult. 1°), Bruttianum, Bruttius {IN)): % Bucciano Gears di Lavoro). V. Bocciano. . Cacciano (Prince. ult.) Cattianum, Cattius (IN.)_ o Catia- num, Catius (IN.). Cf. i tre Cazzani dell’Italia superiore , e Di alc. forme ecc., p. 29 s. Cazzago. Caggiano (Princ. cit.), Cavianum, Cavius (IN). D'ana stessa origine Cabbiano d’Ascoli e di Milano. Cf. p. 87, 3. Cagnano (Abr. ult. 2° e Capitanata), Canianum, Caniîus (IN.). Altri sette luoghi omonimi nelle varie. parti d’Italia; e un saltus Canianus nella tav. al. di Velleja. Cairano (Privc. ult.) e Carano. (Terra di Lanna Carianum, Carius (IN.). D'una stessa origine probabilmente .i due Cajani di Toscana. Cf. p. 83. Caivano (Napoli), Calvianum, Calvius (IN.). Of. p. 89, e. Cajano (Abr. ult. 1°), Cajanum, Cajus (IN), o Cavianum, Cavius (IN.), o Cadianum, Cadius (IN.). G£. p. 83:84, 2. Calciano (Basilicata), da Calpianum, Calpius (IN, tanto almeno verisimilmente, quanto da Calcianum, Cal- cius, Caltianum, Caltius, Calcidianum, Calcidius va ). OE, p: 87, 4:84, 2; 88,9, d. Caliano (Prince. cit.), da* Calijano, Calata Calidius o Caledius (IN). La tavola al. de’ Bebbiani ha un, campus Caledianus e una dozzina di fundi Calidiani quella di Vel- fissione d’un’;, onde Imbriano, Imbriani. La pvostalal fittizia delli i iniziale d’/mbriani è anche fatta chiara, mi sembra, tra l'altre cose, dal suo essere qui al tutto contraria al gunip L0nese del dialetto napolitano, .. ss Aigdia ada 1 sons Rua di leja. Probabilmente d’una stessa origine le due Caligiane dell'Umbria. Cf. p. 84, 2} 88, 9, bd. Calvizzano (Napoli), Calvicianum, Calvicius (Murar. 2041). Camigliano (Terra di Lavoro), Camillianum, Camillius (IN.). Al tatto omonimi due luoghi di Toscana; e d’una stessa origine il Camigliasca piemontese e il Camiano {= * Camijano) novarese. Una villa Camilliana è mentovata da Plinio il giovine, come posseduta dal suo prosocero Camillio Fabato nella Campania (Ep. VI, 30). Campagnano (Terra di Lavoro), Campanianum, Cam- panius (IN.). Altri due luoghi omonimi in quel di Roma e in quel di Como. Il Campagnatico grossetano potrebbe anch’essere dal gent. Campanius (cf. p. e. nl. Antignatica da Anthemius, Valenzatico da Valentius); ma pure assai .ve- risimilmente da campagna (cf. nl. Casatico da casa, Cesena- tico da Cesena ecc. e Di ale. forme ecc., p. 60). Canzano (Abr. ult. 1° e 2°), Cantianum, Cantius (T. Liv, X, 46). Capezzano (Princ. cit.), Capitianum, Capitius (C. LI. L. Ill). D'una stessa origine ) oltrechè il Capezzano Luc- chese e due Capezzana fiorentini, anche ì due Cavizzani (trentino e genovese), e due Cavezzane (Massa e Carrara) e uno Scapezzano (Ancona), colla sibilante prostetica. Capitignano (Abr. ult. 2°, Princ. cit. e Roma) Capiti- nianum, Capitinius, verisimilmente da Capitinus che s’in- contra come cognome (Cf. De Vir, On. lat. s. v.) (1). (1) Il De Vit nel 1. c. dice che il cognome Capitinus viene da caput, quasi parvum caput habens. I Latini usavano bensì il suffisso on per formar cognomi con senso di avente grossa una data parte del corpo, come p.e.in Capito, Naso, Fronto, Labeo, ecc.; ma non il suff. ino per significato contrario, perocchè questo suffisso non “ Cra de ci LEI ir £ st 3 EL 100 UO Carano. V. Cairano. © “PENRETÀ i Carmiano (Terra d'Otranto), Carmeianum , Carmeius (IN.). Il Carmiano piacentino forse più probabilmente da Carmilianum o Carmellianum, Carmilius, Carmellius. Carpanzano 0 Carpenzano (Calabria cit.). Occorre qui, come pel lombardo Carpenzago (cî. Di ale. forme ecc. p. 24), la doppia ipotesi di Carpentianum da * Carpentius o Carpinatianum, sincopato in Carpintianum, da Carpinatius (MuraT.). Carpignano (Terra d'Otranto), Carpennianum, Carpen- nius (Murat. 1247, 10). CF. Carpignago (Di ale. forme ecc. p. 24), al qual proposito noterò ancora come un fundus Calpurnianus, di cui potrebbe essere un riflesso COTRIZnIO, si trovi nella tav. al. de’ Bebbiani. Casarano (Terra d’ Otranto) e Casariane (Napoli), Casarianum, * Casarius o Casearianum, * Casearius. Quanto alla verisimiglianza di questa sorta di nomi di persone, ef. Di alc. forme ecc. p. 41. Qui aggiugnerò soltanto come nell’ambito de’ nomi locali del Napolitano venga quasi a trovarsi Ceprano (1), Caeparianum, Caeparius, nome, fra gli altri, di un complice della congiura di Catilina (Sat. Cat. 46), il quale, come Terracinense, avvalora SEE importasse punto presso i Latini la nozione della diminutività, ma sì quello di relazione, appartenenza, origine, Il cognome Capitinus pertanto si connette molto più verisimilmente coll’etnico Capilinus da Capitium (oggi Capizzi, città della Sicilia), come p.e. con La- tinus da Latium si collega il cognome Latinus, verso del quale il gentilizio Latinius sta come verso Capitinus starebbe il gentilizio Capitinius, donde Capitinianum, Capilignano. DIRPOLE (1) Ceprano, sincopato dal medievale Ceparano, che nei testi della Divina Commedia ci si presenta per lo più colla forma fiorenti- nesca di Ceperano: « A Ceperan, là dove fu bugiardo — Ciascun n° gliese (Inf. xxwni, 16) ». dA I di Ceprano dal gentilizio Caeparius che in origine non potè sonare altro che mercante di cipolle. | Cascano (Terra di Lavoro) foneticamente accenne- rebbe piuttosto a Cascanum dal cognome Cascus che non a Cascianum dal gent. Cascius. Casciano (Benevento) e Cassano (Terra di Bari, Princip. ult., Calabria cit.) Cassiamum, Cassius (IN.). Un fundus aan nella tav. al. de’ Bebbiani, al quale po- trebbe rispondere anche topograficamente il Cassano di Princ. ult; e tre fundi Cassiani in quella di Velleja. È assai frequente questo nome locale di Cassano, registran- dosene ben diciasette, oltre i napolitani; e altri quattro sotto la forma di Casciano e tre di Cassiano. Casignana (Princ. cit., e Casignano (Terra di La- voro), Casiniana, Casiniamum, Casinius /IN.). Un fundus Ca- sinianus nell’'iscrizione di Volceii (IN. 216). | Castrignano (Terra d'Utr.), Castrinianum, Castrinius, (Cic. Ep. ad fam. VIII, 2). Cf. Di alc. forme ecc. p. 27, dove io, ritirando Casternago ad un prototipo Castriniacum, met- tevo innanzi solo come ipotetico il gentilizio Castrinius , non avendo a mente il L. Castrinius Paetus del citato luogo di Cicerone. Da Castrignano * Castrignanino, passato ‘poi per dissimilazione /r-n = n-n/) in Castrignarino (Terra d’Otranto). » . Catignano (Abruzzo ubt. 1°), Catinianum, Catinius (IN). =; Of. Di ale. forme ecc. p. 27, s. Catenago. Caturano (Terra di Lavoro), Caturianum, Caturius. Per le testimonianze di questo gentilizio Hedasi Di ale. forme ecc. p. 22, s. Cadorago. pr | Cerfignano (Terra d’ Otranto), Cer vinianum, Cervinius , reso verisimile da. Cervius e Cervonius e «di. cui sarà: pro- babilmente una varietà di forma il Cervenius delle lapidi 102 patavine (FurLanETTO, p. 361). Avrebbe quindi una stessa origine con Cervignano e Cervignasco dell’Italia superiore, mentre il Cervognano Sanese s’ appunta in Cervonianum, Cervonius. Quanto a v= f che. presenterebbe Cerfignano, cf. nap. enfrece = invicem, ottrufo, attrufo, attufro (= ottovro, octobre-), fortecillo (vorticillus, verticillus), gen. lerfu da lervu, levru (cf. fr. levre), labrum. Cermignano (Abruzzo ult. 1°), probabilmente per Germignano = Germinianum, Germinius. Cf. di alc. forme ecc. p. 36, s. Germignaga. Cesarano (Princ. cit. e Terra di Lavoro), Caesarianum, Caesarius. Circa questo nome di persona cf. De Vir, Onom. lat. s. v. L'It. Ant. pone un Caesariana verisimilmente in Principato cit., e Casas Caesarianas in Toscana. Un Cesa- rana ha l'Emilia; e un Ciserano il Bergamasco. Chiajano (Napoli), Cladianum (per Claudianum), Claw. dius (IN.J. Quanto ad a = av cf. ScHuazaRDT., Voc. d. Vulgl. II, 307; e v. fundus Clodianus (IN. 216, 1354/, alla qual forma potrebbe anche appuntarsi Chiajano, stante la p. 88, 9, a. Mantennesi il dittongo nel Claujan del Friuli. Chiovano (Abruzzo ult. 1°), Cluviamum, Cluvius (IN). D’una stessa origine. il Chioano dell’ Umbria; se già non fosse men verisimilmente da Clodianum, Clodius: Cf. Chia- jano e p. 84, 1. Chiusano (Princ. ult.), Clusianum, Clusius (cf. Ov. Fast. I, 130: e cogn. Clusinus). Due luoghi omonimi. nell’ Italia superiore. sat Cicciano (Terra di Lavoro). Questo nome può, se- condo la p. 87, 4, riflettere più tipi: Cipianum , Cipius (IN.), Cepianum, Cxepius, (IN), Ceppianum, Ceppius (IN.); Cacianum, Cecius (IN); ed anche Seppianum, Seppius (IN.), Sittianum , Sittius (IN... Quanto a e =s de’ due ultimi atei e 103 tipi, cioè Cicciano per Sicciano, s' avrebbe qui un feno- meno d’assimilazione regressiva assai frequente, come verbigrazia, per citar solo esempi di quest’affezione ca- dente: sulla s' iniziale: ant. tosc. Cicilia = Sicilia, tar. ceccia'= sepîà ; n'ap. scioscià per soscià = sufMare, zoza per soza (= sauza, salza; salsa), zuzzo per suzzo , it. sozzo = sud’cio, sudicio (1) e ne’ dialetti dell’Italia: superiore l’equi- valente etimologico e morfologico dell’it. succhiare = lat. suc’lare succulare (cf. Diez; Et: 0. IL, 73), vale a dire ciue- ciar, ciliccià, ciccià, ciliciè, ecc. per sueciar ecc. . Ciano (Calabria) potrebb' essere (secondo p. 88,9, b) =*'Cijano da Caedianum , Caedius (IN.) o da Ceianum, Ceius (IN.) od anche, ma con minor verisimiglianza; una forma aferetica d’Acciano od Occiano (V. questi nomi). Cirigliano (Basilicata), Cerellianum, Carellius (IN.). Un fundus Cerellianus è nella tav.-al. de’ Bebbiani e un altro in quella di Velleja. Gf.inoltre Di alcune forme ecc. p. 30.8. Cini. Colliano (Principato cit.) Colianum, Colius IN.) 0 Coi- liamum, Coilius (IN): Comignano (Abruzzo ult.), Comimignum, Cominius (IN ). Cf. Di alcune forme ecc. p. 531; s. Convignago. Corigliano (Calabria cit., Terra di Lavoro, Terra d’0- tranto), Corelianum, Corelius (IN). | Corsano (Terra d'Otranto), Curtianum, Curtius AIN). Cf. p. ‘89; fr 6 Corzano (Firenze e Brescia). «Un fundus Cur- tianus è nella tav. al. de’ Bebbiani. Corvignano sai Corvinianum, Corvinni (C.L.L. 11). of “Corbigniano fior. Sig, STOLIOMEL, pa 53, ‘d hd aa ‘occasione , di, chiarire ‘come .s0zz0 nasca da * sud’c cio, sudicio, forma metatetica di. sucido, e non, come credono A il Diez (El. W.; I, 404) e altri, da * suoî' us; sincopato da sucidus. do; SA o ta < % "4 VE È ol’ (388 L % I — PRATO TE O » = nd re LA PAIS al Tie cn * giada tt: DE sr Prna t be I in È | Cozzano (Terra di Bari) e Cueciano (Princ. ult.), Cu- E : tianum, Cutius (IN) o Cottianum, Cottius IN.). V. p. 87, 4e 5. i È: Crispano (Napoli), Crispianum, Crispius (IN J: Cf-p.84;1. do. Cusano (Terra di Lavoro) e Cuseiàno (Abruzzo ult); E: Cusianum, Cusius (IN.J. La prima forma più volte nell’Italia ; superiore. Vi catibtolafi i Diano (Princ. cit... È notoriamente fatto-rispondere a Tegianum , città della Lucania, dinanzi a cui Diano pre- n senta una singolarità fonetica nel d= t; perocchè da Te- gianum sarebbe stato qui da aspettarsi Tiano anzichè #89 Diano; la qual forma verrebbe piuttosto a. riflettere rego- $ larmente un Didianum da Didius /IN.). Of. p.-84, 288,9; db. si Soggiugnerò ancora come Tegianum sia nome non attestato, SE ma presupposto dall’etnico Tegianensis delle iscrizioni (IN. È 296, 297, 2569). Cf. Tiano = Teanum. Pressochè. superfluo Hi è il notare che Diano, e Diana, frequenti nell'Italia su> periore, non hanno alcuna connessione etimologica col Diano napolitano. Faggiano (Benevento, Terra d'Otranto), Fabianum , Fabius (INj. Cf. Di alcune forme ecc., p. 68, s.Fabiasco. Ag- i giungerò come ad un fundus Fabianus parrebbe accennarsi, secondo che congettura lo Schoene, dal Fabian. dall’iseri- zione d'un’anfora di Pompei, trovata nel 1866(Zane. op. cit. 2556). .} aan giiti Fagnano (Abr. ult., Cal. cit., Principato), Fannianum, Fannius (INJ. Più luoghi omonimi nell’ Italia superiore. Faibano o Faivano (Terra di Lavoro), Fabianum, Fa- bius (IN.). Cf. Faggiano e p. 89, e.. noto id soitas Fajano (Abr. ult. 1°, Princ. cit.), Fadianum, Fadius (INJ. V. p. 84, 2. Il Fazzano di Reggio, quando avesse lo .z.s0» I 105 noro, potrebbe riflettere lo. stesso. tipo. Nella tav. al. di Velleia è registrato ‘un hortus. Fadianus. Fajanum è già forma propria di documenti del secolo X (V. Cod. dipl. Cavensis, p. 246). Falciano (Terra di Lavoro) da Falcijano = Falcidianum, Falcidius (INJ. V. p. 84, 2; 88,9, db. Faognano (Abr. ult. 1°), Favonianum, Favonius (IN). Il dileguo di v già nel Faonius dell’ IN. 2471 (cf. ScHucHARDT, Voc. d. Vulglat. II, 477). Quanto ad altri nomi locali aventi la stessa divani cf. Di alcune forme ecc. p. 32, s. Faugnacco. © | Favigliano (Cal. ult. 12), Fabilianum, * Fabilius. Questo gentilizio, oltrechè da Fabius, è fatto anche verisimile dal Faviano parmense, nel qual dialetto questo nome ri- fletterebbe pur regolarmente un tipo Fabilianum. Ferruzzano (Cal. ult. 1%), Ferociamum, * Ferocius 0 Ferox. Feror nome proprio è in Plinio (Ep. VIII, 13), e più volte come cognome nelle IN., e un fundus Ferocianus in quella di Volceii. Cf. inoltre Di ale. forme ecc. p. 68, s. Frossasco. Forse d’una stessa origine il Ferrazzano di Molise. Fragagnano (l'erra d’Otranto), Freganianum, Freganius (IN. e HiùBxER, Ephem. epigr. JI, 8% Cf. p. 88, 9, a. RR care (Abr. wlt.1°.e 2°), Flaminianum, Flami- nius (IN.). Fisciano. (Prine. ult.), Fisianaum, Fisius AIN.) | Filignano (Molise), Felinianum, * Felinius o Felînus (IN. ‘Fojano (Benevento), Mavianum, Flavius (IN. L'odierna forma. di questo nome ne lascierebbe incerti circa la sua più verisimile origine se non se ne conservasse una più antica di Figjano, tra gli altri luoghi, nella vita di Cola di Rienzo, la-quale verrebbe. a. riflettere. assai regolar- mente il.tipo Flavianum. Il Fojano dell’Aretino ha origine diversa, procedendo, secondo leggi essenzialmente proprie del toscano, da Furianum (Furius), che nel Napolitano avrebbe, secondo la maggior verisimiglianza, dato Forano od anche Foirano. Un fundus Flavianus' è così nella tav. al. de’ Bebbiani, come in quella di Velleja. Cf. inoltre friul. Flaipan e Fluiban (V. Ascori, Arch. gli it.T, 510), e per altri nomi omogenei, Di alc. forme ecc. p. 33; 5. Piave. Fontignano (Abr. ult. 2°), Fontinianum, Fontinius, Murat. 703, 6). Altro luogo omonimo nell’Umbria. Fustagnano (Abr. ult. 1°) forse da Faustinianum, Fau- stinius o Faustinus. Cf. p. 889, a; è Savignano, p. 123. Gabbiano (Abr. ult. 1°, in numero di tre) e Gajano (Princip. cit.), Gavianum, Gavius (IN.). Credo che: la prima di queste due forme, la quale nell'Italia media e supe- riore, dove è più presto frequente, accennerebbe risolu- tamente a Gavianum, possa ammettersi almeno come non inverisimile anco per gli Abruzzi (Cf. giobbia= jovia [dies ] che il Vocabolario del D'Ambra registra come napolitano così nella parte nap. — it., come pur, sotto giovedì, nella parte it. — nap.); che altrimenti io non saprei raddurre l’abruzzese Gabbiano ad altro tipo originario che a Gavi- dianum, Gavidius (IN.) o Gavivianum, Gavivius (IN., donde per via di Gavijano (cf. p. 84, 2), mediante la contrazione no- tata p. 88, 9, db, e con rinforzamento di vin d , sarebbe po- tuto venir Gabbiano. Cf. Di ale. forme ecc., p. 35, 8. Gaggiago. Gagliano (Terra d'Otranto, Abr. ult. 2°, Cal. alt. 2) Gallianum, Gallius (Sver., Oct., 27 e C.I.L.TII) Un fundus Gallianus così nella tav. al. de’ Bebbiani come in quella. di Velleja. Cf. Di ale. forme ecc., p. 84, s. Gallie” - Gajano. V. Gabbiano. Gallisciano 0 Galliciano (Calabr. ult.), tan Gallecius (IN.) o Gallicianum, Gallicius (IN.). Cf. fundus Gal- licianus (IN. 212). Galugnano (Terra d’Otranto), Galonianum, Galonius. (INI). . Garisciano (Abr. ult. 1°), Carisianum, Carisius (IN.). Cf. Scarisciano, pi 123. ’ Gazzano (Abr. ult. 1°). Catianum, Catius o Cattianum, Cattius (IN.). Cf. Cacciano, p. 98. . Genzano (Basilicata e Abr. ult. 2°), Gentianum, Gentius (IN.). Un Genzano anche in quel di Roma. Gimigliano (Calabria ult. 2°), Gemellianum, Gemellius (C.I.L.IH, 5070). Forse d'una stessa origine il piem. Giu- miengo = Gemelliengo. Quanto ad v per e cf. it. giumella. Giugliano o Giuliano (Napoli, Abr. cit., Terra d’0- tranto), Julianum, Julius (IN.). Ad una stessa origine ac- cennano il friul. Zuliano (Zujan) e il vic. Zuggiano ; e forse anco il Giuggianello di Terra d'Otranto, per assimilazione progressiva da Giulianello; che altrimente parrebbe appun- tarsi in Jovianum, Jovius (cf. Di ale. forme ecc., p. 64, $; Giubiasco). Uf. Lugnano, Giungano (Princ. cit.), Junianum , Junius (IN.). Quanto ang= ni (nj) cf. Volgana, p. 132. Ù Gragnano (\apoli), Granianum, Granius (IN.). Parecchi luoghi omonimi nell'Italia. media e superiore; e fundi Graniani nella tav. al. di Velleja. - @rasciano (Abr. ult. 1°) e Grassano (Basilicata), Crassianum, Crassius (IN... Due altri, Grassani, uno, nelle Marche e l’altro nell'Emilia; e d’una stessa origine il Grassaga veneto (cf. Di ale. forme ecc... p. 37). Gricignano (Terra di Lavoro), Grecinianum, Gracinius (IN.). Due luoghi omonimi in Toscana... PRI Guarazzano (Princ. cit. he Quadratianum , Quadratius. Cf. Quarazzana nl. e i cognomi Quadratus (IN.), Quadratilla (IN.), Quadratinus. Potrebbe anche essere da Veratius (IN), mediante gua=wva' (cf. p. e, guaina = vagina) ed a= e se- condo p. 88, 9, a. 0) ALI Guazzano (Abr. ult. 1°) forse da Vettianum,. Vettius (IN.), in analogia di Guarazzano da Veratius. Gugliano. V. Aquilano. Laurenzana (Basilicata), Laurentiana , Laurentius, che le IN. dànno solo come cognome. ..D'una. stessa. origine i Lorenzano, Lorenzana, Lorenzaga, Lorenzago, Loranzè. Cf. Di ale. forme ecc., p. 42. Lappano (Calabria cit.) , Lappianum, Lappius. (IN). Cf;vp.:84p;1 Lajano (Benevento), Laianum, Laius (IN.). i Laurignano (Calabria cit), Laurinianum, Laurinius. Forse d’una stessa. origine il Lorgnano dell'Umbria. i Leognano (Abr. ult..1°), Leonianum, Leonius (Murat.). Cf. Di alc.-forme. ecc.,.p. 42, s. Leonacco. «Leporano, (Terra d'Otranto e Terra di Lavoro), Lepo- rianum, Leporius, gentilizio non inverisimile; ma potuto anco venire, per dissimilazione, da Leporaro = leporarium, lepraia; parco, come p. e. il pad. Colubrana da Colubrara ‘ ==colubraria. GÎ. Leporaja (Capit. di Firenze, p..252), e Le- gorata (Novara..e. Pavia), Cerbaja, Cervara, Verbicaro (= Ver- vi vg ecc, Ca a Leverano 0 Levrano (Terra d° pera Liberia Liberius (Murat). rii'agzoe e Gansì Licignano (Napoli), Licinianum, Licinius, LEbiidhione stessa origine il Lisignano dell’Italia superiore... Limosano (Molise), Numisianum , Numisius , (IN, )i_V p: 89, g: Probabilmente d’una stessa origine il Limisano i Firenze .e. di. Ravenna; e il Nomesino di Roveredo. |. . | Lisefano (Abr. ult. 2°), Lisianium, Lisius AINJ: Lizzano o Lezzano (Terra d'Otranto), Licianum, Licius (Murar.). — Loriamo (Terra di Lavoro), Loreianum, Loreius (IN.). Of. p. 88, 9, bs 103% Lucignano (Terra d'Otranto, Abr. ult. 1°), Lucinianum, Lucinius, o forse piuttosto da Lucilianum , Lucilius (IN), con gna (nia) = glia (lia), fenomeno non infrequente (cf. p. e. tose. cicigna = cecilia), qui tanto meno inverosimile per l'incentivo della dissimilazione. Sei Lucignani e un Lucigliano in Toscana. Cf. il seguente Lucugnane (Terra d'Otranto), da Lucullianum, Lucul- lius (IN.), per fenomeno analogo al precedente. Cf. ven. Lugugnana, per la cui origine potrebbesi ‘anche pensare al gent. Leuconius, attestato da qualche iscrizione dell’Italia superiore (cf. C. Promis, Torino ant. ind.) Lugnano (Abr. ult. 2°), probabilmente da Julianum, Julius (IN.), con {=} quale în luglio (per assimil. lulio da julio), quindi Lugnano (Luniano) da Lugliano (Luliano) col dissimilativo gna /nia) per glia /liaj, notato in Lucignano e Lucugnano (cf. piem. lugn = * lunius, * lulius ecc.) Da Ju- nianum, Junius, men verisimilmente, in quanto: /=j qui sarebbe fenomeno al tutto insolito. Finalmente, tenuto pur sempre conto di yna = glia (lia); Lugnano potrebb’essere da Lollianum, Lollius /IN).. Cinque omonimi nell’Italia media, probabilmente d’analoga origine , \segià. non s’a- vesse a sospettare un gentilizio * Lunius. Lusciano (Terra di Lavoro), Luscianum , Luscins An O o Lusianum, Lusius (IN). Un fundus Lusianis nella tav. al. de’ Bebbiani; e un Lusana ='Lusiana in' Massa è Carrara. Lazzano (Benevento), Lucianum, Lucius IN). Tre omo- nimi nell'Italia superiore, accennanti'ad’una stessa origine. RO ne Sa "7 110 | Magliano (Terra d'Otranto, Abr. ult. 2°, Prine. cit.). Mallianum, Mallius (IN.). Una stessa ‘origine hanno i Ma- gliani varii delle altre parti della penisola e per l’Italia superiore anche i Majani, più conformi alla pronunzia paesana (Majan), che per alcuni luoghi viene dalla scrit- tura raddotta alla più organica ed italiana forma Ù Sr gliano. Gf. p. 88, 8. Magnano (Terra di Lavoro), Magnianum, Magnius (IN.). Potrebbe anche, secondo p. 88, 7, venire da Mammianum, Mammius (IN.) o Mamianum, Mamius (IN.). Parecchi i luo- ghi omonimi dell’Italia superiore; pei quali sarebbe molto più verisimile la prima origine, mentre ai due ultimi tipi risporderebbero Mammiano (Firenze) e Mamiano (Parma), che quivi potrebbe anche riflettere Mamilianum da Mamilius. Miajano (Napoli), Magianum; Magius (IN.). Cf. p.84, 2. Majorano (Terra di Lavoro), Majorianum, Majorius (IN.). Miarano (Napoli, Abr. ult. 2°, Calabr. cit.), Marianum, Marius (IN.). Allo stesso tipo rispondono i vari Marani, Mairani, Meirani dell’Italia superiore, come pure i Majani di Toscana. Cf. p. 83; 84, 1. Marciano (Napoli, Abr. ult. 1°, Terra di Lavoro), e Marzano (Princ. ult., Terra di Lavoro), Marcianum, Mar- cius (IN.). D’una stessa origine i vari Marciani ‘e Marzani d’altre parti d’Italia; e un fundus Marcianus nella tav. al. de’ Bebbiani. Cf. Di alc. forme ecc., p. 44, s. Marzago. ‘ Marigliano (Terra di Lavoro), Marilianum , * Marilius, gentilizio reso anche verisimile, oltrechè da Marius, dal Marigliana di Garfagnana, come pure dal Mariago e dai Mariani QAell’Italia superiore, i quali, più presto che a fa rius, paiono doversi raddurre a Marilius. MISTI Marignano (Abr. ult. 2°), Marinianum, morti BACH; Inser. Rhen:). Varii altri luoghi omonimi che mas- x ii sime nell'Italia superiore potrebbero anche equivalere a Madrignano = Matrinianum, Matrinius, | Martignano (Terra d'Otranto), Martinianum, Martinius (C.I. L., VII). Altri tre luoghi omonimi, oltre il Martignacco friulano accennante ad una stessa origine (cf, Di ale. forme ecc. p. 44, s. Martignacco). i Martirano (Calabr. ult. 2°), Martyrianum, * Martyrius; se già non fosse d’una medesima origine col seguente Martorano (Princ. cit.),, Marturianum , Marturius (IN., 3495, cognome); Cf. Martura, nome proprio, che s'incontra in un’olla della vigna di S. Cesario presso Roma, (C.I.L., I. 909.). Tre altri luoghi omonimi. nell’Emilia. Mielessano (Terra d’Otranto) e Melizzamo (Benevento), Melitianum,, Melitius (IN. 7190, cognome). Cf. Milisciano aretino; e Mellicciano fiorentino. Mercogliano (Prince. ult.), Mercurianum, Mercurius; forse originariamente connesso con fanum o locus, 0 pagus ecc. (cf. Di alc: forme ecc., p-34, s. Fortunago). D’analoga origine il Marcojano toscano -e il. Mercurago novarese. (cf. o. c., p. 45). Quanto a glia, lia = ria cf:map. avolio = eborio, eboreo; avorio. i Miesiano (Calabria ult. 2°), Mesianum,, Masius,(IN.) Probabilmente.d’'una stessa. origine. i. tre Misani dell’Italia superiore. Cf. Misciano. Miano (Napoli; Abr. ult. 1°);= * Mijano, * Mejano: (cf. p..88,.9, 5) da Mevianum, Mevius (IN.J. 0 Medianum, Medius, il quale ultimo nome sarebbe reso verisimile dal fundus Medianus della tavola. de’Bebbiani (ef. p. 84,2). I nomi Me- diana, Mediano d’Emilia si appuntano più verisimilmente in Metiliamum, Metilius. Cf. Di.ale forme. ecc.; p..10. Miîcigliano (Abr. ult. 2°), Mecilianum, Mecilius (IN.). Miggiano (Terra d’Otranto), può; stante p. 87, 3, avere una medesima origine con Miano, riflettendo con eguale regolarità fonetica così Mevianum come Medianum (cf. Rugge= Rudia, uorgio = hordjus, hordeus). Migliano (Calabria ult. 2*, Terra di Lavoro), Melianum, Mzlius (IN.) 0, mediante aferesi, Emilianum, EAmilius IN.). D’analoga origine i Migliani della media Italia, come pure il Miano di Parma che potrebbe anche rispondere topo- graficamente al fundus Emilianus della tavola di Velleja. Mignano (Terra di Lavoro), Minianum, Minius (IN.), Mzenianum, Maenius (IN), Mindianum, Mindius (IN); tre tipi riflessi foneticamente con eguale verisimiglianza. Altri quattro luoghi omonimi, di possibilmente analoga origine. Misciano (Princ. cit.), da Mescidiamum, Mescidius (IN), secondo p. 84, 2; 88, 9, b, ovvero da Messianum, Messius /IN.) od anche da Masianum, Mesius (IN.); e in questo caso d'una medesima origine con Mesiano. I cinque Mi- sciani di Toscana probabilmente dall’ultimo tipo. Miojano (Benevento, Napoli, Terra di Lavoro), Modia- num, Modius /IN.J. Una medesima origine avrebbero ve- risimilmente i Mozzano (Ascoli, Umbria e Parma), Mozzago, Mozzate (Como), qualora, come credo, nella pronunzia pae- sana lo z abbia suono sonoro; che altrimenti sarebbero da Mucianum, Mucius o Mutianum, Mutius. i Miolviano (Abr. ult. 1°), Molvianum, Molvius (IN.). D’una stessa origine il lucchese Mobbiano, che sta a Molvianum, come nibbio a milvius. Il gentilizio Molvius si presenta pro- babilmente ancora, senza derivazione (cf. Di ale. forme ece., p. 96), in Morbio (dial. Morbi; cf. lomb. piem. ed emil. arbi = alvio, alveus), nome di tre luoghi dell’Italia su- periore. A oraro i Miongiana (Cal. ult. 2°), per * Mognana (cf. p.12, 7). E qui le medesime incertezze che per Mignano; potendo Mon- 113 giana derivarsi ilel pari da Monnius, Munius, Munnius, Mum- mius , gentilizi attestati tutti dalle iscrizioni napolitane. Morciano (Terra d'Otranto), Murtimum, Murtius (IN). Mosciano (\br. ult. 1°), Mussianum, Mussiis (IN.). Tre Mosciani ha ancora l’Italia media (Marche, Toscana, Um- bria), che potrebbero venire da Mustius od anco riflettere assai regolarmente, per via d’aferesi, Homusianus da Ho- musius, congetturabile dal fundus Homusianus della tavola di Velleja. Wuwcciano (br. ult. 1°), Mutianum, Mutius AIN.) 0 Mu- cianum, Mucius /IN.). D'una stessa origine i Mocciani, Moz- zani, Mucciani e Muzzani d'altre parti d'Italia. Mugnano o Mognano (Napoli, Princ. ult.). Le stesse origini già congetturate per Mongiana; e pure possibili pegli otto Mugnani dell’Italia media; e pei due Mognani della superiore. Mutignano (Abr. ult. 1°), Muttinianus, Muttinius AIN.). Il Modignano lombarlo accennerebbe più presto ad ‘un tipo Mutinianum, Mutinius; al quale però potrebbe anco metter capo l’abruzzese Mutignano. Nanzignano (Benevento), Nasennianum, Nasennius (IN.). Un fundus Nasennianus ha la tavola de’ Bebbiani. Circa l’epentesi della nasale si confrontino p. e. nap. Sangro = Sagrus, lampazzo = lapathium, langella = * lagella (da lagen'la lagenula dim. di lagena), mengràneia = emicrania, e, come in Nanzignano, dinanzi a sibilanti, l’ant. tosc. ansima da asima (asma, astma), Anserdco per Assàraco , Giansone per Giasone, Sansogna per Sassogna /Saxonia), Ansalonne per Assalonne, zenzania o zinzania per zizzania ecc. Il passaggio della s in 3 qui venne poi ad esser di regola: nap. penzare, con- zommare ecc. (cf. Arch. glott. it. TT, p. 55). 114 mo c Nepezzano (Abruzzo ult. 2°), secondo p. 89, d, per Ne- pozzano, Nepotianum, Nepolius (IN.J. Un fundus Nepotianus è mentovato in un’iscrizione d’Interamna (Teramo IN, 6165); e la vicinanza di Nepezzano a questa città rende assai verisimile l’identità topografica di questo fondo colla terra da esso denominata. Cf. inoltre un Nepotianum di Lom- bardia (Hist. patriae Mon. XIII, ind.) e il Nipozzano fio- rentino. AA i Noceiano (Abr. ult. 1°), Naurianum, Nautius AIN. D'una stessa origine il Nozzano lucchese. Cf. p. 87, 4. Nerano (Napoli), Nerianum, Nerius (IN). Chi sa che dai guadagni dello strozzino Nerio, fatto ricco dalla morte di più mogli, mentovato come usuraio da Orazio (Sat. II, 369), e da Persio (cf. Schol. ad II, 14), non sia potuto sorgere un rus Nerianum, d'onde l'odierno Nerano di Ca- stellamare? Cf. Nirano e Nirasca dell’Italia superiore. Neviano (Terra d’Otranto), Naevianum, Naevius (IN.) Un fundus Naevianus nellIN. 6926; e parecchi nella tav. di Velleja. D’una stessa origine i quattro Nebbiani di Toscana, con uno di Ancona; come pure il Nibbiano e i Neviani e Niviani dell'alta Emilia, alcuni de’ quali, se non tutti, ri- spondono forse anco topograficamente ai fondi mentovati dalla tavola di Velleja. Occiano (Princ. cit.), Oppianum, Oppius (IN.J. Nell’iscri- zione di Volceii una casa Oppiana e un fundus Oppianus, col quale Occiano potrebbe anco riscontrarsi topografica- mente, per trovarsi, come Volceii, nell’antica Lucania. Duna stessa origine l’Oppiano (è fors'anche l’Urciano) di Siena, quello di Parma e, probabilmente pur. l’Oppeano di Verona. Da Aucius od. Occius sarebbe più verisimilmente venuto Ozzano, quale appunto ne veniva nell’ Italia su- mi Herk periore. Frequenti d’altronde gli Oppii, mentovati una trentina di volte dalle iscrizioni napolitane. Cf. p. 87,4 Olevano (Princ. cit.), Olivianum , * Olivius, gentilizio reso non inverisimile dall’organica forma Olivianum, che s'incontra ancora ne’ documenti «della bassa latinità. (Cf. R. Arch. Neap. Mon., V, 245, 251). Omignano (Prince. cit.),, Ominianum, Ominius (MuraT.). Ojano (Abr. ult. 2), Ovianum, Ovius (IN.). Riflettono assai regolarmente lo stesso tipo così l’Obiano piemontese, come l’Uggiano Ai Terra d’Otranto. Gf. p.84, 2; 87, 3. Orsano (Napoli), Ursianum, Ursius (IN.J. Due altri luoghi omonimi nella media Italia. Cf. Di ale. forme ecc., p. 48, s. Orsago, e p. 49, s. Ossago. i Ostigliano (Terra d'Otranto), Hostilianum, Hostilivs (IN.}. D'una stessa origine gli aferetici nap. Stigliano (Ba- silicata) e ven. Stiago /Hostiliacum), contratto inoltre come il bresc. Ostiano (cf. Di ale. forme ecc. p. 9 e seg. e 53, s. Stiago). 1 Ottajano (Napoli), Octavianum, Octavius (IN.). Un fundus Octavianus nella tav. de’ Bebbiani e due in quella di Vel- leja. Sono d’una medesima origine non solo Ottaviana (Piemonte) e Otiobiano (o = a per assimil. progress., cf. .p. 89, d), ma pur le varie forme aferetiche di Tabbiano, Tabiano, Tabiago (cf. Di alcune forme ecc. p. 54), Tavasca (ivi, p. 73) e Taipane (= Octaviana; cf. AscoLi, Arch. gl: 621, ua Cf. più oltre Taviano. Pacciano (Abr. ult. 1°), secondo p. 411,4, da Papianum, Papius (IN.), anzichè da Paccianum, Paccius, donde pel Na- politano piuttosto Pazzano (v. p. 87,5). D’una stessa origine i quattro Papiani e Pappiana della media Italia e il lomb. Papiago (Cf. Di alc. forme ecc. p. 49, s. Papiago). rie a x , Mc Le I È Me se , Pacognano (Napoli), Paconimum, Paconius (IN.). Forse i; i si d’una stessa origine il Paugnano dell’ Istria, se già non cn È; fosse, come il piem. Pavignano, da Papinianum, Papinius. a Palagiano (Terra d'Otranto), Palavianum, * Palavius. Di. Circa la verisimiglianza di questo gentilizio vedasi la mia $ diss. Di alc. forme ecc. p. 49, s. Parabiago. pi Pannarano (Benevento), possibilmente da Pinarianum, i Pinarius (IN.); se già non venisse da un gentilizio * Pan- | narius. i SI Pantuliano (Terra di Lavoro), Pantulejanum, Pantu- na lejus (IN) C£. p. 88,9, d. y Partignano (Terra di Lavoro), Parthenianum, Pathe- nius (Murart.), che le iscrizioni nap. hanno solo come i cognome. . 3 Pastorano (Terra di Lavoro e Prince. cit.), Pastorianum, A Pastorius o Pastor. La tavola de’ Bebbiani ha un fundus * Pastorianus, a cui potrebbe rispondere anche di luogo più } e verisimilmente il primo. D'origine analoga Pasturana è wu Pasturago dell’Italia superiore (cf. Di alc. forme ecc. s. Pa- i: sturago). d»: Pavigliana e Pavigliano (Cal. ult.1), Pavilliana, TI Pavillianum, Pavillius (IN). | Po Pazzano (Calabria ult. 1°), Paccianum, Paccius AN). Uno be fundus Paccianus è nella tavola de’ Bebbiani; e d’una stessa origine sono i tre Pazzani dell'Emilia, come pur verisi- milmente il Pacciamo dell’ Umbria. Pedicciano (Abruzzo ult. 1°), Peticianum, Peticius (INJ. Un fundus Peticianus nella tavola de’ Bebbiani. Forse d’una stessa origine il Petazzano dell'Umbria. Pedivigliano (Calabria cit.). Probabilmente un com- P; su posto Pe-di-Vigliano analogo a Pe-di-Grotta; sicchè propria- Da mente questo nome sonerebbe situato ai piedi di Vigliano. DI Il Vigliano proprio sarebbe scomparso, assorbito forse dal più esteso Scigliano e sopravvivendo a se stesso in parte accessoria, quasi il Vigliano di sotto. Circa Vigliano poi, vedasi questo nome a suo luogo, come proprio, tra gli altri, degli Abruzzi. Pellezzano (Princ. cit.), Pellitianum, * Pellitius o Pelitius (MuraT.). D'una stessa origine il Pellizzano di Trento e il Pelizzano d'Alessandria. ; Pernosamno (Prince. cit.), Prusinianum, Prusinius (IN). Cf. p. 89, g. Perano (Abruzzo cit.), Perianum, Perius (IN.). Potrebbe però anch’essere , per dissimilazione, da Peraro = pira- rium , luogo piantato di peri (cf. i nnll. Perarolo, Pereta, Pereto ecc.). Cf. p.133.e seg. Persano (Princ. cit), Persianum, Persius (IN. D'una stessa origine Persano. Persago e Persacco Aell’Italia supe- riore (cf. Di ale. forme ecc. p. 50). Petrignano (Abruzzo ult. 2), Petrinianuni, Pelrinius. Quattro altri luoghi omonimi dell’ Italia media, e due Pedrignani della superiore, attestanti tutti il np. Petrinius; e probabilmente d’una stessa origine il Perignano di Pisa (cf. Piero = Petrus, Peruzzi= Petrucci (1) ecc.). Gf. inoltre Di ale. forme ecc., p. 49, s. Padergnaga. Pettoraneo (Abruzzo ult. 2°), Pictorianum * Pictorius o ‘Pictor /C. I. L. IL) Circa la verisimiglianza d'un gentilizio Pictorius, cf. Fictorius, IN. 2628: e ad ogni modo il fundus (1) Il nome Peruzzi connesso colla pera, donde l'impresa della famiglia, è una di quelle etimologie che davano i tempi, nei quali il nome proprio p. e. di Galigai (caligarii, calzolai, e, a Fi- renze, sinonimo di conciatori, pelacani) era dal Malaspini cavato VERI nomi romani Gallus Cajo (sic, St. fior. Cap. xxx!). e E RE Patt ui 0a FA A risa I AL Ne” 118 Pastorianus (v. p. 116), donde assai ovvia la supposizione di un fundus Pictorianus. Pezzano (Principato cit.), Pettianum, Petlius (IN) 0 Pi- tianum, Pitius (IN). Alcuni altri omonimi /Pezzana, Pezzano), principalmente nell'Italia superiore, dove anche un Pez- zasco, probabilmente della stessa origine. Cf. Picciano. Piano. Non improbabile che fra i vari nomi locali di Piano, proprii del Napolitano (come di tutta Italia), col senso originario di pianura, alcuno equivalesse etimolo- gicamente a * Pejano, Pediamum da Pedius (IN), od anche, per aferesi, a * Pijano, Epidianum, Epidius, (IN.J od Oppi- dianum, Oppidius (IN). CF. p.814,2. Il gentilizio Pedius sarebbe poi regolarmente riflesso senza più dal nl. Piejo (Napoli). Cf. Di alc. forme ecc. p. 96. Picacciano (Napoli), Picatianum, Picatius (Murat.). Ad uno stesso tipo rispondono Pegazzano genovese, Pigazzano piacentino, e forse anche il Piazzano piemontese (Cf. p. e. piem. mia = mica, dia= dicat , fit = ficarius , siala = ci- cada ecc.; e AscoLi, Arch. glott. it. Il, 128). Picciano (Abruzzo ult. 1°), d'una stessa origine cou Pezzano. CF. p. 87, 4 e 5. Pignano (Princ. ult.), verisimile tanto da. Pinnianum, Pinnius (IN.), quanto da Plinianum, Plinius /IN.J. Un fundus Plinianus nella tav. de’ Bebbiani; e noto d'altronde il possedere de’ Plinii nella Campania. Quattro altri Pignani nella restante Italia. Pisignano (Terra d'Otranto), Pisinianum , * Pisinius , gentilizio reso verisimile, oltrechè da Pisius /IN/, anche dai tre Pisignani della Media Italia e dal Pisenius del CIL., III, che non è probabilmente altro se non una varietà di forma per Pisinius. Non impossibile ancora la loro de- rivazione, massime per l’umbrico, che scrivono anco Pis- signano, da Pescennianum, Pescennius (IN.), e per la regione napolitana, tanto meno inverisimile, in quanto l’iscrizione di Volceii mentova un fundus Pescennianus. Polignano (Terra di Bari), Paulinianum, Paulinius. Fre- ‘quente il cognome Paulinus e non inverisimile un genti- lizio Paulinius. Due Polignani ha Piacenza e un Pulignano Firenze. Cf. inoltre Di alc. forme ecc., p. 50, s. Polenaco. Pomigliano (Napoli), i hi a Questo nome è reso probabile da Pomelianus (IN. 1925), genti- lizio che sta a * Pomelius quale p. e. i gentilizi Curtianus a Curtius, Flavianus a Flavius, Marianus a Marius, Nerianus a Nerius ecc. (cf. Hoswen, Ephem. epigr. IT, 30 e segg.). Da Pumidianum, Pumidius (IN.) sarebbe più verisimilmente venuto * Pumijano, indi, secondo p. 88, 9, b, * Pomiano. Penzano (Abruzzo ult. 1°), Pontianum, Pontius (IN). Quindici altri luoghi omonimi nelle altre parti d'Italia; e-d’una stessa origine il comasco Ponzate. Cf. Di ale. forme ecc. p. 90. Foppano (Princ. ult.), Pupianum, Pupius (IN.). Cf. p. 84, 1, e, più innanzi, Pucciano. Porciano (Terra di Lavoro), Porcianum, Porcius (IN.). D'una stessa origine, oltre i due Porciani di Toscana, anche i due Porziani dell'Umbria, e due Porzani, l’uno um- . brico, l’altro lombardo. Prepezzano (Princ. cit.), Propertimum, Propertius (IN }. Gf. p. 89, d, e-Propezzano. ; Presenzano (Molise), Praesentianum, Praesentius. Non raro il cognome Praesens (IN); e quanto al gent. Praesen- tius, cf. AR, FaBRETTI, Primo Suppl. alle ant. îiscr. nn. 294 e 295; e Gloss. it. s, Praesenteius; Corssen, U. d. Spr. d. Etr., I, 404 ‘e seg CE Prignano (Princ. cit.), Plinianum, Plinius (IN.) 0 Pri- mianum, Primius (Borssieu, Inser. du Lyon.). Un omonimo nel modenese. Circa r=/, così frequente ne’ vari dialetti italiani, cf. pel nap., pràtano, semprice, affriggere, prebba (plebe), prubbeco da plubicus ecc.Cf. Pignano, p.118. Propezzano (Abr. ult. 1°), Properzianum, Propertius (IN). Già a pag. 13, d, ho toccato del fenomeno qui occorrente; aggiugnerò solo |! esempio del bresciano Favezzano che come vegnente, al parer mio, da Fabricianum avrebbe comune la metatesi di r con ZLughezzano e comune con questo e Propezzano l'equazione 23 = #z /rij, rej). Due fundi Propertiani ha la tav. Ai Velleja. Cf. Prepezzano. Pucciano (lrinc. cit.), Pupianum, Pupius AN. Un fundus Pupianus nell’ iscrizione di Volceii. Forse d’una stessa origine il Pocciano aretino, stantechè a quel vol- gare non sia estraneo cia = pia, come p. e. in poccia = * pupia da pupa (v. RepI, Voc. ar. ms. s. v.). Cf. il prece- dente Poppano, e due Poppiani di Toscana, e p. 87, 4. L'an- tica forma Pupianum s'incontra ancora promiscuamente con Pucianum ne’ documenti dei sec. IX e X._ (ef. Cod. dipl. Cavensis, I., Ind. geogr.). Pugliano (Princ. cit. e Terra di Lavoro), Pullianum, Pullius (IN.) od anche Pollianum, Pollius (IN). Ad uno stesso fonte pajono accennare i vari Pogliani e Pojani come pure Pojaco e Pojago, quasi tutti dell’Italia superiore. Pel napo- . litano vuolsi ancora ammettere come possibile l'origine da Pullidianum, Pullidius (IN), secondo p. 84, 2; 88,9, bd. Putignano Abruzzo ult. i", Terra di Bari), Puti- nianum, Putinius (Murar.). Un Putignano anche in quel di Pisa. Quagliano (Napoli, Principato ult., Abruzzo ult. 1°), Quelianum, Querlius (IN) o Quelianum, Quelius (IN. Of. Di | 121 "pe; 9a Forse d’una stessa origine il genovese Quigliano, se già non fosse, per aferesi, da Aquiliano. Of. Aquilano p.17. Rajano (Abruzzo ult. 2°, Terra di Lavoro), Rajanum, Rajus (IN.), o Ravianum, Ravius (IN). Da quest’ultimo il Rabbiano dell'Umbria. Rignano (Capitanata), d’incerta origine, potendo es- sere da Rennianum, Rennius /IN.), Remmianum, Remmius (IN), Rimmianum, Rimmius (IN.), od anche, per aferesi, da Arennianum, Arennius (IN), Herennianum, Herennius (IN). Cf. Arignano (Torino), i quattro Regnani e i cinque Rignani dell’Italia media. Rocciano. V. Rucciano. Rofrano (Principato cit.), Rufrianum. Rufrius, AIN/. Of. p. 84, 1. . Roggiano (Calabria cit.), c Ruggiano (Terra d'O- tranto) foneticamente accennerebbero a Rurianum,* Ru- vius 0 piuttosto Rubianum, Rubius (Murat.), gentilizio che par rispondere al Ruubius del C.I L. I, 1084. Una stessa origine sembrano avere i Robbiani dell’Italia superiore, come pure il Roggiano genovese, che qui ha leggi fone- tiche comuni col napolitano. Cf. Di ale. forme ecc. p. 90, s. Robbiate. Rogliano (Calabria cit.), Rul/lianum, Rullius AN.). Rojamno o Rujanmo (Abruzzo ult. 1°), Rojanum, Rojus, /IN.) 0 Rogianum, Rogius (IN). Duna stessa origine potrel- L- bero essere, quando avessero z sonoro, fozzago, Rozzate DE lombardi; e forse dal primo tipo il Roggiano comasco. ti: Romagnano (Principato cit.), Romanianum, Romanius ® (HòBneR, Ephem. epigr. II, 70). Cinque omonimie un fo- magnacco nell'Italia superiore. Ronzane (Abruzzo ult. 1°}, Runtianum, Runtius (IN). che insieme col. napolitano potrebbero anch’ essere per aferesi da Arruntianum, Arruntius (IN), al qual proposito sono da notare due fundi Arruntiani della tavola di Velleja. Rosano (Abruzzo), Rosiamum, * Rosius, gentilizio reso verisimile dal fundus Rosianus della tavola di Velleja, Due luoghi omonimi nella Toscana e quattro nell'Italia su- periore. Rosciano (\bruzzo ult. 1°), Eossamo (Calabria cit.,, Rusciano (Terra di Lavoro), tre. forme di nomi che possono variamente appuntarsi ad uno stesso tipo e. fo- neticamente raddursi a Roscianum, Roscius (IN), Rossianum, Rossius (IN), Rustianum, Rustius. (IN). Aliri omonimi di tutte e tre le forme nell'Italia media e superiore, verisi- milmente di simile origine. Il Rossano della Calabria. è fatto rispondere al Roscianum dell'It. Ant., 114, sicchè qui la più verisimile origine sarebbe da Roscius. Rucciamo (Abruzzo ult. 1°) e Rocciano (Terra di ‘ Lavoro) foneticamente accennano a Rupianum, * Rupius, gentilizio reso verisimile dal noto Rupilius. Gf. p. 87, 4. Ruffano, ant. ortogr. Ruiffiano (Terra d' Otranto), Rufianum , Rufius (IN.). D’ una stessa origine il Ruffiano dell'Umbria. Un fundus Rufianus è nella tavola di Velleja. Ruggiano. V. Roggiano. Rutigliano (Terra di Bari), Rutilianum, Rutilius (AIN) Da uno stesso fonte procedono per dialettiche loro pe- culiarità i due Rudiani (Rudian bol. e bresc.) e il Rodeano (Rodean friul.) dell’ Italia superiore. Cf. Di ale. forme ecc. p.9 e seg.; e Ascori, Arch. gl. it. I, 508. Ù 3 Saliano (Calabria), Salianum, Salius (INJ; 0 Sallianum, Sallius (IN .). Verisimilmente d’una medesima origine i due DI 122 dI hi , ] CEZSA DIS cas A, Quattro altri luoghi omonimi (Tose.e Italia superiore) Sagliani lombardi, i due Sajani (Brescia è Macerata) e Sa- jago (Novara). Cf. Di alc. forme ecc., 51, s. Sagliago. Salignamo (Terra dl’Otranto), Selenianum, Selenius (INTO pi 89, 97. Sartamo (Calabria cit.), Sertianum, Sertius (IN.). C£. p. 84, 1788009 a. Sassano (Principato cit.), Sassianum, Sassius /IN.). Se poi fosse legittima l'ortografia, più antica, di Sazzano, quale si ha p. e. in L. Alberti, Descr. di t. Italia, p. 200, questo nome risponderebbe piuttosto a Sattianum, Sattius (INJ. Cf. Sassasco (Di alc. forme ecc. p. 73), che per l ambiente pedemontano in cui sì trova, può essere regolarmente del pari così da Sassius, come da Sattius. Satriamo (Calabria uit. 2°), Satrianum, Satrius (INJ. Un fundus Satrianus nella tav. de’ Bebbiani; e quattro in quella di Velleja. Ad uno de quali risponde forse, non solo d'etimo, ma anche di luogo, il Sariano del Piacentino. Savagnamno. \V. Savignano. Saviano (Terra di Lavoro), Sabidianum, Sabidius (IN). Wi pr8, 23 88 9 DI: Savignano (Princip. ult. e Terra di Lavoro), Sabinianum, Sabinius (IN). Sette altri omonimi nella media Italia; è probabilmente da uno stesso tipo il Savagnano di Terra d'Otranto. Cf. p. 88, 9, a; e Fustagnano, p. 106. Scanzano (Napoli e Abruzzo ult. 2°), Scantianum, Scan- rius /IN.). Probabilmente d’una stessa origine i due Scan- sani della media Italia, nonostante la s per sz. Scarano (Terra d'Otranto), Carianum, Carius (IN J. Ci. p. 89, e, e Cairano, Carano. Ù Scarisciano (lerra di Lavoro), Carisianum, Carisius AIN.). D’una stessa origine il friul. Chiarisacco (dial. Ciarisà) e il Carisasca dell’Italia superiore (cf. Di ale. forme ecc. p. 29 SER 124 Me n i ‘e 66); e riflesso il sentilizio, senza derivazione, dal Ca- % risio vercellese (cf. o. e. 96). Vedi inoltre Garisciano p. 107, 29 “ o e cf. p.89 e. Schiaviano (Abruzzo ult. 1°), accennante fonetica- A BE mente a Stlabidianum, * Stlabidius, gentilizio, per quanto io A mi sappia, non attestato da documenti, ma che potrebbe SLA essere da quello stesso tema, donde StHaborius ANJ. CL. il seguente 3! Schiazzano (Napoli), Stlaccianum , Stlaccius (IN). Un luogo omonimo nel Parmigiano. Circa le ragioni della forma volgare cf. la mia Postilla sopra un fenomeno fonetico fel = i) della lingua latina. (Atti di questa R. Acc. vol. VI, i p. 540 e separatamente p. 5). ? fe Scigliano (Calabria cit.), Silianum, Silius (IN.) o Sil- SG lianum, Sillius (IN). Potrebbe però anch'essere, per aferesi, 1 da Esquilliamum, Asquillius (IN.), o Esquilianum, Esquilius 7 | (IN. Girca la palatinizzazione così di s come di g, cf. p. e. “Sl nap. scigna = simia, cercola = quercula, sic. cersa = quercia. z Scisciano (Terra di Lavoro), da Sittianum, Sittius AIN, per* Sicciano, con assimilazione reciproca tra il suono "E sibilante e il palatino. k Seiusciano (Abruzzo ult. 1°) da Sosianum, Sosius AIN.), con assimilazione analoga alla precedente. CP. p. 87, 6. : Secondigliano (Vapoli), Secundilianum, * Secundilius , gentilizio che sta a Secundus come Quintilius a Quintus, Sertilius a Sextus. i | Sejano (Napoli), Seianum, Seius (IN, o Sevianum, Se- vius (IN.J. in Varrone, De Re R., s'incontrano Sejanae aedes, Sejanae pastiones (III, 2), e una Villa Sei, citata come mo- dello per l’allevamento delle anitre (II, 11); ed è noto il proverbio del cavallo di Sejo, equus Seianus (GeLLI NA. II, 9). Il Siano di Prince. cit. potrebbe riflettere lo stesso” tipo (cf. p.88, 9, b); e tosì pure il Seggiano sanese. Sp nb; i 125 Senzano (Abruzzo ult. 2°), Sentianum, Sentius (IN.). Due Senzani (Firenze e Pisa) e due Sensani (Lucca e Siena), la “Lan quale ultima forma sta alla prima come Scansano a Scan- o) zano (v. p. 47). Sentianum è già mentovato nell’It. Ant. 112. Sessano (Molise), Sestianum, Sestius o Sertius (IN). Un fundus Sestianus nella tavola de’ Bebbiani e tre fundi Sextiani in quella di Velleja. Of. p. 87, 4. Settingiano (Calabria ult. 2°), Septimianum, Septimius Ri /IN.). D’una stessa origine il Settignano di Firenze; e porta È Settignana di Roma. Cf. p. 88, 7. Siano. V. Sejano. Rd. Sicignamo (Princ. cit.), Sicinianum, Sicinius /IN.). Un fundus Sicinianus ha l'iscrizione di Volceii, a cui potrebbe anche topograficamente rispondere cotesto Sicignano, pur situato nell’antica Lucania e non molto discosto da Vol- ceii, l'odierna Boccino. È Siliane (Napoli), Silianum, Silius /IN.J. Due omonimi vell’Aretino. Sipicciano. V. Supersano. Sivigliano (Terra di Lavoro), Syrellianum, © Syrellius gentilizio reso verisimile dal fundus Syrellianus della ta- vola di Velleja. Sirignano, Serignamo (Abruzzo ult. 2° e Principato LE ult.), Serenianum, Serenius (IN). Sitizzano (Calabria ult), Septicianum, Septicius (IN). Cf. Di alc. forme ecc. p. 52,. s. Sezzè. fe; Sogliano (Terra d’Otranto), incerto fra Sullianum, Sul +2 lius /IN.) e Sollianum, Sollius (IN). Tre altri omonimi nel pi A l’Italia superiore, ed equivalente il Sojano di Brescia. GA D’una medesima origine un Sojè = Solliacum del’ Piemonte i { Zimone). % È Soriano (Calabr. ult. 2°) e Surano (Terra d'Otranto), Mi pe Surianum, Surius (IN.). La tavola de’ Bebbiani ha un fund i Surianus. Ad una stessa origine accennano i Sorani dell’Ita- lia media e superiore e il Sojana di Pisa. Vedasi inoltre Di alc. forme ecc., p. 54, s. Suri. Spiano (Princip. cit.), da Spedianum, Spedius AN). Cf. p. 84, 2; 88, Spezzano (Calabr. cit.), da Pettianus, Pettius (IN.), con prostesi «li s come ne’ due nomi seguenti. CÉ p. 89, e. Spisciano (Terra d'Otranto), Pisianum, Pisius AN). D'una stessa origine Pisciano di Roma e dell'Umbria, e Pisano di varie parti d’Italia. Cf. Spezzano. Squinzano (Terra d'Otranto), Quintianum, Quintius (IN. Cf. Spezzano. Etimologicamente identici il Quinzano lombardo ed ascolano, i piemontesi linzano , Cinzago e Zinzago e il modenese Zinzano. Cf. Di alc. forme ecc., p. 24, s. Carzago e p. 30, s. Cinzago. Statigliano (l'erra di Lavoro), Statilianum, Statilius (1. Nj. i Stigliano (Basilicata), forma aferetica d’Ostigliano (v. p. 115), se già non fosse una prostetica di Tigliano, ca lianum, Tillius (IN.). Cf. Tigliano, e p. 89, e. i Stignano (Calabria ult. 1°), Sfenianum, Stenius, o Sten- nianum, Stennius /IN.). Due altri omonimi, l'uno di Lucca, Valtro. d’Istria, che potrebbero però anco riflettere per aferesi Astinianum da Zstinius. Un fundus Astinianus nella tavola dì Velleja. i Stivigliano (Abr. ult. 1°), Stabilianum, Stabilius 1 WLo) II). Un omonimo nel Comasco. Cf. p. 89, d. Striano (Terra di Lavoro), Histrianum, * Histrius. Gf. fundus Histrianus della tavola di Velleja; e Di ale. forme ecc., p. Al. Sarebbe dunque forma aferetica a’ ‘Istriano, : se già non fosse una sincopata di Satriano (v. p. 123). | | — Suceiano (Abr. ult. 2°), ‘Stiettiahuni, Suetti (INJ: Supersano (Terra d'Otranto), Sulpicianum, Sulpicius (IN.). Cf. p. 89, f. g. Forse d’una stessa origine il ‘Sipîc- ciano di Terra di Lavoro ‘è ‘quello di Viterbo (1). Cf Di ale. forme ‘ece., p. 53,8. Solzago. Taurano (Princip. ult. e Foramo (Calabr. cit., Abr. ult. 1° e 2°, Terra di Lavoro), Taurianum, Taurius. Un gen- lilizio Taurius sirene ‘assai probabile dirimpetto ad Aprius, Avius, Caprius, | Ovius, ‘Porcius ‘ect. e al cognome Taurus, non infrequente nelle stesse iscrizioni del Napo- litano, dal quale sarebbe pur potuto derivarsi un fundus Tauranus. Quavto a Torano esso potrebbe forse più veri- similmente procedere da Thorianum, Thorius (mon. rom. ; e IN.), a cui sarebbero pur radducibili, oltre il Torano carrarese e il genovese ?oirano, anche i tre Tojani di Toscana. Il Tauriano del Friuli, che it Pirona trae dubi- tivamente da Taurinis (Voc. friul., p. 631), accennerebbe piuttosto a Taurilianum, Taurilius, Due fumdi Tanriani nella tavola di Velleja; e un luogo detto Tauriana, situato nella Calabria, è mentovato più wvolie in Ruvennatis Anon. Co- smographia ( Pixper e PartarY, pp 262, 331, 471, 508). Cf. inoltre Di ale. forme ecc., p. 56, s. Turiacco. Mii Taurisano (Terra. d'Otranto), Tarricianum, Tauricius (Murat.). Cf. p. 89, f. 3 la Taviano (Terra d’Otranto), piuttostochè da Octavianum (ef. Ottajano, p. 39), donde qui sarebbe lug assai normal (1) Questa forma di Sipiccimo ces air) due fenomeni assai noti: vocalizzazione di 2 dinanzi a consonante, onde prima- mente Supicciano da Suupicciano o Suipicciano (c£. p.e. nap. scaudare, scaldare’; aizà, et Rei assimilazione dell’ uw colli pi Of. p. 89,d.. 4 Tini 3g E SOI con si mente venuto Taggiano, io lo derivo da Ociavidianum, Octa- vidius (IN, secondo p. 84, 2; 83,9, bd. Teggiano (Princ. cit.) e Tiggiano (Terra d’Otranto), Tibianum, Tibius (IN. CF. p. 87,2. Tessano (Calabr. cit.), Testianum, Testius AIN). Cf. p. 87,4. Ticeciano (Napoli), e Tizzamo (Abr. ult. 1°), Titianum, Titius (IN). Varii i Tizzani nell'Italia media e superiore; e un fundus Titianus nella tavola di Velleja. Il Tissano del Friuli, che il Pirona confronta con Titianum (Voc. friul. 631), rende più probabilmente Testianum da Testius; al qual proposito si confrontino, per ssa = stia, il friul. pas- son= pastione, tosc. pasciona; e quanto ad i per e atono, AscoLI, Arch. gl. it. I., p. 503 e seg. Nel friulano da Ti- tianum sarebbe più presto venuto 7izzan che Tissan (cf. op.icit., p. DI 2). Tigliamo (Napoli), Tillianum, Tillius (IN.J. Un equiva- lente 7igliano in Toscana. Torano. V. Taurano. Tozzanella (Abr. ult. 1°), che presuppone Tozzana, Tucciana, Tuccius (IN.J. La tavola al. de' Bebbiani men- tova un pagus Tucianus (sic). Traugnamo (Benevento), 7rebonianum, Trebonius (IN). Traugnano = Traognano, Travognano, Trevognano. G£. p. 88, 9, a, e Faognano = Favonianum (p. 29). Forse d’una stessa origine il Trognano umbro e pavese, se non è forma afere- tica procedente da Autronianum, Autronius. (GÎ. Autroniana domus, Gic. ad Att. I, 13). Triggiano (Terra di Bari), Trebiamum, Trebius AN). D’una stessa origine i tre Trebbiani dell’Italia superiore. Trignano (Abr. ult. 1°), Zrinianum, Trinius. CÎ. Di ale. forme ecc., p. 55, s. Tregnago. Potrebbe anche essere, per sincope, da Terrinianum, Terrinius (Sver., Oct. 53). " <> MI 129 Trivigliano (Frosinone), Trebellianum, Trebellius (IN.). Se questo nome locale non è propriamente napolitano, è campano, e perciò strettamente connesso coi napolitani. Allo stesso tipo non dubito di riferire il piacentino Tra- viano = * Travijano (cf. p. 88, 9, bd, e Di ale. forme ecc, p. 9 e seg.). Quanto ad a per le atono confrontisi il pur piacentino Travazzano = Trebatianum da Trebatius. Un fundus Trebellianus nella tavola de’ Bebbiani. Tuturano (Brindisi), Tutorianum, Tutorius /IN.) od anche Titurianum, Titurius (IN.}. L’ultima origine non sa- rebbe men probabile, stante la somma naturalezza del- l'assimilazione di vocali che qui avrebbe luoge; e da cui però non sarebbe stato incolto il Titorano dell'Umbria. Uggiano (Terra d’Otranto), Qvianum, Ovius (IN.). Cf. p. 87, 3, ed 0jano, p. 115. Vairano (Terra di Lavoro) e Varano (Abr. ult. 1°), Varianum, Varius (IN.). Allo stesso tipo rispondono i tre Vairani dell’Italia superiore, i parecchi Varani dell’Italia media e superiore, come pure Vajana e Vajano di Toscana, mentre i Variani dell’Italia superiore accennano, insieme con Variasca, piuttosto a Varilianum, Variliasca da Varilius. Cf. Di alc. forme ecc., p. 9 e seg.; 56 e 73. Valenzano (Terra di Bari), Valentianum, Valentius (IN.). Un fundus Valentianus nella tav. al. de Bebbiani; e da una stessa fonte gli omonimi di Toscana e dell'Italia supe- riore, come pur verisimilmente il tosc. Valenzatico e il longobardiforme Vallenzengo del Biellese, a cui la falsa nozione di valle (dial. val) avrebbe guasta l'ortografia. Vazzano (Calabria ult. 2°), Vaccianum, Vaccivs o. Vatia- num, Vatius (cf. Prin. Hist. n. XI, 105). Versano (Terra di Lavoro), Virtianum , Virtius AN). La tav. al. di Velleja ha tre fundi Virtiani; e. da una me- desima origine viene probabilmente il Verzago comasco (cf. Di alc. forme ecc., p. 07). L'ortografia del nap. Versano per Verzano, secondo vorrebbero la pronunzia e. l’etimo- logia, è dovuta a una falsa analogia, che fa italianiz- zare in Versano ciò che si profferisce Verzano , perchè il nap. vierzo, commerzo, verzaglio ecc. rispondono all’it. verso, converso, bersaglio ecc. starà Vetrana (Terra d’Otranto), Veturiana, Veturius. AIN). Due fundi Veturiani ha la tavola di Velleja; e d’una stessa origine il Vetturano dell’ Umbria (se non da Victorianum, Victorius) e fors'anche il Vetriano lucchese, e il Veterana delle Marche, e il Vetrana bolognese. L’agg. weteranus avrebbe qui assai meno verisimiglianza; mentre.non si potrebbero non ripetere dal lat. veteretum, pl. vetereta, terra riposata, sodaglia, i sincopati nomi locali Vetreto, Vedreto, Vereto, Vereta. Cf. Viturano. - Vezzano (Abr. ult. 2°). Vettianum, Vettius. AN). Un fundus Vettianus ha la tavola de’ Bebbiani, e cinque la Vellejate ; e circa una quindicina d’omonimi .sono.nelle varie parti d’Italia; oltre a due Vizzani del Bolognese e Vizzano comasco (cf. Di ale. forme ecc, p. 58). È tuttavia da notare che alcuno di questi nomi potrebb’essere , per aferesi, da Avezzano (v. p. 94), e che,. se per taluno il suono dello z fosse sonoro, esso, dovrebbe piuttosto. ap- puntarsi in Vedianum, Vedius. Cf. il seguente Viano (Abr. cit.) = * Vijano, * Vejano da Vejanum, Vejus IN.) 0 da Vedianum, Vedius /IN.); o per aferesi.da Ave- dianum, Avedius /IN.). Cf. p. 84, 2; 88,9, db, e Vezzano. Quanto a Viano e Vidiano dell’Italia superiore v. Vigliano e Vitigliano. ; vio ti Mir | Viggiano (Basilicata), Vibianum, Vibius (IN o Vivia- num, Vivius (IN). Un fundus Vibianus ha la tavola dei Bebbiani; cinque quelle di Velleja; e ‘un fundus Vivianus l'iscrizione di Volceii. D'una ‘stessa origine la Vibbiana di Garfagnana, come forse anche, se non tutti, alcuni dei dieci tra Bibbiano e Bibbiana della media Italia con azione assimilativa di b sul wviniziale (cf. p. e. berbena = verbena, barbasco e barabasco = verbascum, pispola = vispola (cf. vispo), pipistrello = vespertilio ecc.), se già non ci avesse a fare Babianum da Babius. Vigliano (Abr. ult. 2°), Villianum è Villius (IN.}. Duna stessa origine i Vigliani così dell’Italia media, come della superiore, e i Viani di questa, dove i Vigliani non hanno se non un valore grafico ed etimologico. Vuolsi ancora avvertire come taluni di essi nomi (Vigliano, Viano) po- trebbero esser forme aferetiche d’Avigliano, Aviano da Avi- lianum, Avilius. V. Avigliano p. 94. Vignano (Abr. ult. 2°), Vinianum, Vinius (IN.) o Vin- nianum, Vinnius (IN.). Altri omonimi in altre parti d’Italia, coi derivati Vignanello (Viterbo), Vignanone (Siena). Visciano (Terra di Lavoro), Vesianum, Vesius /IN.). D'una stessa origine il Visano di Firenze e di Brescia. Vitigliamo (Terra d’Otranto), Vitellianum, Vitellius AIN.). Due omonimi in quel di Firenze; e d’una stessa origine i Vidiani di Parma e di Piacenza, alcuno dei quali ri- sponde per avventura anche topograficamente al fundus Vi- tillianus (sic) Qi Velleja (of. Di ale. forme ecc., p. 9 e seg.). Un fundus Vitellianus è pure nella tavola de’ Bebbiani. Viturano (Princ. ult), Veturianum, Veturius (IN.). C£. Vetrana. L’Alberti (Descriz. di tutta Italia, 1568, p. 225, db) registra per la Basilicata un Vaturano che anch’esso non potrebbe essere se non un riflesso di Veturianum. fenomeno analogo a quello per es. di salgo = salio, valgo = * valio, ecc. Cf. inoltre nap. songo, sic. sugnu = sumio fsunio), lat. sum, it. 0 sono, come it. pongo = * ponio, lat. pono e nap. Giungano = Junianum (p. 107). A questi circa 300 nomi locali in ano, derivati più o men verisimilmente da gentilizi, resterebbero ad aggiu- gnersene oltre una cinquantina, che, per la massima parte almeno, io non dubito di tener per aventi un’ origine analoga, ma pei quali non s’avrebbe alla mano, quanto ad alcuni, il gentilizio da cui derivarli, e quanto agli altri sarebbe difficile originarli senza più o men vaghe od ardite ipotesi e congetture. E così p. e. Calabrano (Principato citeriore) potrebbe accennare tanto all’etnico Calaber , passato in cognome, quanto ad un ipotetico gentilizio * Calabrius; per Cautano (Principato ulteriore) si può supporre un cogn. Cautus od un gent. * Cautius o Caltius: i primi due resi verisimili dal cogn. Cautinus, il terzo attestato dalle iscrizioni; per Conversano (Bari) un gent. * Conversius; in Cutrofiano (Terra d'Otranto) sì può vedere un composto (Cut-rofiano o Cutro-fiano), di cui la se- conda parte potrebbe rispondere a Rufiano da Rufius (cf. Ruf- fano p.122), ovvero a Fiano, Fidiano da Fidius (IN.; cf. p.84,2; 87,9,b), ma di cui mal saprebbesi interpretare la prima (cf. i nomi locali calabresi Cuti e Cutro); e sarebbe un composto analogo per es. a Casal-ciprano (Molise; cf. Ce- prano p.100) e a Monte-lapiano (= Lappianum; cf. Lappano p. 108, se già non istesse per * Lepiano = Lepidianum, Le- pidius, IN.). Del qual Lepìdianum, passato per metatesi in Depilianum (cf. p. 89, 9) si potrebbe anche scorgere un ri- flesso in Depignano, Dipignano (Calabria ult.), col gna = lia Volgana (Capitanata), forse da Voliana, Votius IN), con 133 di cui a p. 109. Durazzano (Benevento e Terra di Lavoro) potrebbe aver per base Duratianum da * Duratius (cf. i due Durazzanini della bassa Emilia che pur presuppongono un Durazzano ; il Durazzo = Dyrrachium qui non par verisi- mile che abbia da far nulla); Latiano (Terra d’Otranto) farebbe sospettare Latidianum da * Latidius (cf. il gent. Latius); similmente Laviano (Prine. cit.) Levidiamum da * Lavidius (cf. Levius) o Labidianum da * Labidius (cf. Labienus); Mel- pignano (Terra d’Otranto) Melpinianum da un grecanico * Melpinius; se «già, così questo nome, come il poc'anzi toccato Dipignano, non avessero, quali composti ch’ei fos- sero, per seconda parte Pignano (v. p. 118) quale appunto si trova in Castropignano (Molise), sicchè per prima parte Dipignano presentasse de segnacaso del genitivo romanzo, retto in origine.da un altro nome, come verbigrazia in Pedivigliano (v. p. 116) e come parrebbe potersi anco in- terpretare il Depugliano di Castellamare (v. Pugliano p. 120) e il Divignano di Novara (v. Vignano p. 131), mentre la prima parte di Melpignano potrebb’essere quella stessa di Melendugno (Terra d'Otranto), Melocchio, Melicucca (Calabria ult. 1°) ecc. Lo Scorrano degli Abruzzi e di Terra d’O- tranto, se non viene dal cognome Scurra, potrebb’essere da Curianum, Curius (IN.) col s prostetico di Scarano (p. 123), Scarisciano (ivi), e Squinzano (p. 126) e con inol- tre rr = rj, quale p. e. in Aterrano = Aterianum (p. 94), burrasca = boriasca da boreas, nap. somarro = somario, sa- gmario , sic. nl. Ficarra= Ficaria ecc. (cf. gr. yéppoy da * Xepiaoy). E così, per via di questo stesso fenomeno, si potrebbe spiegare l’origine di Serrano (Terra d’Otranto) da Serianum, Serius (IN }. Di alcuni, ma rarissimi, ira questi nomi locali in ane si può veramente dubitare se vengano da nomi di per- 134 i i ; dA ‘sona; e così p. e. in Cornacchiano (Abr. ult. 1°) io eredo sia piuttosto da vedersi una forma nata per dissimila- zione (r—n=r—r; cf. p. e. argine = argere, Cristofano = Cristoforo), da Cornacchiaro, luogo denominato dalle cor- nacchie; al qual proposito si confrontino per mo’ d’e- sempio il Cornacchiain (= Cornicularia) della Toscana, Corvara e Corvaro pur degli Abruzzi, derivati da corvo. D’una medesima guisa interpreto per esempio il Cerisano della Calabria cit. che non potrebbe raddursi se non ad un prototipo Cerasiarium da cerasium (ceraseum), ciliegio, e non può significare altro che luogo piantato di ciliegi (cf. l'’abruzz. Ceriseto e i vari altri equivalenti nomi locali Ceresara, Ceraseto, Ceregeto ecc.; e Leporano, Perano, p. 108, 417). E qui, come ognun vede, pel distaccarsi dalla cate- goria logica de’ gentilizi si finisce anco-per uscire dalla morfologica de’ nomi in ano. Sicchè non dubito di por ter- mine a questo scriito, con raffermare quello che dissi fin da principio, cioè che questi nomi aventi per suffisso ano, di cui la toponimia italiana ci presenta circa tre migliaia, quando non fossero prodotti da deviazioni morfologiche, come Cornacchiano, Cerisano, debbono, -secondo la regola, connettersi etimologicamente con antichi gentilizi italici, i quali, identificati per tal guisa con tanti nomi locali d’Italia, furono destinati ad avere un eco disteso e inde- terminatamente duraturo, che si tramanda, giù pei secoli, alle inconsapevoli generazioni. cittontimufitone della Memoria del Prof. Vittore. Testa o “iscrizione di Mesa: COMMENTARIO |P3P fm] arto 99. TA 7A IR lo Mesa figlio di Chemòsegad , re di Mo&b, il Dibonita. (lin. 1) La parola 99%, con cui quest iscrizione comincia , è il pronome mascolino singolare della persona prima; esso dunque corrisponde. all’ebraico 2998, dal quale si diversifica. per ciò, ch’esso, a differenza di questo, di- fetta della jod finale. Or questa maniera di scrivere siffatto pronome, cui le grammatiche ebraiche chiamano difettiva, è di regola generale nelle iscrizioni fenicie (2). Essa poi è comune eziandio agli Assiri ed ai Cofti (3), ai quali (1) Si badi, che nel testo ebraico le lettere controssegnate con una lineetta non sono ben certe; quelle poi, che son messe fra parentesi ad angolo retto, vi son poste per congettura. (2) V. le.iscrizioni, Sidon. 1. 3. 12. 13; cit. I, 4; nr, >, Athen. Vado: 24 by 15:15 IL-2X; 3.5: (3) Ganneau, La stele de Dhiban, dans la Revue Archéologique , Paris 1870, Nouvelle. Série, T.21, D. 398; Kaempf, Die Inschrift aus dem Denkmal Mesas Kinigs von Mos, S. ‘10, ultimi il pronome della prima persona è appunto &yox. E che tale debba pur essere la pronuncia di siffatto pro- nome in quest’iscrizione sembrerebbe insinuarlo il fatto che in essa la jod finale non difetta mai in qualsivoglia altra parola, in cui ricorra nel testo ebraico del Codice Sacro. Tuttavia l’essere questo pronome da un’antica iscrizione fenicia, trovata in Abido, presentato nella sua forma com- piuta 729% (1), prova che a torto il Benfey (2) ed il Gesenius (3) ci vietano ricisamente di punteggiare il pro- nome fenicio 9IN , come l’ebraico 793%. PWO per yum, Mesa, difettante della jod, che si trova nell’ebraico (4); difetto frequentissimo presso gli antichi Fenìci, giusta quanto ne attesta e mostra con molti esempi lo Schroder (5), e comune ai Moabiti, secondo che risulta da questa lapide. - Questo nome poì suona salute (6), e deriva dalla radice ywW?, che all’ Hiphfil ha il significato di salvare, ed è quella stessa che com- binata col ©, abbreviazione di mm, ha dato origine ai notissimi nomi di yWM, volgarmente Giosuè, e di YU! , volgarmente Isaia. TnONI"?72 , figlio di Chemoscgad. - La lettura della parola w05, e dell'ultima lettera 7 è indubitata; non certa per contro è la lettera intermedia 2; imperocchè il frammento della lapide posseduto dal Clermont - (1) Schroder, Die phonizische Sprache, Halle 1869, S.143. (2) Benfey, Veber das Verhiliniss der igypt. Sprache z. Semit. Sprachslamme, Leipzig 1844, S.83.84. È dA Gesenius, Lehrgebiude der hebraischen Sprache , Lalla 1817, +. 200. (4) II. Reg. III, 4, (5) Schroder, a. a. 0., S. 118. (6) Gesenius, Lericon, ad h. v. Ganneau (1) è sventuratamente rotto in questo punto e non presenta che poche tracce della lettera 2. — TIW99 poi sarebbe un nome patronimico, composto da Wwo2 ; nome del Dio nazionale de’ Moabiti, e dalla parola xy £ fortuna; suonerebbe dunque colui di cui Chembse è "la fortuna (2). NI "20, re di Moab. - Giusta lo stile dell’ortografia moabita la parola 23% difetta della 3, la quale si trova nella parola ebraica 9x0, corrispondentele. ?93? [mn], i Dibonita. Nel frammento di cotesta la- pida, posseduto dal Clermont-Ganneau, mancano le due lettere inchiuse fra la parentesi, perchè mancavi la scheggia che sussegue alle parole IND Po. - Lo Schlottmann proponeva di riempiere la lacuna leggendo tappa], figlio di Yabni (3) ; nome della radice stessa di N23N , Thabnith, padre di Eschmunazar, re dei Sidonii (4). Con questa sua appellazione Mesa indicherebbe, ch'egli era nipote a Yabnî, padre di Chemoscgàd, suo genitore. - Noldecke per contro (5), Derenbourg (6), Geiger (7), Oppert (8) avvisavano che si dovesse colmare la lacuna leggendovi >99, il Dibonita. - Ulteriori indagini ed (0) CP 918: (2) V. sopra, cap. VIII, 8 2. (3) Schlottmann, Die Siegessiiule Mesa’s, S. 11, Si. (4) V.la citata iscrizione di Eschmunazar presso Schlottman, Die Inschrift Eschmunazars, VI.1,sqq., Halle 1868, S. 80. 83. (5) Noldecke, Die Inscriflt des Kinigs Mesa, S.7. (6) Derenbourg, La stèle de Meschan, dans la Revue Rabbinique, 2. Avr. 1870. (7) Geiger, Die Saule des Mesa, II, in d. Zettschrift der Deutschen Morgenlàndischen Gesellschaft, 24.B., Leipzig 1870, S. 226. (8) Oppert, Inscription de Mesa, dans le Journal Asiatique, T. 15. Paris 1870, pag. 522. n Pl a È lai ARR # re x # sent PSE e ad impronte rilevate (procacciatasi col noto metodo di. calcamento sulla. lapida, prima che la medesima fosse 4 spezzata dagli Arabi), gli svelarono un'asta verticale, che. "a potrebbe benissimo aver fatto parte di una 4, he, sa- “Sd maritana , ossia ebraica primitiva, e tracce assai visibili per della 1 (1). - È dunque avvalorata, per non dire accer- A tata, la lezione *929?M, il Dibonita, la quale ci spiega if così la presenza di questa lapide a Dibòn, patria di Mesa, dove appunto fu trovata, e dove la medesima do- vette essere stata posta ab inizio, non essendo guari pro- babile, che; collocata altrove, sia stata poscia colà tras- portata (2). "a II. brio SI NW FUW . o PP. oo vaX 1l padre mio regnò su Moab trent'anni. (lin: 2) NI 2Y 20 "39%; il padre mio regnò sopra di Moab. La costruzione del verbo : regnò, colla preposizione by, sopra, è al tutto ebraica, e confermata da FROM REIRII esempli (3). I qusw , trenta , a all’ebraico oube. Corre NI a OLE; pi 1379. du] dg (2) Ivi. È. TASSO d (3) Cf. Gen. XXXVII. 8; Jud. IX. 8 42; L Sam. VII. 7. di di XI. 12; XII.42,44; XVI.4; I. Reg. X. 9; XVI. 29; XXII. 52; II. Reg: osservazioni più accurate, fatte dal Ganneau sulla copia. È IX.29: XI.3; Psalm. XLVII.9; Frech. XX. 30. - V. ‘First, l:c., ad Mg e però tra l’espressione moabita e l' ebraica una doppia differenza; 1° cioè la soppressione della *, che vedemmo essere un vezzo de’ Moabiti, comune pure agli Assiri, ai Caldei (1) ed ai Fenîci; 2° il cangiamento della D in }} cangiamento , il quale, facendo terminare in }_ il plu- rale mascolino ebraico D°_ , accenna ad un ravvicina- mento tra il dialetto moabita e il dialetto vuoi arameo e vuoi arabo (2). NW per l'ebraico mIù, anno; dizione questa, cui i Moabiti hanno di bel nuovo comune coi Fenìci (3), nelle cui iscrizioni ricorre spesso la parola NW (4), raramente la parola NIw, per indicare il concetto di anno (5). Il Kaempf ne ravvisa un riscontro nel caldaico NIN , ado- perato in vece di NMIW (6). Del resto non mancano esempli, che mostrino ‘come presso gli Ebrei stessi la } radicale più d'una volta scompaia (7), e ne sono prova fra le altre: 1° MAX per NIN, verità: 2° PR, naso, per IN, dalla radice mos, spiritum naribus efare, donde il caldaico #)9X , faccia, volto; 3° na, figlia, contratto di N93, (14) Cf. Dan. XII.13. - Glaire, Principes de Grammaire hébraique et chaldaique , Paris 1843, p. 212-213. (2) Ganineau, l.c., p.360. (3) V. Schroder, Die phoònizische Sprache, S.106. - First, 1. c., ad v. (4) V. Inscript. Melit. Il; Carthag. II et XI; Sidon. T et Il; Neo-Punic. LXIX. - Of. Schroder, a. a. 0., e Levy, Das Mesa-Denkmal und seine Schrift, Breslau 1871, S. 8. — Ricorre pure nella celebre iscri- zione di Umm-el-Arramid (Ct. Schroder, a. a. 0., e Levy, Phoni- zische Studien, III. 26.32), e su d’un altare di bronzo, ricordato dal De Voguùé, l.c., p.22. (5) Schlottmann, a.a.0., $.42. (6) Kaempf, Die Inschrif auf dem Denkmal Mesas Konigs von Moab, Si42. i | a: (7) Schroder, a. a, 0. X CIALIS rad. 23, donde appunto il daghese nella n, quando prende ; un suffisso, e la forma plurale nia ,cin cui rivive e ri- compare la radicale }, scomparsa; 4° finalmente MON, grano, frumento, per mmwin; come lo dimostra vuoi il daghese nella %Ww, accennante alla } scomparsa, € ‘vuoi l’equivalente caldaico 7°W3M (1), dove la 7, scomparsa nell’ebraico, ritorna e riapparisce (2). Gli è poi pregio dell’opera osservare come in questa iscrizione di Mesa, re moabita, la parola NW, congiunta con un numero superiore al dieci sia al singolare, an- zichè al plurale; il che (dove pure ne abbisognassimo ) sarebbe un nuovo argomento della parentela fra la lingua moabita e l’ebraica, in cui, come in tutte le altre lingue semitiche, è regola generale e costante , che la parola MIU , in istato costrutto nIw, lorchè trovasi congiunta con un numero superiore al dieci, se ne rimanga al nu- mero singolare. III. |a on nzbo . pia Ed io regnai dopo il padre mio. | (Lin. 2-3) Con questo suo inciso e col precedente accenna Mesa al suo regno ed a quello del padre; che poi gli altri suoi antenati abbiano regnato essi pure su Moàb, nol dice. (1) I. Esdr., VI.9. | î (2) V. Gesenius, ll. cc., ad h.v.; Buxtorf, Lezicon Hebraicum et Chaldaicum, ad h. v. . Or poichè da un lato questa sua iscrizione ne disvela e chiarisce apertamente l’indole vanitosa e millantatrice (1), e dall’ altro era costume de’ principi orientali accennare alla dignità regale de’ loro maggiori, e tacerne allora solo quando questi ne difettassero, lo Schlottmann, dal vedere Mesa ricordar solo il nome e il regno del padre suo, e non quello dell’avolo, conchiude che questi non sia stato re di Moàb, e che, fra gli antenati di Mesa, il primo, che cinto abbia il diadema reale, sia stato Chemoscgàd , padre suo (2). — Noi lasciamo indecisa la cosa; giacchè se è vero che la conghiettura del dotto Professore di Halle ha in suo favore l’analogia e il fatto di vari degli antichi re d'Oriente, ad esempio di Belochus, di Sardanapalo , di Salmanasar, di Samas-Hu, di Assarhaddon, fra i re assiri (3); di Artaserse e di Serse fra i re persiani (4); e di Eschmunazar fra i re de’ Sidonii (5); vero è altresì che non mancano iscrizioni di re assiri - e in ispecie di re armeni, che stanno paghi di ricordare il nome del padre, tacendo però quello dell’ avolo , tuttochè al pari di quello avesse cinto il serto reale (6). (1) Kaempf, a. a. 0., S.11. (2) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa’s, S. 14. (3) V. Oppert, Histoire des empires de Chaldée et d’Assyrie d’apres les monumenis, l.c., vol.70, p. 254, 327, 405; vol. 71, p. 39, 126, 208; Les Inscriptions des Surgonides, l.c., vol. 65, p. 201. (4) V. Schrader, Die Assyrisch-babylonischen Keilinschriflen, in d. Zeit. der D.M.G., XXVI B.,.S. 368, 364, 365. (5) V. Schlottmann, Die Inschrift Eschmunazar, Kinigs der Sidonier. Sidi. 190. E | (6) V. Oppert, ll. cc., passim. - Mordtmann, Enizifferung und Erkli- rung der armenischen Keilinschriften von Van und der Umgegend, in d. Z. d. D. M. G., XXVI.B, S. 488, 523, 600. | IMP. Wo: . DNFOMIDIN. TOPI Ed io costrussi questo santuario a Chemòsc sulla Korhhàh. (lin.:3) In questo versetto la parola N93 per MI, in cui la N sta invece della © finale (sebbene si tratti di un nome femminino allo stato, non già costrutto, ma assoluto), è un nuovo indizio dell’affinità tra il dialetto moabita ed il fenicio (1). Quantunque non ne mancano esempi nello stesso ebraico; ed uno bellissimo ci vien pòrto da e con quelle sue parole : VYpI NODI py5S lei E rallegrarono nel tuo cospetto, come l’uomo gongola le nella ricolta (2); dove, sebbene in istato non costrutto, il feminino NMYW sta per BIMOW. E due esempi di N invece di m finale, caratteristica della terza persona femminina, s'incontrano, l’uno nel Deuteronomio (3), dove leggiamo P DANII invece di v ata to) , poichè venuta è meno la mano; l’altro in Ezechiele 4), dove dice che l'eredità ritorna al principe, NWIS NIW, invece di NWI MIUW. La significazione poi di questa parola Noa 3 Qi Pos che dire si voglia, è, come abbiam notato più sopra (5), tanto quella di altura od alto luogo (6), quanto quella di ‘ (1) Kaempf, a.a.0., S.13. — Schlottmann, a.a/0.,58:48)" i (2) deg SIX.-=2. (3) Deut., XXXII. 36. (4) Ezech., XLVI, 17. (5) V. sopra, cap. VII, 8 6. (6) Cf. II. Sam. I. 19. 25, coll. Num. XXI. 28; Jerem. XXVI. 18; Mich. III 12; Ezech. XXXVI. 1. 2. PIRA doi 143 santuario în genere, ed.in ispecie di santuario costrutto în luogo atto (1); e, in amendue i casi, Woo DER suona luogo sacro a Chemòsc. 5 ONT. - Questo pronome dimostrativo fem. sing., NN, sta qui in vece di NNT (2); dizione comunissima fra i Fenìci (3), e non rara fra gli stessi Ebrei, come risulta da varii testi del Codice Sacro (4). L’ortografia di questa pa- rola NNT, in cui la quiescente N si vede conservata, si spiega facilmente da ciò, che, pur fra i Fenìci, l’ & persiste assai più che la” e_la ). wo. a Chemòse. fiojabo) , = in ebraico WI, nella tra- duzione greca de’ LXX Xauos, nella Volgata Chamos = era il Dio nazionale dei Moabiti (5), ed anche degli Ammoniti, secondochè ne insegna il libro de’ Giudici (6). Salomone, come notammo più sopra (7), ne introdusse il culto in Ge- rosolima (8), cui poscia veggiamo abolito tre secoli dopo da Giosìa, re di Giuda (9). (1) Jerem. VII, 31, coll. I. Reg. XI. 7; XIV. 23; JI Reg. XVII. 9; XXI. 3: XXIII. 8. th; È (2) Kaempf, a. a.0., $.13; Schroder, a. a.0., $.158, 160. (3) Vedi, ad esempio, l'iscrizione citata La Eschmunazar, re di Sidone, H. 4; IN. 2. 5; IV. 1.3; V. 1.2; IX.4: come pure l’ /n- script. Massiliens., V. 6. - Cf. Schroder, a.a.0., $..160. (4) Is. XXIII. 7; LVI. 2: Psalm. VII. di; Gen. XLV. 19. (5) Num. XXI. 29; Il. Reg. XXIII. 13; Ter. XLVII. È 13. 46. é (6) Jud. XT. 24.‘ (30 (7) V. sopra; cap. VII, 2 5. i lit £ i (8) I. Reg. XI. 7. (9) II. Reg. XXIII. 13. MEI prspd.bo sam 9) pobn 55 rdrwinoa.ré[o no]a Santuario della salute, perchè salvommi egli da ogni ag- gressore, e mi fe’ pascere lo sguardo nell’umiliazione de’ miei nimici. (lin. 3-4) In fine della linea terza dopo la 2, che sussegue alla parola Mpa, vha una lacuna, la quale si stende sino alle lettere yw) , con cui principia la linea quarta. Si cercò di supplirla in varie e diverse maniere. Il Kaempf inchinerebbe ad inserirvi le parole yws MV. e leggervi ywS )P2. nella città di Lesa (1). A suo credere, sì quel votivo ‘santuario e sì questa lapida di Mesa sareb- bero stati drizzati in questa città, e vi sarebbero stati drizzati per ciò appunto, che nelle acque termali che si trovavano nel suo territorio e che furono poscia sì celebri e frequentate verso il principio dell’éra volgare, avrebbe egli trovato salute e sollievo ai malori che lo travaglia- vano (2). Ma se è vero che, a detta del Pseudo-Gionata (3), del Targum Gerosolimitano (4) e di San Jeronimo (5), Lesa era lo stesso che la Callirrhòe de’ Greci « ubi aquae ca- lidae prorumpentes in mare mortuum defluunt (6) »; se (1) Kaempf, a.a.0., S. 14. (2) Kaempf, a. a. 0. (3) Pseudo-Jonathan apud Winer, Bi5/. Realworterbuch, ad v. Lescha. (4) Targum Hierosol., ap. Winer, l. c. (5) Hieronymus, Quaestiones in Genesim, ad cap. X, v. 19, (6) Hieronymus, l. c. 4, RI 3 etc Si; . ( EE AI VARI. L é BET MP AL Ia RIOT rinomatissima era la virtù medica delle sue acque solfo- rose, attalchè ed Erode il Grande vi si recava a cercar me- dicina al morbo schifoso ed orribile che lo consumava (1), e Plinio lasciava scritto, che ne’ suoi dintorni « est calidus fons medicae salubritatis , Callirrhòe, aquarum gloriam ipso nomine proferens (2) »; - se è vera e giusta l’osserva- zione dell’ Inglese Latham Bevan (3), che rus ; radice di Lesa, equivalente alle parole latine rima, fissura, hiatus (4), s’avviene egregiamente al profondo burrone, lunghesso il quale le acque di Callirrhòe traggono al mare (5); se è vero che pur a’ dì nostri si vede colà una copiosa massa d’acqua calda sgorgare dalla profonda spaccatura d’un’alta e dirupata roccia, e tra i fianchi della medesima, colorati del giallo più vivo (dovuto al deposito di zolfo che i suoi continui sprazzi vi lasciano), precipitarsi nel sottoposto gorgo, e di là fra strette gole crescere per l’aggiunta di altre acque bollenti, che quinci e quindi scaturiscono, e con rapido corso spingersi al mar morto (6); - se è vero che alla virtù ed efficacia delle acque sue salutari accen- nerebbe egregiamente il vocabolo yuò5 , ove, giusta il parer suo (7), ne fosse diritto considerarlo qual contrazione di vu, (composto della preposizione 3, e della radice (1) Joseph. Flav., Antiguit. XVII. 6. 5; De Bello Judaico, I. 33, 5. (2) Plinius, Hist. Nat., V. 6. (3) Lathan Bevan in Smith's Dictionary of the Bible, ad v. Làsha. (4) Gesenius, Thesaurus, p.764; Lexicon ad vv. ywi et vWwo. — Furst, l.c., ad hh. vv. (5) Lynch, Official Report of the United States Expedition to explore the Dead Sea, and the Jordan, Baltimore 1852, pag. 370. (6) Legh in Macmichael’s Journey from Moscow to Constantinople on the years 1817-1818, London 1819, p.181, sqq.; Irby and Mangles, op. cit., p.144-145. i (7) Kaempf7 a. a. O., S. 15. 16. 10 A 146 | Sii vw , salvare, liberare, giovare), quasi diresti, fons (1); h. e. ad salvandum comparatus; - se è vero infine che mal s'appongono coloro, i quali o negano ricisamente, o pon- gono in dubbio che per la strettezza della valle abbiavi potuto esistere in que’ dintorni un qualche villaggio o casale (2); giacchè i cocci di tegole e di stoviglie, come pure le antiche medaglie di rame chè in assai copia vi si trovano (3), dimostrano il contrario; - è vero altresì non essere guari probabile che questa lapida sia stata ab inizio drizzata a Lesa, e poi trasportata a Dibòn per maggior sicurezza od altrettale motivo, e senza punto cangiarvi verbo (4), sebbene essa accenni evidentemente ad un determinato santuario, a cui essa era annessa (5); - come è vero eziandio, che in essa, anzichè fisici do- lori guariti mercè l’azione delle acque termali, Mesa ri- corda pericoli superati e nemici sconfitti mercè l’aiuto di Chemòse. Più probabile sarebbe l'inserzione da esso pure sugge- rita delle parole Pa 'd)i DIpo. « il luogo della salute,», 0, se vuolsi, « della vittoria (6) »; giacchè e lo spazio vuoto sì acconcia benissimo alla medesima, e luogo adattissimo all’erezione di tal fatta monumenti si è per fermo quello, ove fu combattuta la decisiva battaglia, e conseguìto il finale trionfo. - Senonchè il non essere nè in quest’ i- scrizione, ned altrove accennato , che Dibòn sia stato il sito della vittoria riportata da Mesa sovra i suoi nemici, (1) Cf. Habachuch, III. 13. (2) Lathan Bevan, l.c. (3) Irby and Mangles, l.c. — (4) Così il Kaempf, a. a.0., S. 16. (5) Lin.3. - (6) Kaempf, a. a. 0., S. 16. ‘gl Mi Lee 1 fa sì che questa congettura del valente Professore di Praga sì trovi spoglia di sodo fondamento, e non possa perciò ottenere il nostro assenso. Quel dotto nostro compaesano che è il canonico Enrico Fabiani propone di supplire la lacuna leggendo mo »_UN, secondo îl nome mio Mesa, attalchè il senso correrebbe così: Fecî questo altare a Camos nel sacello secondo il nome mio Mesa, perchè mi salvò (1). Le quali parole ne insegne- ‘ rebbero che quel sacello od altare, che dire si voglia, s’avea il nome stesso del Re che l’avea edificato, e che per ciò appunto era stato da esso lui chiamato col suo di Mesa - vo’ dire, del liberato, come inchinerebbe a credere l’Archeologo italiano, o, come tradurrebbero il First (2) e il Gesenius (3), della libertà, o della salvezza, - perchè monu- mento del beneficio largitogli da Chemòsc, il quale avealo salvato da gravi pericoli corsi, e liberato dalle invasioni e dagli assalti di sfidati nimici. In appoggio di questa sua proposta cita egli il fatto dei Daniti, i quali, usciti dei loro confini, combatterono contro Laisc, e, presala e mes- sine a fil di spada gli abitanti, si stanziarono in essa, e la chiamarono Dan, DIP2X 71 DUI, secondo il nome del padre. loro Dan (4): quello di Omrî, re d’Israele, il quale, im- padronitosi del regno di Israele, chiamò la città, cui si fab- bricò per capitale, TMW aiuta IR WLW by, dal nome di Semer, padrone del monte” su cui l’avea edificata , Sama- ria (5); quello infine di Nobà, che, presa Chenath e le castella del suo territorio, la chiamò Nobahh dal nome suo: ni NP (1) Fabiani, La Stela di Mesa re di Moab, Roma Lea p.11. (2) Fùrst, l.c., ad h.v. (3) Gesenius, Thesaurus, ad h.v.; Lezicon, ad h.v. (4) Jos. XIX. 47. i (5) I. Reg. XVI. 24. 147 y Tre 148 Taw3 M3Ì (1), col prefisso 2, quel desso, che ua noi Stela. - Senonchè questi fatti e questi esempli provano bensì, come presso gli Orientali fosse uso dare il proprio o l'altrui nome a questa o quella città, a questo o quell’edi- ficio che si ergesse; ma provano ad un tempo che, dove Mesa avesse voluto esprimere il concetto attribuitogli dal Fabiani, avrebbe dovuto dire: YWN mes ab: NIPN), e lo chiamai dal nome mio Mesa; oppure: YO mwa TENPN, chiamato, secondo il nome mio, Mesa; giacchè in ‘tutti gli da dotti esempi ricorre mai sempre il verbo NP, chia- mare. - S'arroge che, giusta i dati medesimi di quest’i- scrizione, quell’altare, o sacello che dir si voglia, fu chia- mato Mesa, non dal nome del Re che lo eresse, sì dalla salvezza che gli era stata largita da Chemòse. Per la qual cosa noi siamo di credere che ad ogni altra maniera di supplire siffatta lacuna abbiasi a preferire quella proposta dallo Schlottmann (2) e accettata dal Noldecke (3) e dal Ganneau (4), secondo cui dovrebbesi leggere: yWNY NOD, altare di Mesa, ossia altare della libe- razione, « perocchè il Dio, a cui lo ebbi drizzato, mi salvò da ogni periglio, e mi fè guardare con occhio di sprezzo — ì miei nimici ». La quale lezione, mentre s’accorda egre- giamente con quanto e precede e segue, contiene pure uno di quei giuochi di parole cotanto amati dagli Orien- tali (5), in cui il Re pone in rilievo il significato del nome cui egli porta, e il senso e la ragione della denomina- zione dell’altare o santuario da esso lui drizzato e conse- (1) Num. XXXII. 42. (2) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S. 40. (3) Nòldecke, Die Inschrift des Konigs Mesa, S. 9. (4) Ganneau, l. c., p. 380. (5) V. sopra, p. 86. Fr | Seli 989 crato a Chemòsc. - Che più? S’avviene egregiamente come agli usi dell’antico Oriente (1), così ancora alla filologia ebraica, anzi e all’ortografia moabita, giusta la quale la sbarra verticale collocata fra due incisi gli separa ordi- nariamente l’uno dall’altro (2). Così dunque stando le cose, non crediamo di dover pie- gare nè all'opinione del Renan (3), il quale proporrebbe di leggervi ywW[} D°]2, au jour de la victoire (4), nè a quella del Bruston (5), il quale vi pone rU[n >] 3 nella città di Mesa (6).- Tanto più, che nel dì della vittoria, o, se vuolsi, dell’ottenuta salvezza, potè sì Mesa votare quel suo santuario a Chemòsc, non però drizzarlo , ri- chiedendosi a tal uopo l’opera non che di giorni, ma di anni ed anni. Che. poi Dibòn o se vuolsi Korhhàh s’avesse avuto da Mesa o da’ suoi concittadini il nome di YW9 IP, città di Mesa, non consta (7); e certo tanto l’una (8) quanto l'altra (9) viene sempre in tutta quest’iscrizione designata col proprio nome, e non mai con quest’appellativo. - (4) V. sopra, cap. VII, 8 8. (2) Consultinsi i cap. IV e V. (3) Renan, L’/nscriplion de Mescha, dans la Revue archéologique , Nouvelle Série, XXV Vol., Paris 1873, p. 333. (4) Conf. Jes. XLIX. 8. (5) Bruston, L’Inscriplion de Dibon, dans le Journal asiatique, Paris 1873, T. I, p. 327. i (6) Suppone egli, « que Korkha était, à Dibon ou près de Dibon, la cité de Mésha, comme Sion était, à Jerusalem, /a cité de David ». Bruston, l. c. (7) Laddove di Sion consta, che il Sire ebreo « le pose nome, La città di David (II. Sam. V. 9)», e che sotto tal nome era a que’ tempi e conosciuta e designata (Ivi, v. 7; I. Reg. III 4; VIII 4; IX. 24), come lo era pure molti secoli dopo, (cf. Jes. XXII. 9; I. Mach. I. 35; VII. 32; XIV. 36). a (8) V. lin. 21, 28. (9) V. lin. 21, 25. Del resto, la sbarra collocata tra la fine dell’inciso pre- cedente, e la 3, con che comincia questa piccola lacuna, indica sufficientemente, che l’un inciso e, se vuolsi, l’un ordine di idee è separato dall’altro come nell’iscrizione, così nella mente dell’autore (1). Tostm-550 INYWN 15, poiché mi salvò da ogni aggres- sore, oppure, come dice il Fabiani (2), da tutte abiezioni. - Rispetto a questo versicolo noteremo solo di passaggio: 4° che in ba ta) sta YWM invece di MW, per ciò appunto che sì la >, e sì la” scomparvero giusta il vezzo, cui dicemmo comune ai Moabiti ed ai Fenici (3); 2° che, giusta il costume da noi già notato de’ Moabiti , degli Aramei e degli Arabi (pe’ quali la terminazione dei ma- scolini plurali è }-- invece di D°—, terminazione di tali nomi in ebraico), ricorre 7o2Wn invece di psw. (1) Vero è, che « ces barres sont distribuées d'une facon très- » differente de celle que nous concevrions comme la plus naturelle » (Renan, l. c.) »; vero è pure, « qu'il y a plusieurs irrégularités » dans l’emploi de ces signes. Ainsi, il devrait incontestablement » y en avoir un à la ligne 7, après D3y, pour marquer la fin, » non seulement de la phrase, mais du ? 2 tout entier; et cependant » il n°y a pas. A l’inverse, il y en a un è la fin de la ligne 20, où » il est inutile, puisque la phrase n’est pas terminée... De méme, » à la ligne 30, le trait vertical aurait dù étre placé après Beth- » Baal-Meon, et non après Beth-Diblathaim (Bruston, l. c., p. 328) ». — Ma è vero altresì che, lorquando ricorre questa sbarra, separa essa ordinariamente l’un inciso dall’altro, sempre poi accenna al trapasso da un ordine di idee ad un altro. S'arroge che di varie lezioni, delle quali l’una sia conforme all’uso ordinario di questo segno, le altre per contro ne siano disformi, quella vuolsi, in parità di circostanze, a queste preferire; poichè queste hanno solo la possibilità, quella per contro la probabilità di avvenirsi colla vera. , (2) Fabiani, l. c., p. 10. (3) Schroder, a. a. O., S. 118. 154 _ Questo per contro avvertiremo di proposito , che sif- fatta parola lelebi >y ì non s'incontra mai nel Codice Sacro. Laonde il Geiger (1) e l’Hitzig (2), osservando come nel- l’antica scrittura ebraica, comune agli Israeliti egualmente che ai Samaritani, ai Moabiti, ai Fenìci, la lettera M, mem scolpita sur una pietra abbia potuto benissimo, per alte- razione indottavi dalle ingiurie delle stagioni, trapassare nella W, scin, non guari dissimile, inchinano a credere che ab inizio, invece di qoswn, si leggesse 72970, î re. Col qual nome il Geiger reputerebbe indicati i Re alleati di Israele, Giuda ed Idumea: l’ Hitzig, Omrî, Achab, Ochozia, Joràm, Josafàt e il Re di Edòm, vassallo di que- st’ultimo (3), e così tanto l’uno, quanto l’altro trovereb- bero in cotest’iscrizione un'allusione manifesta alle guerre tra Moàb, Israele, Giuda e Edòm, contate nell’ultimo libro dei Re (4). A cotesta lezione si oppone il Néòldecke, siccome quella che farebbe segno d’una soverchia millanteria in Mesa, quasicchè la mano di tutti i re si fosse levata contro di lui, ed egli ne avesse con esito felice sfidate le nimicizie, respinti gli assalti (5). - Noi però confessiamo candi- damente, che questa sua osservazione non può molto sull’ animo nostro; imperocchè la frase apon"b9 P tutti i re, sì limita naturalmente ai circonvicini, anzi a que’ soli che s’ebbero nimicizie e guerre con lui, e per (4) Geiger, Weileres ber die Siule des Mesa’s, a. d. Zeitschrifi der D. M. Gesellschaft, Leipzig 1870, 24 B; S. 243, A. 1). (2) Hitzig, Die Inschrift des Mesha, Heidelberg 1870, S.30. (3) V. Keil, Commentar ber die Biicher der Konige, cap. XXII. v. 46-48, S. 310- 1341, — Cf. II. Sam. VIII. 14; I, Chron. XVIII. 13; I. Reg. XXII. 48; Il Reg. VIII. 20. 21. + (4) IL. Reg. NI, 4-27. (5) Noldecke a. a. 0., S. 9. n LÉ 5 ne da. SPA LARA RA, A mu nf " PE EROI RI SU oe Noe RIABRPENEA de ma Y E Ò i È Pal altra parte nè siffatte dizioni iperboliche sono rare presso gli Orientali (1), nè Mesa, secondochè apparisce da questa sua iscrizione medesima, era alieno da ogni millanteria (2). Nè più valida ci sembra l’obbiezione del Kaempf, il quale, in siffatta dizione collettiva etici , da tutti i re, trovando alcunchè d’indeterminato per rispetto al tempo, allora solo approverebbe cotesta lezione, quando nell’ i- scrizione fosse incerta la 5, con che termina la parola 9, da tutti, sicchè fosse lecito leggervi per conget- tura 7920n 20, dalla mano dei Re (3). - Imperocchè, per tacere che la & in 9”, apparisce chiara e nitida in sulla pietra di che ci occupiamo, pur ieggendo, come vuole il Kaempî, etica nm, dalla mano dei Re, sussiste- rebbe sempre l’indeterminatezza obbiettata del tempo, e farebbe perciò mestieri sottintendervi l’inciso: « Chemòse salvommi dalla mano dei Re, che assalito mi ebbero ». Il quale inciso vuolsi parimente soltintendere nell’intesta- zione da lui citata del Salmo XVIII sciolto da Davide a Jehova, perchè l’aveva salvato DIRU PVI e) MO, dalla mano di tutti i suoi nemici e dalla mano di Saul, che in vari tempi e in varie congiunture n’ebbero insidiata la vita (4). Validissima per contro e decisiva si è la ragione ad- dotta dal Ganneau (5), vo’dire che nell’iscrizione, secon- dochè risulta dalla copia ad impronte saglienti, procaccia- S (1) C£. Loehnis, Grundziige d. bibl. Hermeneutik und Kritik, Giessen 1839, S. 87, ff. - Glassius, Philologia Sacra, p. 285, 1937, sqq. - Jones, Dissertation sur la littérature orientale, trad. frane., Paris 1771. - Garcin de Tassy, La Rhétorique et la Prosodie de l’Orient, pria 1873. (2) Kaempf, a.a.0., S.17. (3) Kaempf, a.a.0. (4) Psalm. XVIII. 1. (5) Ganneau, l. c., p. 380. °, x ha È ra i La Ù . tasi da principio mercè il noto metodo di calcamento (4), leggesi chiaramente e distintamente jarwn , e non paro pli.re. Questa medesima ragione ci stringe a rigettare la pro- posta del Levy, il quale in una sua lettera al Néldecke vorrebbe si leggesse qerwn, spogliatori, predatori in vece di 92, di significato ignoto (2). - Senzachè come nell’antico alfabeto ebraico, chiamato volgarmente samaritano ed anche fenicio, così in quest’iscrizione di Mesa la lamed, 6, ed il caph, XY, hanno sì poca somiglianza da renderne non pur RADO Dante, ma impossibile del tutto, lo scambio. Vero è che nel Codice Sacro non trovasi sostantivo al- cuno, cui s’avvengano le lettere 195w, disposte sì e come sono in quest’iscrizione, e formanti la parola, ch’or si tratta di punteggiare ed interpretare; ma non puossi quinci a giusta ragione inferire nè che questa parola non sia di origine ebraica, nè che, pur mancando nel dizio- nario ebraico, non abbia potuto far parte del dialetto moabita. « Etenim (osserva egregiamente all'uopo nostro » lo Schroder) Vetus Testamentum non totam verborum » hebraeorum copiam exhibere manifestum est (3) ». E lo Schultens: « Omnes, qui aliquid in literatura he- » braica vident, mecum consciscunt magnam veteris lin- » guae partem intercidisse, atque in uno codice, haud » sane voluminoso, neutiquam omnem eius amplitudinem » sese conspiciendam praebere (4) ». Consente il Renan, > (1) V. sopra, p. 13. (2) Noldecke, a. a. 0., S. 38. (3) Schroder, De linguae Pheniciae proprietatibus, Halis 1867, p.8. (4) Schultens, Origines hebraeae, Vindiciae et De Mirra hadierns linguae hebracae , Leyd. 1761, $ 12. uk 53 PR A ad "3 andata 4 CR a detta del quale: « Il est évident que tout jugement porté » sur l’étendue de la langue hébraique ne saurait ètre que » relatif, puisqu'une grande partie des richesses de cette » langue sont perdues pour nous. On en peut juger par » le nombre des &raf eipnuéva (semel dicta) et aussi » par la quantité des racines essentielles, qui se trou- » vent en araméen et en arabe, et qui manquent en hé- » breu (1) » Se non che la radice di questo nome, - la quale, dove pur mancasse nella lingua ebraica, non osterebbe per nulla a che il medesimo potesse trovarsi ed usarsi nel dialetto moabita (niuno ignorando come nei dialetti e nelle lingue madri stesse, ricorrano mai sempre parole di origine e di radice straniera) - non manca per nulla nella medesima. E di vero nel dizionario ebraico noi troviamo la ra- dice Pu, la quale suona abiecit, disiecit, deiecit, ever- tit (2); donde i sostantivi ebraici, n25w, caesio, eversio, deiectio , e su, pellicano , lo Sturzpelikan dei Tedeschi , il xarappàxtns degli Alessandrini, Pelecanus. Bassanus di Linneo (3). - Come dunque da “ew si formò presso gli Ebrei il sostantivo feminino n35w., abbattimento , at- terramento , rovesciamento, distruzione, rovina (4), così potè benissimo presso i Moabiti formarsene il mascolino new, nel senso esso pure di abbattimento, rovina, distruzione, ro- vescio compiuto, e quindi ancora di abbiezione, avvilimento e simili. La qual cosa, a dir vero, succede spessissimo nelle Lingue e nei dialetti affini. Anzi e pur in una me- ay Renan, Histoire générale dés lanques sémitiques, Paris 1855, P. 190 ; (2) V. Buxtorf, Fiirst, Gesenius, ll.cc., ad h.v. QUAL: (3) Gesenius, P'iascuna. ad h. v.j Cassie ad h. v. : asa (4) Cf. Buxtorf, Fùrst, Gesenius, Il.ce., ad hiv. (|; ti a desima lingua s’avvera non di rado: come, ad esempio, nella lingua nostra: abbattimento e abbattitura; vantamento e vanteria; rovinamento e rovina. Che più? Lo stesso sostantivo mascolino “Pv, pelli- cano, sarebbesi potuto, a detta del Kaempf (1), adope- rare metaforicamente, non che dai Moabiti, dagli Ebrei stessi, per indicare un nimico, che, al pari di questo ani- male rapace, guardi insidioso alla preda, e rapido e im- provviso assalga. La qual cosa non torna improbabile per fermo chi consideri per una parte che il pellicanoy ani- male notissimo in Oriente (2), costuma starsene insi- diosa vedetta in su gli scogli, e, come un qualche pesce si appressa alla superficie dell’acqua, scagliavisi sopra, rapido qual folgore, afferralo e vivo vivo lo trangugia (3): ‘e avvisi per l’altra che gli Ebrei solevano col nome di ani- mali o feroci o furenti, denotare qual fra i loro nimici ne imitasse la sevizie, gl’'impeti, la rabbia: che le insidie di questi ragguagliavano alle insidie di quelli (4): che ne (1) Kaempf, a.a.0., $.17. (2) Levit. XI. 17; Deut. XIV. 17. Cf. Robinson, Pal@stina und die stidlich angrenzender Lander, 3. B., S. 534. (3) C£. Oedmann, Vermischte Sammlungen aus der Naturkunde zur * Erklirung der heiligen Schrift, Rostock 1785-96, Heft. III, Kap.7. -- Bochart, Hierozoicon, Francofurthi ad Moenum 1874-75, Part. II, lib.?, cap. 21. — Rosenmiiller, Biblische Alerthumskunde , Leip- zig 1830, 4. B., 2. Abth., S. 308-309. (4) Di vero: a cagione della sua forza e della sua fierezza, secondo che scrive un dotto Tedesco, « leo plerumque accipitur pro tru- » culentis et saevis hostibus, vel tyrannis, Job. IV. 10, Ps. XXII. 22, » XXXV. 17, LVII. 5, LVII. 7; Jerem. IV. 7, V. 6; Ezech. XIX. 2; Nah. » II. 11-12; Soph. III. 2: Il. Tim. IV. 17. Unicornu ob saevitiam et » robur, pro virulentis hostibus, Ps. XXII. 22, Is. XXXIV. 7... Porcus » sylvester seu aper, itidem populi Dei efferatos hostes notat, Ps. » LXXX. 14... Lupus, animal robustum, saevum atque rapax, ho- » mines fortes, feroces,...et crudeles significat, Gen. XLIX. 27..., raffigaravano gli assalti al piombar che fa un augello di rapina sulla sua preda (1) ed effetto di questi dicevano l’esserne inghiottiti vivi (2). A noi però non è punto mestieri ricorrere a siffatte ri- sposte. Imperocchè il parallelismo del comma seguente, in quella medesima che ne avvisa come nella parola, di che si tratta, abbiasi a trovare la significazione di aggres- sore, di avversario, di assalitore, e simili, ci suggerisce di con- siderare cotesto vocabolo come plurale di eu, participio presente del verbo PW , disiecit, deiecit, caecidit, evertit, e punteggiarlo jarÙ, equivalente all’ebraico D'5SW. E di vero il concetto di aggressore, e, che più è, di aggressore pre- valente, tradotto in quello di gittante a terra, è concetto, non che ovvio e naturale, ma al tutto semitico e biblico (3), e 737%, nel senso di aggressori, sarebbe, giusta la bella” osservazione dello Schlottmann (4), simile e parallelo a DTM , persecutori (5), a a DINO (6) e DIN; nimici (7). » Pardus, animal ferox et celerrimum, itidem hostilitatis et saevitiae » notionem metaphoricam obtinet, Jer.V.6.... Bos et taurus vio- » lentum, crudelem et superbum hostem, miseros infestantem, » notat, Ps. XXII. 13; LXVIII. 31 ». Glassius, Phifologia Sacra, Lipsiae 1743, p.1773-1776. (1) Deut. XXVIII. 49. Cf. Midrasch in Gen. XV. 11, dove alle pa- role del testo sacro: « augelli di rapina piombarono su que’ corpi morti », s'aggiunge la nota: "wo? -72 nio 19), la è questa un’al- lusione a Duvid, figlio di Isai. Nota strana per rio ma tuttavia provante come il piombar d’un augello di rapina sovra la preda fosse per gli antichi Ebrei una figura, un simbolo de’ sùbiti ed impetuosi assalti d’un fiero nimico, (2) Ps. CXXIV. 3; Prov.I. 12. (3) Cf. Jerem. XIV. 16; Job. XVIII. 7. (4) Schlottmann, Die Inschrift Mesa’s, a. a. O., S. 259. (5) Psalm. XXI. 16; CXIX. 84. (6) Psalm. XXVII, 11; LIV.3; LIX. 11. (7) Gen. XXII 17; XLIX.8: I Sam. XVIII. 29. ri ii 7 ; A ri it ni — Sian pur dunque incerte come la punteggiatura, così ancora la vera e propria significazione di questo gruppo di caratteri , 19965; oscillino pure gl’Interpreti fra gli astratti: ogni abbiezione, ogni ruina, ogni fatale rovescio, e i concreti: ogni insidiatore, ogni avversario, ogni ag- gressore; certo però e manifesto è il concetto cui esso esprime, e qualunque di queste lezioni e di queste inter- pretazioni si elegga, il senso corrisponderà sempre al concetto parallelo espresso nell’emistichio seguente colle parole : TRI Da, ogai nemico. meo -b53 i Im 9), e perchè mi fe’ pascere con gioia lo sguardo” nella rovina e nell’umiliazione de’ miei nimici. - Di vero tra le varie significazioni che ha il verbo GYM, od anche MNM, far vedere, hiphiil del verbo DAI, vedere, havvi quella di adspectu delectari. « Quae enim placent, os- serva egregiamente il Gesenius (1), his oculis immorari iisque oculos pascere solemus ». E quindi appunto quella sentenza di Salomone: DIN SIEPI Br, non riguardare il vino, quando rosseggia 2). Questa significazione poi esso l’ha sempre, quantunque volte è costrutto colla preposizione 2, in. Se non che, costrutto in siffatta guisa, prosegue il citato lessicografo, « sumitur...saepissime de gaudio, quod ex interitu adversariorum percipitur (3) »; e quindi suona propriamente pascere con gioia lo sguardo nella ruina e nell’umiliazione del nemico. In questo senso appunto Da- vidde, liberato mercè Dio da ogni distretta, cantava fra le altre cose, che « l’occhio suo si pasceva a delizia ne’ suoi nimici: >9°Y MANNI DRD, in inimicis. meis (1) Gesenius, Zezicon, ad h.v. (2) Proverb. XXIII. 31. (3) Gesenius, 1. c. Pr 9 & te Ù A x PEA TA d* Îe SROTI *% wa À n RT, Ie 1) pa o, come acconciamente com- menta il Rosenmiiller, « intuetur inimicos meos oculus meus cum oblectatione dum dignis poenis afficiuntur, postquam eosdem hucusque non absque metu et tremore maximo conspicere potui (2) ». Ed altrove, descrivendo con fati- dico estro ì patimenti del Giusto per essenza, gli mette in bocca queste solenni parole: « uno stuolo di maligni m'ha intorniato: essi m'hanno forato le mani e i piedi; le mie ossa sono scarnificate; ed essi mi rimirano e pasco- lano in me il loro sguardo »: 9937NY n non, (3) ; « ipsi vero intuentur videntque me, prosegue il citato com- mentatore, h. e., adspectant me sic affectum, et hoc spe- ctaculo pascunt oculos suos, voluptatem percipientes de calamitoso statu et misera specie mea (4) ». Ometto non pochi esempli, che sarebbe facile addurre (3). - Ciò piut- tosto dirò, che l’Hiphîil TRIM, 0 RIN, ha conseguen- temente fra gli altri suoi significati { massime allorchè costrutto colla proposizione 3, in, come in quest’ emi- stichio dell’iscrizione di Mesa), quello pure di far sì, ch’altri pasca lo sguardo nella miseria od umiliazione altrui. Queste parole di Mesa: ntowSo5 "IRIMTWII, suo- nano adunque « Chemòsc mi fe’ pascere con gioia lo sguardo nella rovina e nell’umiliazione de’ miei nimici ». - E queste parole, ove si consideri che "RIV è il co- strutto di D°NIW col suffisso della prima persona, sicchè significa « i nemici miei (6) », ci porgono un bellissimo. delectatur oculus meus (1), (1) Psalm. LIV. 9. (2) Rosenmiiller, Scholia, in h.1. (3) Psalm. XXII. 18. (4) Rosenmiiller, Scho!. in h.1. (5) Cf. Psalm. XXXVII. 24; XCI. 8; CXII.8; CXVIII.7; Abd. 12. (6) Exod. 1.10; XXIII. 5; " Deut, IV. 42; VII. 10; XIX. 4. 6. 11; Barca XX. 5; Dan. IV. 16. 1 Pi «had riscontro a quelle parole di Tiavidde” con che, tutto ri- "O promettendosi dal suo proteggitore Iddio, sclamava (1): sa 5 "Na "IR DI, « Deus videre me faciet », h., e. cam ì È voluptate conspiciendos mihi dabit osores meos, debellatos i et poena affectos (2). VI. ® 73) 70 ab na norm Sant no >[noy voy A Surse Omri, re d'Israele, ed oppresse Moab per molti anni. ti \ a (Lin. 4-5) si ; Dopo d’aver narrato ne’ periodi antecedenti come il suo Lasa Dio Chemòsc salvato lo abbia da’ suoi nemici, scende or K Mesa a toccare di taluni di questi, senza però accennare ancora a cosa alcuna delle sue gesta. Abbiamo qui dunque, secondochè scrive egregiamente il De Vogùé: « une nar- » ration rétrospective, une histoire des malheurs de Moàb » sous le joug d’Omri et de son fils Achab, pendant le » rèégne du père de Mesa et les premières années de son » propre règne;...jusqu'au jour où la colère et la pro- » tection de Chamos donnent la victoire aux Moabites (3) ». Sventuratamente v'ha nel testo una breve lacuna, la. pi quale ne stringe a ricorrere ad alcune congetture per : colmarla. - Or poichè, a detta del Ganneau, in sul finire della linea quarta dell’iscrizione originale vha tracce ma- nr ALS (1) Psalm. LIX. 11, E): @) Rosenmiiller, Scho/..in h. 1. iP8 (3) De-Vogié , Notes à la Stele de Moab, dans la Revue Archéola- pa gique, vol. cit., p. 187, not. 1. É VIT DAT pra GELA i } WAY *» ALARE “ti pel i (hi | 160 PI PRRETNNTO: n Pole. La i va nifeste ed incontrastabili d’una fiain, O, seguita da tali oSS x i resti d’una lettera, la quale poteva benissimo essere tanto ds: una nun, VI, quanto una mem, MW; e poichè in principio Be della linea quinta ricorre una jod, 2%, seguita imme- È diatamente da un punto (segno, che, dove ricorre in i A quest’iscrizione, separa sempre un vocabolo dall’altro), Be: unanimemente lo Schlottmann (1), il Levy (2), il Néolde- 20] cke (3), l’Oppert (4), l’Hitzig (5), il Ganneau (6), il Fa- Al biani (7) adottano la proposta fatta dal De Vogùé (8) e dal ci Rawlinson (9) di supplirvi in fine della linea quarta una resc, 4, e leggervi nomri, 44MO, Omrì, re d'Israele. n Tanto più che di Omrî come invasore ed oppressore di È Moàb ricorre poscia di bel nuovo menzione. È Ned osta l’obbiezione mossa dal Kaempf (10), che Omrì cioè non fu il primo ad opprimere Moàb, e che, avendo regnato solo dodici anni (11), Mesa non avrebbe potuto dire di lui, ch'egli oppresse Moàb 729 719°, per anni molti. Doversi dunque le parole di Mesa, anzichè di Omrî e di Achab suo figlio, intendere di Davide che fu proprio il primo ad opprimere Moàb (12), e ne fece diffatto aspro (4) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa’s, S.51; Die Inschrift Mesa's, AR SZ (2) Levy, Das Mesa-Denkmal, S. (3) Noldecke, a. a. 0., S. 10. (4) Oppert, 1. c. (5) Hitzig, a.a.0., S. 20. (6) Ganneau, l. c., p. 362. "gi (7) Fabiani, l.c., p.il. O RES | (8) De-Vogùé, l.c., p.187, not. 1. GE (9) Rawlinson, Record, apud Ganneau, l.e., p. 362. ere (10) Kaempf, a. a. 0., S. 18-19. Sg (11) I, Reg. XVI. 23. (12) II. Sam. VIII. 2; I. Chron. XVIII,2. governo pel volgere de’ molti anni che durò il suo regno (1), e del figlio suo Salomone, del quale si ha tutta ragione di credere che, se pose addosso agli Israeliti dura ser- vitù e giogo incomportabile (2), assai più aggravato abbia la sua mano sovra un popolo straniero. La nain e la mem, lette sul suo stampone da Ganneau, essere il principio della parola OY, sorse, e la jod finale, con che inco- mincia la linea sesta, essere l’ultima lettera della frase antecedente, "W? 32m, il figlio di Isai, nome con che noi veggiamo designato Davidde non pur da Saùl (3), Doèg (4), Nabàl (5), Séba (6), ma da tutto anzi il popolo d’Israele (7). Imperocchè in questa sua iscrizione Mesa non parla di chi ab antiquo oppresse Moàb; sì di chi l’oppresse a’ suoi tempi; di chi gli fu avverso e nimico ; di chi infine gli mosse insidie ed aggressioni, da cui salvato lo ebbe il suo Dio. - Per chi poi ami veramente la libertà e la patria, dodici anni di oppressione e di servaggio son certo molti, checchè ne pensi in contrario il Kaempf; e ai padri nostri, amanti del re e della patria, sembrarono e furono molti per fermo i quattordici anni di forestiero governo, cui in sul principiar di questo secolo subiva il nostro natio Piemonte; e molti pure furono pe’generosi Spagnuoli e pei prodi Tedeschi quei meno assai, che e’ subirono del medesimo giogo straniero. - Senzachè non fu Davide il primo dei re d’ Israele, che abbia domato i Moabiti , (4) IL. Reg. II. 11; I. Chron. XXXIX. 27. i (2) I. Reg. XII.4; I. Chron. X.4. | (3) I. Sam. XX. 27.30.31; XXII.7.8:13. (4) I Sam. XXI, 9. i (5) I. Sam. XXV. 10. (6) II. Sam. XX. 2. (7) II. Chron. X, 16. ETI —_® sibbene Saulle (1): e come, vinti da questo, ritentarono la prova delle armi in guisa da trarre sovra del loro capo una delle più terribili vendette esercitate da Davide contro a’ suoi provocatori (2), così, soggiogati da esso lui e fatti tri- butari (3) poterono certo dar nuovamente di piglio alle armi per rivendicare la propria libertà e indipendenza, cogliendo il destro porto loro dalle continue guerre fratricide tra i Reali di Giuda e que’ d'Israele (4), e in ispecie dalla terribile sconfitta toccata da Geroboamo presso ad Har- Senaràim nelle montagne d’ Ephràim, per cui, snervate le forze d’ Israele e toltegli varie città coi loro territo- rii (59), « Geroboamo non ebbe più potere alcuno ai tempi d’Abia (6). E come la storia tacque di quella prima rivolta, così potè benissimo tacere di quest’altra. Certo in simile guisa, ove, secondochè pensano taluni, fossero stati ve- ramente, un secolo dopo i trionfi di Mesa, soggiogati di bel nuovo da Geroboamo II (7), riconquistarono essi poco stante la loro indipendenza e i territorii che avevano perduto (8). - Niente dunque in siffatta iscrizione ci stringe a correre col pensiero a Davidde, anzichè ad Omrîì, ed | aleggervi: «SRI? 7120 VW) 72M NOP, trasse il figlio d'Isai re d'Israele, ed oppresse Moàb per molti anni ». Tanto più che il poco spazio lasciato vuoto dalla lacuna ricorrente sul fine della linea quarta, a giudicarne così ad occhio (1) Sam. XIV.47. (2) II. Sam. VIII. 2. Conf. XII. 41, coll. X. h. > (3) II. Sam. VIII. 2. (4) I. Reg. XIV. 30; XV. 6-7. 16. 13. (5) II. Chron. XIII. 3-4. 13-19. (6) Ivi, v. 20. 3 (7) II. Reg. XIV. 25. 28. coll. Num. XXXII. 3. 37. 38; Jos. XIII. 15-23. (8) Cf. Is. XV. 2. 4; XVI. 8. 9; Jer. XLVIII. 18-19. 24-24. 32/*94,, 163 e eroce dalle fotografie e dalle riproduzioni che più e più volte si pubblicarono di cotesta iscrizione, non per- metterebbe l'inserzione di tanta copia di parole. Ma se tutti pressochè coloro, i quali tolsero a com- mentare ed illustrare cotesta iscrizione, sono d’ accordo nel leggervi, o, dirò meglio, nel supplirvi come ultime lettere della linea quarta la Y, la 2, la ©, le quali con- giunte colla ®, con che comincia la linea quinta, ci do- nino il nome di My, Omr, di cui, come nimico ed oppressore di Moàb a’ suoi giorni, vien fatta menzione da Mesa nella linea settima di questa sua iscrizione, non sono però d'accordo nel determinare il verbo cui esso si riferisca, proponendone qual l’uno, qual l’altro, tutti però in sostanza equivalenti. Lo Schlottmann in quella seconda edizione e traduzione di cotesta iscrizione (1), cui pubbli- cava nel dotto giornale della Società Orientale di Ger- mania (?), e nelle aggiunte, che ivi stesso annetteva alla medesima (3), inseriva innanzi al nome di MOY, Omri, il verbo may, trasse, mosse, venne armata mano (4), il qual verbo è al tutto ebraico, ed in questo senso appunto ricorre più e più volte nel Codice Sacro (5). Il Noldecke propone di leggervi invece DP, sorse ed anche salì al trono (6); nel qual senso si legge appunto adoperato da Mosè là, dove conta la venuta al trono di quel Faraone, (1) Schlottmann, Die Inschrift Mesa's. - Transcription und Uebersei- zung revidirt nach. ..lelzter Textdarstellung, Halle 1870. (@) S. Zeitschrifl der deutschen morgenlindischen Gesellschaft, Leipzig 1870, XXIV.B., $.253-260. Cf. S.253 f. (3) Schlottmann, Additamenta ber die Inschrift Mesa's, a. a. 0., S. 438-460. (4) C£. Schlottmann, a. a. 0., S. 441.442, (5) Cf. II. Chron. XVI. 1; XII. 2; Jes. VILLA: XXXVI.1. (6) Nòldecke, a.a.0., S. 10. 1640 gi iena. it che fu il primo persecutore del popolo ‘ebreo (1). L' zig (2) propone di leggervi il verbo mOY, il quale, se neutro, significa: sorse (3), venne, salì, montò al trono (4): se preso in senso passivo, suona: fu eletto, fatto , costi- tuito (5); in entrambi i casi s' avviene egregiamente ad Omriì, il quale di privato che era salì al trono, non per di- ritto di eredità, ma per elezione del popolo, che, «stando a campo contro a Ghibbetòn de’ Filistei, e udito come Zimbri avesse fatta una congiura ed ucciso il re (Ela),... quel giorno stesso, costituì re sopra Israele Omrî, capo dell’esercito nel campo (6) ».. Noi, se costretti veramente a scegliere fra queste tre proposte, sebbene a priori inchinatissimi ad accogliere la prima mor, perchè voce, diresti, tecnica, e quella stessa che leggiamo usata da Josaphàt, quando accettò l’invito fattogli da Joràm di trarre ad oste contro Mesa (7); tut- tavia ci crediamo obbligati ad attenerci all'ultima My, siccome quella, che, mentre al par delle altre s'accorda col dizionario ebraico (8) ed è confortata da luoghi pa- ralleli del Sacro Testo (9), più -d’ogni altra concorda con quanto il Ganneau ci attesta apparire nella copia primi- tiva del testo da esso lui posseduta (10). Imperocchè a detta (1) Exod. I. 8. (2) Hitzig, a.a.0., S.21. (3) Jes. III. 13; Dan. XII. 1.13; Ecclesiastes IV. 15. (4) Cf. Dan. VITII. 23; XI.2.3.20. 21. (5) Esdr. X.14; 19w NITITOY?, constiluantur, quaeso, prae- fecti nostri. ME (6) I. Reg. XVI. 15.16. (7) Il. Reg. III.7. (8) Cf. First, lc., ad h.v. — Gesenius, ll. ce., ad h. v, (9) V. le note. 3 e 4 della presente pagina. (10) Ganneau, 1. c., p. 362, Die TL Ae e 9 STI 165 del medesimo, secondochè notammo più sopra, la lettera O, fiain, dopo le parole ‘305-552, con che termina il brano precedente, è chiara e manifesta: probabile, la W, mem. - Non si può dunque leggere collo Schlottmann 760, nialdh, troppo distando in siffatta lezione la let- tera 6, lamed, da quella che nel testo ricorre subito dopo la O, fain, la quale, se una M, nun, vi apparirebbe di- stintamente e chiaramente, e, se una W, mem, vi appa- rirebbe solo incompiutamente. - Medesimamente non si può leggervi col Noldecke WM@ , Kam; avvegnachè, seb- bene, a far della nain samaritana O una Kopf ®, non s'abbia che a trarvi per mezzo una verticale , tuttavia il farlo sareibe un atto d’incomportabile arbitrio, apparen- dovi chiara e netta la O, nain. - Laddove , leggendovi my, si avrebbe e la certissima nain e la non improba- bile mem, e non si avrebbe ad aggiungervi se non una daleth, a cui lascia spazio bastante la lacuna del testo (1) e che si affaccia spontanea al pensiero di chi abbia a completare questo verbo (2). $' arroge che, sì leggendo , ‘avrebbesi nelle parole: Sat 329 MY TOY, una di quelle assonanze che sono sì care agli Ovientali: e questa avrebbesi un riscontro in quella di Giobbe: 2799 NI O MMIP, « come nube, passò via la mia salvezza (3) ». Vero è che in siffatto caso ne sarebbe forza trasportare al verbo quanto dicemmo più sopra porgerne tracce ma- nifeste del nome di Omrì, vo’ dire la rain seguîta da men, - Ma, per tacere che questo inconveniente sarebbe caio a tutte e tre le proposte, certo è che la perdita, che ne risulterebbe, non sarebbe, a nostro credere, molto (1) Cf. Noldecke, a. a. 0., S.10. (2) Hitzig, a.a.0., $.21. (3) Job., XXX. 15. grave, nè tale da farci rinunziare a questa lezione, dove > fi noi riputassimo doverla adottare. Imperocchè a farci in serire innanzi alla * (con che incomincia la quinta linea x*) di siffatta iscrizione e termina il nome del SRI “0, ossia re di Israele, di cui si tratta), le tre leltere TOP, da onde si comporrebbe il nome di Omriì, basta di per sè sola questa jod finale, giacchè in tutta la lista dei Reali di Israele non havvi, fuor di questo, altro nome che ter- sro mini in è (1). Vaggiungi che il nome di Omrî riapparisce nella linea sesta, e vi apparisce senza determinazione di to sorta, e come nome già conosciuto ai lettori. Per la qual cosa noi siamo di credere che questo nome s'abbia a leggere senz’altro nella lacuna ricorrente, e che, RE: dove il De-Vogué (2), il Ganneau (3) e il Bruston (4) ba- dato avessero a queste due stringentissime osservazioni , c CA non si sarebbero contentati di leggervi : Sat 3° OY de 129: 79ì tia DYN, Omri, re di Israele , ed oppresse Mer Moab molti giorni (5): ma avrebbero cercato in principio co del verso un verbo, il quale vi è naturalmente DA a SÙ dalla 1 copulativa del verbo 137", ed oppresse (6). ‘SR certo il bisogno di un verbo, cui si riferisca quel de "N PANI "99. Omri, re d'Israele, fa da esso loro sentito; il perchè tradussero: « ed Omrî fu re d’Israele, ed oppresse Moàb »; non badando però che in tal caso, secondo le forme e leggi della grammatica ordinariamente osservate dai 1) Non contiamo cioè Zimbrì, "MT, siccome quello che regnò solo sette giorni (I. Reg. XV[.15), e perì in quella Thirsàh mede- e. «aa sima, in cui uccise Pià e ne invase il trono (ivi, 10-18). De > SAI 2): De Vogùé, l.c. a (3) Ganneau, l.c. 5 OSE (4) Bruston, L'inseription de Dihon, l.c.., p.330; cf. p.324. Rai (5) Fabiani, l.e., p.il. 1% ; (6) Schlottmann, Additamenta, a. a.0., S.442, Semiti nei loro scritti e da Mesa in questa sua iscrizione , "dovrebbe nel primo emistichio leggersi mM, fuit, factus est. - Nè tuttavia questo verbo cade in taglio all’ uopo nostro; giacchè la jod, che precede immediatamente la frase unit 599; re di Israele, non permette di frap- porlo fra il nome di Omrî e questo suo titolo ; e per altra parte le due prime lettere di questo verbo 444, non hanno somiglianza di sorta colle due MO .che appari- scono in principio di questo verso, e per conseguenza non ci consentono di preporlo al nome di Omrì, e co- minciare col medesimo cotesto inciso. % Poichè dunque un verbo è, in questo primo emistichio, richiesto al tutto e dalla natura dello stile epigrafico , e da quel metodo piano e consueto di costruzione, che ri- corre in tutta questa iscrizione di Mesa; poichè, stando a quanto ne asserisce il Noldecke, pur dopo le due so- vraccennate lettere MO, che appariscono in fine della linea quarta , bleibt auch wohl etwas leerer Raum tibrig , « rimanvi ancora alquanto di spazio vuoto (1) »; poichè ne è ciò confermato , tacitamente almeno, dallo stesso Ganneau, il quale, rigettando la lezione proposta da questo valoroso Tedesco, dice solo che il « Dp devant op, n’existe pas (?) », enon soggiunge quanto nota altrove a pro- posito di una lezione proposta dallo Schlottman per col- mare una lacuna ricorrente poco dopo di questa: « il n'y a pas l'espace nécessaire pour loger ces. . . lettres (3) »; - poi- ‘ chè infine questo verbo non può essere nè il Djp lettovi dal Noldecke, nè l’; mor proposto dallo Schlottmann, nè l' A, introdottovi dal De-Vogié e dal Ganneau e dal Bruston , (1) Noldecke, a.a.0., S.10. (2) Ganneau, l.c., p. 386. (3) Ganneau, l.c., p. 381. giacchè niuno di questi può ammettersi senz’alterare o l’una, o l’altra, ed anche amendue le lettere che si leg- gono in principio di questo comma, vo’ dire la ©, naîn, e la M, nun, o, come altri vogliono, la WM, mem, di cui quella M, nun, sia un resto ; - poichè infine questo verbo non potrebbe neanche essere quel desso , con che incomincia l’emistichio seguente, vo’ dire il verbo 39}, al pinel 53Y, ufflisse, oppresse, depresse (1), che pure soc- correrebbe spontaneo al pensiero, siccome avente e si- gnificazione alattissima e forma convenientissima ai due caratteri, che si leggono sulla copia ad impronte saglienti del Ganneau, nain cioè e nun, — avvegnachè in tal caso la sintassi ebraica avrebbe voluto : Rn "29 ‘NOYNIE 13379? marn IND, oppresse Omri, re d'Israele, Mod, e lo oppresse per molti anni; — noi, considerando la super- stite M, nun, come il resto d’una W, mem, primitiva , vi leggiamo WVWMO, nnamad, MY, surse; verbo, cui ve- demmo consentaneo affatto al fraseggiare del testo ebraico, ed all’amor de’ Semiti per l’assonanza. Nella parola 337%", con che incomincia il secondo comma di questo verso , la prima vau è una vau con- versiva, e conseguentemente il verbo che segue, di fu- turo che sarebbe giusta la sua forma, diventa un per- fetto. La è questa una nuova prova della grande e stretta affinità della lingua moabita coll’ebraica. — Ma se in ciò son d'accordo tutti gli Orientalisti che presero ad illu- strare cotesta iscrizione di Mesa, discordano però, lorchè si tratta di punteggiare il verbo che tien dietro a cotesta vau conversiva. Lo Schlottmann punteggia 197", consi (1) Gesenius, Lezicon, ad h. v. — Cf, Gen. XVI.6; XV. 13; XXI.50; Exod, XXII. 12; Psalm. CI. 24; LXXXVIII. 8. 9) derandolo, a quanto pare, come un hiphnil apocopato del verbo MY, con in fine il suffisso della terza persona sin- golare maschile (1). Il Kaempf per contro, là dove non alieno dal punteggiare di sciurek la vau finale tenendola per un suffisso considera il verbo come pinel, e conse- guentemente punteggia 39Y (2). Entrambi poi traducono del pari l’intera frase: ed oppresse Moab; sendo questa dif- fatto la significazione del verbo M9Y, tanto all’hiphnil (3), quanto al pinel (4). Che se è vero che, ammessa una tale punteggiatura , e considerandosi la vau finale come suffisso, dovrebbesi tradurre l’intero comma: « ed Omrî oppresselo Moàb per molti giorni »; vero è altresì, che questo suffisso annesso al verbo oppresse e seguito immediatamente: dal costui oggetto NOTE, non è altrimenti un solecismo, ma un pleonasmo (5) 0, se vuoi, uno di quegli idiotismi , che come in ogni altra lingua, così pure nell’ebraica vennero introdotti dall’uso (6): Quem penes arbitrium est et ius et norma loquendi (7). Nè certo mancano esempi, i quali ne mostrino come tal fatta pronomi pleonastici fossero in uso presso gli Ebrei (8). Ne basti citare anzitutto quel brano del primo libro di Samuele, in cui narrandosi come David alla corte (1) Schlottmann, Die Zaschrift Mesa's, a.a.0., S.253. (2) Kaempf, a. a. 0., S. 40. (3) CE. I. Reg. VIII.35; II. Chron., VI. 26; Psalm. LV. 20. (4) C£. Gen. XVI. 6; XV.13; XXVI. 50; Exod., XXII.2. (5) Gesenius, Hebréische Grammatik, XIV. Auflage, Leipzig 1845, S. 220: ; (6) Keil, Biblischer Commentar iber die prophetischen Geschichtsbicher des Alten Testament, Leipzig 1864, 2.B., S.162. (7) Horatius, Art. Poetie., v.72. (8) Gesenius, a. a. 0. 169 pro. 15 IIPSIRRA del re Achîs s’infingesse pazzo, fi CI fra le altre ci cose, vd ch’ei si contraffece in loro presenza: TOyvona sun. sv” D°Y2 (1); - poi quel brano dell'Esodo, dove, contandosi della figliuola di Faraone, che, scesa a bagnarsi nel fiume, | e veduta per mezzo la giuncaia la cestella entro cui Mosè era stato esposto dalla madre sua, mandò una sua ser- vente a tòrla, soggiungesi che l’aprì e vide quel bimbo: 35m DX MNM, et vidit ipsum puerum (2); — poscia A quello de’ Proverbi, in cui, ricordandocisi come l’empio sia # ritenuto con le funi del suo peccato, dicesi che POI? VONTA N ma, le iniquità sue prenderannolo l’empio (3); — da ultimo quello di Ezechiele, dove descrivendo una sua visione, e narrando come l'Eterno, seduto sul suo trono sostenuto dai Cherubini, ordinato avesse ad un tale di penetrare infra i medesimi e, riempiutesi le pugna di brace ardente , spargerla sovra la città, soggiunge , che URI het nell’entrar egli quell'uomo , il cortile fu in- ternamente riempiuto da nuvola fitta (4). Noi però preferiamo di gran lunga, siccome più con- forme allo stile comune e piano di siffatta iscrizione, la punteggiatura e per ciò stesso la lezione proposta dal Noldecke (5), ed accettata dal Kaempf (6) e dall’Hitzig (7), secondo cui punteggierebbesi e leggerebbesi 397, dalla radice 19Y,e lo si considererebbe come equivalente di DI” od anche 3Y"), futuro pine!, quello regolare, questo apoco- (4).I, Sam. XXI. 14. (2) Exod. II. 6. o , (3) Proverb., V. 22. (4) Ezech., X.3. (5) Nòldecke, a.a.0., $.32: (6) Kaempf, a.a.0., $.20. (7) Hitzig, a.a.0., $S.21. : pato del verbo M9Y, forma, in cui scambiossi col progredire del tempo l’antica primitiva 59Y. Diffatto nota il Gesenius, che il verbo ebraico My in senso di travagliare sta in vece di 597, verbo di ultima vaw (I), dal quale derivano appunto l'aggettivo 35Y, travagliato, misero, afftitto io l’astratto III, animus demissus, humilitas, mansuetudo (3). Sarebbe dungne 93YN terza persona singolare maschile, coniugazione pinel del verbo 197, travagliare, preceduto dalla vau conversiva, e, congiunto coll’ 2NI7NX seguente, avrebbesi a tradurre puramente e semplicemente, ed 0p- presse Moab (4). — Nè certo deve recar meraviglia, che una forma antiquata presso gli Israeliti siasi conservata usi- tatissima presso i Moabiti, sendo questo un fatto comune e frequente in lingue e dialetti affini (5). In Pivaniehy INN è preposizione che regge l'accusativo; Moàb poi significa e qui e nella linea seconda, nella nona, e nella dodicesima il popolo di Moàb, come Israele suona gli Israeliti, Giuda i Giudei, Ammòn gii Ammoniti, Edòm gli Ilumei, Assur gli Assiri, e via dicendo. (1) Gesenius, l.c., ad h. v. (2) Psalm. IX. 13; X. 12.17; XXII. 27; XXXIV. 3; GXLVII. 6; CXLIX. 4. (3) Cf. Prov. XV.33; XVIII 12; XXII4; Soph.II.3. (4) Gen., XXI. 34. (5) Del resto vuolsi osservare che in tutta quest’iscrizione il suf- fisso della terza persona singolare maschile non è vau, ma he pre- ceduta da Kkolem, e che per conseguenza la Y finale in 99"), non potendosi considerare nè come suffisso per la ragione suddetta, nè come terminazione della terza persona plurale, per esserne al singolare il soggetto che è Omrî, deve necessariamente conside- rarsi come terza radicale del verbo primitivo 39). > a ORIO ala SORT verno si ELEZIONE da a ue: | pg. 8 Nell’adunanza del 28 Giugno p. p. la Classe elesse a “GA Socio nazionale residente il sig. Cav. Vincenzo GaRELLI, Au R. Provveditore agli studi per la Provincia di Torino: na questa elezione venne approvata con Regio Decreto in “i data del 10 agosto 1874. oa "E L’Accademico Segretario Gaspare GORRESIO, a VEIL sot x n° i NALI PE: a ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO paL 1° LueLio AL 31 ortoBRE 1874 Ponateri Mémoires de la Société d’Emulation d’Abbeville ; III série, 1 vol. soc. di Emula. (1869, 1870, 1871 et 1872). Abbeville, 1873; 8°. ‘di AbbevilleRasani Rad Jugoslavenske Akademije Znanosti i Umjetnostij Knijga XXVII, Acc. dee ed Arti = degli Slavi merid, XXVIII. U Zagrebu”, 1874 ; 8°. © Agna Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium ; vol. IV. Id. U Zegrebu, 1874; 8°. Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde etc.; Deel Società n. XXI, Aflev. 1, 2. Batavia, 1873-74; 80. di AL e Notulen van de Algemeene en Beturs-Vergaderingen van het Bata- 1d. viaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XI, n. 2-4. Batavia, 1873-74; 8°. Codicum Arabicorum , in Bibliotheca Societatis Artium et Scientia-. Id. rum quae Bataviae floret asservatorum, catalogum, inchoatum a Doct. R. FRIEDERICH, absolvit, indicibusque instruxit L. W. C. van DEN BER6. Bataviae, 1873; 8°. ‘Monatsbericht der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin; April- August 1874. Berlin, 1874; 8°. Maffeo Società di Scienze nalur. di Berna. __ Accademia «_diSc.,Lett.edArti | —’di Besanzone. __ Ace.delle Scienze _ di Bologna. Società Med.-Chirurgica di Bologna. di Accad, Americ, Vi. |_—«iScienze ed Arti MERC: (Boston). Ul. di Connecticut { Boston). Ateneo di Brescia. - Società d'Agrie. di Breslavia. Id. el progresso __ delle Scienze n) [fgmhcidro). luseo PrABODY “ Da: A ch. ed Etnol. | Americana | (Cambridge). ti gia Acc. di Arti e Sc. Mittheilungen der Naturforschenden Gesellschaft in Bern, aus "ae Jahre 1873; n. 812-827. Bern, 1874; 8°. i Académie des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Besancon; Séance publique du 25 Aoùt 1873. Besancon, 1873; 8°. Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna ; serie terza, tomo IV, fasc. 4; tom. V, fasc. i. Bologna, 1874, 4°. Rendiconto delle Sessioni dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna; anno accademico 1873-74. Bologna, 1874; 8°. 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Id, pr Società dsc Senckenbergiana . di Francoforte, — Municipio i di Genova, — Società di Fisica. e di Storia n di Ginevra, | Soc, di Stor, n e medicina di Heidelber Universit; di Kiel, alta + «< dll #” se Lie Al ld. Secietà Chimica dì Lendra. Assoc. Britannica pel pregresso delle Scienze (Londra). Accad. dì Scìenre Arti e Lettere dì Wisconzio (Madison, Wis). Sec. d'Agricelt. di Wiscoasia (Madison, Wisi. — Secìetà letteraria e filesoica È Manchester, 176 ' GEGORATO The Quarterly Journal of the Geological Society; vol. XXX, n. 118 London, 1874; 8°. The Transactions of the Linnean Society of London; vol. XXVMI, part 4; - vol. XXX, part i. London, 1873-74; 4°. The Journal of the Linnean Society; Botany; vol. XIV, n. 72-73; — Zoology ; vol. XII, n. 37. London, 1873-74; 8°. Additions to the Library of the Linnean Society, ete. ; June 21, 1872, to June 19, 1873; 8°. Lìst of the Linnean Society of London, 1873; 8°, Journal of the Chemical Society; etc. May-July 1874. London, 1874; 8°. 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Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; wi VII, parte 2°. Venezia, 1874; 4°, | LIO LX Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; tomo terzo, R. It, Vene serie IV, disp. 8-9. Venezia, 1873-74; 8°. ( ar i Premii proposti dal Regio Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Id. Arti; 8°. Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona; Pf AI vol. L della serie seconda, fasc. 1-2; - vol. LI, fasc. 1-2. Ve- “o ommercio rona, 1873-74; 8°. di Verona. — Abhandlungen herausgegeben .von der K. K. Geologischen Reichsan- 1I.R.Istit. Geologo stalt; Band VII, Heft 1, 2. Wien, 1874; 40. di Vienna. Ts Jahrbuch der K. K. Geologischen Reichsanstalt zu Wien: Jahrgang Id. = 1874, XXIV Band, n. 2. April-Juin 1874. Wien, 1874; 8°. Verhandlungen der K. K. Geologischen Reichsanstalt; 1874, n. 7-11. Id Wien, 1874; 8°. Report of the United States Geological Survey of the territories : Governo F. V. HaypEN; vol. 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Wa- shington, 1873; 1 vol. 8°. | ——’Governo — *(Washingtoo ) S. M. ‘Pri il Re d’Italia. 130 sa’ È: Lea Pa 4 Ve. Sig. Principe SA B. BONCOMPAGNI, L'Autore. L'A. «Il sig. Sindaco î di Santhià. L'A. L'A. ra; Sig. Cav. __T. CanonICO, i) è id DI __degliSt.Und’Am. 182 | "TA Annual Report of the trustees of the Astor Library of the City New- York. Albany, 1874; 8°. ‘ Flora Brasiliensis; Enumeratio plantarum in Brasilia hactenus de- tectarum, quas suis aliorumque Botanicorum studiis descriptas et methodo naturali digestas etc., ediderunt C. Frid. Ph. DE MartIus, eoque defuncto, successor A. G. EicHLER, etc. fase. LXIV. Lipsiae, 1874; f°. Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche, pubblicato da B. Boncompagni; tomo VI, Indice degli articoli e de’ nomi; tomo VII, Febbraio-Giugno 1874. Roma, 1874; 4°. Dei diritti degli autori di opere dell’ingecno; Studi teorico-pratici dell'Avv. Moise Amar. Torino, 1874; 1 vol 8°. Raccolta di Memorie in appendice alla Cronaca di Virle-Piemonte; per AupRITO G. B. Torino, 1874; 8°. Della vita e degli scritti di Jacopo Durandi ; Discorso del Professore L. BaLLiano. Vercelli, 1874; 8°. Dei segni sensibili nella diagnosi nelle malattie infantili; Prelezione detta dal Dott. G. BerrRuTI nella riapertura del Corso libero di Ginecologia e Pediatria nella R. Università di Torino. Torino, 1874; 8°. Le nove Muse di Erodoto Alicarnasseo, tradotte e postillate da Gia- como BERTINI. Napoli, 1871-72; vol. 2, 16°. Storia della filosofia rispetto alla conoscenza di Dio, da Talete fino ai giorni nostri; del Dott. R. BoBBA; vol. primo. Lecce, 1873; 16°. Della necessità di conservare le Università minori; Considerazioni | di Giuseppe Campori. Firenze, 1874; 8°, Osservazioni e proposte della Facoltà di Giurisprudenza nella Regia Università di Torino intorno al nuovo progetto di Codice penale pel Regno d’ Italia. Torino, 1874; 89. Observations sur le plagioptychus, de M. CHAPER ; avec deux planches Paris, 1873; 8°. De” SA Results (x11) of the Comparisons of the Standards of Length of —Gli.Autori, — England, Austria, Spain, United States etc. ; by Lieutenant-Colonel A. R. GLARKE, under the direction of Major-General Sir Henry JAMES, etc. London, 1873; 49. Relazione sui Musei industriali ; di Giovanni Copazza. Milano, 1874; 80. L'A. Cosmos; Comunicazioni sui progressi più recenti e notevoli della L'A. Geografia e delle scienze affini; di Guido Cora. Vol. Il, n. 1-3. BA Torino, 1874; 8° gr. “ii Revista de Portugal e Brazil ; Directores Luciano CorpEIRO e Ro- 1 Direttori. drigo Alfonso PeQuITO; n. 8. Janeiro de 1874; 4°. The American Journal of Science and Arts; editors and proprietors Gli Editori Professors James D. DANA and B. SIiLLIMAN; third series, vol. Vj; Proprietari. n.30; - vol. VI, n. 31-36 ; - vol. VII, 37-40. New-Haven, 1873-74; 8°. Etudes relatives aux inondations et à l’endiguement des rivières ; L'A, par M. Dausse. Paris, 1872; 1 vol. 4°. 4 Meteorologia Anconitana dal 1° Dicembre 1868 al 30 Novembre 1873 L'A. (secondo quinquennio) ; per l’ Ingegnere Cav. Francesco DE-BosIs. Ancona, 1874; 8° gr. Osservazioni sulle carotidi degli uccelli; per Apelle Dei. Siena, L'A. 1874; 8°. Bullettino d’Archeologia Cristiana ; del Comm. G. B. DE Rossi; anno V, L'A, fasc. 3. Roma, 1874; 8°. Bullettino del Vulcanismo italiano ; Periodico geologico ed archeolo- Il Redattore. gico per l'osservazione e la storia dei fenomeni endogeni nel Sa suolo d’Italia; redatto dal Cav. Prof. Michele Stefano DE Rossi; Giugno-Ottobre 1874. Roma, 1874; 8°. Luci ed ombre; Carmi di Carlo DesrEFANI. Saluzzo, 1874; 1 vol. 8°. L’A. È x - Annali del Museo civico di Storia naturale di Genova, pubblicati per cura di Giacomo Doria; vol. V. Genova, 1874; 8° gr. a L’A, L'A. gp, Gli Autori. 18460 Le Industrie , l’Agricoltura e il Commercio ; Periodico settimanale diretto dai Professori ELIA e PANIZZARDI; n. 26, 28-45. Torino, 1874; 4°. La Questione sociale; di Pietro ELLERO. Bologna, 1874; 1 vol. 8°. Sulla posizione dell’asse di rotazione della terra rispetto all'asse di figura; Memoria di Emanuele FeRGOLA. Napoli, 1874; 4°, Sul colera; Considerazioni e congetture del Dottor Luigi FORNASINI, Brescia, 1874; 24°. L’acido carbonico del Vesuvio; per Diego Franco. Napoli, 1872; 4°. Sul tema proposto dalla R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Modena « Del sistema dei Giurati quale è in Italia, e delle riforme di cui potesse abbisognare, principalmente per ciò che riguarda le cause che diconsi politiche »; Memoria del Cav. An- drea Gatassi. Modena, 1873; 8°. 1l lago di Aral; Dissertazione dell'Ingegnere Luigi Hugues. Torino, 1874; 8°. Per la premiazione scolastica del 14 Marzo 1874 nel Convitto Ali- ghieri; Discorso di Giuseppe Lo Giupice. Messina, 1874; 8° gr. Supplemento alla serie cronologica dei Parrochi di Dronero; di Giuseppe Manurt di S. Giovanni. Saluzzo, otto pagine 8°. Recherches sur la diffusion simultanée de quelques sels ; par M. C, Ma- RIGNAC. Genève, 1874; 8°. Alcune esperienze intorno al glucosio nell'organismo animale; e più specialmente nel periodo della vita intrauterina; pel Dottore A. MoriGgGIA. Roma, 1873; 4°. Isolazione degli osteoplasti umani; per il Professore A. MoriGGIA ed A. BoMPIaNI. Roma, 1874; 8°. Commemorazione storica dell’illastre borgo di Santhià, con anno- tazioni; Discorso del Maestro Pietro Nigra. Vercelli, 1874; 8°, Guide to the Cesnola Collection of antiquities from the Island of © Cyprus, etc.; 18°. Intorno alla resistenza che l’icneumone ed altri carnivori oppongono al veleno dei serpenti, coll’aggiunta di esperimenti dimostranti l’azione funesta del veleno della Mygale olivacea; Nota di Paolo PANncERI. Napoli, 1874; 4°. L’éducation mutuelle; par Frédéric Passy; Conférence faite à Neuilly pour l’inauguration de cours d’adultes, le 12 Février 1874. Elbeuf- sur-Seine; 24°, Sigilli italiani ; editi e illustrati da Vincenzo PromIs. Torino, 1874; 89. Sulle variazioni non periodiche della pressione atmosferica; Memoria del Prof. Domenico RaGONA; parte 1°. Roma, 1874; 40, Versi umoristico-satirici del Dott. Alessandro RalMmonpI; illustrati da Darsani. Torino, 1874; 1 vol. 8°. Biblioteca matematica italiana; per P. RiccaRDI; vol. 1I, fase, 1. Modena, 1873; 49. Domenico Casimiro Promis; Cenni necrologici seritti da Matteo Ricci. Firenze, 1874; 8°. Teosofia di Antonio RosMINI-SERBATI, Prete Roveretano (opere po- stume). Vol. 1-5. Torino, Intra, 1859-1874; 80, Pensieri e dottrine trascelti dalle opere di A. Rosmini, ordinati e annotati in servizio della Letteratura e delle Arti belle dal P. Paolo Perez. Intra, 1870-73; 2 vol. 8° gr. Sulla quantità di lavoro che viene utilizzato nello elettromotore di Holtz; Memoria del Prof. F. RosseTTI. Palermo, 1874; 16°, Diodata Saluzzo ; per Cesare SaLozzo. Torino, 1874; 24°. Carlo Maria Denina; per Cesare SaLuzzo. Torino, 1874; 249, Rivista di Medicina, Chirurgia - e GREToini diretta dal Dottore PALMA DI CESNOLA Sig. Conte L'A, L'AGRS L'A, LA. RR. PP. Rosminiani, Idi GM Id. 186 TO TITCE CPNFIAVSNR O Giornale italiano delle malattie veneree e della pelle, diretto dal vil Il pirettore a i Compilatori. L'A. do , e Sig. Cav. Avv. Vincenzo Promis Mt da sa LA L ti e Id. è Sig. Conte ec Carlo Baupi I DI VESME, vai Id. Ped. ‘ has MILA. L'A. Lo LI L'A. Id. Dott. G. B. SorEsINA, e compilato dai Dottori G. B. SORESINA, A. SCARENZIO e A. Ricorpi, anno IX, fasc. 4. Milano, 1874; 8°. * Sopra la teoria della gradazione delle tinte; Nota di D. TessaRI. Milano, 1874; 8°. Della vita e delle opere del Commendatore Domenico Promis; Me- morie storiche, biografiche e bibliografiche con documenti inediti, pubblicate da Leone TeTTONI. Torino, 1874; 1 vol. 8°. Action of benzyl chloride on laurel camphora (/aurus camphora); by Dr. Donato Tommasi; 8°. New method of preparing toluene ; by Dr. D. Tommasi. 1874; 16°. La Gioventù; ragguagli d’educazione e d'istruzione; anno I-X (1862- 1871). Firenze; 8°. Revue historique de Droit francais et étranger, etc., 1855-1869; Paris; 8°. On the polarization of the radical light; by Prof. Arthur W. WRIGHT. 1874; 8°. Memoria sull’ozono, premiata per concorso internazionale accade- mico del R. Istituto Lombardo ; per Silvestro Zinno. Napoli , 1874; 80. Di un teschio boliviano microcefalo ; Descrizione del Prof. Giovanni Zosa. Milano, 1874; 4°. Il gabinetto di Anatomia normale della R. Università di Pavia, de- scritto dal Direttore e Prof. Giovanni Zosa. Pavia, 1873; 4°. TRA Piias Da; Ra t4 CLASSE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Dicembre 1874. CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Adunanza del 13 Dicembre 1874. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Cav. B. Gasratpi legge alla Classe la seguente sua Memoria SULLA COSSAITE VARIETÀ SODICA DI ONKOSINA. In una delle precedenti sedute il mio collega Professore SPEZIA presentava a quest’ Accademia una sua nota sopra: alcuni minerali da lui scoperti nei calcari cristallini delle Alpi; in questo mio scritto vengo a darle conto di un nuovo minerale trovato in quegli stessi calcari. Ebbi occasione di fare in Piemonte non poche ricerche di oggetti litici più o meno preistorici o di remota età, e più d’una volta mi occorse di notare che non ne aveva trovato pu” uno nel territorio di Torino. Ben sapeva che nell'antica collezione mineralogica già esistente nella sop- pressa Azienda degli Interni, ed ora nella Scuola d’Appli- cazione degli Ingegneri al Valentino trovasi un’ascia di 190 Mo a; pietra che la relativa scritta ed il catalogo dicono pro- veniente dalla collina di Torino. Quell’ascia è di cloro- melanite a tinta chiara e finamente macchiettata.di bianco, non dissimile quindi per la natura della roccia, come non lo è per la forma, da tante altre posteriormente rinvenute nel paese nostro. Tuttavia io non sapeva in qual conto dovessi tenere quell’indicazione di prove- nienza, ignorando da chi fosse stato posto a catalogo l’esemplare. Ulteriori scoperte vennero a provare la esistenza di quelle certe ascie di pietra levigata anche nei dintornî di Torino. Il signor Vincenzo Rosa, giovane distinto ed oggi dottore in iscienze naturali, consegnava, nella prima- vera del 1873, al signor Professore G. StRiveR, onde li rimettesse al Museo Civico, un anello di pietra ed una delle citate ascie. Ambidue sono stati scoperti estraendo l’argilla della quale si fa uso per la fabbricazione dei laterizii in uno stabilimento condotto dal sig. Giuseppe Rosa, fratello del già‘nominato Vincenzo, e situato sulla destra del Po un po’ prima di giungere al territorio di S.. Mauro. Gli scavi si fanno nella stretta zona di suolo che corre fra la strada Torino - Casale ed il piede della collina. V'ha. ivi, in basso, un grosso strato di argilla compatta il quale deve, a parer mio, estendersi su quel banco di grossi ciottoli che al piede della nostra collina si incontra quasi ovunque, ma soprattutto nelle vicinanze dei rivi che da essa discendono. Superiormente allo strato di argilla che. è ben distinto, in quanto che affiora anche nelle escava-. zioni allo stesso scopo aperte a monte e a valle di quella. in discorso, si estende il banco che forma il suolo colti». vabile, costituito di argilla commista a detriti di marna. . ed a ciottoli provenienti dalle attigue falde della collina, nonchè a frammenti di laterizii ed altri prodotti del- l’umana industria. È in questo strato superficiale che furono scoperti l’anello e l’ascia, l’uno distante dall'altro d’una ventina di metri ed alla profondità di un metro circa. Parlando colle persone addette ai lavori di escavazione seppi che negli anni trascorsi vennero trovati nello stesso banco vasi ripieni di ceneri, frammenti di embrici, pietre scritte, raderi di muri, e perfino un crocefisso di ottone. Si vede quindi chiaramente che quel banco superficiale è un suolo rimaneggiato, nel quale oggetti di epoche diverse stanno confusamente insieme. L’ascia è di un lavoro molto finito (V. la Tav. annessa); ha il taglio nettissimo come se escisse ora dalle mani dell’artefice, e presenta verso l’estremità opposta, che lie- vemente si incurva e si fa aguzza, una larga zona di superficie spolita e scabra onde dar presa ai legamenti che dovevano fissare lo stromento al manico. La pietra è una diorite a grana molto fina (afanite) che si vede in posto lungo le nostre prealpi tra la Dora Baltea e la frontiera del Canton Ticino. L’anello (V. la citata tavola) è tagliato in una pietra di color verde chiaro con leggerissima tendenza all'azzur- rognolo. La verga che ricurvandosi forma l’anello è ap- piattita, quasi tagliente sul margine esterno e di molto più ottusa sul margine interno. Sia che abbia servito di smaniglia, sia che appeso a catenella o legaccio servisse di ciondolo, la sua destinazione doveva esser quella di ‘oggetto di ornamento, ed il valore doveva esserne rile- vantissimo (1). (1) Un frammento di consimile anello, ma di dimensioni un po’ Cori Le pa RO. = DI Pi Ro de A SI rio» DOSI Le LI La pietra, come già abbiam detto, è verde chiaro; in la- mine sottili è diafana; ha durezza 2,5, giacchè non è scal- fitta dall’unghia e non scalfisce il calcare. Ha struttura cristallina con più o meno apparente tendenza alla sci- stosità; sulla superficie di levigatura, come su quella di frattura, lascia vedere una grande quantità di laminette esilissime a riflesso perlaceo. Il Professore StRiveR fece un saggio col Pei; sopra alcuni frammenti staccati dall’anello, e trovò che contiene acqua, allumina e silice; da questi risultati non che dal- l'esame mineralogico del minerale conchiuse trattarsi di una mica idrata ossia di un minerale del gruppo delle Margarofilliti (Margarophyillite section. Dana). Visitando qualche tempo prima la miniera di Borgo- franco sopra Ivrea, egli aveva trovato fra le matrici del filone alcuni piccoli esemplari di un minerale perfetta- mente identico a quello dell’ anello. Rovistando poscia la raccolta di rocce delle Alpi occi- dentali da me fatta, io fissai la mia attenzione sopra un minerale che aveva trovato nell’agosto del 1872 al colle Blaisier aperto nel contrafforte che separa la valle del Chisone da quella della Dora Riparia. Questo minerale rassomiglia bensì per un lato a quello di Borgofranco, ma ne differisce per l'assenza delle lami- nette a riflessi perlacei; la sua struttura è quindi più omogenea senza apparente tendenza alla scistosità, la sua superiori, venne trovato dal mio amico Cav. I. IsnarpI nell'alveo del rivo che discendendo dal lato S-E. della nostra collina attra- versa la città di Chieri. È tagliato nel serpentino ed ha ad un di presso la stessa forma di quello: trovato dal signor Ross. Presenta però questo di singolare che sembra essere stato lavorato con istru- mento molto aguzzo, poichè su tutta la superficie si vede una quantità grandissima di punteggiature. i frattura più scheggiosa ed in alcuni casi anche un po’ concoide; è in generale di un verde ancora più chiaro, ‘e sembra che l’esposizione prolungata all'aria tenda a ren- derne la tinta di più in più sbiadita; infatti in alcuni punti la tinta verde si fa man mano più chiara e finisce col divenir bianca. Io desiderava naturalmente di sapere se nella compo- sizione dei minerali di Borgofranco e del colle Blaisier si trovassero differenze eguali in grado di importanza a quelle che si notano nei caratteri esterni. Pregai quindi il nostro collega Professore Cossa a voler studiare chi- micamente i due minerali, e sono lieto di poter qui tra- scrivere la relazione delle analisi che egli per tratto di squisita cortesia volle a mia richiesta su di essi eseguire. « Minerale verde di Borgofranco portante il N° 23817 » della collezione del Valentino. » Ha struttura cristallina finamente lamellare; nella » sua massa trovansi disseminate laminette di aspetto » micaceo, molto fine. È opaco ed appena traslucido sui » bordi; ridotto a sottile laminetta ed osservata col mi- » croscopio svela meglio la sua struttura lamellare. Po- » larizza la luce, ma non si può dalla polarizzazione » trarre alcun criterio certo per istabilire il sistema di » cristallizzazione. » Il colore della sua polvere è bianco. Dr=2,5 Dn= 2,896 » Riscaldato in ischegge sottili sulla fiamma ad alcool » ed anche sulla fiamma di un becco di Bunsen non si » fonde. » Al cannello, a temperatura elevata, si sfoglia e forma una fritta bianco-opaca. a » colorazione azzurra intensa. A i » Riscaldato in tubo chiuso, svolge acqua la Lipari ha “SÉ » una reazione leggermente alcalina. DI » Non è decomposto dall’acido cloridrico. RE: L’analisi chimica diede i risultati seguenti: È She Sane 46,672 4% Alagna ida? SARTI «39,015 14 USsS1d0 TerTico... 200 <> resa 2,015 SO Dada csi Al cura SL sie “gl vare 6,370 A PotaSnai coito ace pregi psp 1,361 he. ACE caiano E 4,910 bi i 100,333 È È » Secondo questa analisi i rapporti tra le quantità di bo » ossigeno contenute nella soda e nella potassa, nel- I » l'acqua, nell’allumina, nell’ossido ferrico e nell’acido » silicico sono presso a poco nata 40 gr 4 Infatti do! Ossigeno Rapporti > Polasaa 4.5, 00310 e Rei .. 1,6440 | 1806001 Rae ‘aa O RR I "0 A, 000D 1 pani ARI Allumina .... 18,1809 Gesido feriipor Sega | 1902 TERRI n-* I24,8891 . . 21 » Considerando l’acqua come avente una-funzione ba- » sica, la composizione di questo minerale potrebbe essere » rappresentata dalla formola Al Si+R Si » Riscaldato sul carbone, dà col prison di en una » » » » » » » » 195 » Minerale verde del colle Blaisier tra la valle del Chisone e quella della Dora Riparia. Questo minerale è simile al precedente di Borgofranco; la sola differenza che io vi potei notare è nella struttura, la quale è bensì egual- mente cristallina, ma non vi si vedono quelle piccole laminelle micacee che rendono scistosa la struttura del minerale di Borgofranco. » La durezza, la fusibilità, il modo di comportarsi cogli acidi e le altre proprietà fisico-chimiche sono eguali. » Il peso specifico (media di tre determinazioni ese- guite colla massima accuratezza) è 2,890, quello del minerale di Borgofranco è 2,896. La piccolissima diffe- renza, oltrechè ad errore di osservazione, può essere attribuita alla diversità di struttura sovranotata ed alla minore quantità di ferro contenuta nel minerale del colle Blaisier. L'analisi chimica diede i risultati seguenti: Silina di ralializti soliti ARER Adlemna iii cin BE boridp, iene dae coaiae pod 06 SS PRRCICAGNO Tot Say TREO ARCORE ROIO ENBRAIEDA Do Calasnà rd aio ia DOSE ACIDA sai earn 100,45 » I rapporti tra le quantità d’ossigeno contenute nella soda e potassa, nell'acqua, nell’allumina e nell’ossido » ferrico, e nella silice sono anche in questo minerale nt bi: 10.412 Infatti Ossigeno apporto, POrANSd. 0 0,1426 soda Asti taesi | 49700,5 Pr ACQUA: 200 SEDE 491.962 SCENE Allumina .... 18,5840 Ossido ‘fentico ‘03180 | 18,9050, rire neo cina peas e È 24,8944....... PE » Stando ai risultati delle analisi, il minerale di Bor- » gofranco e quello del colle Blaisier appartengono senza » dubbio al gruppo delle Miche. La specie mineralogica » che per la sua composizione chimica più delle altre » si avvicina ai minerali suddetti, è a mio parere la Eu- » fillite la quale, ad Unionville nella contea di Delaware » (Pensilvania), si trova, oltrechè cristallizzata, anche in » masse compatte o composte di un aggregato di piccole » laminette o scaglie sottili. A differenza però dell’Eufil. » lite i minerali di Borgofranco e del colle Blaisier non » contengono tracce di calce e di magnesia ». Le analisi dimostrano adunque che in ordine a com- posizione i due minerali sono, se non perfettamente, più che sufficientemente identici; che costituiscono quindi due varietà della stessa specie, le quali CE per struttura, per gradazione di tinta, ecc. Minerale verde dei dintorni di Fenestrelle. Nello scorso lu- glio trovandomi nella valle del Chisone per terminarne il rilevamento geologico, scopersi nel banco di calcare do- lomitico che, a monte di Fenestrelle, si coltiva per ri- | durlo in calce un minerale verde, all’aspetto, quasi iden- tico coi precedenti. La tinta verde di questo minerale è più decisa, più carica che in quelli di Borgofranco e del colle : de i 197 Blaisier ; sottoposto il minerale alla fiamma del cannello, facilmente si fonde rigonfiando in un vetro bianco a diffe- renza dei due precedenti, uno dei quali, quello di Borgo- franco si sfoglia e fonde difficilmente, e l’altro non fa che vestirsi di una leggiera patina di smalto bianco. La du- rezza e la densità sono le stesse dei minerali già descritti. L'analisi eseguita dal collega Cossa diede BITETTO NOR PRETE ATTI a e Ao, RE I tra RIA AA MI SATO Se IALIA e gr pad i Pd Ai Potassa.............,..0...00.. 10,44 BOARA BUSOlE iii IBI0#98 LEO 1: AS Pri gioia DI RARA ira RL 100,41 Paragonando i risultati di questa analisi con quelli delle precedenti si scorge che il minerale di Fenestrelle differisce per composizione da quelli di Borgofranco e del colle Blaisier. Il primo è un idrosilicato di allumina a base di potassa; gli altri due sono idrosilicati di allu- mina a base di soda. i Giacitura dei minerali. Le vene di solfuri, antimoniuri, arseniuri ecc. che costituiscono la miniera di Borgofranco, sono incassate entro ad una roccia abbondantissima di mica, che in generale fu denominata micascisto, ma che in fatto è un vero gneiss sovrabbondante di mica. È la stessa zona di gneiss che nel suo prolungamento racchiude, sul lato opposto della valle, la massa di pirite di Brosso e più in alto quella di magnetite di Traversella. A Bor- gofranco intercalato col gneiss vi è un banco di calcare dolomitico a grana ora grossa ora fina entro al quale a rate ori, la del tt al P- venne aperta una galleria di ricerca (Galleria Garibaldi), ed è fra i rigetti della galleria, nel calcare dolomitico a grana grossa che pochi giorni sono, in compagnia del collega Cossa ebbi la ventura di scoprire alcuni esemplari del minerale; il Professore StRiveR l'aveva trovato entro al calcare cristallino che unitamente alla baritina forma l’abituale matrice del filone. Al colle Blaisier il minerale si trova associato a calcare cristallino ed a quarzo latteo, il tutto formante vene o masse appiattite entro il calce- scisto. Pare che tale associazione sia costante, poichè io la notai sempre anche nei massi erratici di calcescisto nei quali rinvenni il minerale. Finalmente anche a Fenestrelle trovai il mineraie in un banco di calcare dolomitico a struttura finamente granosa. La giacitura generale dei minerali in discorso sarebbe quindi il calcare cristallino dolomitico, e più specialmente quello della zona delle pietre verdi, vale a dire della gran zona dei terreni cristallini superiori o più recenti. Classificazione dei minerali. — Minerali di Borgofranco e del colle Blaisier. — Egli è vero che la composizione di questi due minerali si avvicina a quella dell’Eufillite, e forse ancor meglio a quella della Paragonite e della Pre- grattite, ma i loro caratteri esterni differiscono essen- zialmente da quelli dei tre minerali ora citati, I minerali che stiamo descrivendo sono silicati idrati di allumina; non offrono forme cristalline, non piani di sfaldatura. In generale la loro struttura è compatto-cri- stallina, e quando racchiudono laminette lucenti, queste, a parer mio, vi sono interposte. Notisi che sinora essi furono trovati in rocce cristalline, ricche di Mica, e questo fatto viene in appoggio alla opinione sovra espressa. L'Eufillite ha struttura micacea, la Paragonite e la Pre- grattite sono eminentemente sfaldabili in una direzione (Dana). Tenuto adunque conto della loro struttura, del colore abituale, della densità, della durezza, e soprattutto della giacitura, a me pare che convenga classificarli nel gruppo delle Piniti e ravvicinarli all’Onkosina, non ostante che sia carattere distintivo delle Piniti quello di contenere ; rilevante quantità di potassa. L’Onkosina di Tamsweg (Salisburgo) analizzata da Ko- BELL (1859) ha Du=2, 8, Dr=2. È insolubile nell’acido cloridrico; fusibile con rigonfiamento in vetro incoloro. I risultati dell'analisi fatta dallo stesso KoBELL sono: ILE visuali eg Spaten Bettina nato, dilatati: ec FA IA e e e NR e DUNN ISSIROSITPORO nn 0, 80 I pasa a > ASSAI) Lt e OM 6, 38 Acqua . SEE SU SEND) 99, 00 I minerali di Borgofranco e del colle Blaisier verreb- bero perciò a costituire una specie di Onkosina, nella quale la soda si sostituisce alla potassa. Essi ci fanno conoscere la esistenza di un gruppo di Onkosine che dif- feriscono da quella già nota per la composizione, e vuole quindi essere distinto con nome speciale. Mi è piaciuto dargli quello del nostro collega Cossa verso al quale io corro in debito di riconoscenza per il valido aiuto che egli mi porge nella classificazione delle rocce e dei minerali del nostro paese. Minerale di Fenestrelle. — Questo minerale non differisce dalla Onkosina che in qualche particolare della composi- e SII “ xi zione; parmi quindi sia il caso di chiamarlo coi stesso cr?a Pe A nome. pe Sarebbero perciò due i minerali da aggiungersi al ca- i He talogo di quelli del Piemonte, l’ Onkosina e la Cossaite Bi o specie di Onkosina sodica. È Questi minerali, se non hanno che lieve importanza Tx scientifica, potranno forse porgerci buoni dati per la clas- S. sificazione cronologica dei varii banchi di calcare cristal- lino che frequentemente si incontrano nelle pe interca- lati ad altre rocce cristalline. Sin dal 1869 il Prof. M. BarETTI trovò un minerale di Bi) questo gruppo nel gneiss calcarifero o calcescisto mica- be ceo di Pont nella valle dell’ Orco. Quel minerale non es- i». sendo ancora stato analizzato nòn so se debba classifi- us carlo fra le Onkosine sodiche o fra quelle potassiche. x © $ I - ed n a (Pile per Bee h, , ì RSI Lar FÉ L'n ù) . PP "A LIRE, d L: n #7 € av* w _ » le rep arrgene | 201 se Il Socio Conte Tommaso SaLvaDORI dà lettura alla Classe della seguente sua Nota ornitologica INTORNO AL Genere HERMOTIMIA, RcgB. I. Cenni storici. Il genere Hermotimia fu stabilito dal ReIcHENBACH nell’opera Handbuch speciellen Ornithologie, Scansoriae, Tenui- rostres, p. 285 (1853); esso, in quell’opera, ha per tipo ed unica specie la Cinnyris aspasia, Less., Voy. Coq. t. 30, f. 4 (1826); di questo genere non si trova più fatta men- zione fino al Gray, che, nell’Hand-List of Genera and Species of Birds, I, p. 110 (1869), lo annovera considerandolo come sotto-genere del genere Promerops. La Cinnyris aspasia, Less. dal CABANIS, nel suo Museum Heineanum, I, p. 103 (1850), era stata annoverata nel ge- nere Chalcostetha, che ha per tipo la Nectarinia pectoralis, Temm. (nec Horsr.) (= insigniîs, JARD.). Anche Lord WaLpen (Ibis, 1870, p. 45) ha seguito l’o- pinione del Capanis annoverando la €. aspasia, Less. nel genere Chalcostetha, insieme colla Nectarinia insignis, Janp. Ora io credo che miglior partito .sia quello di separare col ReicnenpacH la C. aspasia dal genere Chalcostetha e di riconoscerla come tipo di un genere distinto. Varie sono le ragioni che a ciò mi persuadono: 1° La Nectarinia insignis ha sui lati del petto ciuffi di piume di un bel color giallo, i quali indicano chiara- mente la sua affinità colle specie del genere Arachnechihra, “È ii che pure di quei ciuffi sono fornite. Questi civ guidi nella C. aspasia e nelle numerose specie affinizizi sog) 2° La coda nella N. insignis è no teva i lunga e distintamente graduata, mentre nel gruppo di specie che ha per tipo la C. aspasia la coda è più breve, subeguale e quasi punto graduata. 3° Le mumerose specie del gruppo della €. aspasia sono tutte proprie della parte Australiana dell’Arcipelago malese, mentre la N. insignis vive nella parte Indiana dello stesso Arcipelago, per cui questa e quelle sono di- stinte anche per ragione geografica. Dopo ciò io credo il genere Hermotimia, RcnB. suffi- cientemente distinto dal genere Chalcostetha, CaB., che si può considerare come l’anello di congiunzione fra i ge- neri Arachnechihra, CaB. ed Hermotimia, Ren. Le specie di questo genere sono ora abbastanza nume- rose e gioverà esaminarle dapprima con ordine cronologico, facendone contemporaneamente una breve rivista storica. (1826). Il Lesson descrive e figura la Cinnyris aspasia (Voy. Coq. Zool. I, p. 676, pl. 30, f.4); egli l’indica come. abitante la Nuova Guinea. sa (1827). Il Lesson torna a descrivere la stessa specie col nome di Cinnyris sericeus (Dict. Sc. Nat. I, p. 21). (1829). Il Lesson descrive ancora una volta il C. seri- ceus (Man. d'Orn. II, p. 43). MIT (1838). Il Lesson, obliando la patria vera di questa specie, la dice di Amboina (Compl. de Buffon, Ois. p. 990). (1839-44). H Salomone MiùLLER per errore chiama la. stessa specie col nome di Nectarinia amasia (Verh. Land-. en Volkenk. p. 22); egli le assegna per habitat Lobo nella N. Guinea, più tardi (p. 110) anche le Molucche, che invece sono abitate da specie diverse. FOCE tal > RE SA D ie LT Lei x £ dada ZAP: aL E I P E RAI FT Regni n re eni 1: Meat | (1846). S. Mirren e ScaLEGEL, in un loro articolo intorno alle Nettarinie dell’ Arcipelago indiano, denominano Necta- rinia aspasia la C. aspasia, Less., e descrivono anche la femmina; inoltre essi riferiscono alla stessa specie gl’ in- dividui delle isole Banda (che sono ancora da identificare), e quelli di Amboina e di Macassar, che appartengono invece a due specie distinte, le quali rispettivamente sono È la N. aspasioides, G. R. Gr., e la N. porphyrolaema, Want. __—(Verh. Zool. Aves, p. 58). ‘ (1850). Il CapaniIs include la C. aspasia nel genere Chal- costetha (Mus. Hein. I, p. 103). (1853). Il RercHENBACH toglie la C. aspasia dal genere Chal- costetha e ne fa il tipo del genere Hermotimia (Handb. spec. É Orn. Scansoriae, Tenuirostres, p. 285); egli ne dà la descri- zione ed anche la figura, copiando quella del Lesson (1. c. t..572, f. 3901). * (1858). Il Gray attribuisce alla C. aspasia gl’individui delle isole Aru, raccolti dal WarLACE, i quali invece, con ogni probabilità, appartengono alla mia Chalcostetha chlo- rocephala (P. Z. S. 1858, p. 173). (1858). Il Gray annovera come specie distinta dalla N. “i aspasia la N. amasia, ma senza darne la citazione originale (P. Z-S. 1858, p. 190). (1859). Il BernstEIN descrive un nido con le uova della C. aspasia, raccolto dal von RoseNBERG nella parte setten- trionale della Nuova Guinea (Journ. f. Orn. 1859, p. 279). (1860). Il Gray descrive la Nectarinia aspasioides d’Amboina, ela N. auriceps di Batchian e di Ternate (P.Z. S. 1863, p. 348). (1863). Il Warrace descrive la Nectarinia proserpina di Bouru (P. Z. S. 1863, p. 32). (1864). Il v. RosenBERG attribuisce alla Cinnyris aspasia, non solo gl’individui della Nuova Guinea, ma anche quelli 14 Ù 5 ., v Mii pera 7 i} ì > tha MI ‘ i PIRRO EIA 204 o À si È.) delle isole Aru, Kei, Ceram ed Amboina; ma con ogni pro- babilità quelli di Aru, come si è detto, appartengono alla Chalcostetha chlorocephala, mihi, quelli di Kei alla C. cAlo- rolaema, mihi, e finalmente quelli di Amboina alla N. aspa- sioides, alla quale appartengono pure gl’individui di Ceram (Journ. f. Orn. 1864, p. 123). (1865). Il Frvsca erroneamente attribuisce al Lesson la N. amasia, e scrive N. aspasinoides invece di N. aspasivides (Neu-Guinea, p. 163). i (1865). Il Warrace descrive la Nectarinia porphyrolaema di Macassar (P. Z. S. 1865, p. 479). (1869). Il Gray annovera nove specie nel sottogenere Hermotimia, cioè: H. aspasia (Less.), H. aspasinoides (G.R. GR.) (scrivi aspasioides), H. auriceps (G. R. Gr.), H. proserpina (Waxx.), H. gray (WaLL.) (che appartiene al genere Necta- rophila), H. porphyloraema (Waxr.), H. zenobia (Less.) (che appartiene al genere Cyriostomus), H. amasia (= aspasia, Less.), H. simplex (G. R. Gr.) (che lo stesso Gray nell’errata dice essere una Myzomela), per cui restano soltanto cinque specie di vere Hermotimiae (Hand-List, I, p. 110). (1870). Queste cinque specie, Cinnyris aspasia, Nectarinia aspasioides, N. porphyrolaema, N. proserpina e N. auriceps sono annoverate da Lord WaLpEN nel suo articolo On the Sun-birds of the Indian and Australian Regions, ma ven- gono attribuite al genere Chalcostetha, insieme colla N. in- signis, Jarp.; egli dice la N. aspasicides dubbiosamente diversa dalla C. aspasia, e descrive la femmina ed i maschi in muta della N. auriceps, fino ad allora ignoti (Ibis, 1870, p. 45-47); finalmente egli ricorda il nome N. amasia, che non sa a quale specie debba essere attribuito (1. c. p. 50). (1872). Il GreseL annovera la C. aspasia, la N. aspasioides, la N. quriceps e la N. porphyrolaema nel genere Ptiloturus (!) "A 205. (Thes. Orn. I, p. 631), e la N. proserpina nel genere Arach- nothera (!) (1. c. p. 402). (1874). Il Meyer descrive tre varietà della Chalcostetha aspasia, abitanti le isole della baia di Geelwink, cioè mafo- rensis, mysorensis e jobiensis, che in verità debbono essere considerate come specie distinte; inoltre egli descrive una Chalcostetha sangirensis di Siao, e finalmente discorre delle N.auriceps, aspasioides, porphyrolaema e proserpina, e special- mente della N. auriceps e della N. porphyrolaema, che egli ha raccolte, e che vorrebbe considerare come varietà della C. aspasia, al pari delle tre delle isole della baja di Geelwink, Sitz. k. Ak. Wissensch. zu Wien, LXX (1874). (1874). Il Sarvapori finalmente descrive tre nuove specie: Chalcostetha chlorolaema Aelle isole Kei (cui ora io debbo cambiare il nome chiamandola Hermotimia theresia), C. chlorocephala di Aru e C. goramensis di Goram, che ora riconosco non diversa dalla N. aspasioides ( Annali del Mus. Civ. di St. Nat. di Genova, VI, pp. 77, 78, 85). Presentemente credo che si possano riconoscere, come ben distinte, undici specie appartenenti al genere Hermo- timia, le quali in ordine cronologico sono: 1. (1826) Cinnyris aspasia, Less. 2. (1860) Nectarinia aspasioides, G.R. GR. 3. (1860). » auriceps, G. R. GR. 4. (1863) » proserpina, WALL. 13108 (1865) » porphirolaema, War. 6. (1874) Chalcostetha maforensis, MEYER. 7. (1874) ©» mysorensis, MevER. - 8. (1874) » jobiensis, MEYER. 9. (1874) » sangirensis, Meyer. 10:/(1874)<‘» chlorocephala, SALVAD. 11. (1874) Hermotimia theresia, SALvaD. — e II. Classificazione. Queste undici specie costituiscono un gruppo perfetta- mente naturale; esse sono altrettante modificazioni di una stessa forma fondamentale, e considerando come tipo la specie prima scoperta, cioè la Hermotimia aspasia (Less.), intorno ad essa tutte le altre si aggruppano. I maschi di tutte le specie sono di color nero, più o meno vellutato, con riflessi azzurri, o violacei; tutti hanno il pileo verde splendente, più o meno dorato; tutti pre- sentano la parte anteriore del collo coperta da uno scudo splendente, quasi metallico, e tutti finalmente hanno le piccole cuopritrici delle ali, il groppone ed il sopraccoda con colori metallici, che adornano pure i margini delle timoniere ; il verde splendente, il color blu d’acciaio, il violaceo-porporino ed il color bronzo-rameico adornano splendidamente quelle parti, e presentano tali cambia- menti, sotto le diverse incidenze della luce, che quei colori appaiono e scompaiono, e passano l’uno nell’ altro in modo veramente meraviglioso; riesce perciò difficilis- sima cosa il descrivere i colori delle varie specie, e con- viene designarli con quelli delle più belle pietre preziose e dei più splendenti metalli. Le femmine invece sono molto modeste nei loro colori, ed anch'esse molto somiglianti tra loro, tantochè spesso, senza conoscere la provenienza degl’individui, è quasi im- possibile di determinare con certezza a quale specie esse ap- partengano. Tutte hanno le piume del pileo e della cervice di color grigio col mezzo più scuro, per cui appare un disegno a squame; hanno il resto delle parti superiori olivastre, la gola bianchiccia, il petto e l’addome di color = * giallo pallido, le A scure, coi margini delle cuopritrici superiori e delle remigauti olivastri, e la coda bruno-nera, cogli apici delle timoniere laterali bianchi. Le undici specie note si possono distinguere in due gruppi a seconda del colore delle piccole cuopritrici delle ali, del groppone e del sopraccoda, che in uno è verde splendente puro, più o meno tinto di azzurro, mentre nell’ altro è blu d'acciaio puro, senza ombra di verde. Le specie del primo gruppo sono tutte di color nero vellu- tato con riflessi azzurri; quelle del secondo invece hanno il nero con riflessi porporini; inoltre queste hanno le cuopritrici mediane delle ali nere come le maggiori, ad eccezione dell’H. auriceps, che, come quelle del primo gruppo, ha le cuopritrici mediane di color verde splen- dente, come le minori; finalmente in due specie almeno del secondo gruppo, cioè nell’H. porphyrolaema e nell’H. sangirensis, le scapolari sono nere; ignoro come siano nell’H. proserpina, ma è probabile che anche in essa siano nere, non metalliche. In ciascuno di questi due gruppi si distingue una specie, che si allontana notevolmente dalle altre del gruppo e dalla H. aspasia, presa come tipo di tutte. Nel primo v'è la Hermotimia theresia collo scudo gutturale verde splendente, che non si trova in nes- sun’altra specie, e nel secondo v'è la H. sangirensis, che da tutte si distingue pel colore bronzo-rameico splendente della stessa regione; per questo carattere essa presenta una certa somiglianza colla Chalcostetha insignis (JARD.). Io ho cercato nel quadro seguente d’indicare i caratteri, pei quali le varie specie si potessero facilmente ricono- scere, avendo avuto cura nello stesso tempo che esse fossero disposte secondo le loro affinità. II. Uropygio et supracaudalibus chalybeis: a. Tectricibus alarum mediis metallicis, uti TIIPOLLDUB ri A iL savivierenie evi 37 CES: _b. Tectricibus AR mediis minime metal- po licis, sed nigris, uti majoribus: a'. Pileo viridi-chalybeo /Wallace/.. ..... 9. » proserpina. d'. RE aureo-viridi: e. i, sresecarisice00 0010. » porphyrolaema. b". Gutture aeneo-cupreo, utrinque supe- rius cyaneo-marginato , inferius vio- laceo-purpureo-marginato...........11. » sangirensis. Clavis specierum generis Hermotimiae : | Li I. Uropygio et supracaudalibus splendide viri- dibus: a. Gutture splendide viridi ...............- 1. H. theresia. b. Gutture minime viridi: «4 > a'. Pileo splendide viridi : i a". Gutture pure chalybeo ............ 2. » aspasioides. d". Gutture plus minusve violaceo-pur- Y pureo: a'". Uropygio et supracaudalibus viri- dibus, vix cyanescentibus...... 3. » aspasta. v''. Uropygio et supracaudalibus viri- dibus, conspicue cyanescentibus: a"". Scuto gutturali violaceo-pur- pureo, usque ad summum pe- ctoris producto et sensim ter- IRIRALO SI CALIBRO. i 4. » mysorensis. b"". Scuto gutturali Vinlato, -pur- pureo, valde breviore et ab- rupte terminato........ ne... D. » Jobiensis. d'. Pileo splendide viridi-griseo ..... . ++. 6. » chlorocephala. ri Pileo rate... AAT 7. » maforensis. . Gutture purpureo-violaceo, utrinque : 3 sa . 2) III. Distribuzione geografica. Queste undici specie costituiscono un gruppo molto na- turale non solo pei loro caratteri, ma anche per la loro distribuzione geografica. Tutte sono confinate nella parte Australiana dell’Arci- pelago malese, ed abitano le numerose isole disseminate nel mare delle Molucche e della Papuasia; Celebes è il limite occidentale, le isole Aru l’orientale; una linea che congiunga le isole Sanghir e quelle della baja di Geel- wink costituisce il limite settentrionale, mentre il me- ridionale sarebbe formato da una linea che congiunga le isole Aru e Macassar, all'estremità meridionale di Ce- lebes; nell’area chiusa entro quei confini sono comprese i moltissime isole, divise in gruppi, ciascuno dei quali è abitato da una, o più specie. Nel quadro seguente è indicata la distribuzione geo- grafica delle varie specie. (i GO ORE CIC 1*7****SIsuO1IS US I ||| ewavjoafydiod e olo erel=etelo s'ola o vile celo col vele e doersresa vurdiosoad I I r|**- dI PERSI CITI CALA) PUPOSS nont7t11*=*sdaopne siria l'alo ei Wlan] e, n'ollororpfu en ellieza0l® o alla e oflo te pisiole * > SISUQIO) LUI arall't s'epl'erelelo coll’ e olo | 1777" *Ieydo2010149 i GOG DOO DOO D65 ZIO IO VOMOIC LOI UIoio) CSI) COIN rt (ei TI SS DISSI ISTRIAN] DI) ARE IIC IC) (0 (1) n'alblia elsl apollo 0 mici VILLA IO MORO TOI eee TODI ca e NES) (RT sisu910sAwI *eel-00lo00|00 000000» ole 0 0]0 000, ol 0000000 *** visedse è o. eolo 0 aloe feet srtperdfeeefto Mepalie eapyosasdee « toa CA MS TOO OOO], CRC TO ISO RTS OO ISIN RI RSS °*** CISO19Y) CI] OULIO H _ . . . . . PI . . . cImdtnoeornoqoeao 19 9IOSI euroquiy UeIYIEg ANeme]es Eens 9[osS] (1YSUES) oEIS AINOIDAN JUIM]990) Ip eleg EIlop [OS] | E2UINL) BAONN WONIL IP oddnis) VNVIOCNI VISVAdYd THIIN TON 1p oddnzo) VNVITVULSOV HNOIDHY ai it Aa # i | probabilmente appartengono all’H. aspasioides. | Dall'esame di questo quadro si possono trarre i se- guenti corollari: 1° Il genere Hermotimia è confinato nella parte austra- liana dell'Arcipelago malese. i 2° Esso non è rappresentato nella parte indiana del medesimo Arcipelago. 4 3° Esso manca nel gruppo di Timor. 4° Anche l’Australia non possiede alcuna specie del genere Hermotimia. 5° Il gruppo di Celebes possiede tre specie: la H. por- phyrolaema in Celebes, e più specialmente nella parte me- ridionale, presso Macassar, la H. sangirensis nell'isola di Siao, e finalmente nelle isole Sula una specie, che il Wattace dice essere l’H. auriceps, ma che potrebbe anche essere diversa da quella di Gilolo, Batchian e Ternate ; io sono indotto a supporre questa cosa considerando come sembri che ogni gruppo d’isole abbia una specie particolare. 6° Nelle Molucche vivono tre specie: la H. auriceps nelle isole di Gilolo, Batchian e Ternate, la H. proserpina nell’isola di Bouru, l’H. aspasioides in Amboina, in Ceram ed in Goram. Il Gray dice che la H. aspasioides trovasi anche in Bouru, ma mi pare poco probabile che essa vi abiti insieme coll’H. proserpina. Non trovo menzionata alcuna specie di Morty. Il von RosensERG dice che la C. aspasia trovasi anche in Ceram, ma sembra invece che si tratti dell’ H. aspa- sioides; inoltre Salomone MiLLER dice trovarsi la N. aspasia anche nelle isole Banda, ma come egli non aveva distinto dalla N. aspasia gl’individui di Amboina e di Macassar, così pure è probabile che diversi dall’H. aspasia siano gl’in- dividui di Banda; questi sono ancora da identificare, ma Di 7° La Papuasia finalmente è abitata da sei specie che sono: 1° L’H. aspasia, che vive nella penisola settentrionale della Nuova Guinea, ed a quanto pare anche in Mysol ed in Waigiou, ma, come si è detto, non in Ceram e neppure in Banda, isole appartenenti alle Molucche; 2% 3% e 4 TH. mysorensis, l’H. jobiensis e VH. maforensis rispettivamente nelle tre isole della Baja di Geelwink, Mysore, Jobi e Mafoor; 5? l’H. chlorocephala nelle isole Aru; e 6° finalmente l’H. theresia nelle isole Kei. Nessuna specie è menzionata di Salawatty, ma è pro- babile che vi abiti VH. aspasia. 8° È un fatto degno di nota che anche i due gruppi, nei quali si dividono le specie di questo genere, sono distinti geograficamente; così tutte le specie del secondo gruppo, cioè quelle col groppone e sopraccoda blu-acciaio, senza ombra di verde (H. auriceps, H. proserpina, H. porphyro- laema ed H.sangirensis), abitano la parte nord-ovest dell’area occupata dal genere Hermotimia, mentre tutte quelle del primo gruppo, cioè col groppone e sopraccoda verde splen- dente, vivono nella parte sud-est della stessa area. 9° Considerando come talora in isole molto vicine tra loro vivano specie diverse, non è improbabile che in un tempo più o meno prossimo si scoprano nuove specie di questo genere, e specialmente in quelle isole nelle quali finora non è stata trovata alcuna specie di questo genere, come sarebbe in Morty; ho già accennata alla probabilità che una specie diversa dall’H. auriceps abiti le Isole Sula. IV. Materiali studiati pel lavoro. I materiali che mi hanno servito per compiere questo lavoro derivano da varie sorgenti : i 1° Dalle collezioni del D’ALBERTIS, fatte nella Nuova Guinea @ nell’ Isola di ei e da quelle del Beccari, fatte nelle isole Aru e Kei; esse comprendono: 1 individuo dell’ H. aspasia di Sorong; 4 individui dell’H. theresia, tipi della Chalcostetha chlorolaema, SALVAD.; 1 individuo giovane dell’H. uri: 1 individuo dell’ H. chlorocephala , tipo della C. chlo- rocephala, SALVAD.; 1 individuo dell’H. aspasioides, tipo della €. gora- mensis, SALVAD. 2.° Dalla collezione del Conte Turati e sono: 4 individui dell’H. aspasia di varie località della N. Guinea, raccolti dal Meyer, come i quattro seguenti: 1 individuo tipico dell’H. mysorensis (MEYER); 1 individuo tipico dell’H. jobiensis (MEYER); 1 individuo tipico dell’H. maforensis (MEvER); 1 individuo tipico dell’H. sangirensis (MEYER); 1 individuo dell’H. porphyrolaema di Macassar, rac- colto dai MEyER; 3 individui dell’H. auriceps, due di Gilolo (uno dei quali raccolto dal Meyer), ed un terzo d’ignota provenienza; 1 individuo dell’H. aspasioides di Amboina. 3.° Finalmente dalla collezione del Museo so nlagiaa di Torino, cioè: 3 individui dell’H. auriceps, d’ incerta provenienza. Per tal modo ho avuto a mia disposizione ventiquattro individui, appartenenti a dieci delle undici specie compo- nenti il genere Hermotimia, una sola restandomene da ve- dere,.la H. proserpina (Watt.); inoltre undici degli indi- vidui esaminati sono tipi di sei specie distinte e di una settima (C. goramensis) identica ad altra già descritta (N. aspasivides). Fio " All’ottimo amico Conte Ercole Turati io devo i più vivi è, ringraziamenti per avermi comunicato tanti individui e Ù tra gli altri i tipi preziosissimi del MEvER, come pure sono Ro: - in dehito di menzionare R. B. SgarpE di Londra, Assi- da stente al Museo Britannico per la parte ornitologica, il ta quale m'ha gentilmente, e nella maniera più amichevole, ") è È Poet i 3 30, 37 VOCE + comunicato alcuni schiarimenti da me richiesti, intorno Fr: a due specie, i tipi delle quali si conservano nello stesso “ Museo Britannico; una di queste è appunto l’H. proserpina A da me non veduta. SÌ È V. Parte descrittiva. gi Gen. HERMOTIMIA, Rc8B. a Bic ( Hermotimia ab Hermotimo, Aspasiae patre (1)). x e Typus. i Hermotimia, RcaB., Handb. spec. Orn. ir | Scansoriae, Tenuirostres, p. 285 (1853)... Cinnyris aspasia, Less. id È, Bu . Cauda mediocri, subaequali, minime gradata; ptilosi uni- formi, migro-velutina; fasciculo plumarum flavo ad pectoris latera, utrinque nullo; pileo splendide viridi, plus minusve aurato; gutture splendido; teciricibus alarum minoribus, uro- pygio et supracaudalibus splendide viridibus, vel chalybeis. Hab. Papuasia, Moluccis et Celebes. Sp. 1. Hermotimia theresia, SALVAD. Tav. f. 1. ? Cinnyris aspasia, RosenB., Journ. f. Orn. 1864, p. 123 (partim). (1) Dice il RercnenBAcH: Der Name bedeulel so viel als TATE des Hermotimus, d. h. « Aspasià ». ? Nectarinia aspasia, Finsca, Neu-Guinea, p. 163 (1865) (partim). Chalcosteiha chlorolaema, SALvAD., Ann. Mus. Civ. di Stor. Nat. . di Gen. VI, p. 77 (1874) (nec Nectarinia chlorolaema, Jarp. 0). Nigro-velutina, cyaneo-nitens ; pileo aureo-viridi; gutture, tec- tricihus alarum minoribus et medîis, scapularibus, uropygio et supracaudalibus splendide viridibus; remigibus primartis ni- gro-fuscis, secundartis nigro-cyaneis; tectricibus majoribus ni- gro-cyaneis, anterioribus et tectricibus remigum primariarum subtiliter viridi-marginatis; rectricibus nigro-cyaneis, splendide viridi-marginatis; rostro pedibusque nigris, Mas jun. Pileo et cervice cinereis, plumis medio obseuriori- bus, una tantum aureo-viridi; dorso, uropygio et supracaudalibus - obscurioribus; gula grisea, plumis paucis lateralibus splendide viridibus; abdomine flavido; alis fuscis, olivaceo-marginatis; subalaribus albo-flavidis; cauda obscure nigra; rectricibus late- ralibus tribus utrinque apice cinereis; rostro pedibusque nigris. Long. tot. 0%,125; al. 02,060; caud. 0", 042; rostri 0®,019-0%,020; tarsi 0°, 016. Hab. Isole Kei (Beccari). Ho esaminato cinque individui di questa specie, rac- colti dal Beccari nelle isole Kei, nei mesi di luglio, set- tembre ed ottobre 1873. Quattro sono maschi adulti, e perfettamente simili tra loro, il quinto è un maschio giovane. Questa specie è perfettamente distinta da tutte le altre pel bellissimo color verde splendente puro. dello scudo gutturale, diverso dal verde dorato del pileo, ed ugualis- (1) Non ho potuto rintracciare la descrizione originale di questa specie, che trovo menzionata soltanto nei P. Z. S. 1860, p.118,. Lx ì Ù PRE n dla È È ù i SETTA Pat? Mid ti Pe 216 0 AIAR i simo a quello delle cuopritrici delle ali, delle scapolari, % > del groppone e del sopraccoda. Per le sue dimensioni E questa specie è una delle maggiori. « Sembra probabile che a questa specie si debbano rife-" A y rire gl’individui delle isole Kei, dal von RoseNBERG e dal È FinscH attribuiti alla Cinnyris, o Nectarinia aspasia. i Io sono stato costretto a cambiare il nome a questa i specie, da me recentemente descritta, avendo trovato che ° già esisteva una Nectarinia chlorolaema, JARDINE, e quan- tunque questa e la mia specie appartengano a due ge- neri distinti, tuttavia ho creduto che il conservare il nome chlorolaema alla mia non fosse senza inconvenienti, trattandosi di due specie appartenenti ad un gruppo tanto # naturale qual è quello delle Nettarinie. A mia scusa per 5 avere adoperato quel nome si noti che la Nectarinia chlo- rolaema, Jarp. non esiste nell’ Hand-List del Gray, e che solo l’ho trovata menzionata nei Proceedings della Società Zoologica di Londra, 1860, p. 110, e dubito perfino che vi si trovi per un errore del Gurxey, che forse ha scritto chlorolaema invece di tephrolaema. Comunque sia, sono lieto "ni che una tale circostanza mi porga l'occasione di chia- Sa mare questa bellissima specie col nome della nobile n È signora la Marchesa Teresa Doria, donna di altissimi È. * sensi e madre di Giacomo Dorra, viaggiatore ardito, va- ‘lente naturalista, e felice ordinatore del nuovo Museo ‘Grvico DI Storia NatuRALE DI Genova; a lui molto debbono s le scienze naturali. vt o i ou” 5 ‘Sp. 2. Hermotimia aspasioides (G. R. Gr). vu | ent vd “N . Nectarinia aspasia, S, Murr. (nec Less.), Verh. Land- en Volkenk.p: 110 (1839-18À4). - S. MùLL. et ScaLee., Verh. di lab i CI DEA 217 Zool. Aves, p. 58 (partim) (1846). - Finsc®, Neu-Guinea, p..163 (partim) (1865). Nectarinia aspasioides, G. R. Gr., P. Z. S. 1860, p. 348. - Peuz., Verh. k. k. zool. bot. Gesellsch. in Wien, 1872, p. 427. Cinnyris aspasia, RosenB., Journ. f. Orn. 1864, p. 123 (partim). di . Nectarinia aspasinoides (errore), FixscHa, Neu-Guinea, p.163 (1865). i Nectarinia amasia part., FinscH, op. cit. : Hermotimia aspasinoides (errore), G. R. Gr., Hand-List, I, p. 110, sp. 1356 (1869). Chalcostetha aspasioides, WaLp., Ibis, 1870, p. 45, 46. - Mever, Sitz. k. Ak. Wiss. zu Wien, LXX (nota) (1874). Ptiloturus aspasioides, GieB., Thes. Orn. I, p. 631 (1872). Chalcostetha goramensis, SALvan., Ann. Mus. Civ. di Stor. Nat. di Gen. VI, p. 85 (1874). Hermotimia ML. aspasiae (Less.) similis, sed paulo major, nigredine minus obscura, pileo minus aurato, guiture pure chaly- beo, minime purpurascente ; tectricibus alarum minoribus et me- diis, scapularibus, uropygio et supracaudalibus splendide viri- dibus, paulo cyanescentibus; rectricibus erterius splendide cyaneo- viridi-marginatis ; iride, rostro pedibusque nigris. © Long. tot, 0%,125; al. 02,064; caud. 0%,046; ro- ;" stri 0”, 019; tarsi 0”, 017. | Hab. Amboina (S. MùLLER, WaLLACE); Ceram (v. RosEn- BERG, SWiarpe in litt.); Goram (D’ALBERTIS); Banda (?) (S. MitLer); Bouru (?!) (G. R. Gray). Io ho esaminato due individui di questa specie, uno di Amboina della collezione TuraTI, e l’altro di Goram, rac- colto dal signor. D’ALBERTIS; questo è il tipo della mia Chalcostetha goramensis, che ora, dopo averlo confrontato coll’altro di Amboina, credo dover riferire. alla medesima specie. Se prima non l’ho riferito all’H. aspasioides ciò è derivato dalla brevità e dalla insufficienza della. descri- zione del Gray e dalla mancanza, quando io lo descriveva, d’individui d’Amboina per confronto. Ecco quanto ne dice il Gray: « questo uccello sembra simile alla figura della C. aspasia, data dal Lessow, ma ha il becco molto più lungo ».. Ora questa descrizione non solo è affatto incompiuta ed insufficiente, ma anche erronea, giacchè, secondo che mi scrive lo SHARPE, il tipo della specie, ora esistente nel Museo Britannico, confrontato con individui dell’H. aspasia, presenta piccolissima e non grande differenza nella lun- ghezza del becco; tuttavia questa maggior lunghezza, per “quanto piccola, non superando un millimetro, è reale; anche il von PeLzELN fa notare la maggiore lunghezza del becco di un individuo d’incerta località, che egli attri- buisce all’H. aspasioides. Questa specie differisce dall’H. aspasia pei caratteri sovraccennati, cioè per le dimensioni un po’ maggiori, pel becco un poco più lungo, pel colorito nero dell’ ad- dome meno cupo, e meno vellutato, pel colore del pileo meno dorato, e specialmente per la gola color azzurro acciaio puro, senza color violetto nel mezzo, pel color verde delle cuopritrici delle ali, delle scapolari, del grop- pone e del sopraccoda distintamente tinto di azzurro, e pei margini esterni delle timoniere volgenti all’ azzurro; per questi due ultimi carapicri somiglia all’H. mysorensis ed all’H. jobiensis. Non so comprendere come sia che con queste differenze, ben manifeste, Lord WaLDEN consideri questa specie come dubbia, e forse non separabile dall’H. aspasia. PRETI eriti gl’individui di Banda, dal MùLLER attribuiti alla fw. aspasia; ma al contrario stimo poco probabile che la H. aspasioides, come afferma il Gray, si trovi anche nel- l’isola di Bouru, ove esiste un’altra specie, l’ H. proserpina {(Wax.); forse il Gray ha confuso questa coll’H. aspasioides. f Sp. 3. Hermotimia aspasia (Lrss.) Cinnyris aspasia, Less., Voy. Coq. Zool. I, p. 676, n° 100, pì. 30, f. 4 (1826). - Bp., Consp. I, p. 409 (1850). - BeRNsT., Journ. f. Orn. 1859, p. 279. - Rosens., Journ. f. Orn. 1864, p.123 (partim). Cinnyris sericeus, Less., Dict. Sc. Nat. I, p. 21 (1827). - Td., Man. d’Om. II, p. 43 (1829). — Cinnyris aspasiae, Less., Compl. de Buff. Ois. p. 590 (1838). Nectarinia amasia, MùLL. (errore), Verh. Nat. Gesch. Ned. overz. Bez. Land- en Volkenk. p. 22 (1839- api - G. R. tim; PioZ. S. 1858, p.'190. -.Id:, Cat. B. N. Guin. p. 55 (1859). - Id., P.Z. S. 1861, p. 433. - Watp., De, 1870, p. 50. Nectarinia aspasia, Jarp., Nat. Libr. Sun-Birds, p. 219, 272 (1842). - S. MuLL. et ScHLEG., Verh. Zool. Aves, p. 58, 64, 609 (partim) (1846). - G. R. Gr., Gen. B. I, p. 98, n° 44 (1847). - ScLat., Journ. Pr. Linn. Soc. II, p. 157 (1858). - G. R. Gr., P. Z. S. 1858, p. 190 (partim). - Id., Pin: S.:1859 p155. = Id, /Cat.;;B.N.-Guin. p. 22,65 (partim) (1859). - Id., P. Z. S. 1861, p. 433 (partim. - Finsc®, Neu-Guinea, p. 163 (1865) (partim). Chalcostetha aspasia, CaB., Mus. Hein. I, p. 103 (1850). - .Bp., Not. Coll. Delattre, p. 57 (1854). - Wanp., Ibis, 1870, p. 45. - MeveR, Sitz. k. Ak. Wissensch. zu Wien, LXX (1874). 15 Pg ; i STRINE nr RARI FTSE (È aa Hermotimia aspasia, Rcns., Handb. spec. Orn. Scansoriae Tenuirostres, p. 285, t. 572, I. 3901 (1853). - G.R. GR, Hand-List, I, p. 110, sp. 1355 (1869). i Nectarinia amasia « Less. » FixscH, Neu-Guinea, p. 163 (1865). Hermotimia amasia, G. R. Gn., Hand-List, I. p. 110, sp. 1362 (1869). i : Ptiloturus aspasia, GreB., Thes. Orn. I, p. 6531, 695 (1372). Nigro-velutina, cyaneo-nitens; pileo splendide viridi-awreo ; tectricibus alarum minoribus et mediis, scapularibus, uro- pygio et supracaudalibus splendide viridibus, vin cyanescen- tibus; gutture chalybeo, medio violaceo-purpurascente; remigi- bus nigris; tectricibus majoribus nigris, exterioribus et remigum primariarum subtiliter viridi-marginatis; rectricibus nigris, cya- nescentibus, erterius viridi-marginatis; rostro pedibusque nigris. Foem. Capite obscure cinereo, plumis medio obscurioribus, ci- nereo-marginatis; gula et pectore summo pallide griseis; ab- domine et subcaudalibus flavo-virescentibus; dorso et supracau- dalibus viridi-olivaceis; remigibus rectricibusque fuscis, illis exterius olivaceo-marginatis, his apice albis, duabus mediis exceptis unicoloribus; subalaribus albis; iride brunnea (ex MiLLER). Mas. jun. Pileo cerviceque obscure cinereis; dorso olivaceo ; gula pallide cinerea, plumulis cyaneis micantibus paucis or- nata; abdomine flavido; cauda fusca, rectrice extima utrinque tantum macula apicali cinerea; rostro pedibusque migris. i > Vla ARI Long. tot. 0",115; al. 0”,061; caud. 0",039; ro-. stri 0",018; tarsi 0", 015. Hab. Nuova Guinea, Dorey (Lesson), Lobo (MùLLER), deb - I (estremità meridionale della baia di Geelwink), Nappan | 3 (costa occidentale della baia di Geelwink), Andai (ai piedi dei monti Arfak) (Mever); Sorong (D'ALBERTIS) ; Waigiou ; — Mysol (WALLACE). Baer. 221 Io ho esaminato cinque individui di questa specie, cioè due maschi adulti, uno dei quali di Sorong, raccolto dal signor D’ALBERTIS e l’altro di Nappan; questo ha colori più splendidi del primo, ma del resto sono ambedue simili; ho esaminato inoltre due maschi in muta diversa- mente avanzata, uno di Rubi e l’altro di Andai, i quali partecipano più o meno dell’abito della femmina e del maschio; e finalmente ho esaminato una femmina non perfettamente adulta di Andai; questi ultimi quattro indi- vidui sono stati raccolti dal Meyer, e mi sono stati comu- nicati dal Conte TuRATI. Nella f. 4 della PI. 30 del Voyage de la Coquille, rap- presentante il maschio, non appare differenza fra il color verde splendente del pileo, e quello delle cuopritrici delle ali, delle scapolari, del groppone e del sopraccoda, mentre in realtà quello della testa ha una tinta molto più dorata. Questa specie somiglia particolarmente all’H. aspasioides, all’H. mysorensis ed all’H. jobiensis, ma si distingue da esse pel colore verde splendente, quasi senza tinta azzurra delle cuopritrici delle ali, delle scapolari, del groppone e del sopraccoda; differisce inoltre dall’H. aspasioides per lo scudo gutturale non color blu-acciaio puro, ma vio- laceo nel mezzo, e dalle altre due per la stessa regione, che in esse è quasi interamente violacea. Lord Watupen ha fatto già osservare che le località Celebes ed Amboina, assegnate dal MùLLER a questa specie, non sono esatte, non avendo il MiLLeR riconosciuto le differenze che distinguono V’H. porphyrolaema e VH. aspa- sioides, che abitano rispettivamente quelle località. Così pure credo probabile che gl’individui di Banda non siano - da riferire a questa specie, ma piuttosto all’H. aspastoides.. Gl’individui di Aru, pure raccolti dal WaLLace, e dal Gray 222 UMORE attribuiti a questa specie, con ogni probabilità appar- 0° tengono alla mia H. chlorocephala, e quelli delle isole Kei, menzionati dal von RoseNBERG, sono senza dubbio riferi- bili alla mia H. theresia; finalmente gl’individui di Ce- ram, menzionati dallo stesso von RosenBERG, sono simili a quelli di Amboina (H. aspasioides) (Smarpe in litt.). Dice il MùLLER che questa specie, come la N. pectoralis, Temm. (insignis, JARD.), s'incontra principalmente non lungi dalle coste, in vicinanza delle acque, e che per lo più sta presso il suolo, entro i cespugli e tra le piante acquatiche; essa è assai vivace, ma non sospettosa. Il von RoseNnBERG trovò un nido di questa specie nelle vicinanze della baia di Dorey; esso conteneva due uova. Il BernsTEIN (l. c.) lo descrive nel modo seguente: come quello del Cyriostomus pectoralis (HorsF.) esso era piri- forme, arrotondato, cioè superiormente assottigliato e rigonfio inferiormente; aveva l’altezza di 6 pollici, e nella parte inferiore più grande la larghezza di 2 pollici e !/,, mentre nella superiore, colla quale era attaccato all’ estre- mità di un sottile ramo, da cui pendeva, aveva appena un pollice di diametro. Esso era fatto con foglie pieghevoli e fibre corticali, come anche, specialmente nella parte esterna, con alcune foglie ruvide e piccoli frammenti di legno, i quali materiali erano insieme uniti per mezzo di tele di ragni e fili di larve, coi quali era pure attaccato all'estremità di un ramo. Inoltre sembrava che due foglie esterne, collocate una di contro all’altra, coi loro steli divergenti, costituissero la sua impalcatura principale, e che impedissero il suo.distacco dal ramo. Esso presentava un’apertura d’ingresso, laterale, ovale, di 2 pollici di “a diametro, la quale, non era, come nel nido di altre specie, | difesa da un riparo, avmodo di tettoia, contro la pioggia. Re 223 Le uova erano bianche, lucenti, sparse di alcuni piccoli punti neri, specialmente verso l'estremità maggiore, mentre la minore era bianca candida. Lord Wacpen (Ibis, 1870, p. 50) dice di non essere stato in grado di rintracciare a quale specie si debba riferire il nome Nectarinia amasia, ma io credo di non andare errato riferendolo alla specie presente. La prima volta che appare quel nome è nell'opera Verhandelingen over de natuurlijke geschiedenis der Nederlandsche overzeesche bezittingen, Land- en Volkenkunde, p. 22. Quivi il S. MòùLLER enumerando gli uccelli da lui raccolti nella Nuova Guinea, e più specialmente nel distretto di Lobo, cogli altri men- ziona la Nectarinia amasia e la N. eximia; ora è per me evidente che come la N. eximia ivi menzionata non può essere altra specie che la N. frenata, così la N. amasia deve essere la N. aspasia, e che come relativamente alla seconda il MùLLeR commise l’errore di riferire alla N. erimia gl’individui, che poi egli e lo ScHLEGEL distinsero col nome di N. frenata, così per la prima ne commise un altro, probabilmente dovuto ad un lapsus calami, scrivendo amasia invece di aspasia; è anche possibile che non sia stato un errore del MiLLeR, ma semplice- mente di stampa. E che errore vi sia stato, in un modo, o nell’altro, se ne ha la conferma nella circostanza che nella Monografia posteriore di S. MùLLER e SCHLEGEL delle Nettarinie dell'Arcipelago indiano non si trova più il nome amasia, e nell’altra, ancora più convincente, che nell'indice dei nomi delle specie menzionate nell’ opera (pag. 471) non si trova il nome Nectarinia amasia, ma sibbene quello di N. aspasia ed è citata la pag. 22, dove invece si legge amasia/ Dopo ciò è assai singolare che il FinscH (l. c.) attribuisca la denominazione N. amasia al anche di Amboina! Sp. 4. Hermetimia mysorensis (MEyER). Chalcostetha aspasia var. mysorensis, Meyer, Sitz. k. Ak. Wissensch. zu Wien, LXX (1874). - ScLar., Ibis, 1874, p. 419. P Hermotimia BI. aspasiae Less.) simillima, sed major; guiture et peclore summo violaceo-purpureo, hoc lateraliter paulo chalybeo, inde viridi ; pileo virescentiore, et minus aurato ; tectri- cibus alarum minoribus et mediis, scapularibus, uropygio et supracaudalibus splendide viridi-cyaneis ; remigibus nigris, se- cundariis et tertiariis sub quamdam lucem subtiliter cyaneo- marginatis ; tectricibus majoribus et remigum primariarum nigris, exterioribus subliliter cyaneo-viridi-marginatis j rectri- cibus nigro-cyaneis, cyaneo-viridi marginatis; rostro, pedibusque nigris. Long. tot. 0", 120; al. 0", 065; caud, 0%", 045; rostri 09,020; tarsi 0", 016. Hab. Mysore (Isola della Baia di Geelwink) (MeveR). Io ho potuto esaminare e descrivere uno dei tipi del Meyer, raccolto presso Kordo nel marzo 1873, e mi pare che veramente esso appartenga ad una specie ben distinta dalle altre. Tra i caratteri sopra indicati si noti che in questa specie lo scudo gutturale non termina nettamente, ma gradatamente, e che inferiormente sui lati volge. prima al blu acciaio, e poi al verde nelle ultime PESO sE esterne. La femmina ed il maschio INIT secondo il Mever, a non differiscono da quelli dell’H. aspasia. Lesson, e che indichi questa pretesa specie come propria. È, Sp. 5. Hiermotimia jobiensis (MEYER). Chalcostetha aspasia var. jobiensis, MeveR, Sitz. k. AK. Wis- sensch. zu Wien, LXX, (1874). - ScLar., Ibis, 1874, p. 419. Hermotimia Mi. mysorensis (MEYER) simillima, sed minor, scuto gutturali breviore, pure violaceo-purpureo , et inferius abrupte terminato. Nigro-velulina, cyaneo-micans; pileo splendide viridi; gutture pure purpureo, nulla parte chalybeo; tectricibus alarum mino- ribus ei mediis, scapularibus, uropygio et supracaudalibus viridi-cyaneis; remigibus fusco-nigris; tectricibus majoribus nigris, exterioribus et remigum primariarum via cyaneo-marginatis; rectricibus migro-chalybeis, viridi-cyaneo-marginatis; rostro , pedibusque nigris. Long. tot. 0, 112; al. 0", 062; caud. 0", 042; rostri Om, 018; tarsi 0%, 015. Hab. Jobi (MEYER). Anche di questa specie ho potuto esaminare uno dei tipi del Meyer raccolto presso Ansus nell’isola di Jobi nell’aprile. 1873. Esso somiglia moltissimo all'individuo . della specie precedente da me esaminato; ma, come os- .serva il MeyER, in esso lo scudo gutturale non scende tanto in basso, e termina con una linea netta come nel- VH. aspasia; inoltre quello scudo gutturale è di color porporino splendente puro, senza traccia di azzurro e di verde. Secondo il Meyer la femmina ed il maschio Fomna non differiscono da quelli dell’ H. aspasia. Sp. 6. Hermotimia chlorocephala (SALvaD.) ? Nectarinia aspasia, G. R. Gr. (nec Less.), P.Z.S. 1858, p.173 (ex Aru). —? Id., Cat. B. N. Guin. p. 22, 55 (partim) (1859). — ? Id., P. Z. S. 1861, p. 433 (partim). — ? FinscH, Neu-Guinea, p. 163 (1865) (partim). ? Cinnyris aspasia, Rosen. , Journ. f. Orn. 1864, P. 123 (partim). Chalcostetha chlorocephala, SALvaD., Ann. Mus. Civ. di Stor. Nat. di Gen. VI, p. 78 (1874). Nigro-velutina; pileo splendide viridi-griseo; tectricibus ala- rum minoribus et mediis, scapularibus, uropygio et supracau- dalibus splendide viridibus, sub quamdam lucem cyanescentibus; guiture splendide violaceo-purpureo; gula lateraliter cyanescente; remigibus fusco-nigris; tectricibus alarum majoribus migris, ex- terioribus et remigum primariarum subtiliter viridi-marginatis ; rectricibus nigro-cyaneis, marginibus splendide viridibus ; iride, rostro, pedibusque nigris. Long. tot. 0%, 115; al. 0", 063; caud. 0", 038; rostri 0, 018 circa (i); tarsi 0”,014. Hab. Isole Aru (WaLLacE (?), Beccari), L’unico individuo, che io ho potuto esaminare di questa specie, è stato raccolto dal Beccari nelle isole Aru (Vokan) il 28 maggio 1873. Questa specie è particolarmente caratterizzata dal cloni verde-grigio splendente e senza tinta dorata del pileo; lo scudo gutturale è violetto-porporino, ma la parte superiore, cioè la gola, verso i lati passa al color azzurro-acciaio . Essa somiglia notevolmente all’ H. jobiensis, dalla quale (1) Il becco manca della ‘punta. tati 227 differisce pei caratteri sopra indicati, ed anche pel colore verde splendente meno tinto di azzurro delle cuopritrici delle ali, delle scapolari, del groppone e del sopraccoda. Molto probabilmente gl’individui di questo genere rac- eolti dal WaLrace nelle isole Aru, e dal Gray attribuiti alla N. aspasia, appartengono a questa specie. Sp. 7. Hermotimia maforensis (Meyer). Chalcostetha aspasia var. maforensis, Meyer, Sitz. k. Ak. Wissensch. zu Wien, LXX (1874). - SaLar., Ibis, 1874, p. 419. Pileo aureo; gutture obscure chalybeo-violaceo ; uropygio et supracaudalibus viridi-cyanets. Nigro-velutina cyanescens; pileo splendide aureo; tectricibus alarum minoribus et mediis, scapularibus, uropygio et supra- caudalibus viridi-cyaneis ; gutture obscure chalybeo-violaceo ; re- migibus nigro-fuscis ; tectricibus alarum majoribus nigris, exte- rioribus, et remigum primariarum subtiliter viridi-cyaneo-mar- ginatis ; rectricibus nigro-cyaneis , viridi-cyaneo-marginatis ; rostro pedibusque nigris. i Long. tot. 0", 120; al. 0", 068; caud. 0", 044; rostri 0,019; tarsi 0”, 016. Hab. Mafoor (Isola della Baja di Geelwink) (Meyer). Ho esaminato e descritto uno dei tipi del MeEyER, esi- stente nella collezione TURATI. Questa specie pel colore delle piume del groppone e del sopraccoda va in uno stesso gruppo colle precedenti, dalle quali si distingue facilmente pel colore giallo do- rato del pileo; per questo carattere essa somiglia a due specie del secondo gruppo, cioè all’H. auriceps ed all’ H. CAN 3) porphyrolaemi, dalle quali tuttavia differisce pel colore delle piume del groppone e del sopraccoda verde, tinto di azzurro, e non blu d’acciaio puro, ed anche pel colore del pileo, che è di un giallo dorato molto più intenso, anzi fra tutte le specie è quella che presenta il pileo più decisamente aureo. Sp. 8. Hermotimia auriceps (G. R. Gr.. Nectarinia auriceps, G. R.Gr., P. Z. S. 1860, p. 348. - Watt., P. Z.S.1862, p. 335, 343. - Finscu, Neu-Guinea, p. 163 (1865). Hermotimia auriceps, G. R. Gr., Hand-List, I, p. 110, sp. 1357 (1869). Chalcostetha auriceps, WaLp., Ibis, 1870, p. 46. — Meyer, Sitz. k. Ak: Wissensch. zu Wien, LXX (nota) (1874). Piiloturus auriceps, Greg., Thes. Orn. I, p. 631 (1872). Nigro-velutina, purpureo-micans ; pileo aureo-viridi; gutture, tectricibus alarum minoribus et mediis, scapularibus, uropygio et supracaudalibus pure chalybeis; tectricibus majoribus et re- migibus nigro-fuscis, purpureo-tinetis ; rectricibus nigro-cyaneis, chalybeo-marginatis; rostro pedibusque nigris. Foem. Pileo cerviceque cinereis, plumis medio fuscis ; dorso, uropygio et supracaudalibus olivaceis; gula pallide grisea ; abdo- mine flavido; alis fuscis, olivaceo-marginatis; cauda nigra, ree- tricibus omnibus apice albo-griseo , extimis latiore. Long. tot. 0", 128; al. 0®, 063; cand, 0%, 047; rostri 0», 018; tarsi 09, 014. i Hab. Batchian; Ternate; Gilolo; Isole Sula (?) (Wattace). Io ho esaminato sei individui di questa specie, cioè pt due maschi adulti di Gilolo, uno dei quali raccolto dal ; . i N Co N vs - ca é PI DA ci Pa Ud è; » 4 mm p * Can * CT a x ua 228 A EMME n o E. a RE vi i due precedenti della collezione Turati, ma d'incerta provenienza (giacchè non posso credere che sia di Me- nado, come è indicato), differisce alquanto dai due prece- denti; esso ha lo scudo gutturale molto più breve, il pileo un po’ più verdeggiante e meno dorato, le cuopritrici delle ali, le scapolari, il groppone, il sopraccoda ed anche lo scudo gutturale di color blu-acciaio cupo, con qualche leg- gero riflesso verde; finalmente ho esaminato tre individui del Museo di Torino, d’ignota provenienza, un maschio adulto, una femmina ed un maschio giovane; il maschio adulto ha lo scudo giugulare anche più breve dell’individuo d’ignota provenienza della collezione Turati, e non è impossibile che questo e quello, forse di località diversa da quelle note, appartengano ad una specie distinta. Ho già detto, discorrendo della distribuzione geografica, che credo necessario di confrontare nuovamente gel’individui delle isole Sula, dal Wartace attribuiti all’H. auriceps, con quelli di Gilolo, Batchian e Ternate, prima di ammettere che gli uni e gli altri appartengano veramente alla stessa specie. Il maschio giovane ha i colori della femmina colla coda e con talune piume delle ali, del dorso, della gola e del ventre come quelle del maschio adulto. L’H. auriceps differisce dalle altre tre specie del secondo gruppo per non avere le cuopritrici mediane delle ali nere come le maggiori, ma metalliche, cioè color blu- acciaio splendente, come le minori, e per questo carat- tere partecipa delle specie del primo gruppo. Il maschio somiglia notevolmente a quello dell’H. por- phyrolaema (G. R. Gr.) di Celebes, ma questo ha la gola violaceo-porporina, il pileo un po’ meno dorato e dimen- sioni alquanto minori. Sp. 9. Hermotimia proserpina (Watt.). Nectarinia proserpina, Warr., P. Z. S. 1863, p. 32. — FinscH, Neu-Guinea, p. 163 (1865). Hermotimia proserpina (MùLL. errore), G. R. Gn., Hand- List, I, p. 110, sp. 1358 (1869). Chalcostetha proserpina, WaLt., Ibis, 1870, p. 46. — MEyER, Sitz. k. Ak. Wissensch. zu Wien, LXX. (nota) (1874). Arachnothera proserpina, Gres., Thes. Orn. I, p. 402 (1872). Purpureo-nigra velutina; capite viridi-chalybeo ; gula pur- pureo-violacea metallica; uropygio ‘!), tectricibus caudae supe- rioribus et alarum minoribus purpureo-cyaneis; remigibus fusco-nigris; cauda elongata, rectricibus duabus medtiis pur- pureo-marginatis. Foem. Supra olivaceo-viridis, subtus flavescens; capite pecto- reque cinereis; cauda fuscescenti-nigra, apice pallida (ex WALLACE). Di un bel nero-violetto vellutato; pileo azzurro-acciaio, verdastro ; gola a squame di color violetto-porporino; pic- cole cuopritrici delle ali, groppone e sopraccoda azzurro metallico; le due timoniere mediane marginate su am- bedue i lati di violetto; ali e coda nero-scuro. Femmina. Superiormente di color verde-olivastro; il pileo e la cervice cenerino-scuro, avendo ciascuna piuma una macchia scura centrale; parti inferiori di color giallo- olivastro pallido; la gola ed il petto cenerino chiaro; remiganti scure, col margine esterno giallo-olivastro ; timo- niere nere, tinte di violaceo, coi margini esterni verde- olivastro, ed all’apice del vessillo interno una macchia. (1) Nella descrizione originale del WaLLace si legge crisso! 4 0 bianchiccia, la quale va facendosi più grande andando dalle timoniere mediane verso le esterne. Lungh. tot. poll. ingl. 5 (=0",126); ala 2'/, (=0",063); coda 1‘/, (= 02,038); becco */, (=0",020). Hab. Bouru (WALLACE). . Dice il WaLLAcE, e lo ripete anche Lord WaLpen, che questa specie differisce dalla N. aspasia per avere, oltre le grandi, anche le medie cuopritrici delle ali nero-porporine e non metalliche; questa cosa mi è stata confermata anche dallo SHARPE; per questo carattere, che essa ha in comune coll’H. porphyrolaema e coll’H. sangirensis, essa differisce da tutte le specie del primo gruppo del genere Hermotimia ed anche dall’ H.auriceps del secondo. Il WaLLace aggiunge che essa ha la coda più lunga della H. aspasia, ed il WaLpen che ha dimensioni mag- È giori; del resto è facile distinguerla pel groppone, pel = sopraccoda e per le piccole cuopritrici delle ali blu me- talliche (1), mentre nell’H. aspasia quelle parti sono verdi. Ma in vero non è coll’ H. aspasia che la H. proserpina sì possa confondere, ma sibbene colle altre specie della seconda sezione, e specialmente colla H. porphyrolaema e coll’ H. auriceps; da questa è facile distinguerla per le cuopritrici medie dell’ali non metalliche, ma nere come le grandi; differisce poi dalla H. porphyrolaema, colla quale ha quest’ ultimo carattere in comune, pel colore violaceo- porporino dello scudo gutturale, non marginato lateral- mente di azzurro-acciaio, come nella H. porphyrolaema ; inoltre parrebbe che differissero anche pel colore del pileo, che nell’H. porphyrolaema è verde dorato, mentre (1) Nella descrizione inglese il WaLLacg dice metallic-blue. nell’H. proserpina i dastro (viridi-chalybeo). Questa è la sola specie che io non conosca de visu; per ciò ho dovuto riferirmi alla descrizione del WaLLace; in questa non è fatta menzione del colore delle scapolari, ma è pro- babile che esse, come nelle due specie seguenti, siano nere, non metalliche. Sp. 10. Elermotimia porphyrolaema (Wal). Neciarinia aspasia, part., MiLL., Verh. Zoologie, Aves, p. 58, 64, 65 (1846). Nectarinia porphyrolaema, Warr., P. Z. S. 1865, p. 479. Hermotimia porphyrolaema, G. R. Gr., Hand-List, I, p.110, sp. 1360 (1869). Chalcostetha porphyrolaema, Waxp., Ibis, 1870, p. 46. — MeyeR, Sitz. k. Ak. Wissensch. zu Wien, LXX (1874). Ptiloturus porphyrolaema, GreB., Thes. Orn. I, p. 631 (1872). Nigro-velutina, purpureo-micans ; pileo viridi-aureo ; gutture violaceo-purpureo, linea chalybea utrinque marginato; tectri- cibus alarum minoribus, uropygio et supracaudalibus chalybeis ; tectricibus mediis et majoribus, scapularibus et remigibus fusco- nigris, velutinis ; rectricibus nigro-cyaneis, chalybeo-marginatis. Long. tot. 0,125; al. 0%,060; caud. 0%,041; rostri 02,016: tarsi 09,014. Hab. Macassar (Celebes) (WaLrace, MEYER). Questa specie appartiene al secondo gruppo, cioè alle. specie col groppone e col sopraccoda color blu-acciaio ; essa somiglia notevolmente alla H. auriceps, dalla quale tuttavia è facile distinguerla per avere le cuopritrici me- | Meg 1 Watcace lo descrive blu-acciaio ver- diane nere, come le maggiori, e non metalliche, come le È minori ; inoltre differisce pel colore violetto, o porporino dello scudo gutturale, marginato lateralmente di blu- acciaio, mentre quella parte nella H. auriceps è di color blu- acciaio cupo, uniforme; finalmente in questa il colore verde del pileo è più dorato. Con ragione Lord WaLpEeN, discorrendo dell'H. aspasia, ha fatto notare che probabilmente all’H. porphyrolaema sono da riferire gl’individui di Macassar dal S. MuLLER attribuiti alla N. aspasia. Io ho esaminato un bellissimo individuo maschio della H. porphyrolaema, raccolto dal Meyer presso Macassar, ed ora facente parte della collezione Turati; in esso le sca- polari sono di color nero, e non metalliche, come nelle altre specie a me note, finora descritte. Sp. 11. Elermotimia sangirensis (\MevER). Evie. Chalcostetha sangirensis, MevER, Sitz. k. Ak. Wissensch. zu Wien, LXX (1874). - ScLat., Ibis, 1874, p. 419 (nota). Nigro-fuliginosa velutina, purpureo-micans; pileo splendide viridi-aureo; guiture splendide aeneo-cupreo , lateraliter parte superiore chalybeo-, parte inferiore purpureo-marginato ; tectri- cibus alarum minoribus, uropygio et supracaudalibus splendide . chalybeis , sub quamdam lucem violaceo-, vel viridi-micantibus; tectricibus mediis et majoribus, scapularibus et remigibus fu- liginoso-nigris, velutinis; rectricibus fuliginoso-nigris , violaceo- micantibus, superius margine externo splendide viridi, basim versus cyanescenle, uti margine interno duarum rectricum me- diarum; rostro pedibusque nigris. ; Foem. Supra viridi-grisea; remigibus fuscis, exterius oliva- ceo-, intus albo-marginatis ; cauda nigra, rectricibus externis apice albis; gastraeo flavido, abdomine pallidiore. ande bat PRIA Pi e RAS PA ae. i E: d, ‘arag I vic Sali 4 234 ; N ba SOI 1 si vi Long. tot. 0,123"; al. 02,060; caud. 0,047; rostri 02,016; tarsi 0",016. Hab. Siao (Isole Sanghir) (MevER). Io ho esaminato uno dei tipi di questa specie, esistente nella collezione del Conte Turati, e da questi comuni- catomi. Il MeveR descrive i maschi giovani che mostrano il passaggio dall’abito delle femmine a quello dei maschi; essi hanno alcune piume del pileo verdi-dorate, le piume laterali della gola metalliche, come anche il sopraccoda e parte del groppone e delle cuopritrici delle ali. Egli ag- giunge che in alcuni individui, nel resto in abito perfetto, si vedono ancora sui fianchi alcune piume gialliccie, re- sìiduo dell’abito giovanile. Questa specie appartiene al gruppo di quelle col grop- pone e col sopraccoda blu-acciaio, e tra queste a quelle colle cuopritrici mediane delle ali nere e non metalliche, ma differisce da quesie e da tutte le altre pel bellissimo colore bronzo-rameico della parte anteriore del collo, che sui lati superiormente è marginata di azzurro-acciaio, misto di violetto, ed inferiormente di violetto puro. Anche questa specie, come la H. porphyrolaema, ha le scapolari nere, non metalliche. Inoltre essa si distingue da tutte pel colore dominante bruno-fuliggine con riflessi porporini, che le è affatto esclusivo. Pel colore della parte anteriore del collo essa si avvi- eina alla Chalcostetha insignis, nella quale quella parte è di color rame rosso, e non vha dubbio che la H. sangirensis costitnisca l’ anello di congiunzione tra il genere Her- motimia ed il genere Chalcostetha. x ) a get, i) ai PO, È, Lit. Gordana e Salussolia li ande ALS. E 1 HERMOTIMIA THERESIA 2 » SANGIRENSIS VAL RO, divinita. “4 LIE, Lx DA NM pa i 4 b ELEZIONI. In quest'adunanza la Classe elesse ad Accademici Stra- nieri i signori Carlo Lvyerr, della Società Geologica e della Reale Società delle Scienze di Londra, e Corrispon- dente dell'Istituto di Francia (Sezione di Mineralogia); ed Augusto Guglielmo Hormann, Prof. di Chimica, della Reale Accademia delle Scienze di Berlino, della Reale Società e: delle Scienze di Londra, e Corrispondente dell’ Istituto di e Francia (Sezione dî Chimica): queste elezioni vennero ap- provate con Decreto Reale del 23 dicembre 1874. Adunanza del 27 Dicembre 18754. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Conte Tommaso SaLvapori presenta e legge alla Glasse una Memoria entomologica del sig. Flaminio Baupi pi SELVE, avente per titolo COLEOPTERORUM GENERIS AMAUROPS SYNTAXIS [E PSELAPHIDUM FAMILIA]. Genus hocce inter Pselaphides a praeclaro D. Fairmaire in Ann. Soc. Ent. Gallicae anno 1852, unica sicula specie, nomine Aubei donata constitutum, quibusdam proinde speciebus auctum, italicorum montium nonnullis mihi nuperrime obventis, vel amice communicatis in unam rectamque, naturalibus perpensis collatisque affinitatibus, methodum componere opportunum censui, egregii citati gallici Auctoris praemonitis innixus, eis veruntamen pro genericis tantummodo selectis notis, quae speciebus om- nibus mihi cognitis communes, in singulae speciei de- scriptione eis relatis, quae unicuique propria. GENERIS CHARACTERES. Corpus apterum, rufum, capite thoraceque interdum rufo-ferrugineis, parce plerumque fulvo-pubescens, pube- scentia plerisque longula, decumbente; capite lateribus infraque villis tenuissimis erectis flavescentibus ornato; dorso infraque, unica excepta specie, laeve nitidumque, capite, thorace abdomineque ut plurimum vix perspicue, elytris sat distincte, parce punctulatis. i 237 Caput pro statura sat latum, basi cum auriculis late- ralibus rotundatum, hisce spinulaque plus minusve por- recta lateribus auctum quibuscum thorace tantisper latius, ab auriculis os versus utrinque emarginato-angustatum, plerumque oblongiusculum; oculi nulli; carinula plus minusve arguta, leniter saepius arcuata ab antennarum insertione temporibus utrinque instructum, vertice inter- cedente plerumque postice parum convexo vel fere pla- nato, foveola utrinque plus minusve profunda interdum obsoleta impresso, antice vel rotundato vel convexiusculo, ad frontis fossulam transversam vel arcuatam, aut ad fo- veolas binas contiguas terminato; callo frontali transverso, inter antennas plus minusve elevato, medio interdum de- presso, epistomate transversim arcuato, brevi, anterius rotundatim truncato, apice subtiliter marginato, margine plus minusve elevatulo. Labrum transversum, apice plus minusve fortiter emar- ginatum, quibusdam subtillime crenulatum, plerisque vil- losum, apicibus utrinque plus minusve porrectis. Mandi- bulae validiusculae, laeva ante apicem fortius intus den- tata, ei in quiete dextera plerumque apice superposita. Mentum minutum; palpi maxillares validiusculi, articulo primo tenui brevique, secundo elongato apicem versus leniter incrassato, tertio breviter conico, quarto magno, fusiformi, leniter intus emarginato; gula fovea plus mi- nusve profunda medio impressa. Antennae capitis cum thorace longitudinem plerumque valde excedentes, omnibus fere tenues et graciliusculae, articulo primo sat valido in frontis latera sub callo, quo temporalis carina antice terminatur, inserto, secundo-octavo subeylindricis, longitudine inaequalibus, secundo-quarto videlicet longitudine sensim decrescentibus, quinto conti- guis longiore, sexto et octavo, hoc minore, septimo brevio- Dr. Nee - È È, ti faire sce et , Ti A o sata 238 VDR ribus, nono oblongo-conico vel ovato, decimo maiore, plus minusve transversim conico, ultimo maximo, praeceden- tium duorum longitudini prope aequali, acuminato, extus. leviter emarginato, densius quam praecedentes villosulo. Thorax plerisque obcordatus atque latitudine maxima longior, basi apiceque truncatus, anterius magis convexus, ante basin trifoveolatus, inter foveolas vel triangulariter vel in spinulam plus minusve validam elevatus, pleuris basi pone coxas foveola punctiformi notatis; prosterno ante coxas depresso, bifoveolato, sutura eius laterali plus minusve conspicua. Scutellum indistinctum. Elytra thorace paulo longiora, basi thoracis baseos latitudine aequalia, singulo leviter oblique truncato, a basi apicem versus sensim plus minusve rotundatim am- pliata, vel simul vel singillatim plerisque convexiuscula, sutura plus minusve elevata, suturali stria ei plerumque contigua, ab ea tantisper in nonnullis remota, foveola intra humeros utrinque impressa; lateribus cum margine inflexo plerisque rotundata, interdum margine laterali carinaeformi ; apice recte vel leniter emarginatim truncata, margine inflexo oblique secto. Metasternum magnum, convexum, aequale, apice ante coxas posticas fovea ma- iore minoreve impressum ; mesothoracis epimeris subro- tundatis, parvis, plerisque conspicue dense fulvo-villosis. Abdomen segmentis quinque exsertum, primo maiusculo elytrorum prope longitudine, transversim subquadrato, basi ter foveato, foveas inter breviter bicarinato; lateribus interdum immarginatum (A. Aubei Fairm. sec. Duval genera p.130), plerisque marginatum, margine plus minusve tenui, in integrum vel pro parte carinaeformi; segmentis reliquis sensim minoribus, transversis, ultimo apice rotundato, ventrali quarto saepius apice late emarginato; sextum ventrale parvulum quibusdam conspicere visus sum. Pedes longiusculi, coxis anterioribus contiguis, exsertis, posticis aliquantisper inter se distantibus; femoribus basi apiceque gracilibus, medio sat incrassatis, omnibus, unico Aubei excepto, muticis; tibiis exilibus, leviter arcuatis, apicem versus sensim leniter incrassatulis, subcompressis, apice oblique rotundatis, muticis; tarsis gracilibus, arti- culis tribus, quorum primo minutissimo, secundo omnium longiore; unguiculis simplicibus, approximatis, inaequa- libus, extimo longe maiore, interiore tenuissimo, brevi, haud raro vix conspicabili. Vita sub lapidibus profunde infossis,in nemoribus saepius. SPECIERUM CONSPECTUS A. Caput et thorax parum nitida, granulosa. A. Pirazzolîi. AA. eadem nitida, laevia ; B. femora intermedia intus emarginata atque spimulosa ti DEE, Ria La DA ADE BB. femora omnia multica j;_ C. thorax lateribus immarginatus, haud canaliculats,. 3.0 =) Ac; Decise CG. idem marginatus ; si D. thorax medio fossulatus, dorso haud carinalus varalri ada see ie eo GELO: DD. idem medio canaliculatus, dorso bicarinatus ; E. capitis carinulae integrae ; F. thorax basin versus sensim atte- : RE «_muatus, caput oblongum; ni G. elytra lateribus argute margi- nola snai NI. GG. eadem immarginata....... A. eraratus. FF. thorax ante basin subito con- strictus, caput suborbiculare A. corsicus. Ì EE. capitis carinulae denticulatae... A. sardous. 240 Amaurops Dieckiî (Saurcy in litt.): congenerum major, nitidus, thorace antice orbiculato, aequali elyirisque ad latera immarginatis; abdominis segmento primo utrinque anpnes ca- rinato, carinula subintegra. Long. 1 ‘/, lin. Mas antennis gracilioribus, abdominis segmento sit quinto rotundatim late excavato vel impresso. Omnium in genere maximus, nitidus, parce fulvo-pu- bescens. Caput oblongum, supra fere planatum, spinulis auricularibus valde porrectis, eas ante sat constrictum, ca- rinulis super antennariis validiusculis, ultra foveolas oc- cipitales plus minusve obsoletas productis, fronte semi- circulariter late modiceque profunde impressa, callo inter antennas crassulo, parum elevato. Antennae graciliusculae, sat elongatae, articulo nono leviter obconico, latitudine parum longiore, decimo conico eadem vix breviore. Thorax anterius subglobosus, oblongo-ovatus, basin versus magis quam apice attenuatus ibidemque fere an- gustior, aequalis, lateribus haud marginatus, fovea media plus minusve latiuscula et profunda, aliaque ad latera minore ante basin impressus, spatio inter foveas triangu- lariter elevato; prosterno ante coxas depresso, foveolis duabus subtransversis, fundo piligeris impresso. Elytra thorace parum longiora, basi tenuissime mar- ginata, lateribus a basi, apicem usque fere, sensim ro- tundato-ampliata, stria suturali suturae proxima, sat im- pressa, foveolis basalibus obsoletiusculis; modice- con- vexa, parce leviterque punctulata, lateribus cum parte inflexa late rotundata, immarginata : metasterni fovea sat profunda. Abdominis segmentum primum apicem versus crassum, lateribus a basi sensim paullulum ampliatum, basi leviter trifoveolatum, carinulis basalibus parum elevatis, minus i 241 inter se quam a margine laterali remotis, hoc argute ca- rinato, carina basi elevata apicem non attingente; seg- mentum ventrale primum basi pone metathoracis latera longe et sat dense, medio breviter parciusque fulvo-pu- bescens. Variat dilutius rufo-testaceus, statura minor, capite thoraceque tantisper angustioribus, hoc foveola media obsoleta, spinulis eam utrinque vix productis, longitudi- naliter interdum subtillime lineolato. In Apenninorum Etruriae jugis (Porretta, Vallombrosa, Eremo di Camaldoli) uti congeneres sub saxis profunde infossis, quorum faciei inferae applicatus stat, locis sub fago vel abiete sole tutis. Copiose etiam a D. Kerim Flo- rentiam circa in loco La Certosa dicto, nec non prope Pratolino collectus: horum complura statura minora, in- tensius ferruginea. Varietatem in montibus senensibus D. BarcagLI collegit humaniterque communicavit. A. gallicus DeLarRovzéE (Ann. Soc. Ent. France 1859, p. 68): nitidus, capite suborbiculari; thorace longitudinaliter profunde canaliculato, lateribus incomplete marginato; elytris ad latera immarginatis; abdominis segmento primo parum ar- gute carinato-marginato, carina integra. Long. vix 1 lin. Caput fere rotundatum, latitudine haud longius, occipite convexum, spinulis auricularibus parum porrectis, eas ante leniter constrictum, carinulis superantennariis tenui- bus, ultra fossulas occipitales sat profunde impressas pun- ctoque inter eas medio haud productis, fronte foveolis duabus contiguis profunde transversim ii callo inter antennas modice elevato. Antennae dimidii corporis longitudini prope soqualea, articulo nono breviter ovato, decimo crassitie aliquanto breviore.. | 242 | ii Thorax obcordatus, basi quam apice latior, lateribus ante medium rotundatus, pone medium sensim attenuatus, angulis posticis rectis, medio longitudinaliter profunde, parum late canaliculatus, canalicula ad trientem anticum desinente, postice ante basin canaliculo transverso, medio et utrinque foveato, terminata, spatio inter foveas utrinque ‘spinula munito; margine laterali a triente circiter antico basin usque tenuiter carinaeformi: prosterno ante coxas sat profunde bifoveolato, foveis fundo piligeris. Elytra thorace quadrante circiter longiora, basi crassius ‘marginata, lateribus a basi ad longitudinis trientem usque sensim ampliata, fere abinde parallela, stria suturali tan- tisper a sutura remota, profunde impressa, foveolis ba- salibus minutis; singillatim modice convexa, subtiliter parceque punctulata, lateribus angustius rotundatim in- flexa, immarginata: metasterni fovea minuta. Abdominis segmentum primum lateribus subparallelum, apicem prope tantisper rotundatum, foveis basalibus sat profundis, media majore, carinulis intercedentibus argutis, magis inter se quam singula a margine laterali remotis, lateribus parum argute in integrum carinato-marginatum: segmentum ventrale primum basi breviter fulvo-pubescens. Variat interdum thoracis canalicula longitudinali sub- integra, transversali ante basin obsoleta : abdominis seg- mento ventrali primo basi longius pubescente, quinto disco nitidissimo; forte mas. Specimen ipse e Gallia mer. a D. Hampe accepi, alte- rum in D. Setta collectione a D. ManueL: duo e Gallia merid. a DD. Iaver et BonvouLoir a Genuensis Musaei Prae- fecto communicata vidi. A. exaratus m. : nitidus, thorace longitudinaliter late cana- liculato, dorso bicarinato, lateribus marginato , fortius ante IN SRO basin bispinoso; elytris ad latera immarginatis; abdominis seg- mento primo subtiliter marginato. Long. 1 '/, lin. Mas segmento ventrali quinto late, parum profunde impresso. Caput oblongulum, supra parum convexum, spinulis auricularibus sat porrectis, eas ante constrictum, cari- nulis superantennariis antice sat elevatis argutisque, ultra foveas occipitales oblongas et parum profundas haud pro- ductis, occipite saepius medio longitudinaliter tenuissime canaliculato; fronte parum profunde transversim impressa, callo inter antennas latiusculo depressoque, medio fere excavato: variat interdlum occipite haud canaliculato. Antennae graciliusculae, dimidii corporis longitudinem vix superantes, articulo octavo praecedentibus evidenter angustiore, nono ovali, decimo leniter transversim conico. Thorax obcordatus, basi tantisper quam apice angu- stior, lateribus anterius rotundatus, a basi apicem usque sensim attenuatus, transversim sat convexus, canali medio longitudinali sat late exaratus, hujus margine utrinque argute carinaeformi, ante basin in spinam retrorsum ver- gentem, sat porrectam terminato, canali ipso in foveam majorem desinente, foveolis basalibus utrinque sat im- pressis; subtiliter arguteque lateribus marginato, margine prope apicem obsoleto: prosterni foveolae parum pro- fundae. Elytra thorace parum longiora, basi subtiliter elevate marginata, a basi subito medium fere usque rotundatim ampliata, abinde lateribus parallela, stria suturali sat impressa, suturae leviter approximata ; dorso modice con- vexa, sparsim obsolete punctata, foveis basalibus obsoletis; lateribus cum margine inflexo rotundata', immarginata: metasterni foveola profunde impressa. pe er uu Abdominis segmentum primum tantisper apice incras- SQ satum, aliquantulum apicem versus ampliatum, foveolis n basalibus parum profundis, media latiore, carinulis parum di elevatis, breviusculis, tam inter se quam a margine late- 9A rali remotis; lateribus in integrum carinato-marginatum : E . segmentum ventrale primum basi utrinque longe, medio 28 parce breviusque fulvo-pubescens. pi Quinque ipse specimina bifariam, iunio exeunte, in fagi bo Ì nemoribus circa montem Corno, alias Gran Sasso d'Italia o) dictum, in Teramensis provinciae Aprutio: unum etibidem a se ipso lectum D. Gestro benevole communicavit. A. carinatus m. nitidissimus, thorace late, parum profunde canaliculato, dorso bicarinato, lateribus subtiliter marginato ; S elytris abdominisque segmento primo depressis, lateribus argute carinaio-marginatis. Long. 1, lin. Caput oblongum, supra planiusculum, spinulis auricu- t> laribus parum porrectis, eas ante sensim sat angustatum, "a carinulis superantennariis exilibus argutisque, ultra fo- veas occipitales tres punctiformes haud productis; frontis + fossula transversa, latiuscula, parum profunda, callo inter me antennas parum elevato. % Antennae minus quam in praecedente graciles, dimidio s corpore vix longiores. Thorax obcordatus, basi fere tam quam apice angustus, lateribus ante medium rotundatus, abinde basin usque sensim attenuatus, angulis posticis fere rectis, transversim modice convexus, longitudinaliter medio late, parum pro- funde canaliculatus, canalis marginibus parum elevatis, SE tenuiter carinaeformibus, in spinulam parvam, rectam fi postice desinentibus; fovea ante basin media subtrans- Di versa, mediocri, foveis lateralibus rotundatis, parvis; mar- gine laterali a quadrante circiter antico basin usque ar- gute carinato: prosterni foveis sat profundis, fundo pi- ligeris. Elytra thorace paullulum longiora, subtiliter basi mar- ginata, lateribus a basi dimidium fere usque rotundatim ampliata, inde ad apicem leviter admodum rotundata, stria suturali fere inconspicua, sutura elevatula aeque ac margines laterales in integrum argute carinaeformi; fo- veis basalibus intra humeros modice impressis, oblongis, duobus insuper mediis tantisper conspicuis; spatio has inter et extimas elevatulo ; dorso transversim fere plana, pariter ac abdomen nitidissima, parce admodum, vix per- spicue punctulata: metasterni foveola rotundata, sat parer funde impressa. Abdominis segmentum primum lateribus subrectis, ar- gute carinatis, basi mediocriter profunde trifoveatum, ca- rinulis basalibus argutis, paulo minus inter se quam a margine laterali remotis; segmentum ventrale primum basi breviter fulvo-pubescens. Quaedam ipse specimina in Alpibus Grajis (Valli di Ceres e di Locana) ineunte augusto in fagorum sylvis legi. A. corsicus (PeRRIS, SauLcy in litt.): congenerum minor, nitidus, thorace postice subito constricto, longitudinaliter late canaliculato, dorso bicarinato, lateribus marginato; elytris im- marginatis; abdominis segmento primo subtillime marginato. Long. */, ‘| lin. ‘ Mas antennis paulisper gracilioribus, capite minus con- vexo , carinulis antennariis evidentius denticulatis distin- ctus solummodo videtur. Caput oblongulum, superne parum convexum, spinulis auricularibus modice porrectis, minutis, eas ante sensim sat angustatum, carinulis superantennariis argute ele- vatis, ultra foveolas occipitales sat latas profundasque 246 I "01" STRANI productis, saepius plus minusve crenulatis, fronte foveis duabus distinctis profunde impressa, callo inter antennas latiusculo, modice elevato, aequali. Antennae graciliusculae, dimidiam corporis longitu- dinem parum superantes, articulo nono breviter ovali, decimo leviter conico, subtransverso, ultimo quam in congeneribus relative minus elongato. Thorax obcordatus, latitudine maxima parum longior, lateribus anterius sat rotundatus, paulo ante medium latior, abinde basin versus quadrantem posticum usque sensim attenuatus, subito pone constrictum et basin usque fere parallelum, angulis posticis rectis; dorso medio late, parum profunde canaliculatus, canalis marginibus ‘carinatis, citius anterius quam canalicula abbreviatis, postice in spinulam tenuissimam desinentibus, foveolis ante basin, media parum, lateralibus majoribus sat im- pressis; margine laterali in integrum fere carinaeformi : prosterni foveolis latis, parum profundis. Elytra thorace quadrante fere longiora, basi subtillime marginata, a basi subito ad trientem posticum usque la- .teribus ampliata, abinde ad apicem fere parallela, sutura ‘elevatula, striis suturalibus ei leviter approximatis pro- funde impressis, quo elytra singillatim convexiuscula, - parce vix perspicue punctata, foveis basalibus haud vel vix ‘conspicuis, lateribus cum margine inflexo rotundata, im- marginata: metasterni foveola punctiformi. Abdominis segmentum primum apicem versus leniter ampliatum, dorso antico vix convexum, fovea basali media modice, lateralibus maioribus profunde impressis, cari- mulis tantisper divergentibus, magis inter se quam mar- gini laterali approximatis; lateribus subtillime carinae- forme; segmentum ventrale primum basi dense longeque Yfulvo-pubescens. . 5 Specimen olim a D. Saurcy e Corsica missum, duo eadem ex insula D. Gestro e civici Genuensis Musaei collectionibus a D. BonvouLorr, duo itidem e Corsica e D. Serra collectione a D. ManuEL, duo insuper a D. ScHau- Fruss e Sardinia indicata examinanda praesto fuere. A. sardous (Sautoy in litt.): nitidus, parce breviterque pubescens, capitis oblongi carinulis denticulatis; thorace parum profunde canaliculato, dorso bicarinato, lateribus argute mar- ginato; elytris lateribus immarginatis; abdominis segmento primo marginato, lateribus rotundato. Long. 1 !/, lin. Mas abdominis segmento ventrali quinto medio obsolete impresso, antennis gracilioribus. Corpus elongatum, capite thoraceque relative angustulis, rufo-ferrugineum, pube multo quam in congeneribus bre- viore parce indutum. Caput oblongum, supra parum convexum, minus late postice rotundatum, spinulis auricularibus valde porrectis, eas ante modice angustatum, carinulis. superantennariis leniter postice divergentibus collum usque fere productis, e denticulorum distincta serie confectis, occipite retror- sum punctis tribus minutis impresso, anterius breviter, vix conspicue, carinulatus; fovea frontali parum profunda, .quasi e fossulis duabus obliquis composita, callo inter antennas lato, parum elevato. Antennae graciles, dimidio corpore fere longiores, ar- ticulo nono oblongo-ovato, decimo vix crassitie breviore. Thorax oblongo-ovatus, fere tam basi quam apice at- tenuatus, latitudine ejus maxima fere ad medium sita, anterius paulo magis rotundatus pauloque magis trans- versim convexus, lateribus postice leviter sinuatus, angulis posticis rectis, longitudinaliter medio subtiliter canalicu- latus, canalicula antice abbreviata, postice profundiore, 248 ufo i carinulis utrinque dorsalibus sat elevatis, argutis, postice in spinulam validam terminatis, foveolis utrinque ante basin mediocribus; margine laterali a quadrante circiter antico foveolas usque carinaeformi ; prosterni foveis pro- fundis, distinctis. Elytra thorace quadrante circiter longiora, basi inaequa- liter marginata, lateribus a basi trientem posticum usque sensim rotundato-ampliata, abinde ad apicem fere paral- lela, stria suturali suturae parum elevatae contigua ; basi quadrifoveolata, callis inter foveas, sutura basi hume- risque leniter elevatis; dorso modice convexa, subtillime sparsim punctulata, lateribus cum margine inflexo an- gustius, angulatim fere, ut in corsico, rolundata: meta- sterni foveola maiore, rotundata, sat profunde impressa. .Abdominis segmentum primum elytris brevius, sat con- vexum, lateribus arcuatis, subito a basi elytra latitudine «excedens, sensim ampliatum, denuo postice attenuatum; basi profunde lateque trifoveatum, fovea media tantisper ‘minore, carinulis basalibus longiusculis, elevatis, minus inter se quam a margine laterali remotis; hoc basi bre- vissime elevato, margine reliquo explanatulo, argute ca- rinpaeformi: segmentum ventrale primum basi utrinque ‘mediocriter, medio breviter parceque fulvo-pubescens. Pedes magis elongati atque graciles quam in praece- dentibus, femoribus praesertim basi longius exilibus. Pal- porum quoque maxillarium articulus secundus basi lon- ‘gius exilis, paulo magis apice incrassatus, quartus rela- tive brevior, forma quasi securiformis. E Sardinia specimen a D. Scnauruss sibi hoc nomine ‘missum D. SeLLa ad examinandum humaniter commu- micavit, alterum D. BancacLi comiter misit. è A. Pirazzolii (SauLcy in litt.): capite suborbiculari tho- 249 raceque subtiliter granulosis, parum nitidis, hoc dorso inaequali, medio longitudinaliter canaliculato ; elytris ad latera immargi- natis; abdominis segmento primo late marginato. Long. 1 lin. Caput fere orbiculare, parum convexum, spinulis auri- cularibus valde porrectis, validis, eas ante leniter angu- statum, carinulis superantennariis sat elevatis, parum ar- gutis, ultra foveolas occipitales minutas haud productis, occipite inter eas depressulo, inaequali ; frontis fossula lata, modice profunda, callo inter antennas nullo, episto- mate retrorsum modice elevatulo, subtillime parcius, re- liqguum caput superne et utrinque crebre granulosum, infra nitidulum. Antennae validae, dimidii corporis fere longitudine, articulo nono crassitie vix, decimo ea multo breviore. Thorax breviter ovatus, latitudine summa paulo ante medium sita parum longior, apice paullulum quam basi angustior, lateribus a medio anterius rotundatus, pone medium basin usque leniter attenuatus, sat convexus, subtiliter granulosus, inaequalis, longitudinaliter medio canaliculatus, canalicula antice abbreviata; latera versus late breviterque impressus, foveis basalibus confusis, spi- nulis ante basin parvis: pleurae itidem, prosternum par- cius subtiliusque granulosa, hujus foveolae obsoletae, pleu- rarum margo ad eas tantisper elevatus. Elytra thorace parum longiora, a basi ultra medium usque sensim leniter rotundato-ampliata, triente postico subparallela, stria suturali suturae elevatulae proxima, callo basali inaequali, fere crenulato, eum secus singulo elytro foveis tribus minutis impresso ; dorso modice con- vexa, immarginata, sat distincte punctulata, pariter ac abdomen nitida, densius quam in praecedentibus fulvo- pilosa: metasterno obsoletissime foveolato. 250 ui. Abdominis segmentum primum crassiusculum lateribus subparallelum, foveis carinulisque basalibus parum con- spicuis, multo latius quam in praecedentibus marginatum, margine extimo in integrum carinaeformi; ventrale pri- mum tota basi longius fulvo-pubescens. Alpibus penninis (Valsesia) ipse atque D. KerIm (Riva di Valdobbia) e Genuensis Musaei collectione. Alpibus Le- pontiis, supra Domodossola D. PrrazzoLi, qui iampridem animalculum D. SAuLcYy communicavit, atque eo nomine redditum me admonuit. A. Aubei Fairm. Species mihi invisa; Auctoris gene- ricam descriptionem in Annales Soc. Ent. de France 1852, pag. 74-76 cum tabulae 3 fig. 3 icone conferens, eis nec non collatis quae Duvar in Genera des Col. pag. 130 de eadem refert, tabulae 40 figura 198 suppeditatus, sequentes speciei proprios characteres tribuendos censui. Totus rufo-testaceus , nitidus , pilis griseo-fulvis sparsutus. Fairm. Long. 1 :/, lin. Caput thorace latius, oblongum, auriculis lateralibus sat porreclis, acute spinosis, carinulis superantennariis argutis, integris; occipite fronteque planiusculis, haud (obsolete verisimiliter) impressis: antennae capite tho- raceque longiores. Thorax oblongo-ovalis, antice fortius rotundatus, basin versus a triente fere antico sensim modice attenuatus, basi, quam apice, paulo latior, supra aequalis, fossula media maiore lateralibusque utrinque minoribus ante basin impressus. | Elytra a basi paulo ultra medium usque sensim rotun- dato-ampliata , fortius abinde (ex DuvaLii icone) apicem - usque rotundata, fere attenuata, thorace longiora, apice singulo leniter oblique truncato, foveolis basalibus con- spicuis, lateribus immarginata. incrassatum, basi parum profunde trifovcatum, fovea media maiore, lateribus (sec. Duvar) immarginatum. Femora intermedia inius sat fortiler emarginata, spi- i, nula longiuscula valida, duobusque minoribus anterius, armata. Habitat in Sicilia. Specimen e Panormitano monte Pellegrino nom. Aubei a D. Ragusa missum D. Gestro communicavit: hoc ve- rumtamen nonnisi antennarum articulo nono paullulum minus elongato, thorace basi paulo minus attenuato, an- gulis posticis subrectis ab A. Diekiî seiungi potest; fe- moribus omnibus muticis, thoracis forma alia quam ab auctoribus citatis allata, apdomine utrinque marginato ab A. Aubei omnino discedit. | VA A guenti sue osservazioni rr. SULLA sd VERSIONE ITALIANA pe DELLA GEOMETRIA DESCRITTIVA 3a DEL FIEDBLER (I) LX da FATTA DAI SIGNORI SAYNO E PADOVA (2. Dopochè cogli ordinamenti del 1871 furono variati i metodi d’insegnare la Geometria descrittiva negli Istituti tecnici italiani, mancava da noi un testo in cui fossero esposti gli elementi di detta scienza coll’ordine e coi principii prescritti. È perciò un lolevole servizio reso a quelle scuole dai signori Sayno e Papova la traduzione, che essi fecero, dell’eccellente trattato del Prof. FieDLER, il quale, insieme ad alcune teorie più elevate, racchiude tutte le materie contenute nel programma governativo di quell’insegnamento. Fiedler — Leipzig — 1871. (2) Trattato di Geometria descrittiva del Dr. Guglielmo Fiedler. —_ tradotto dall’ Ingegn. Antonio Sayno — e dal Dott. Ernesto Padova — — versione migliorata coi consigli e le osservazioni dell'Autore, voga Istituti tecnici del Regno d’Italia. — Firenze -— 1874, fs Il Socio Cav. Giuseppe Bruno legge alla Classe de se- © (1) Die darstellende Geometrie ein Grundriss — von Dr. Wilbetm (A liberamente eseguita per meglio adattarla all'insegnamento n ARRE: 258. L’accennata versione di questo libro essendo, se non l'unica, la guida più adatta che si possa seguire nello svolgere il detto programma, credetti conveniente il no-. tare alcune poche inesattezze che mi è parso avervi rinvenuto. A pag. 310, linea 8-6 dal fondo, si trova la proposi- zione seguente: « Un paraboloide iperbolico è completa- mente determinato da un quadrangolo gobbo ed anche da un tetraedro qualunque, i cui spigoli debbono trovarsi sulla superficie (1) ». La figura, detta ordinariamente te- traedro, è formata (come indica la parola) da quattro piani: essa è dotata di sei spigoli, ed un paraboloide iperbolico è pienamente determinato se debba contenere quattro di questi spigoli, tre qualunque dei quali non giacciano in uno stesso piano: tale paraboloide poi non contiene gli altri due spigoli del tetraedro, ma seca ciascuno di essi in due punti che sono vertici del tetraedro stesso. Nell’ enunciato della proposizione surriferita sarebbe perciò stato meglio non far parola del tetraedro , od al- meno aggiungere qualche spiegazione al riguardo, come fece l’autore. Nelle ultime quattro linee della pagina 344 si legge la proposizione seguente, la quale manca nel libro del Fie- DLER: « Tagliando con un piano qualunque una super- ficie del secondo ordine, i punti nei quali un sistema di (1) Nel testo originale : « Durch ein windschiefes Viereck, also auch durch ein beliebiges Tetraeder, nîimlich eine Kette von vier Kanten desselben, ist ein hyperbolisches Faraoni vollkommen. bestimmt », N" È Ò d : , n va Des ; Vaso A sa RAR 254 È SEDI diametri coniugati incontra il piano, formano una terna di poli armonici rispetto alla conica sezione ». Questa pro- posizione è generalmente erronea. A provarlo basta.con- siderare la sezione fatta in una sfera da un piano, il quale sechi tre diametri ortogonali qualunque di questa in punti interni alla sfera stessa: questi punti non pos- sono formare una terna di poli armonici rispetto al cir- colo sezione del loro piano colla sfera, perchè giacciono tutti tre nell’interno del circolo medesimo. Tuttavia la proposizione di cui si parla sarebbe vera nel caso in cui il piano secante la superficie del secondo ordine fosse il piano all’infinito: sono perciò vere le conseguenze che i signori Sarno e Papova deducono, sul principio della pagina 345, dalla citata proposizione, poichè queste con- seguenze sono relative al caso particolare suddetto in cui il piano secante è tutto all’infinito. La proposizione che si trova nelle lince 25-29 della pag. 370: « Una superficie di secondo grado, ed un cono di secondo grado, il cui vertice giace nella prima superficie e di cui una generatrice è tangente alla prima superficie, si tagliano fra loro secondo una curva gobba di quarto ordine, la quale ha un punto di regresso nel vertice del cono »; non è generalmente vera, a meno che il piano tangente alla prima superficie nel punto di essa che è vertice del cono, non sia tangente altresì a questo cono, come è detto nel testo originale (1). Infatti un cono di (1) Eine Flache zweiten Grades und ein Kegel zweiten Grades, dessen Spitze in jener liegt und der von der entsprechenden Tan- gentialebene der Fliche zugleich berihrt wird, schneiden einander in einer Raumcurve vierter Ordnung, die einen Ruùckkehrpunkt. in jenem Punkte hat. uu secondo grado , il vertice del quale sia collocato in un punto qualunque P di un’altra superficie di secondo grado, e del quale una generatrice tocchi in P questa superficie, seca generalmente il piano tangente in P a questa super- ficie stessa ancora secondo un’altra sua generatrice essa pure tangente in P alla superficie di secondo grado. L’in- i tersezione perciò di detta superficie col cono toccherà in i ; P ciascuna delle dette generatrici del cono, ed avrà quindi in Pun punto doppio anzichè un punto di regresso: e solo quando le due generatrici del cono suaccennate si confondano insieme, ossia quando le due superficie si “si tocchino in P, sarà questo punto P un punto di regresso i dell’intersezione delle dette due superficie. Nella stessa pag. 370, alle linee 33-35 si legge: « La curva gobba del quarto ordine con un punto di regresso determina con ogni punto dello spazio una superficie rigata di secondo grado ». Questa proposizione, la quale. è enunciata nello stesso modo nell’originale tedesco (1), è anche generalmente inesatta; poichè è bensì vero che per una linea gobba di quart’ordine e per un punto dato arbitrariamente nello spazio passa in generale una, e non più di una, superficie di secondo grado, ma questa su- perficie non è sempre risata; neanco quando si supponga che la linea data del quart’ordine, per cui deve passare SÉ la superficie, abbia un punto di regresso. Infatti l’interse- e zione d’una superficie qualunque S di secondo grado con i un cono pure di secondo grado, il quale abbia il ver- tice in un punto P di $, e sia toccato dal piano tangente (1) Die Raumeurve vierter Ordnung mit Riickkehrpunkt bestimmt mit jedem Punkte des Raumes eine Regelfliche 7weiten Grades. parce det cale DIE p TC HIRST u Sa in P ad S, è una curva gobba di quart'ordine avente in P un punto di regresso; fra le superficie di secondo grado che passano per questa curva vi ha perciò la S, la quale, per ipotesi, è qualunque, cioè può essere non rigata. ‘Un’altra inavvertenza analoga è occorsa nell’enunciato della proposizione che si legge alle linee 8-10 della stessa pagina 370: « La superficie di secondo ordine che è deter- minata da un punto qualunque dello spazio e da questa curva è una superficie rigata (1) ». Per tale linea passa un fascio di superficie di secondo grado , ciascuna delle quali è pienamente determinata, quando sia ancor dato un punto dello spazio per cui essa superficie debba passare: ma tutte le superficie di questo fascio non sono rigate. La proposizione suenunciata sarebbe generalmente vera (1) In modo conforme nel trattato originale: « Die Fliche zweiter Ordnung, welche je ein Punkt des Raumes mit dieser Curve be- stimmt, ist eine Regelfliche ». La curva, a cui nell’enunciato di questa proposizione si fa rife- rimento, sia nel trattato originale, che nella sua traduzione, è l’in- tersezione di due superficie toccantisi in un loro punto comune P, la qual linea si dimostra avere in P un punto multiplo. Ma, quan- tunque non sia detto in quei libri, supposi che l’autore ed i tra- duttori abbiano inteso, nell’ enunciare Ja proposizione, di cui si parla, che la detta linea fosse di quarto ordine, ossia che le due superficie toccantisi, dalla cui intersezione essa risulta, fossero di secondo grado: poichè, se la detta linea fosse d'ordine superiore al quarto, per essa, in generale, non passerebbe alcuna, o passe- rebbe una al più, superficie di secondo grado. Infatti due super- ficie di secondo grado non possono tagliarsi secondo una linea di ordine superiore al quarto. Se dunque la linea gobba nominata. nell’enunciato della proposizione di cui si tratta fosse d’ordine superiore al quarto, per essa e per un dato punto qualunque dello spazio non passerebbe, in generale, alcuna superficie di se- condo grado nè rigata nè non rigata. d — quando il punto dato che deve giacere sulla superficie, | anzichè qualunque nello spazio, dovesse essere un punto del piano delle due tangenti alla linea di quart' ordine, nel punto multiplo di cui si suppone essa sia dotata. L’Aceadelltico Segretario A. SoBRERO. CLASSE DI SCIENZE MORALI , STORICHE E FILOLOGICHE __—_ Dicembre 1874. OE n ucon Lr 1 ; I Se 9 LI ASILI c SEEN ae n cità; 14 if >” RRISLLTE PE SON F ni Soglia , È Pe” u lA : } TA DE, È red it Sa ma Ar de 234 me Dati pes gtit Re * salta Mina SO tag dizuolo: e Ga fi ro) DR att ct ct: ( DARE Sh. # moctetbane si Bnaa dubai si CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 6 Dicembre 1874. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Nel presentare alla Classe i libri che vennero mandati in dono all'Accademia in questi ultimi giorni , il Segretario Gaspare Gorresio parlò in modo speciale di due recenti libri del sig. Professore Angelo De Gubernatis — Mytho- logie zoologique ou les légendes animales. — Letture sopra la mitologia vedica. Nella mitologia, egli disse, essenzialmente panteistica per sua natura dovevano avere ed ebbero infatti molta parte gli animali che nell’universalità degli esseri occupano sì gran luogo, e manifestano proprietà ed altitudini sì diverse. L’aria, l’acqua, la terra, aspetti e modi diversi dell'unica sostanza panteistica, contribuirono a formare cogli animali propri di ciascuna, ed ora attori in qualche fatto mitico, ora simbolo d’attributi divini, l'elemento zoo- logico della mitologia che il signor De Gubernatis espose con larga dottrina ed interpretò nell'opera sua. Gli studi e le ricerche sulle mitologie e le leggende dei popoli fecero in questi ultimi tempi per opera di dotti investigatori grandi e rapidi progressi. Dalle mito- logie indo-europee fino alla mitologia ed alle leggende degli Esquimali si ricercarono con intento studio i vestigi, 262 di i segni degli antichi concetti popolari velati sotto le forme del mito; si entrò in nuove vie d'interpretazione, s'in- vestigarono le ragioni del concetto mitico, si scopersero nuovi aspetti del mito antico. Ma benchè per molte parti il metodo seguìto negli studi recenti sulle mitologie sia più ragionevole, più cauto, fondato sopra critica più ocu- lata che non era l’anlico, tuttavia ipotesi ed opinioni par- ticolari più e meno ardite si vanno pur sempre mani- festando nel campo dell’ interpretazione mitica: chè non è cosa facile cogliere nel vero loro aspetto le illudenti forme del mito, immedesimarsi col concetto da cui nacque, colla fantasia che lo creò e lo vestì de’ suoi fantasmi. Quello che Kant scriveva dello spirito umano, che non vede nei fenomeni esterni altro che il riflesso di se me- desimo, si può dire dell’interpretazione degli antichi miti, in cui sovente l'interprete non vede che il proprio con- cetto, l’opinione sua particolare. Così nacque recentemente, o, per dir meglio, fu rinfrescata l'opinione ovvero l'ipotesi, secondo cui le antiche epopee vengono riputate non più storie eroico-mitiche di fatti umani, quali elle sono real- mente e quali furono finora credute d'età in età, ma rappresentazioni mitiche di fenomeni celesti, combatti- menti di forze telluriche, fatti naturali personificati, eventi cosmici vestiti di persona umana. Ed in Rama, l'eroe del Ramàyana si vuole scorgere figurato il sole, come già imaginò il missionario frate Paolino da San Bartolommeo, nella lotta di Rama coi Racsasi la lotta della luce, del sole colle tenebre; e nell’epopea greca gli eroi omerici sono riputati dai nuovi interpreti non più esseri vestiti di carne e d’ossa, ma rappresentazioni mitiche di fatti cosmici. Egli è vero che a temperare la foga di tali ipotesi più che ardite sopravvennero le recenti scoperte dello Schliemann nei campi dove fu Troia; e si potè per esse vedere, anzi toccar con mano che le epopee ome- riche, come il Ramàvana di Valmici, banno una vera realtà storica, sebbene esposta con velo ed intreccio di finzioni mitiche, e celebrano a modo mitico eventi umani. Una delle cause, e credo la principale, d’errore nel- l'interpretazione del mito e della leggenda si è il voler “tutto richiamare ad un principio unico, ad un sol con- celto, ad una origine sola e ridurre così la mitologia ad un vasto ed uniforme aspetto; laddove il mito è molte- plice e vario, comprende e vela concetti ed imagini di diversa natura, adombra fatti ed idee differenti. Il sig. Prof. De Gubernatis inclina a tutto richiamare ad un sistema unico d’interpretazione, a ridurre i differenti miti e leggende ad espressione di fatti atmosferici e di fe- nomeni celesti. Nei volumi che a nome del chiaro autore ho l'onore di presentare alla Classe , si trova acume d'indagine, abbondanza di notizie, copia d’ erudizione; ma non direi che l’autore sempre s’apponga nell'inter- pretazione dei miti e delle leggende che con tanto studio raccolse. Rama, l'eroe cantato dal Ramàyana, sarebbe secondo lui, il sole e la gran gesta di Rama un fe- nomeno solare. Ma egli è noto ai cultori delle lettere sanscrite come Rama abbia per emblema l'aratro, sim- bolo dell’agricoltura che è iniziatrice di civiltà e che Rama insieme con questa introdusse nelle regioni meridionali dell'India colla conquista celebrata dal Ramàyana. Sita, consorte di Rama, rappresenta secondo il signor De Gu- 263 scorge nel Veda e tale appare in quel grazioso mito del Ramàyana, dove Sita emerge dal solco del campo arato da Gianaka. Sita è dunque evidentemente ‘un’altra figura, un nuovo simbolo dell’agricoltura che si unisce col mito storico di Rama e lo compie. Così Hanumat figlio del Vento ed impetuoso e rapido come suo padre non può essere, come crede il sig. De Gubernatis, un eroe solare; è una creazione mitica rappresentatrice d’una' delle forze di natura. Ahalya con cui il Dio Indra si mescola in amore, non rappresenta, come pensa il Prof. De Guber- natis, l'aurora della sera. Ahalya è, come suona il suo nome, la terra non arata, nome formato dalla radice hal arare colla particella negativa a; è il maggese infecondo sovra cui Indra, il Jupiter pluvius, versa le sue acque e lo feconda. Ma non andrò più oltre in questi appunti, i quali fatti per puro amor di ‘scienza non m' impediscono d’apprezzare e lodare quanto meritano la dottrina e l’in- gegno dell’ autore. » BILE I EST IO DO L'Academico Conte Veswe legge il primo Capitolo di un suo lavoro Del volgare toscano e della lingua italiana, Ri- . cerche filoloyiche. In quel primo Capitolo, che tratta Dei suoni e lettere che li rapresentano, nel volgare toscano e nella lingua italiana , si espone, come l'alfabeto velgare derivi dall’'alfabeto latino quale era in uso circa il se- . . CE colo xt, ma con alquante diversità ed eccezioni, che si espongono, sia per lettere dell'alfabeto latino non ricevute nell alfabeto italiano, sia all'incontro per lettere introdotte 264 | Nico Lodi bernatis l'aurora. Ma Sita significa il solco arato; tale si finalmente pei gruppi di lettere coi quali nella nostra lingua si esprimono suoni, pei quali il latino e quindi la lingua nostra è mancante di propria lettera. THOMAE VALLAVRII ANIMADVERSIONES IN LOCVM QVEMDAM PLAVTINI MILITIS GLORIOSI A _FRID. RITSCHELIO INSIGNITER VITIATVYM. Quantum mihi vel docendi munus, vel meae res obeun- dae tribuunt otii, ad fabulas Plautinas potissimum confero, in quibus illustrandis complures iam annos sic versor, ut. nihil praetermittam ex iis, quae lectoribus lumen quo- dammodo praeferant. Postquam vero ad locos passim + emendandos, qui superiorum interpretum ingenium tor- serunt, et ipse adivi, et amicorum opera usus, vetusliores Plauti codices excutiendos curavi, qui Romae in Vaticana, Mediolani in Ambrosiana bibliotheca adservantur, soleo. optimas editiones diligenter inspicere, quae a doctissimo quoque apud exteras gentes evulgantur. Prae ceteris autem in manibus illae sunt, quas Fridericus Ritschelius, Alfre-. dus Fleckeisenus, C. E Geppertus, M. Wagnerus, M. Bri- xius, viri apud Germanos magni nominis, nuperrime. adornandas curarunt. Pauca almodum ex Fleckeiseno in rem meam convertere mihi licet, qui Ritschelii vestigia ut plurimum pressit (1). Plura sane in Gepperti (2), Rit- schelii (3), aliorumque editionibus occurrunt, quae ad se legentis animum advertant. Equidem Ritscheliana volumina versans, in densam, pene dixerim, silvam ingredi videor, variis lectionibus ita asperam atque implicatam, ut vix ac ne vix quidem ex hac turba tanta me expediam. Huc enim omnia, vel ex deterrimo quoque codice decerpta, nullo ordine con- gessit collega noster; quin probabiles atque idoneas le- ctiones ab iis discerneret, quae a librarii inscitia aut negligentia manifesto fluxerunt. Unde iam illud manat, inconditam hanc variarum lectionum congeriem vehe- menter studiosis officere, nedum aliquod iis subsidium afferat ad perplexos Sarsinatis locos enucleandos. Qua- propter toto caelo mihi errare videntur, qui tironibus Ritschelianmam hanc Plauti editionem proponunt; quam nescio equidem quamobrem criticam appellent, quando legentibus in incerto fere iudicium est, utrumne banc vel illam lectionem sequantur. At saltem ex illa variarum lectionum copia noster pro- batissimam semper alque optimam in Plautinos versus recepisset! Utinam tacito huic Ritschelii iudicio fidere possemus! Sed nemo sane, qui vel mediocriter in Plau- tipis comoediis sit versatus, hoc ausit dicere. Siquidem collega noster clarissimus, qui Sarsinatis versus ad in- o (1) Lipsiae ex officina Teubneriana, an. 1865. (2) M. Accii Plauti Truculentus, Berolini 1863. — Poenulus, Be- rolini 1864. — Epidicus, Berolini 1865. — Casina, Berolini 1B65 in usum lectionum edidit C. E. Geppert. (3) T. Macci-Plauti comoediae (vi) cum apparatu critico Fr. e schelii, Bonnae, Koenig. ur 1850 et segg. genium suum refingere amat, mirum quam saepe a recta via decedat. Et primo quidem falsa illa persuasione du- ctus, quam alias memini me explodere (1), Plautinos videlicet versus ad certi cuiusdam metri leges semper fuisse exactos, haud raro locos quosdam ita supplet, ut a Plauti ingenio nequaquam fluxisse videantur. In quibus rerum adiunctis neque codicum auctoritate, neque inter- pretum doctrina, neque mira librorum consensione, qui in vulgus feruntur, deterreri a proposito potest Ritsche- lius. Ad haec locutiones ex penu suo depromtae, quas rerum novarum studio vulgatis lectionibus passim sup- ponit, immane quantum a re, a personis, atque ab ipsa latinae linguae ratione saepe discedant. Magna mihi copîa esset memorandi, quoties Plautinas comoedias evolventi Ritschelius mihi visus fuerit ab illa iudicandi sollertia descivisse, qua doctissimi viri in veteribus scriptoribus castigandis potissimum commendantur. Sed brevitatis gratia iuvat in unum quemdam Sarsinatis locum inqui- rere, quem noster inconsulte ac temere, mea quidem sententia, vitiavit. Nihil tamen mihi arrogo. Rem totam vestro iudicio permitto, collegae humanissimi. Iiaque ne gravemini in memoriam revocare pulcher- rimam scenam primam actus primi Plautinae fabulae, quae inscribitur Miles gloriosus. In hac scena Plau- tus Pyrgopolinicem graphice depingit, militem arrogantem, stolidam, qui fortunam et facinora sua sine modo mo- destiaque gloriatur. Ibidem Pyrgopolinices iubet armi- geros curare, ut clypeus suus magis splendeat quam sol radians, ita ut hostium oculos perstringat in pugna, (1) Vide Scriptionem, cui titulus: M. Accii Plauti locum in Mo- stellaria a Friderico Ritschelio depravatum nativae sanitati reddidit Th, Vallaurius. Aug. Taurinorum, an. MDCCCLXX. pi) 18 »* quam mox est commissurus. Et minanti similis, distri- , ctum ensem iactando, ait: ivi Nam ego machaeram mihi consolari volo, Ne lamentetur, neve animum despondeat, Quia se iampridem feriatam gestitem, Quae misere gestit fartum facere ex hostibus. Uti haec se habet lectio, nulla difficultas legentem mo- ratur in hisce quatuor versibus. Omnia sunt plana et per- spicua. Nimirum ait Pyrgopolinices, velle se morem gerere. machaerae suae, quae maximo flagrat desiderio interfi- ciendi hostes. Verum quartus ex hisce versibus, magnopere. déformatus legebatur in veteribus codicibus manu exaratis, atque in Iuntinis, Aldinis aliisque plurimis editionibusj ac propterea interpretum ingenium diu ac mire exercuit. Iuvabit hac de re in medium proferre quae habet M. Antonius Muretus in libro Variarum Lectionum tertio, capite nono. «Apud Plautum, ait ille, in Milite Glo- rioso, vulgo legitur hic versus: Quae misera gestit fractum facere ex hostibus. Quum autem illud fractum facere depravatum'esse liquido constaret, homo eruditissimus, cuius labore et industria Plautinae fabulae plurimis sane locis emenda- tiores leguntur, scribendum eo loco censuit fratrem facere. Et quoniam fratres a Graecis fuaspo: dicuntur, qua in re eiusdem sanguinis significatio est, idcirco hoc Militem dicere credidit, velle machaeram tingi hostium sanguine. Quod si reciperem, fratres tamen potius le- gerem, quam fratrem, ne perturbata numeris esset oratio. Sed suum cuique, ut dicitur. Mihi displicere non- dum potest ea coniectura, quam, quum adolescentulus Da di | 269 | in Gallia Plautinas fabulas explicarem, iamdudum de hoc loco feceram ; farctum enim legendum admonueram, ubi vulgo legitur fractum. Atque ea voce farcimen seu insicium aut eius generis aliquid credideram indi- cari. Ut, quoniam tales cibi e carnibus minutissime dis- sectis confici solent, diceretur machaera gestire hostes ita minutatim concidere, ut ex eis farcimen fierì posset ». Hactenus acutissimus Muretus, cuius coniecturae ma- xime probabili doctissimi quique interpretes assenserunt; quum praesertim viderent, etiam Lambino, Bosio et Ca- saubono vocem fartum suboluisse. Attamen quum Came- rarius, Gruterus, Taubmannus aliique starent pro voce fratrem, factum est, ut vel post sollertem Mureti con- iecturam, complures Plauti editiones corruptam hanc lectionem mordicus tenerent. Atque ut de ceteris sileam, Plautina editio, quae anno superioris seculi primo et vicesimo prodiit Amstelodami ex officina R. et G. Wet- steniorum (1) eodem hoc vitio laborat. Insigniter depra- vatus ibi legitur hic versus: Quae misera gestit et fratrem facere ex hostibus. Sapientissimis viris, qui seculo superiore primi ex omni- bus Mureti et Lambini lectionem receperunt, adnume- randus est P. Lacermus, vir cl., qui Plauti Militem Gloriosum edidit Venetiis anno m.pcc . xLII (2) una cum commentario valde quidem probando, et italica huius fabulae interpretatione. (1) M. Accii Plauti comoediae superstites xx ad ultimam editionem L. F. Gronovii. (2) P. Lacermi Academici Patavini in Militem Gloriosum Commen- tarius, et eiusdem fabulae interpretatio italicis versibus concinnata. Venetiis apud I. B. Recurti mpccxLII, Inter ceteros autem, qui aut nostra aetate, aut paullo superiore memoria Plautinum hunc locum mendis omnibus- expurgatum ex Mureti coniectura evulgarunt, iuvat me- morare Fridericam Henricum Bothium, cuius curis Sar- sinatis Comoediae prodierunt Berolini anno Mm.Dccc.1x, quemque Carolus Boucheronus, magister meus, criticum- cum paucis eximium appellare non dubitavit (1). Bothius, inquam, pro voce misera posuit adverbium misere, quod Plautus passim, Terentius, Horatius aliique optimae. notae scriptores usurparunt pro eo quod est multum:. Item omisit particulam et, quae versui pariter et sen- tentiae officit; postremo fratrem in fartum aptissime convertens, nativam Plautino huic versui formam re- stituit (2): 19 Quae misere gestit fartum facere ex hostibus. Quo facto ex allatis quatuor versibus verissimus hic sensus eruitur: Imperciocchè io voglio consolare questa mia spada, affinchè: non si lamenti e non si scoraggisca, perchè da lungo tempo io la porto al fianco inoperosa; quando essa ha una matta voglia di far salsiccia dei nemici. iqoe Postquam, tot sapientum virorum et Bothii piaccia UK does DIS (1) Vide elegantem praefationem, quam Carolus Boucheronus praeposuit Plautinae editioni Taurinensi an. mpecoxxr. Huic magi, stri mei iudicio suffragatur AEm. Benoist, amicus meus doctissi» mus, qui Bothium Sppola le plus ingénieur peul-élre ....... des critiques (Plaute, Morceaux choisis, pag. Ix). (2) Bothium et ipse secutus sum in editione Militis. Glori. osi. Vide volumen, cui titulus: M. Accii Plauti Comoediae cum} adnotationibus et Commentariis Thomae Vallaurii. Augustae Taurinorum ex officina Regia I. B. Paraviae, et socior., an. mpceccLxxii,.in-8° gr. di pag. d70,;.000; 271 auctoritate, vexatissimo huic Sarsinatis loco sua lux fuit admota, nemo sane videbatur de nova lectione esse co- gitaturus, quae Plautini huiusce versus faciem immutaret. Sed omnium expectationem vicit Fridericus ille Ritsche- lius, qui post adulteratum Sarsinatis poètae praenomen et nomen (1), huiusce versus non dubitat passim ad libi- dinem suam reconcinnare. Neque id mirum, collegae clarissimi. Ritschelius enim solus învolutum quemque et corruptum veterum scriptorum locum sollertissime per- spicit. Ceteri homines, doctissimi atque humanissimi, haec mon intelligunt. Ipse unus ingenii acumine omnia per- videt (2). Itaque in versu, de quo loquimur, probatam (1) Vide Scriptiunculam quae inscribitur: Thomae Vallaurii animadversiones in disputationem Frid. Ritschelii de Plauti poétae nominibus, in volumine quod supra memoravi cum hoc titulo: M. Acciù Plauti Comoediae cum adnotalionibus el com- menlariis Thomae Vallaurii etc. (2) Quid de ingenio et moribus Fr. Ritschelii deque eius do- ctrina sentiant viri doctissimi apud Gallos, ex plurimis scriptionibus eruitur, quae superioribus proxime annis in vulgus exierunt. In- star omnium sint quae sequuntur: « M. RITscHL EST ESSENTIELLE- MENT HARDI ET MÈME AUDaCIEUX. On lui reproche avec quelque raison d'avoir des allures trop autoritaires. Pendant long temps îl a tròné comme un Jupiter lonnant...Les élèves dociles qui accepient les théo- ries du maitre, sont approuvés; les autres sont traités de retardataires, de réaclionnaires el de thyrsophores...». Revue CrITIQUE 1868, N° 107, pag. 357. Huc etiam faciunt quae habet de Ritschelio. AE. Benoist in libro quem modo memoravi: Plaute, Morceaux choîsis, pag. x1: « Entre les nombreuses qualités, que possède Mr. Ritschil, îl lui manque certainement la modération dans l’application de ses principes , et la climence pour ceuz...qui ne partagent pas ses vues...Il supporta im- paliemment d’élre relevé, ACCABLA D’INJURES SES ADVERSAIRES, QUI LES __Îur RENDIRENT, ef émut toute l'Europe savante du bruit de ses débals... Quelque fois on se serait cru au xvime siècle en lisant les épithètes el et les imputations blessantes, que se renvoyaient des hommes d'une science distingute. Ne pas savoir lire éluit le moindre des crimes dei; db Att VIAN we 48 1. PI na Y I spe e. ra AI È »4 DA rp De CS x optimo cuique lectionem fastidiose repudiat Bonnensis doctor, atque in eius locum inventum suum sane admi- randum reposuit. Animum, quaeso, advertite, collegae clarissimi, ad ea quae sum dicturus. Postquam Ritschelius varias lectiones recensuit, quas docti atque indocti homines ad hunc versum illustrandum excogitarunt, videte qua demum ratione Plautinus versus ab ipso refingatur, Quae misere gestit STRAGEM FACERE EX HOSTIBUS. At unde gentium novam hanc et admirabilem lectionem eruit noster ?. Utrumne ex pretiosissimo aliquo codice hanc protulit, ubi occultata et circumfusa tenebris ad illud tempus latuerit, an coniectando ex acerrimo in- genio suo feliciter extudit? Neutrum ex his factum, col-. legae humanissimi. Haud exigua et mirifica sane fortuna intervenit Friderico Ritschelio, quam lectoribus suis ape- rire non dubitavit. En ipsissima eius verba, quae leguntur in congerie illa variarum lectionum, quae ad hunc ver- sum pertinent (I): Stragem nescio quis (scripsit) in margine exempli Gronoviani bibliothecae Leidensis, quod si- gnatur 17 Gron. ». Habetis fontem, unde Ritscheliana haec lectio manavit. Nimirum lector quispiam corruptum hunc locum Plautinum offendens (fratrem facere ex hostibus), ex quo haud ita facile germanus sensus posset exsculpi, optimum factum existimavit vice inter- pretis perfungi, et margini Codicis Gronoviani huiusmodi cy6Xoy addidit: stragem facere. Fridericus autem qu’ils se reprochaient. LES ÉTRANGERS SURTOUT... ONT ÉTÉ RUDEMENT MALTRAITÉS; el moi-méme j ‘ai senli le vent de la massue, que M. RE schl laisse tomber sur ceux qui le contredisent...». (1) Vide Militis gloriosi actum I, pag. 9, editionis Lieustai: ‘ Ritschelius, qua est rerum novarum appetentia , ignoti scholiastae interpretationem arripuit, et Plautinum ver- sum ad libidinem suam reconcinnavit. Nec temere hanc locutionem usurpo ad libidinem. Peto enim a vobis, ‘ doctissimi collegae, quaenam fides huiusmodi verbis sit habenda, quae lector nescio quis in margine codicis, quasi aliud agens inscripsit. Ecquis unquam critici acu- minis esse putavit, ignoti hominis glossam, tamquam ge- nuinam lectionem accipere, eamque sic probare, ut, nulla alia suffragante auctoritate, Plautinus versus ad arbitrium . editoris refingatur? Praesertim quum alia circumferatur lectio, quae iam inde a seculo sextodecimo, doctissimo - cuique arridet, quaeque loquentis personae apta et con- veniens moratam in primis orationem facit. Et revera ponite vobis ante oculos Pyrgopolinicem, militem arro- | gantem, qui immoderate facinora sua et virtutem suam iactat; qui gloriatur, se in pugna Martem servasse (1), hostium legiones solo halitu fudisse (2); gloriatur, pro- boscidem elephanti in India fregisse, pugnum tantum- — modo in illum impingendo (3); gloriatur , se centum et “quinquaginta Cilices uno die interfecisse (4); postremo quingentos homines uno ictu fuisse occisurum, ni hebes machaera fuisset (5). Haec atque alia id genus conside- | rate, collegae humanissimi, quae passim de se praedicat Pyrgopolinices cum irrisione audientium; iamque vobis pronum erit colligere, quantum haec locutio fartum — facere ex hostibus accommodata sit talia effutienti, (1) Militis glor. act. I, vers. 13. © (2) Ibid. vers. 17. | (3) Ibid., vers. 26. et seqq. (4) Ibid., vers. 42 et seqq. (5) Ibid. vers. 52 et seqq. quamque graphice gloriosi militis ingenium et mores de- pingat. Profecto machaera talis ac tanti bellatoris satis non habuisset homines ferire, interficere; ipsa gestit mi- nutatim hostes concidere (far salsiccia dei nemici). Verum haes argumenta, quae deprompta ex legibus naturae, ex philosophia, ex intimis comicae artis rationibus nos italos idiotas (1) permovent, nihil sane moratur homo germa- nus, ingeniosus atque intelligens. Pro eo quod est far- tum facere ex hostibus, audacter reponit stragem facere ex hostibus, et magnifice per ora nostra in- cedens, Plautinum versum temere vitiatum, omnibus lae- titiis nobis obtrudit. Hactenus, collegae sapientissimi, illa mihi videor in medium attulisse, quae valeant in partes meas ducere homines doctos et Plautinae rationis apprime peritos, nedum quemlibet ex huius comoediae lectoribus, qui res soleat ex aequo et acri quodam iudicio aestimare. Sed alia sunt, eademque multo graviora, quae sententiam meam adlversus Ritschelium tuentur, quaeque vestrum iu- dicium exposcunt. Docent critici acutiores, in vetustissimis Romanorum codicibus emendandis maximam vim possidere intelligens illud iudiciam, quod quis ex longo et penitissimo latini sermonis studio arripuerit. Qui videlicet in romanis seri- ptoribus pervolutandis plurimam fuerit, illam iudicandi facultatem acquirit, qua, nihil ferme sentiens, ex duabus aut plurimis locutionibus potiorem eligit; adeo teretes (1) Ritschelius, in quadam sua praefatione, in me acerrime in- vehitur, propterea quod Plauto germanum nomen suum adserere. sum conatus. Hic autem Ritscheliana maledicta in medium non affero, quae hominem produnt in verba proiectum, cui lina mo-- destia neque modus contentionis esse consuevit urea sibi fingit aures ac religiosas, ut statim animadvertat, utrum aliqua scribendi ratio ex certi cuiusdam scriptoris ingenio fluxerit necne; utrum ad hanc, an ad illam aetatem pertineat. Hoc sane contigisse videmus praestan- tissimis criticis, qui patrum memoria non ante se ad emendandos codices conferebant, quam perlectis studio- sius latinis scriptoribus, romani ingenii solidam et ex- pressam effigiem tenerent. Ego autem miror, Fridericum Ritschelium, qui legibus commenticii cuiusdam metri tantum tribuit, ut saepissime ansam inde quaerat Plau- tini versus ad arbitrium suum refexendi, nunquam ferme circumspicere quil scriptoris ingenium, locus, tempus, loquentium mores postulcut; praesertim vero quid latini sermonis proprietas et elegantia requirant. Quae quidem paullisper modo considerans, nullo labore intellexisset , novam lectionem, in hunc versum invectam, ab homine vel mediocriter latinae rationis perito, fastidiose repudiari. Et revera videmus, lectissimos quosque scriptores semper coniunxisse vocem stragem cum casu patrio, sive rui- nam et casum vellent significare rerum, quae sint pas- sim stratae et dispersae, sive magnum numerum homi- num, qui in proelio aut alia ratione ceciderint. Sic in priore significatione Livius (1): strage rerum in tre- pidatione nocturna passim relictarum; et a- libi (2): momento temporis strage armorum septa via est. Ad posteriorem vero significationem quod attinet, innumera passim occurrunt optimorum scri- ptorum exempla, uti: magnam hostium stragem facere; hominum stragem edere; strage Prin- (1) Hist. rom. x, 34. - @) Ibid. xxxv, 50. vu ti 275. cipum aulam replere, atque alia huiuscemodi. At nusquam gentium (pace Ritschelii dixerim), hanc locu- tionem invenio, quae Bonnensi nostro editori perplacuit: stragem facere ex hoslibus. E contrario, si cum Mureto, cum Bothio aliisque legamus fartum facere, apte quadrant insequentia verba ex hostibus. Namque praepositio e x commode usurpatur a Latinis ad mate- riem significandam, ex qua aliquid fit. Quemadmodum vero proprie quis scriberet, salsamentarium fartum facere .ex suilla (che il pizzicagnolo fa salsiccia di carne di porco); sic per elegantem translationem gloriosus Pyrgopolinices ait, machaeram suam gestire fartum facere ex hostibus; quippe hostes sunt materia, ex qua machaera fartum faciat. | Ex dictis iam unicuique satis perspicuum arbitror, Plautinum hunc versum Militis Gloriosi temere a Friderico Ritschelio fuisse vitiatum. Siquidem lectio, quam ipse ceteris praetulit, nullius codicis auctoritate roboratur, loquentis Pyrgopolini- cis mores non exprimit, postremo in latinam syntaxin vehementer peccat. Quum autem com- plures in Ritscheliana editione passim lectiones occurrant, quae Plautinarum fabularum sanitatem corrumpunt, ea- rumque candorem germanica quadam peregrinitate in- fuscant, nescio equidem cur nonnulli ex Italis, ingenio ceteroquin et doctrina spectandi, Ritscheliana volumina, quibus octo civis mei Comoediae continentur, immeritis laudibus prosequantur, studiosis adolescentibus, volenti- bus, nolentibus obtrudant. Pudet dicere, collegae huma- nissimi, Italos, dignitatis suae securos, abbinc aliquot annos, in re litteraria, Germanorum vestigiis tam servi- liter insistere, ut nihil iam fere probent, nisi quod ex transrhenanis regionibus ad nos adfertur. Quod quidem haud alio fonte manasse crediderim, quam ex inertiae dulcedine, quae animos nostros subiit, quaeque facit, ut graviora studia segnius excolantur. Huc accedit, quod complures Itali civilibus fluctibus iactati, et popularis aurae captatores, iam se litteris non abdunt; sed per factiones, per vafritiem ad honores, ad opes nituntur. Quapropter occalescente pulcri sensu, iam non optima, sed nova quaeque et peregrina sunt in honore et pretio apud nos. Equidem non dubito, fore complures qui mihi acerbi et queruli senis famam differant. Sed iudicium imperitae multitudinis nihil moror, hac L. Annaei Senecae sententia maxime fretus (1): « Non tam bene cum rebus humanis agitur, ut meliora pluribus placeant; argumentum pessimi turba est (2)». (1) L. Annaei Senecae De vita beata, cap. 11. 1 (2) Nescio, an Angelus De Gubernatis, qui in libro, cui titulus: Ricordi Biografici multa de me incuriose, nonnulla etiam temere, studio partium abreptus, scripsit, perlecta hac disputatione, per- stabit in sententia, quam ibidem (pag. 509) insequentibus verbis effutiit: « Piacemi dunque rivendicare la gloria singolare, che si ac- quistò Ira i viventi lalinisti il Vallauri, come il più eloquente degli oralori, che parlarono latino; onde si comprende agevolmente quanto buon giuoco egli avesse, quanto alle parole, nelle sue recenti polemiche contro il Ritschl ed altri insigni filologi tedeschi, i quali si avvisarono di rispondergli latinamente. Quanto alle parole, io dico; chè quanto alle idee, irretito il Vallauri nelle tradizioni della vecchia scolastica italiana, non sembrami abbia opposto ai poderosi suoi avversari alcuna di quelle profonde ragioni critiche, le quali hanno rinnovata per intiero la disci- | plina filologica degli studi non pure in Germania, ma oramai in tulto il mondo civile. Io mi dispenserò qui pertanto dal considerare il Vallauri come critico, sebbene di lui abbiamo a stampa una Historia Critica della letteratura lalina, sebbene quasi tulti î suoi discorsi accademici, i suoi scritti polemici, le sue edizioni di lesli lalini, le sue stesse Novelle possano considerarsi come lavori fatti con intendimento critico. Ma i | principii, che muovono per lo più quella crilica, sono così diversi dai PRE tata a E- ca Ea — cos R Graphicum sane nugatorem te merito quis dixerit, Angele De Gu- bernatis, qui in scriptionibus meis criticis verba laudas, praeterea nihil; perinde ac si alicuius ponderis essent verba, quibus nulla sit probabilis subiecta sententia. Me eloquentissimum appellas, Angele mi, idemque negas, verba mea vi ulla pollere. Anne ignoras, eloquentem hominem illum esse et dici, qui sic loquitur, sic scribit, ut audientes ac legentes in sententiam suam inclinet? Patere, quaeso, alumne olim disciplinae meae, te ad Tullianos li- bros delegem de Oratore atque ad Quintilianeos de Institutione ora- toria. Ibi et quid valeat vox eloquens confestim videbis, atque optimam argumentandi rationem, spero, percipies. Ceterum nescio quorsum spectent verba illa tua: dovrei pure spesso giudicar l’uomo. Quid stas? quid dubitas? Ehodum eloquere quidquid tibi libuerit. Tibi facultatem facio de me libere, quin et licenter etiam, iudicandi. ‘Quoad enim potest mens mea respicere spatium praeteriti temporis, non video sane quid aut in scriptis meis aut in vita reprehendas. Praesertim vero profiteor, toto illo triennio, quo me audivisti in Athenaeo Taurinensi, nihil unquam ex ore meo excidisse, quod erubescam. Adunanza del 20 Dicembre 1874. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS L’Academico Conte Vesme continuò la lettura del suo lavoro Del volgare toscano e della lingua italiana, Ricerche filologiche, del quale lesse il secondo Capitolo, Ortografa. Ouivi, premesso un cenno sui varii metodi di ortografia se- guiti nelle varie lingue, si fa notare come l’ortografia (sotto il qual nome s'intende il modo di rettamente esprimere i suoni per iscriltura, escluso il caso che la diversità di scrit- tura esprima difatti diversità di suono) nè fu sempre la stessa nella nostra lingua, e, sopratulto nel secolo xIv, grandemente differiva da quella in uso oggidìi. Così è intro- duzione moderna una retta e regolare interpunzione; molte parole, che ora si scrivono disgiunte, o delle quali l’u- nione viene indicata per mezzo di un apostrofo, segno ortografico sconosciuto nel medio evo, allora si scrivevano congiunte in una sola, onde numerose ambiguità ed errori. nella lettura e nella publicazione degli antichi testi; non era in uso l'accento; nel secolo xt e nel xiv si scri- vevano intere molte voci che si pronunziavano mozze, e si dimostra che così praticavano Boccaccio e PETRARCA; o si scrivevano secondo la forma letteraria parole, che in fatti si pronunziavano secondo la forma volgare. Nel secolo xiv invalse grandemente, e in parte si mantenne per più secoli, l’uso di scrivere con forma latina molte voci, che pure si pronunziavano volgari; spesso nella scrittura w, 3 da ni Lic > Mi ai ZI n MT. © È ‘ Ù s ( / II i xa À "i Ù % È A 280 > PSR si ometteva il raddoppiamento delle consonanti; e sopra- tlulto regnava massima incertezza e varietà nell’indicare i suoni, a rapresentare i quali il latino letterario man- cava di propria lettera. Insomma la scrittura italiana du- rante quei primi secoli ed in altre cose differiva dalla odierna, ed era assai lungi dal rapresentare la pronunzia. Essa inoltre non era uniforme, nè da tutti seguendosi una medesima ortografia, ed essendo incerta ed incostante in modo, che nel medesimo testo o nella medesima pagina un vocabolo è spesso scritto in diversa forma. Il Socio Prof. FaBrETTI espone alla Classe il TERZO SUPPLEMENTO ALLA RACCOLTA DELLE ANTICHISSIME ISCRIZIONI ITALICHE. Era appena incominciata la stampa del secondo supple- mento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche (1), che nuovi monumenti scritti tornavano alla luce dagli scavi con- tinuati a Bologna, nell’Etruria centrale e nella Campania: di alcune urne cinerarie, scoperte da varii anni, non erano state esaminate e copiate le iscrizioni, ed altre fu- rono conosciute per recentissime pubblicazioni. In questi fogli sono distribuite, secondo l’ordine geografico, alcuni. monogrammi graffiti in vasi fittili, trovati nell'agro mo- (1) Atti della R. Accademia delle Scienze , vol. ix, pagg. 112-119, 394-366, 673-678, 867-876. 281 danese, pochi frammenti d’iscrizioni etrusche e note nu- . merali e sigle prodotte dagli scavi di Bologna, alquante leggende chiusine tratte da monumenti sepolcrali, pa- recchi titoli perugini, orvietani e cornetani, oltre quelli editi dal Corssen nel suo primo volume sulla lingua de- gli Etruschi (1). Nell’ordinamento di questa serie epigra- grafica, che si compie con le iscrizioni pocanzi scoperte nella Campania, mi furono di aiuto le ricerche degli egregii A. Crespellani, A. Zannoni, G. F. Gamurrini, G. Brogi, G. Bartoli-Avveduti, Vittorio Poggi, G. C. Cone- stabile, Adamo Rossi, Edoardo Brizio. All’interesse destatosi ovunque, specialmente in questi ul- timi anni, per riconoscere le origini del linguaggio degli Etruschi e dichiararne i monumenti letterati, contribuì pro- babilmente la nostra raccolta epigrafica, la quale, dispen- sando gli studiosi da Innghe e faticose indagini, offeriva con quella correzione che si poteva maggiore, e che per lo innanzi non era stata al certo raggiunta, le reliquie delle antiche lingue italiche. Mentre. il ch. Elia Lattes nelle memorie e nei rendiconti dell'Istituto Lombardo (2) pub- blicava una serie di scritti che confermavano col mezzo di minutissime analisi grammaticali quanto erasi già detto sulla origine ariana del parlare etrusco, a Londra il conte di Crawford (3) e Isacco Taylor (4) illustravano (1) Ueber die sprache der Etrusker. Leipzig, 1874. (2) Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere: Memorie ser. IIl, vol. XI; Rendiconti ser. II vol. IV, pag. 621, 755, vol. V, pag.86, 324, 341, 1012, vol. VI, pag. 68, 95, 133, 164, 251, 355, 367, 946, 597, vol. VII, pag. 481, 573, 605, 643. (3) Elruscan ‘inscripltions analysed translated and commented upon, by Alex. earl of Crawford et Balcarres lord Lindsay. London 1872. (4) Etruscan researches by Isaac Taylor. London 1874. con metodo ed intendimento diversi un certo numero di etrusche iscrizioni, l'uno non distaccandosi dalle fonti greco-romane, e l’altro affidandosi interamente ai con- fronti con gl’idiomi turanici. In Germania non riuscirono infruttuosi i tentativi di Giovanni Gustavo Dano (1) e decisivi in gran parte i risultati ottenuti da Guglielmo Corssen, cui piacque riconoscere quanto di vero era stato scoperto e manifestato nelle opere pubblicate in Italia (2). Per gl’idiomi degli Umbri e dei popoli dell’Italia meri- dionale , essendo tracciata la via da percorrere, le leggi grammaticali rimangono fissate e i filologi si aiutano concordi nelle interpretazioni: e tra i cultori stranieri voglionsi ricordare, oltre il Corssen (3), I. Savelzberg (4), Sophus Bugge (5), Michel Bréal (6), Alphred Maury (7), . (1) Elruskische studien (Neue Jahrbicher fiir philologie, an. 1873, pag. 649-695, 777-804; an. 1874, pag. 297-332). (2) Delle ultime vacanze estive volle profittare monsignor Fran- cesco Liverani, scrittore facondo ed eruditissimo, per fabbricare una certa chiave, della quale non mì è riuscito capire il con- gegno nè trovare il serrame a cui adattarla, consegnata nell’ opu- scolo intitolato La chiave vera e le chiavi filse della lingua etrusca (Siena 1874). (3) Commentationes epigraphicae tres (1. De tilulo se- pulcrali osco-Lucanorum; 2. Supplementum inseriplionum oscarumy. 3. De inscriptione sabellica agri Praetutiani) nell’Ephemeris epi- graphica (corporis inscriplionum lalinarum supplementum). Vol. 1, pag. 153-197 (an. 1874). (4) Umbrische studien (Zeitschrift fin vergl. sprachforschung, su 97-237. (59) Altitalische studien (Zeilschrift firm vergl. sprachfi xx, 385- 466). a Toe (6) Za première personne du singulier en Ombrien (Mémoires de la Société de linguistique, vol. 2 AA (7) Journal des Savants, an. 1869, pag. 422-143, 471-495, 096-571, 718-732. CAtane Wed: Filippo Edoardo Huschke (1), Ernesto Enderis (2), Enrico Bruppacher (3). Nell'opera del Corssen l’indirizzo dato dal Lanzi e dalla sua scuola alla interpretazione delle leggende etrusche è stato allarsato, non mutato; ma in molti casi le nuove deduzioni o sono molto dubbiose od assai lontane dal vero: il che interviene in particolar modo quando le iscrizioni vengono considerate quali fossero del tutto in- dipendenti dai monumenti. E qui a giustificare alcune dichiarazioni, esposte in questo supplemento e nelle pre- cedenti pubblicazioni, ho creduto necessario dilungarmi nell'esame dei primi numerati etruschi e delle voci avils, lautni e lautniSa, e incidentalmente di altre, che occorrono soventi volte negli epitafii sepolcrali. Allorchè la voce avils (non di rado avil e una sola volta aivil) è seguita da segni o cifre numeriche, accenna senza fallo alla età dei defunti ricordati nelle etrusche iscrizioni: fu dichiarata per aevitas (aetas da aevum gr. aic9y), e dal Corssen è spiegata per natus o nata dal tema av-0; e nell’un modo o nell'altro, concordando gl’in- terpreti nella derivazione, ossia nel valore etimologico, fu da tutti compreso il significato. La formula compiuta, che rarissimamente s'incontra, era avil ril, per es. avil ril xvi (C. è. ital. n. 340) = aetatis annorum od annos LEVI, oppure natus annos LXvI, secondo il Corssen: spessissimo manca l’avil od avils, e le cifre numerali sono precedute. (1) Zu den altitalischen dialeklen von Philippe Eduard Huschke.. Leipzig 1872. (2) Versuch eine formenlehre der oskischen sprache mit den oshi- schen inschriften und glossar. Ziirich 1871. 6 (3) Versuch einer tautlere der oshischen sprache. Ziùrich 1869. 19 284 dei i spit dial» solamente da ril. Dei tanti titoli mortuarii con avils od avil e aivil, che precedono i numeri segnati alla ma- niera etrusca, notiamo i seguenti: # avils xv (n. 2117) avils xxxvi (n. 2100) avils xvn (n. 2136) avils Lx (n, 2058) avils xvi (n. 2073) avils Lxx (n. 2059) avils xx (n. 2119) avi[1] xxxm (n. 2077) avils xxm (Suppl. pr. avil xyxrv (n. 88) n. 379) avil Lx (Suppl. pr. n. 438 avils xxvi (n. 2109) bis bd) avils xx1x (n. 2090, 2319) avil Lx (n. 2101) avils xxx (Suppl. pr. avil Lxvi (Suppl. sec. n. 117) n. 242). aivil xxm (n. 90). Senonchè cotesta voce avils non sempre, come ora sostiene il Corssen, significa natus: diventa un artefice Avilius a Norchia, a Corneto e a Toscanella (n. 2071, 2104 2335; Suppl pr. n.437; Suppl. sec. n.112, 115,116), un Avilius Esa matre natus a Corneto ed a Vulci (n. 2335 a; Suppl. pr. n. 387), un Tanaquilus Avilius a Toscanella (n. 2108), un Avilius Silius a Bomarzo (n. 2432), un Avilius Magus ‘a Norchia, a Corneto ed a Vulci (n. 2070, n. 2340; Suppl. pr. n. 388) e un Avilius Sextus a Orvieto (n. 2335 bis D c). Per rendere accetta, almeno in parte, questa nuova in- terpretazione, che verrebbe ad arricchire la storia dell’arte italica di notizie sconosciute, gli era necessario non far caso alcuno della conoscenza dei dadi di Toscanella (0. i. ital. n. 2552), mettendo innanzi dubbiose parole sulla loro esistenza o ingenerando nei lettori un qualche sospetto che non siano una semplice fattura moderna; i quali dadi di avorio o di osso, tratti da un sepolcro etrusco, invece dei soliti occhi o circoli (O, ©), o punti incavati e tinti — 285 in nero od in rosso (-, :, i, ::, -:, i) recavano i nomi dei numeri espressi con lettere in questa forma: vAM VO JA# OVE I) AM max tu zal hud ci sa (uno due tre quattro cinque sei) La scoperta apparteneva ai fratelli Campanari, amantis- simi delle patrie antichità: e l’uno di essi, Secondiano Campanari (al quale è dovuta la migliore pubblicazione delle leggende etrusche di Toscanella, e un commenta- rio del maggior cippo perugino), comunicò que’dadi agli eruditi col mezzo del Bullettino dell’Instituto di corrispon- denza archeologica (an.1848, pag. 60): la indicazione vocale dei primi numeri, esposta da Emilio Braun in nome dell’inventore, era a buon diritto riconosciuta dai dotti, che si trovarono presenti, come il duca di Luynes, a quella importante comunicazione, e venne pienamente confermata dalle osservazioni di quanti presero a discor- rere d’allora in poi del parlare degli Etruschi. Trattandosi di due dadi, ossia di un doppio esemplare con le stesse lettere, non poteva nascere incertezza nella lettura; ed il Corssen tien conto di questa circostanza. Senonchè egli si affretta a manifestare certi dubbii, che nell'animo di alcuni, talvolta impazienti nelle accurate indagini, potrebbero indurre sospetti di falsità. Questi dadi, si dice, dove sono andati? Nessuno afferma di averli veduti dal 1848 in poi; e le ricerche fatte nelle pubbliche collezioni di Europa non approdarono a nulla. Dadi nelle tombe furono trovati non di rado; ma non portavano lettere di sorta, invece dei soliti cerchietti, i quali per verità, meglio che coi dadi di Toscanella, do- | vyevano servire ai giocatori per riconoscere prontamente il valore dei punti guadagnati o perduti. Ma questi riflessi non hanno un valore definitivo. Chi può assicurare che le ricerche per ritornare alla conoscenza di quei dadi siano state esaurite, e che un giorno non abbiano a ri- trovarsi in qualche pubblica o privata collezione? Trat- tasi di oggetti di piccolissimo volume, facili ad andare smarriti; e se i fratelli Campanari li conservassero nella propria casa o li cedessero a qualche raccoglitore di an- ticaglie non è noto. Il fatto della pubblicazione subito dopo la scoperta rimane inalterato. Di monumenti perduti o distrutti per vicende conosciute o per circostanze ignote, non passa giorno che l’archeo- logo non muova lamento. Fu lungamente cercata una lamina di piombo, trovata insieme ad altre in un sepolcro perugino: due andarono nella collezione del card. Borgia a Velletri, quindi nel museo nazionale di Napoli: Ia terza, che pareva irreperibile, fu comperata in Firenze e donata al ch. Boudard, che la depositò nella biblioteca di Bé- ziers (1). Al comm. Fiorelli non venne fatto di ritrovare un marmo pompeiano scritto e figurato (C. è. ital. n. 2787); ed io fui debitore alla cortesia del barone de Witte di sapere che faceva parte delle antichità possedute dal duca di Blacas. Nel caso dei dadi la dispersione è facile spiegare: due piccoli. cubi di osso possono essere stati sottratti. Degli amatori di cose antiche e curiose, all’uso di Lorenzino de’ Medici, che una bella notte portò via tutte le teste delle statue dei prigionieri, scolpite nel- l’arco di Costantino, ne capitano in Italia più spesso che non si creda; certi visitatori dei musei provano una dolce soddisfazione di riportare a casa un ricordo de’ loro viaggi. (1) Znscriplion etrusco-latine du tombeau de Publius V olumnius, étude par P. A. Ponda pag. 44 sg. i 199, > Nel museo Guarnacci a Volterra quante non sono le figure, scolpite ad alto rilievo nelle urne di alabastro, decapi- tate? Nel sepolero dei Volunnii mancò d'un tratto una delle piccole sfingi che adornavano il fastigio dell’urna marmorea a foggia di tempietto. Questi casi non sono rari. Ricorda il Cohen, tra le monete consolari, un’oncia (piccola moneta di rame) della famiglia Erennia sulla fede dell’illustre Bartolomeo Borghesi, che giovine ancora avevala vista nel medagliere del Vaticano (1): pochi anni dopo quel nummo rarissimo era scomparso; ma un esemplare, proveniente dalla raccolta del Riccio, arric- chisce ora il medagliere della Università di Torino. Av- verrà forse lo stesso dei dadi, ora posti in discussione, se la fortuna non ne farà scoprire un’altra coppia. Sia pure che più agevole riesca ai giocatori afferrare d’un colpo d'occhio le cifre numeriche nella maniera usata in tutti i tempi: le difficoltà per altro di calcolare sollecitamente per via di parole i cerchii o punti che si presentano nella faccia rivolta in alto non potevano es- sere così grandi, come piace supporre: per verità bastava saper leggere; e alla lunga se ne servirebbero anche gl’il- letterati. Ma dadi di tal fatta, si soggiunge, non si videro mai. Questo si sa; e si può dire lo stesso di ogni altro monumento singolare : saranno i primi, al pari di quelli di pietra dura e di osso, esaminati nel maggio 1864 da Emilio Braun (2), i quali avevano la particolarità di es- sere foggiati, non a cono, ma a parallelepipedo schiac- ciato, e in maniera che i numeri alti, cioè sei e cinque Ò (1) B. Borghesi; OEwvres numismatiques, II; 203; Riccio, Catalogo di antiche medaglie consolari e di famiglie rurtalia;i pag: 97; Cohen, Med. consulaires, pag. 149, n. 4. . (2) Bulletlino dell Instituto, an. 1844, pag. 1341. coi corrispondenti uno e due venivano a stare nella su- perficie rastremata, mentre il tre e il quattro occupavano i quadrati maggiori: i numeri buoni , per la natura del corpo dadiforme, rimanevano più spesso nascosti ; e molta destrezza, se non fortuna, si chiedeva per vedere i due sei rivolti in alto o raggiungere l’iactus Veneris. Di tal forma erano presso a poco quelli trovati nelle tombe di Marzabotto descritti dal conte Gozzadini (1) ed in quelle di Felsina raccolti dal cav. Zannoni (2). Narrasi che gli orientali ne avessero degli oblunghi; e si notano tra i monumenti egiziani certi dadi a forma di piramidi so- vrapposte, le cui facce diventano triangolari (3). I dadi comuni, detti per la loro forma xv6e dai Greci e tesserae dai Romani, furono trovati spesso nei sepolcri dell’ Etruria centrale e dell’Italia superiore: non erano stranieri agli antichi ricordi degli Etruschi; imperocchè se Platone ne dà l'invenzione al dio egiziano Thoth (4), e la greca tradizione a Palamede (5), non è men vero che Erodoto ne fa inventori i Lidii nel tempo appunto che una parte di quel popolo travagliato dalla fame si avviava a cercar nuova sede in Italia per fondare l’impero dei Tusci. Il giuoco dei dadi ricordava una pagina incancel- labile della storia etrusca; e come era un passatempo grato agli antichi, ritratto nelle greche pitture che rap- presentano Palamede e Tersite, così aveva un senso sim-. (1) Ragguaglio di ulteriori scoperte nell'antica necropoli a Marzabotto nel Bolognese, pag. 40, tav. XIV, n. 2. (2) Vedi pag. 291, nt. 4. (3) LL Becq de Fouquières, Les jeur des anciens, pag. 309. (4) S. Birch osserva (Rev. archéol. nouv. série XII, 57) che i dadi trovati nelle tombe egiziane ed in altre località dell’ Egitto sono di epoca romana (Winkilson Mann. and. Cust. IF, tai; pi atai) (5) Sofocle framm. n. 100. i ME Ea © Mot °° SAI ri De 289 bolico, allusivo alle fortunose vicende della vita umana: ita vita est hominum quasi si ludas tesseris (1); sentenza più seria che quella di Epicarmo: maritarsi è tentare la fortuna a colpi di dadi: o tre sei o tre assi. I dadi nei sepolcri pren- devano un valore simbolico (2); ed è per questo che nelle tombe etrusche se ne trovarono molti, non solo di osso, ma di terra cotta e talvolta mancanti di qualsiasi indica- zione di numeri: forse inumeri segnati in nero od in rosso erano scomparsi(3), dacchè non sia da credere che siffatti pezzi quadrati tenessero luogo di astragali o tali, che dalla forma delle loro facce irregolari, piane, convesse, con- cave e sinuose e senza segni di sorta, pigliavano nomi diversi e rispondevano a punti buoni o cattivi o mediocri, menzionati dagli scrittori. Non dice il Corssen che i dadi di Toscanella siano falsi; ma in tutto il primo volume della sua opera non ne parla più, e spiega assai diversamente le voci max, zal huS e ci, che occorrono in altri monumenti etruschi ; anzi trova modo di ritenere lo zal e il ci quali compi- menti di nomi proprii, quasi frammenti distaccati, per negligenza dei lapicidi, dal corpo della parola. Accertata per altro la spiegazione di quelle voci, indicanti nomi nu- merali, nel modo che venne accolta sin qui, senza che alcuno seriamente la contradicesse, si distacca una pietra dall’edificio costrutto con tanta dottrina ed accorgimento (1) Terenzio, Adelph. IV, vit, 21. (2):9-da Mach ken Syl vighificalo dei dadi e delle mani nei sepoleri degli antichi (Annali dell’Instituto XXX=1858, pagg. 141-163). Se ne trovarono anche nei sepoleri cristiani (Passeri, Gemmae astrif. II, diss. XIV, pag. 253, 270 sg. (3) Il mio egregio amico Giosafat Bazzichelli possiede dadi di terra » cotta assai fragili, ne’ quali i punti neri sono ARE interamente scomparsi. © da a, 290 (AMT SA dal Corssen. Egli solo ha sentito ripugnanza nell’ammet- tere che max corrisponda ad uno, tu a due, zal a tre, huS a quattro, ci a cinque, $a a sei. È vero che il Taylor nell'opera superiormente ricordata (pag. 189) dà un va- lore diverso alle voci Su, huS, ci, s'a, dichiarando la prima per cinque, la seconda per sei, la terza per due e l’ultima per quattro; ma ciò dipende dalla sua intenzione di ricondurre l’etrusco ai linguaggi turanici; e se il Taylor scambiò il valore di quei numerali, la colpa non è certo del monumento. Contuttociò io non dubito di affermare che lo scrittore inglese (e dico lo stesso del Migliarini e del Dano), senza dargli ragione del metodo seguito nelle sue investigazioni, non ha mal compreso nell'insieme la teoria dei numerali presso gli Etruschi. Nè dalla sola voce Su per due fu indotto Secondiano Campanari a giudicare che nelle altre cinque si trattasse de’ numeri: bastava il fatto di vederle scritte nelle sei facce dei dadi, e lo studiarle ad una ad una; e non è da pretermettere, che Domenico Campanari: aveva fatto l'ingegnoso esperimento (1) di porre quelle voci a com- parazione con altri dadi antichi, dove i numeri trovansi indicati con occhi numerici, e ponendo il may col nu- mero 1, il Su corrispose perfettamente al numero 2 del medesimo dado, e così il zal al 3, e l’huS al 4, mentre ci e s'a venivano a stare nei fianchi precisamente come negli altri dadi antichi. Ne conchiudeva Emilio Braun, che per questa circostanza veniva sempre più confermata la supposizione, che tali parole null’altro significassero che numeri. Così fatta disposizione dei numeri, verificata nei dadi di Toscanella, come in altri trovati a Pom- 3 (1) Bullettino dell'Instituto ecc., an. 1848, pag. 78. 00° . 291 peia (1), non era costantemente osservata: in quelli di pietra e di osso, venuti in luce dalle escavazioni di Palestrina (?), di Marzabotto (3) e di Bologna (4), non era sempre conforme al precetto datoci da un epi- gramma dell’Antologia greca (5), che cioè i dadi dove- vano recare 6 e 1, 5 e 2, 3 e 4, ossia, dice Eustazio, dovevano essere disposti in maniera, che la somma dei (1) Rich, Dict. des antig. rom. s. v. tessera. (2) Bullettino cit., an. 1855, pag. 46. (3) Il ch. conte Giovanni Gozzadini ne tenne parola nella Re- lazione di un'antica necropoli a Marzabotto nel Bolognese, pag. 39 (tav. XIX 15) e nel Ragguaglio ecc. già citato. Le sue osservazioni vengono compendiate nelle seguenti linee, da lui gentilmente com- municatemi. « In quanto ai dadi ne ho trovati a Marzabotto uno nero di argilla, alquanti cubici di osso, ed altri di forma paralle- lepipeda a lati disuguali pur d'osso. Quelli cubici, di osso, sono numerati come i greci e i romani, sicchè i numeri dei due lati opposti sommati dànno sempre il prodotto di sette, cioè 1 — 6, 2— 5, 3 — 4. Per contro tanto il dado cubico di argilla, quanto quelli parallelepipedi d’osso, hanno i numeri disposti in modo, che da due lati soltanto si ha il prodotto di sette, cioè 1—2, 3-4, 5—6 ». (4) I dadi delle tombe bolognesi in numero di 19 (così mi scrive il ch. Antonio Zannoni) hanno due forme, cubica e parallele- pipeda. Dico cubica la prima, perchè quantunque i lati differi- scano di qualche millimetro in lunghezza, pure credo che debbano ritenersi fisicamente per cubi: la forma parallelepipeda è poi ben distinta, e le faccie dei rettangoli a due a due eguali sono così sa- lienti, che il solido non può prendersi per cubo, ma è un vero paral- lelepipedo...... Ecco le conclusioni rispetto alla corrispondenza della somma delle loro faccie : in otto dadi cubici si ha l’1 corrispon- dente al 2, il 3 al 4, il 5 al 6; in altri sei si ha l' corrispon- dente al 6, il 3 al 4, il 2 al 5. In sei dadi parallelepipedi l'1 cor- risponde al 2; il 3 al 4, il 5. al 6; ed è da notare che in questi ultimi dadi l’1 e il 2 sono nelle faccie più piccole, il 3 e il 4 nelle medie, il 5 e il 6 nelle massime. : (5) Anthol. Palat. XIV, 8: pit Pe mivre, dio , Tpia, tiscapa xUfios saver, i 292 ita numeri segnati nelle facce opposte fosse uguale a sette. La dichiarazione dei primi numerali etruschi, dall’uno al sei, veniva esposta succintamente nella seguente ma- niera: may: fu raffrortata con da forma greca pali: la x, di cui non fu data ragione, come il Corssen osserva, potrà rappresentare il suffisso -co, siccome in uni-co: così l’e- trusco rumax equivale a romanus (popaxos). Su: risponde a duo. Alla mancanza della dentale so- nora nell’alfabeto etrusco supplivasi con la corrispon- dente 1, come in catmite =Tawysndns, tute = Tudeds, atresdSe = “Adpaoros; e la : mutavasi spesso in $, come in SeSis= ®érs, cluSumusSa e clutumita= Kaurasuynorpa, urusde = ’Opéorns ecc. zal: fu ricondotto a ter, tres, indipendentemente dai raf- fronti semitici del Migliarini e del duca di Luynes, che riavvicinarono lo zal all’ebraico schalosch. La dentale £ si mutava talvolta in 3, come in ziumite per tiumite = Arpndns, tizial per titial, vezi per veti, zet= tetet (dedit) ecc. huS: corrisponde a quatuor (sanser. c atur) con l’aspi- razione in principio, la quale nei dialetti italici sottentra spesso alla gutturale (cf. etr. uhtave=0ctavius, osco uhtavi = Octavius, umbr. uhtur = auctor). ci: è quinque, che nel latino popolare ricomparisce nella forma cinque e ciquaginta. s'a: ser, sanscr. sas. h A me sembra, che la critica filologica debba trovarsi, molto più impacciata nel combattere, di quello che a confermare nella sopra notata maniera la dichiarazione di quelle voci, da nessuno sino a questi ultimi tempi re- spinta. Nè al ch. Massimiliano Miller parve strano ac- cettare una tale interpretazione; anzi nè pure gli cadde in mente che si potesse mettere in dubbio, allorchè prese ad esaminare l’opera del Taylor, scrivendo queste pa- role (1): « Se è cosa accertata, che l’etrusco abbia a riguar- darsi quale un linguaggio di ariana origine, così fatti nu- meri non offrirebbero gravissime difficoltà: le voci che de- signano uno sono spesso indipendenti nelle favelle ariane; ma il mach potrebbe connettersi con sama, d’onde 6pos, sem-el e possibilmente con wia:thu per duo, ki per quinque e s'a per sex non offrirebbero difficoltà di sorta: zal per tre e huth per quattro sono strani: tuttavia con la lar- ghezza invocata dal Taylor per formarne la origine al- taica, zal potrebbesi ricondurre a tal, tar, tres, e ricono- scere l’huth come un accorciamento del sanscrito chatur, quatiro ». Nè più nè meno si era detto per lo innanzi dagl’interpreti nostrani. Oltre la fiducia negli scopritori di quei dadi, soccorrono altri argomenti: a convalidarne la sincerità. Alcuni di quei nomi numerali non erano conosciuti prima dell’anno 1848, epoca dell’annunziata scoperta; e quelli già noti, con la stessa ortografia o no, venivano diversamente interpretati e da nessuno compresi: furono le scoperte posteriori che rimisero sott'occhio quei vocaboli, all'infuori del Yu = duo, nei monumenti funerarii in sostituzione delle note nume- rali indicanti la età dei defunti; soggiungo gli esempi: avils mays (n. 2070; Suppl. pr. n. 388) avils huSs (Suppl. pr. n. 437; Suppl. sec. n. 115, 116) avils cis {n. 2108, 2335 d.) avils sa$ (n. 2104) (1) The Academy, jan. 1874, pag. 14. De’ quali esempii e di altri simiglianti, che importano assai per completare il sistema numerale nella scrittura etrusca, non sarà inutile indicare il tempo della scoperta. 1. may, mays: il may dei dadi trovò conferma nel mayxs di un sarcofago di Norchia (n. 2070), conosciuto nel 1853, e in aliro sarcofago di Vulci (Suppl. pr. n. 388), pubblicato nel 1869. 2. Su: non si è visto, con questa ortografia, nella po- sizione tenuta dai numeri; ma trovasi Ja forma Sunesi appunto nel posto occupato dai numeri e preceduta da avils (avils Sunesi, n. 2335 a) in un sarcofago sco- perto verso il 1854. 3. zal: lo zal dei dadi ebbe una corferma l’anno 1850 con la scoperta delle tombe di Musarna presso Viterbo n. 2056 clenar. zal.). 4. hut, huS, huSs: la prima (hut) era stata letta nel cippo perugino (n. 1914 A, lin. 16 hut naper), e l’huSd dei dadi ricomparve nel cippo volterrano (n. 346 hud naper) scoperto nel 1855; huSs, sempre prece- duto da avils, fu letto in questi ultimi anni nei monu- menti sepolcrali di Corneto (Suppl. pr. n. 346; Suppl. sec. n. 115, 116). 9. ci, cis: ci era noto, ma non dichiarato, nel cippo perugino (n. 1914 A, lin. 24 naper ci o cicnl) e in un ipogeo di Corneto (n. 2340 ci clenar): venne di nuovo letto, l’anno 1850, in un sarcofago viterbese (n. 2055 clenar.ci) e più tardi, col solito accompa- gnamento di avils, in un sarcofago di Norchia (n. 2071 avils ci o meglio ciem). Cis era conosciuto in un sarcofago di Toscanella, conservato nel Museo Britannico (n. 2108 avils Cia). 6. sa, sas': il sa dei dadi trovò il suo riscontro nel 295 sas delle lapidi di Toscanella, probabilmente prima del- l’anno 1848 note al Campanari, che le pubblicò nel 1856. Una di queste lapidi (n. 2119) ha di particolare, che ri- corda gli anni ed i giorni vissuti dall’etrusco Vibio Vibi- niano, con la formola avils xx tivrs sas, cioè della età di venti anni e sei giorni. Niuna cosa era stata meglio posta in chiaro nella in- terpretazione del linguaggio etrusco, quanto il valore dei numerali dall'uno al seé, non che seht=septem e uht= octo, desunti dai gentilizii sehtumi e uhtave, come il tec= decem da tecumnal=Decumina: le nuove esercita- zioni linguistiche del Corssen si discostano di gran lunga dalle esposte dichiarazioni : avils, seguìto da note nu- meriche, vale natus, ma seguito dalla voce maxys si trasforma in un artefice etrusco, chiamato Avilius Magus, che avrebbe scolpito monumenti sepolcrali, talvolta senza scultura. Fra i monumenti sopra ricordati, per l’epoca del loro discoprimento, abbiamo notato ci clenar in una iscri- zione di Corneto, e clenar ci in un sarcofago apparte- nente alla famiglia degli aleSnas, conosciuta in due tombe viterbesi. La voce clenar era stata raffrontata con clan, che seguita quasi sempre i matronimici desinenti in -al nei brevi titoli sepolcrali dell’Etruria, per es., aule velimnas Sefrisa nufrznal clan=Aulus Volumnius Tiberi filius Noforsinia. natus: clan fu riguardato come "un rappresentante del latino cnaius=gnatus (filius), e forse indicava il primogenito nella famiglia; lo che si accorda, quantunque per diversa induzione etimologica (clan= grandîs), con la interpretazione del Corssen. Nei due titoli etrusco-romani, venuti fuori da una medesima tomba di Montepulciano (n.956 sg.): AR-SPEDO VEV - SPEDO THOCERNAV O THOCERONIA CVAN NATVS o clan corrisponde a natus, o significa che Arunte era il figlio maggiore rispetto alla età di Velio. E qui cade in acconcio di osservare, che se i nomi dei personaggi ricordati nei sarcofagi, nelle urne, nei vasi cinerariì, nei tegoli e nelle pareti dei sepolcri sono sempre enua- ciati nel caso retto, come aule acsis= Aulus Agius, arnà urinate=Aruns Urinatius, cae cicu = Caius Caecius, cneve taryunies rumay= Gneus Tarquinius romanus, vel. plaute= Velius Plautius, larò velimnas= Lars Volumnius, in un monumento di altra natura e destina- zione, qual è la statua di bronzo, detta l’arringatore, nel Museo Etrusco di Firenze, nella cui iscrizione era da aspettare un titolo dedicatorio, il nome del personaggio viene espresso in una maniera differente, cioè aulesi metelis ve. vesial clensi (n.1922), ossia Aulo Me- tellio (o Metilio) Velii filius Vesià natus : in questo esempio clens'i è una modificazione di clan e si accorda con aulesi, come nel cippo perugino (n.1914 A, lin. 9-10). aulesi velSinas arznal clens'i = Aulo Veltinio Arti- nia mato. Nell intelligenza del Corssen la voce clensi diventa un nome di donna, Clentia. Affini a clan e clens'i mi parve dover ritenere il clenar, letto chiaramente in alcuni titoli funerarii, riconducibile alle forme latine genus, genitus, generatus: in due iscrizioni di Musarna, no- tevoli per la corretta divisione delle parole, clenar è seguìto una volta da zal= tres e un’altra da ci=quinque {clenar:zal, n. 2056; clenar'ci, n. 2055); il Cors-. sen legge addirittura clenarzal e clenarci, ricompo- . 297 nendo un altro nome di donna, Clenarcia. Senonchè il caso volle che si conservasse memoria di una iscrizione tarquiniese (n. 2340), nella quale invece di clenar ci. leggesi ci clenar, che direttamente contrasta alla ristau- razione voluta dal dotto linguista di Berlino. Un'altra voce etrusca, a cui si accompagnano hut od huòd e ci, è naper variamente interpretata e presa dal Corssen nel significato di conditivum. Conseguente alle esposte dichiarazioni, mi limitai ad affermare che naper era sempre congiunto con voci o cifre numerali, trovando nel cippo perugino naper xi, hut naper, naper ci (o naper cicnl), e nel sasso volterrano huò naper; ed anche in ciò il caso ha voluto, che non ha guari ri- tornasse alla conoscenza degli etruscisti la seguente iscri- zione perugina, nella prima metà del secolo xvi trascritta due volte dall'architetto Sangallo (Suppl. sec. n. 90) JAUMV2 .... Cara] IQIA1AH! .... ivi naperi nella quale ritorna innanzi il naper seguito dalla prima nota numerale. Gli oppositori leggeranno probabilmente naperi. pr Rimane una obiezione del Corssen da eliminare; la quale sta in questo: aver trovato nelle sue minutissime indagini, che l'uno si trova nelle voci etrusche eca e un-i, il due in tei-s, il tre in tri-nache, il quattro in chvar-thu, il cinque in cuin-te e il sei in ses- th-s. Osserverò di rincontro che l’eca per unus, ricavato da tesne eca (n.1914A, lin. 20), che avrebbe il signifi- cato di undecim, non è provato, mentre il più delle volte piace al Corssen, come si era fatto da noi, pigliare eca per hanc, ecan ed ecn per hoc. Nè l’ invocato uni si è è di vat. > d0d 298 x o mai incontrato per unus: uni è nome di una divini femminile in varii specchi etruschi, che il Corssen crede. derivato dal tema verbale un-?-, onde un-i per un-i-ia significherebbe letteralmente che unisce (vereinigende).É poi uni per unia anche nome di persona, oltre unaias, uneitas',unata, unata-sa, unats,iquali trovano con- fronti nell’onomastico latino coi nomi e cognomi Onatius, Onatilla, Onerius, Onesa, Onius, Onianus, Onicius, e coi greci “Oyayos, ’Oyvds, "Ovagior, "Oyaros e somiglianti, di ben altro significato etimologico. Arrogi che per giovarsi con sicurezza dell’onomastico etrusco ed acquistarne argomenti per mettere in chiaro gli scarsi avanzi di questa favella perduta, sarìia necessario premettere la soluzione del que- sito: se tutti i nomi proprii che s'incontrano melle iscrizioni siano propriamente di etrusca origine, e se non ve ne. siano, pochi o molti, ricevuti dalle popolazioni contermini, mon che dai Romani, come a Roma se ne trovano importati dall’ Etru- ria e dalle altre province italiche. Veggo nei gentilizii ceicna, larcna, lemrecna, marynas, spurinas, tarynas, velimnas, velyas, vipinas, vercnas ecc. e nei pre- nomi arnà e lar$, Sana e hastia o fastia altrettante forme indigene dell’ Etruria; ma i nomi sentinate e urinate, epesia e sminsde, apluni, ceisi, cicunia, plaute, venete, metelis, salvis ecc. trovano con- fronti e ragioni di origine al di là del Tevere. - Del teis per duo, preso dal cippo perugino (n. 1914 A, lin. 4, 22) non si rende altra ragione che l’analogia de’suoni vocali. Il latino tres potrà manifestarsi nel trinayxe addotto dal Corssen, ma è tratto troppo da lunge, non dai monu- menti dell’Etruria propria, ma da un bronzo trovato nel territorio di Trento, ove anche le forme grafiche in gran parte diversificano da quelle dell'Etruria ‘propria. Quanto. | di K 299 ai prenomi yxvarSv (o xvardSu}= Quartus e cuinte= Quintus è da ritenere che non siano nè molto antichi nè originarii dell'Etruria: cuinte s'incontra una sola volta in un titolo bilingue di Chianciano, probabilmente della fine del settimo secolo di Roma, cvinti e cvintia in due bronzi di Cortona e in lapidi perugine; e yxvardu è una forma prettamente romana con lettere etrusche; quando si consideri tutto il titolo aretino (n. 466 bis) sez yxvarSv yxartillas, ossia Sertus Quartus Quartillae filius. — La forma ses9s, che il Corssen vuol vedere nella leggenda dipinta di un sepolcro orvietano (n.2033 bis Dc), è supposta: la vera lezione è sesps, che preceduta da avils (avils sesps) accenna ad un numerale (non ad un Avilius Sextus) che s'inizia con la sillaba se-; ma non conviene dimenticare la formola avils mayxs sempalysl di un sarcofago di Norchia (n. 2070), che ci porterebbe a correggere semgs nella leggenda di Orvieto. Ad ogni modo la somiglianza di ses- con sa e sas dei dadi e delle iscrizioni sepolcrali non nuoce punto alla nostra interpretazione, ma la rafforza. Messo in sodo il valore delle voci numerali lette nei dadi di Toscanella e in altri monumenti etruschi, ag- giuntevi le tre ricavate da uhtave. sehtumi o setumi e tecumnal, è lecito estendere le osservazioni ad altre forme numerali composte , già riconosciute e discusse dal Migliarini (1) e recentemente dal Taylor e dal Dano. ul lettore avrà avvertito, che taluni di questi numerali, come max, huS, ci e sa, allorquando nei monumenti sepol- crali vengono a indicare la età dei defunti, e sono pre- ceduti da avils, escono in -s (mays, huS$s, cis, (1) Nell’Archivio storico italiano, nuova serie, vol. XII, parte 22, pag. 9 sgg. | 20 sas), verosimilmente caratteristica ora del genitivo singo- lare, ora dell’accusativo plurale: congiunti con le decine. patiscono quasi sempre la medesima alterazione, come dai seguenti esempii : | avils [m]}axs mealylsce (n. 2340) avils mayxs zaSrums (Suppl. pr. n. 388) avils mays sempalyls (n. 2070) avils Sunesi muvalyls (n. 2335 a) avils huSs muvalyls (Suppl. sec. n. 115) avils huSds celyls (Suppl. pr. n. 438) avils cis muvalyl (n. 2335 d) avils ciem zaàrms (n. 2071) avils cis cealy:s (n. 2108) avils sesps (n.2033 Dis D c) avils esals cezpaiyxals (Suppl. pr. n. 387). . La strana unione di certi gruppi consonantici, quasi impronunciabili, rende assai malagevole la interpretazione di quelle voci che seguono immediatamente i numerali semplici, mealylsc, muvalyl e muvalyls, zasàrms e zaSrums, celyls e cealyls, sempalyls e cezpal- xals. Tolte le finali -yl, -xs, -yxls, -xlsc, -xals (sempre lo stesso suffisso sotto cinque forme diverse), ri! mangono i temi meal-, muval-, cel- e ceal-, sem- gal-, cezpal-, nelle quali non è allucinazione lo in- travedere altrettante derivazioni dei numerali semplici: certo non è ardimento tradurre il -zaSrms=zaSrums per trigesimus, onde mayxs zaSrums=unum et triginta, ciem zaSrms=quinque et triginta, essendo che in za- Srums non si nasconde la parte fondamentale, che è zal=tres. E siccome dei numeri segnati nei dadi l'uno diede la spiegazione dell'altro (lo spiegarli un per uno. 300. < , CORTA 2, de) în monumenti diversi sarìa stata impresa difficilissima), così interviene per i numerali che indicano le decine: se zaàrums vale trigesimus, non è strana la congettura che in Sunesi (avils Sunesi) Su=duo ne sia il fon- damento : altre s'iniziano per me-, muv-, ce-, ses- (?) e sem-, nelle quali voglionsi probabilmente riconoscere e studiare le derivazioni dai numerali semplici: celyls e cealyxls per quinquaginta, ses ps per seraginia, sem- palyls per septuaginta: avils esals cezpalyals è più oscuro. Le cose dette fin qui dovrebbero bastare, s' io non m’in- ganno , a stabilire la vera conoscenza dei primi sei nu- merali, riscontrati tanto nei dadi di Toscanelia, quanto nei titoli sepolcrali ed in altre etrusche iscrizioni: esclu- dono in pari tempo la interpretazione di avils per Avilius, e infirmano la pretesa scoperta di quei tanti Aviliz, men- tovati di sopra, lapidarii o sculptores, e schierati dal Cors- sen. Nei monumenti sepolcrali, ossia nelle urne e sarco- fagi, di squisito. lavoro, i nomi degli artefici non s'in- contrano mai: è proprio in quelli di nessuna importanza per merito di arte, che gli scultori avrebbero lasciata memoria della mal condotta opera loro: sono per lo più coperchi di grandi casse o con la sola imagine dei de- funti o senza scultura di sorta. Come menar buona la dichiarazione di avils sesSs lupuce (ammesso anche che la lezione sia giusta) per Avilius Sextus sculpsit, scritto sopra la fisura di un uomo sedente a triclinio (n. 2033 bis D c) nella parete dipinta di un sepolcro orvietano, ove non esistevano monumenti plastici? Nè è del pari credibile , che per porre in opera lo stipite, l'architrave e la soglia di travertino all’entrata di quello stesso se- polcro ci volesse un artefice chiusino, che dicesse di se clevsins 19 [z]ilaxnce pulum (Clusinus Lars ex silice fabricavit ov) in una leggenda che si riferisce ad un secondo personaggio dipinto nella parete e nel solito at- teggiamento col quale vengono ritratte le imagini dei ‘ trapassati (1). ( continuazione ). CE T.T ERA DI frIOVANNI PPANO AL CONTE CARLO BAUDI DI VESME: ‘ bi ; INTORNO ALCUNE ANTICHITÀ SARDE riportate da corrispondenze DEI DUE ILLUSTRI FRATELLI DOMENICO E CARLO PROMIS. ne ei 9: ] DAI s x Nel Bullettino archeologico sardo (anno 1x, 1863), nella n serie dei Corisoli, Presidi, Pretorie Questori che governarono "vo la Sardegna, alla pag. 40, parlando di Publio Vibio Mariano, citava l’iscrizione riportata dal Grutero (ceccLxxxvn, 6), e prometteva che di questa iscrizione avrei parlato dote: mente in altro luogo. E Siccome in quell’anno morì il sempre compianto Alberto (1) Veggasi l’opera del conte G. C. Conestabile , Pitture DE a fresco e supellettili etrusche ecc. scoperte in una hosragili cia CSI be: nel 1863 (Firenze 1865). i pantalol i 303 Della Marmora, il quale pochi giorni prima della sua morte mi aveva mandato il disegno del monumento del detto Vibio, che aveva ritratto da quello preso sul luogo dall'altro ora pur compianto collega Carlo Promis, nell’anno seguente che fu l’ultimo del Buliettino, non potei riportare nè l’iscrizione, nè il disegno del monumento. Non poteva poi entrare in una delle seguenti decennali Riviste delle scoperte archeologiche, perchè queste si restringevano all’attualità di quanto veniva a scoprirsi nell'isola ogni rispettivo anno. Ora per non lasciare questo monumento inedito in mezzo alle altre mie note e cimelii, mi prendo cura d’in- dirizzarlo a voi, per il caso che vogliate aver la compia- cenza di presentarlo al consesso della Real Accademia delle Scienze, accompagnandolo colla lettera del sullodato archeologo Carlo Promis, e col disegno del monumento. In pari tempo unisco altre lettere di lui e dell'altro suo dotto fraiello Domenico, mancato anch'egli non è da molto alla scienza ed agli amici, le quali riguardano ‘alcune antichità della Sardegna. « Trovandomi », così mi scriveva il Carlo Promis da Torino il 21 maggio 1862, « al principio di aprile ad una » seduta dell’Accademia delle Scienze, e percorrendo il » Bullettino archeologico sardo dalla S. V. con tanto zelo » mandato alla luce, mi avvenni nella nota dei Presidi » di Sardegna, ma non vi trovai P. Vibio Mariano. Lo » dissi al Conte La Marmora, di cui oggi lamentiamo la »_ perdita (1); il quale mi fece osservare, che probabilmente (1) Egli morì nel 18 maggio 1863, alle ore 6 e mezzo di mattina, in età di 74 anni. Dopo 10 anni e due giorni lo doveva raggiunger nella tomba il suo collega, l’autore di questa lettera, il dì 20 maggio 1873. Dopo la 304 » Ella avrebbe inserito codesto Preside in altro fascicolo. Io gli presentai, che scendendo Ella ai tempi di Set- timio Severo, ai quali è anteriore l'iscrizione, poteva esser che codesto Vibio non fosse giunto a di lei no- tizia, e che perciò gli avrei rimessi i disegni stessi che ne aveva già fatti in Roma fin dall’anno 1836 (1)». » Al V.° miglio adunque della Via Cassia, tra Roma e la Storta, vedesi ancora un grandioso sarcofago di marmo bianco, nella cui fronte anteriore, in lapide di metri 1.146 per 1.382 è scolpita la seguente iscrizione: D. M. S. P. VIBI.P.F.MARIANI.E.M.V. PROC ET. PRAESIDI . PROV . SARDINIAE . P.. P_. BIS TRIB . COHH . IX. PR. XI. VRB. III . VIG. PRAEF . LEG. Il. ITAL.P.P.LEG.IIT . GALL . 7. FRVMENT © ORIVNDO . EX . ITAL. ÎVL . DERTONA PATRI . DVLCISSIMO ET . REGINIAE . MAXIME . MATRI KARISSIMAE VIBIA | MARIA . MAXIMA . € . F . FIL . ET . HER » Lo scritto è conservato e leggibile a perfezione, tolto che nella 2 linea le lettere E. MV. PROG. (Egregiae Memoriae Viro Procuratori) sono alquanto corrose. » Fu pubblicata dal Grutero, dal Muratori, dal Mont- faucon, da Sante Bartoli, dal Nibby, e da altri, ma sempre con più o meno errori. » Spettando essa ad un Piemontese (2), che senza dubbio » è il più anziano tra i governatori dell’]sola, la volli mancanza del primo aveva meco seguitata la corrispondenza’, e mî fu largo di aiuti e di consigli sino agli ultimi giorni della sua vital (1) Io mi era riservato di riportare questo Preside all’altro nu- mero del Bullettino, come ben sospettò il Della Marmora; rò, mi poteva esser ignoto, poichè aveva citato il Grutero. ecu (2) Oriundo Dertona, cioè nativo di Tortona. esaminare e misurare, coll’aiuto d’una scala che portai meco, il 20 gennaio 1836, e la lessi attentamente, mentre il sole vi batteva obliquamente. Essa è cinta » da cornice quadrata di metri 1.146 di lato. » La grandiosità di questo monumento è tale che, messo » a parte il coperchio, il solo masso che conteneva gli » avanzi del defunto, raggiunge il volume di metri cubi » undici e mezzo (1). È volgarmente conosciuto sotto il » nome di Sepoltura di Nerone, e così già chiamavasi nei » tempi bassi. La sigla o. segno 7 della quinta riga, dopo » GALL. significa Centurione, applicabile specialmente, » come qui, alle Frumentarie. ‘ L'epoca dell’iscrizione non è indicata da cosa alcuna » che in essa sia formolata. Due caratteri però i quali » visi notano la fanno stabilire circa i tempi di Adriano, » oppure degli Antonini (anno 120-180), e più ristretta- » mente ancora circa l’anno 140-160 (2). » Primo carattere si è la forma delle lettere, la quale » affatto combina con quelle dei tempi di Antonino Pio; » in secondo luogo quella enumerazione gerarchica mi- » litare, la quale trovasi ancora a quell’età: ma ai tempi » di Comodo già era in disuso, od almeno non comincia » più da gradi inferiori andando ai superiori. Così pure ) è < (1) Dall’avergli la figlia eretto questo superbo e dispendioso mo- numento, è segno che dal padre avrà ereditato grandi ricchezze, che in maggior parte avrà egli espilato, come fecero i suoi prede- cessori, dalla Sardegna! (2) Io seguitando l’opinione degli scrittori sardi l'aveva collocato È dopo l’imperatore Comodo; ma dalle critiche osservazioni dell’au- : tore della lettera, bisogna riportarlo al tempo degli Antonini. Dietro è le nuove scoperte fattesi nell'isola, specialmente delle pergamene e carte d’Arborea, la serie dei Consoli e Pretori romani sli in gran parte arricchita e riformata. ® PES 306 » il chiamare Mariano, Egregiae Memoriae Vir è un modo » di dire cominciante ai tempi degli Antonini la scala » sempre crescente dei complimenti lapidarii. » L'iscrizione è fiancheggiata dalla figura dei Dioscuri, » poi da altri ornamenti di aquile, guerrieri, trofei, ecc. » di buona scultura romana. In mezzo a ciò nel fianco » a sinistra dello spettatore è incavato a scalpello un » ippogrifo ed una testa di bove, ambi barbarissimi, an- » tichi però, e che sconcertano qualunque ipotesi vi si » volesse fabbricare (1). Io aveva dato al Conte La Marmora questi disegni, » dei quali egli aveva ricavato copia col pantografo, e . » glieli avrebbe mandati con un corriere d’aprile, se la » sua salute gliel’avesse permesso. Pur troppo ch’essa andò » sempre peggiorando, sicchè la gotta portatasi allo sto- » maco, privò il paese e tutti noi di quell’eccellente uomo. » Scusi la informe notizia che mi prendo la libertà di » inviarle, e voglia ognora avermi quale mi pregio di » essere Div,mo Servilore CARLO PROMIS». I disegni del monumento mi erano stati spediti dal Della Marmora nei primi di maggio, prima che inerude- lisse il male: anzi vi aveva apposto alcune note di sua mano. Una di queste riguarda la base del sarcofago, e (1) Il Grutero così descrive i bassi rilievi: « Romae versus Pontem Aemilium : in via Cassia, 20 ab urbe miliario, in sarcophago erecto in quo hine et inde veluti Castores: in operculo victoriae alatae cum trophaeis: in lateribus gryphes super capita boum, supra quos in operculo aquilae cum serpentibus luctantur, astante quodam sagato, hastato trunco innitente ». dice che aveva metri 3.105 di lunghezza, e metri 3.130 di maggior altezza. Un'altra riguarda la costruzione del sarcofago , dicendo ch’era di pietre quadrate: la terza fi- nalmente riguarda il griffone ed il capo di bove, che aveva disegnato separatamente, ma avvertiva, forse nel caso che io pubblicando l’iscrizione , avessi unito il disegno, che potevano omettersi, ma potevano servire per meglio ripro- durli a fianco del monumento veduto intiero: di modo, che si può dire che questo impareggiabile ed instancabile nostro cittadino è morto sulla breccia lavorando per le cose della sua amata Sardegna! Dalla surriferita lettera del Promis si vede quanto in- teresse egli prendeva per le cose della Sardegna, al pari del suo collega Della Marmora, dal quale sempre s’in- formava, e voleva esser a notizia delle scoperte archeo- logiche che si facevano in questa nostra terra, cui aveva speciale predilezione. Quanto egli gradiva ed aspettava con ansietà gli opu- scoli che io ogni anno gli offeriva! Il segno più forte di questo suo gradimento si può inferire da ciò, che a tutti faceva le sue dolte osservazioni, delle quali sovente io ho tenuto conto. Anzi allorchè sapeva essersi pubblicato qualche monumento sardo in Germania od altrove, su- bito me ne dava avviso, e mi trascriveva la parte che lo riguardava. Così con lettera del 23 marzo 1867, mi scri- veva: « Non sapendo se nella Biblioteca di Cagliari vi » sia o no la raccolta delle iscrizioni napoletane del Ch. » Mommsen, ed a questi giorni avendola avuta tra mano, » e dovendo scrivere al Conte Vesme, vi acclusi codesto foglio contenente le lapidi di soldati sardi. Qualora Ella già le conoscesse, La prego di voler buttar al fuoco questa mia, ritenendomi ognora quale suo, ecc. ». Ed x = » io ben lontano di dare alle fiamme quel prezioso lavoro di 12 pagine, feci tesoro di quelle fra le dette iscrizioni che mi mancavano, e le pubblicai nelle Scoperte archeolo- giche del 1867, pag. 46-51. Con lettera del 31 dicembre 1870 mi scriveva intorno ad un sigillo latino di bronzo, riportato a pag. 34 delle Scoperte sarde, confermando la mia lezione. « Il Conte » Vesme, (che ora è con Lei, o presso di Lei) mi ha » consegnato le Scoperie archeologiche di Sardegna da Lei » stampate e novellamente mandatemi. Il sigillo deve ve- » ramenle leggersi Publii Attiî Aviti Juniani, che Attiaviti » non è a parer mio gentilizio romano. Il Junianus poi » significherebbe essere stato costui figliuolo d’una Junia. » Ella ha ben ragione di dire come sia assai raro il » cognome Herculanus; ne trovo però cinque nella recen- » tissima raccolta delle Inscriptiones hispanicae latinae Ael » dotto Hùbner, Berlino 1870. i » Io, seguitava, non m’intendo niente affatto di lingue » orientali, ma quanto leggo a pag. 55, mi fa risovve- » nire un dubbio che già ebbi quando udii la lettura » del Peyron (1). Nella lipea latina, l’ ortografia non è » punto quella di due secoli prima dell'èéra volgare, e per » esempio vi sarebbe DEDET che trovasi ancora sotto » Augusto. Capisco il grand’imbroglio che vi sarebbe della » coesistenza del latino di Augusto, e dell’epigrafe feni- » cia, ma l’ortografia cozza con quella dell’età attribuitale. (1) Qui parla della rara iscrizione trilingue trovata in Sardegna, che si pubblicò negli Atti della Real Accademia, nel 1862, sopra la quale il Principe degli Orientalisti, Amedeo Peyron, mancato alla scienza il 27 marzo 1870, aveva scritto una dotta appendice. Io ripubblicai quest’iscrizione in una delle Riviste che passa in rassegna. A 309 » Mi rallegro con Lei, terminava, ch’è solo a mantener » il culto delle antichità nella sua patria. Siamo pochi, » e siamo vecchi, dopo noi non ci è speranza che ven- » gano altri. La ringrazio di nuovo, ecc.». Con lettera del 27 dicembre 1872 mi ringraziava delle notizie che io gli aveva dato intorno alla favisse sarde . » La ringrazio di molte e molte cose, specialmente delle » notizie fattemi pervenire circa le credute Favisse di » Sant'Andrea Frius. Io veramente penso che siano piut- » tosto di quei pozzi o vasche dedicate alle divinità lo- » cali delle acque, cinte di muratura non cementata, af- » finchè l’acqua (solitamente termale) vi trapelasse, e » coperte a ciel di forno, nelle quali i divoti gettavano » dei doni, ossia la Stips. La descrizione che dà il P. Marchi » di quelle trovate nel 1852 a Vicarello presso Roma com- » bina esattamente colla sua, ecc. ». Così sono tutte le altre moltissime suc lettere, piene di critiche e dotte osservazioni, che se le volessi pro- durre, formerebbero un bel volume: ma non voglio qui omettere di accennare quella che mi diresse allorchè gli trasmisi il mio ultimo lavoro sui Nuraghi Sardi. « Sempre fecondo, mi diceva, sempre infaticabile il » canonico Spano, ha messo in luce la terza edizione della » sua Nurografia, aggiungendone una carta. Fu buonis- » sima l’idea delle proiezioni oblique dei Nuraghi, come » pure d’'ingrossare d’assai le dimensioni, ecc.», e così seguita con assennata erudizione, citando Plinio ed altri autori per confermare il mio assunto, che fossero le prime stabili abitazioni, e Zo spazio incluso, come egli dice, tra l'uno e l’altro Nuraghe fosse destinato per l'agricoltura e la pa- storizia. Siccome egli era pure un sommo architetto, ed era 310 Professore di quella scienza nella Regia Università, così non perdeva mai l’occasione di parlarmi di architetti, e di opere architettoniche sarde che venivano menzionate nel mio Bullettino, o nelle annuali Riviste. Quando vide nella mia Guida di Cagliari stampata alla pag. 23 l’iscri- zione di Rocco Capellino cremonese, architetto di Carlo V, che costrusse le fortificazioni del castello di Cagliari del tempo spagnuolo, mi scrisse una lunga lettera, dandomi notizie di questo architetto morto in Roma nel 1629, e seppellito nella chiesa di S. Maria del Popolo. Così pure vedendo da me riportata l’iscrizione della chiesa di Zuri, eretta da Anselmo de Cumis, così mi scri- veva nel 30 gennaio 1869: « Rallegrandomi con Lei della » sua impareggiabile operosità, altro non avrei a notare » che all’Anselmo de Cumis, pag. 14, il quale da chi » legge, potrebbe esser creduto sardo, mentre è di Como » in Lombardia, detta allora Cumae Cumarum , e patria » di famosi maestri comacini, che tante chiese eressero » in Italia con iscrizioni sempre esprimenti la patria » DE CVMIS ». Il. Lo stesso ora potrei fare, cioè parlare e riportare al- ‘cune lettere che riguardano monumenti sardi dell’altro suo dotto fratello Domenico, Bibiotecario di S. Maestà e conservatore del Medagliere, il quale, quanto il primo .era dotto nelle antichità romane, altrettanto questi nella numismatica e sfragistica. Egli morì nel 6 febbraio del ‘corrente anno 1874, seguitando nella tomba, nove mesi «dopo, il suo fratello minore! Anche questi era intrinseco amico e collega del Della 311 Marmora, e perciò conferiva col medesimo quando si an- nunziava qualche importante scoperta relativa alla Sar- degna; perchè era molto amante, al par del fratello, della storia e delle cose sarde. Io gli mandava al solito il Bul- lettino archeologico sardo, e tutte le Riviste delle scoperte archeologiche sarde per la Biblioteca di S. Maestà, ed egli come il fratello mi corrispondeva sempre con qualche dotta osservazione. Un mese prima di morire mi aveva diretto una lettera piena di sentimenti di stima! Ecco come mi scriveva nel 1865, con lettera in data del 4 ottobre, intorno alla monetazione sarda. « Accompagnato da gentilissima sua del 20 scorso set- » tembre, ho ricevuto la parte del Catalogo della bella » collezione archeologica di cui generosamente Ella fece » dono al R. Museo di Cagliari, che comprende la descri- » zione del Medagliere. » Subito mi misi a percorrerlo, ma francamente Le » dirò, che riguardo alle monete fenicie colla testa di » Astarte o di Cerere, cd il cavallo o le tre spighe, trovo » confusione nel classificarle a Panormo ed alla Sardegna. » Queste monete di rame di poco rilievo nelle figure sen- » tono tutte il far affricano, ed io sono certo ch’escono » almeno perla massima parte dalle officine di Sardegna, » ma al certo non di Sicilia. » Permetta inoltre che Le osservi, che non comprendo » come abbia classificato colle monete di Spagna le pre- » ziose degli Aragonesi dell’Isola. Inoltre quelle di Gu- » glielmo di Narbona parmi che si sarebbero potuto » metter sotto Iglesias. Perdoni queste linee liberamente » scritte, perchè conosco quanto Lei sia buono ». Suo Divotissimo DOMENICO PROMIS. MITA ateo Dl a WEI, vi 319 1 » VALE La ua lee i - Intanto ho voluto riportare per intiero questa letterati. in quanto che si era contrastata la cittadinanza che io aveva dato alla Sardegna di tante monete puniche che furono scoperte nell'isola, delle quali aveva parlato nel Bullettino Archeologico, anno vii, pag. 41, e nella Storia della Zecca Sarda, pag. 9, citando l’opera classica del Miller, ch'egli mi aveva fatto conoscere. 3 Io classificai nel Medagliere le monete o come si vedono descritte nel detto Catalogo dalla pag. 10 a 16, le quali hanno lo stesso tipo delle sarde, descritte dalla pag. 16 a 18; ma queste si distinguono chiaramente .dal modulo, e dal poco rilievo, come osserva lo stesso autore della lettera. Altro segno di queste ultime mo- nete è la rozzezza del conio, e la ripercussione di molte di esse. Riguardo alle monete di Spagna, sebbene le abbia de- scritte insieme colle aragonesi, pure ho serbato l’ordine cronologico dalla pag. 212 a 231, per cui si possono ben distinguere dalle leggende. Intorno poi alle monete di Guglielmo che ho riportato alla pag. 118, dagli ultimi documenti scoperti nel R.° Ar- chivio risulta che sono state coniate nella Zecca di Sassari nelle diverse volte che quel Giudice occupò la città, tra gli anni 1409-1417. Per conseguenza non le poteva dire coniate in Iglesias, che non apparteneva a quel Giudice. Con altre lettere lodava sempre le scoperte numisma- tiche fattesi nell'isola, dimandandomi un esemplare di quelle monete che mancavano al R.° Medagliere, che sempre gli favorii ogni qual volta ho potuto. Con lettera del 20 agosto 1866, mi pregava tra le altre cose « qualora sia possibile di acquistare per la collezione di S. M. un esem- ‘plare della medaglia coniatasi a Cagliari nel 1824 pella visita . ce di cage È del Conte Monticelli ‘al R. Arsenale». Fui fortunato di averla, e gliela rimisi (1). OT viadfua — Termino, caro Conte, questa lettera colla dolce con- tentezza di aver tributato colle presenti memorie una lode a due fratelli di chiaro ingegno, che pure erano amici vostri, e che tanto si distinsero coi loro sg nella Real Accademia delle Scienze. (1) Chi volesse conoscere la vita operosa e sapiente di questo il- lustre uomo, e i di lui dotti lavori di numismatica, e di sfragistica, potrà consultare l’opera testè uscita alla luce, Memorie storiche, biografiche, e bibliografiche del Commend. Domenico Promis, pub- blicate da Leone Tettoni, Torino, Stamp. Reale, 1874. Cagliari, 20 novembre 1874. 7 MONTINI eat "39994, lia» i: N spola feù; Lubrt 314 7 "(O RINIRINI Continuazione della Memoria del Prof. Vittore Testa “sulla iscrizione di Mesa. ‘408 n3Pisz wo5 msm > Poichè Chemòsc stavasene sdegnato contro la Terra sua. (Lin. 5-6). MMr3 WO5 MIND 3: poichè Chemése era, o meglio, stavasene sdegnato contro la terra sua. — Diversissima è la lezione del primo gruppo di lettere MINI, onde co- mincia questo comma. Tutti però gl’interpreti sono d’ac- cordo nel punteggiare la prima delle medesime, vo’ dire la 5, di Zireck con una jod seguente, espressa secondo gli uni, deficiente secondo gli altri. Questo ?53 poi, co- munque lo si legga, avrebbe qui un valore esplicativo- causale, indicherebbe cioè e spiegherebbe la cagione, per cui la Moabitide, terra prediletta di Chemòsc, sia stata malmenata ed oppressa da un re straniero e nimico. Cotesta ragione sta nello sdegno, a cui i Moabiti provo- cato aveano il loro Dio. Ma se in ciò s’accordano tutti pressochè i dotti che presero ad illustrare e commentare siffatta iscrizione di Mesa, dissentono per contro nel determinare la lettura e forma del verbo che segue immediatamente questa par- ticella causale ’9. A sentenza di tutti loro, questo verbo è incontestatamente una delle forme del verbo 3%, il quale nella sua significazione primitiva e letterale suona soffiare, respirare per le nari, e metaforicamente, a cagione appunto di tal fatta agitato respiro in chi arde e sbuffa di sdegno, adirarsi, sdegnarsi, essere e mostrarsi sdegnato. x 3is * Quanto | poi alla forma rivestita dal medesimo in ‘questo gruppo di lettere alfabetiche, lo Schlottmann (1), e sino ‘ad un certo punto il Ganneau (2) ed il Geiger (3), non trovandovi nessuna delle sette forme composte dei verbi ebraici, inchinerebbero ad ammettere, che presso i Moa- biti fosse in voga una coniugazione riflessiva simile alla Tifil o Tafàal, V? cioè o VI® degli Arabi; e leggerebbero quindi INN, YIXN, od anche FINN, e tradurrebbero: erasi sdegnato (4). — E certo, chi consideri come tal fatta coniugazioni V® e VI= arabe ricorrano nello stesso Co- dice Sacro, — e ne è per fermo prova manifesta il ‘ verbo 559n in Osea (5); — chi consideri, che tal sorta di arabismi dovette naturalmente ricorrere vie più di les- gieri e vie più sovente presso i Moabiti, i quali, stanziati $i «| —‘—‘‘in un paese che trammezza fra la Palestina e l'Arabia, non poterono per fermo non ritrarre e quinci e quindi molte foggie di parlare; chi consideri, come pur in questa |. breve iscrizione ricorrano vari arabismi (6) ; chi infine È . consideri, che il dialetto moabita possedeva incontestata- mente un’ottava coniugazione, corrispondente affatto al- —_l’hitpaniel arabo, avente cioè una M dopo la prima radi- cale (7), non potrà, dove costretto ad ammettere siffatta b' (1) Schlottmann, Die Inschrift Mesa's, a. 2.0., S. 259. è, (2) Ganneau, l.c., p. 362-363. È (3) Geiger, ai a 0. L'SURZÀ: x (4) Kaempf, a.a.0.; 8:21. i » (5) Os. XI. 3. - Cf. Reineccius, Janwa hebraeae linguae V. T., Lipsiae 3 1769, in h.1. - Gesenius, AE, ad vocem Dn - First, Hebraisches È; und Chaldaisches Handwérterbuch, ad h.v. a 4 (6) Kaempf, a.a.0. — Derenbourg, La Stèle de Mogcii dans le Journal Asiatique, Paris 1870, T.15, p 156. (7) « Voyez dans cette inscription l’infinitif niomabma, lin. 19; 5 ai ... et l’impératif onron, lin.32 »; « et Kemose me dit: va, Mo * altoque Havronaim », Derenbourg, bei; pi 1 mn È o r A e I 0 Lao ORE, 21 lezione, non trovarla ammessibile del tutto Il Ganneau (i), dopo d’ aver osservato, come nel suo documento la lettura della N non sia affatto certa, pro- segue dicendo, che, dove lo fosse, potrebbesi anche a tutto rigore riguardare il verbo come un hitpane! (forma usi- tatissima del verbo 979%, e indicante appunto l’atto dello sdegnarsi), ammettendovi però ad un tempo l’aferesi della m: aferesi che non è inusitata presso gli Ebrei (2), e che avendo luogo pur fra di loro in voci comincianti per N (3), potè benissimo aver luogo fra i Moabiti nell’hitpanel, nel quale noto è adoperarsi talvolta, in vece della sillaba NA, la sillaba NX, coll’alephin principio (4); che se questa ricorre solo di rado in alcuni luoghi del Sacro Testo (5), ricorre però sempre nella lingua caldaica e nella siriaca, sendo caratteristica del Hitpanel, in quella NR, in questa NR, coll’x in vece della 5 (6). Il Noldecke (7) sospetta, che nella lapide, invece della 4, jod, cui il Ganneau legge nella copia ad impronte ri- levate ottenutane col metodo di calcamento, vi fosse una 4, he, sicchè il verbo fosse realmente MINNA, vera e re- golare forma del verbo 3% all’hitpanel. (1) Ganneau, l.c., p.363. (2) Gesenius, Hebréische Grammatik, $ 19.3. — Of. Gen. XLIX. 11: « MD, vestis, per aphaeresin pro MIDI, quod integrum dedit. Codex Samaritanus (v. Gesenius Commentarium de Pentateucho Sa- maritano p. 33, et Lehrgeb., S.136); alia exempla suppetunt in - DI pro D299, Num. XXXI. 28. 37-41, tributum, vectigal ....... ® et chald. 722 pro 7237 ». Gesenius, Lezicon, ad vocem MID. (3) Gesenius, a. a. 0. (4) Gesenius, a. a. 0., $ 53.1. (5) Gf., v.gr., Chron. XX. 35.- (6) Gesenius, a. a. 0. ì | (7) Néldecke, a. a. 0., S.10. — Cf. Kaempf, a.a.0., S.20, ego cine UT si Vba M e ragionata. © di,“ | Ma poichè, a detta del Ganneau (1), le due prime let- ao di questo gruppo, vo’ dire la kaf e la jod, sono chiare ed incontestabili, il Kaempf, separando la kaf dalla jod, e punteggiandole entrambe di kirek, leggerebbe INN 3, e considererebbe la 5 scritta difettivamente, cioè senza la > seguente, e nel verbo FIXN) riguarderebbe la jod come tenente luogo della prima he nell’ithpanel (2). — Sì l'una. e sì l’altra di queste sue osservazioni conferma esso con gravi argomenti. E per quanto alla ki scritta in forma difettiva, e non piena, osserva che così appunto ricorre essa nella lingua fenicia (3), con cui la moabitica ha tante particolarità comuni; e che la prima parola stessa di questa iscrizione di Mesa 55% scritta difettivamente ci prova che, sebbene in vari altri casi non manchi la god finale (4), in altri però vi può mancare, e mancavi diffatto. Del resto che in cotesta iscrizione si usi promi- scuamente, pur per la stessa parola, la forma or piena ed or difettiva, lo dimostra ad evidenza la parola NI, scritta or senza (5), ed or colla jod tra la beth e la tav (6). — Quanto poi all’uso della jod invece della he, cita quel brano del secondo dei Re, dove, contato che Joràm, dopo di essere stato ad oste in Ramòth Galaàd contro Hazaele re di Siria, se n’era tornato in Izreèél, nota che qui ei venne per farsi curare delle ferite, che i Siri gli aveano im- presse, DMWIX ID? IWN, invece di DIDIN IMDM IWN (7). | (1) Ganneau, l.c., p. 363. (2) Kaempf, a.a. di S-20521. (3) V. Levy, Phonizische Studien, Taf.1, Z.5.6.12. 13, (4) V.gr., ?989N, lin. 4;*9FWN lin. 4; N92» lin.2.3, alibi. (5) N3, lin. 23. (6) 3, lin. 26. (7) 1I. Reg. IX. 15. È > casi, in cui, invece del verbo sine andare , camminare , o: Mer si usa il verbo P( 1), non si potrà certamente negare pe Lo sì la possibilità e sì la probabilità, che, in un dialetto affine | Bi all’ebraico, MIX stia per MINNM, usandosi SEE ER. in vece della he. i Noi però, desiderosi di attenerci il più che si possa Si strettamente e al testo tal quale si legge, ed alle regole - ordinarie e ricevute della grammatica, ammettiamo di Po buon grado la scrittura difettiva della particella causale De 2, e per conseguenza la punteggiatura e la lettura della b4, 5, suggerite dal Kaempf, perchè sì quella e sì queste : sono conformi all’ortografia ed alle particolarità di siffatta 39 iscrizione, e, che più è, giustificate e corroborate da esso RE lui con argomenti irrepugnabili; ma quanto al verbo che d- segue, pur riconoscendolo un vero thpanel, leggiamo Ò IND, futuro, o, direm meglio, imperfetto singolare; persona terza maschile del verbo %)9% all’ hitpane, traduciamo l’inciso: TXIN3 WII YINN 9, perchè sta- vasene Chemòsc sdegnato contro la sua-terra. La quale le- zione e traduzione , a nostro credere, s’ addice egregia- mente al contesto, ed è consentanea alle regole ordinarie e conosciutissime della grammatica. S’avviene al contesto, siccome quella che spiega, giusta la persuasione di Mesa, non pure perchè Omrî abbia potuto opprimere il popolo > prediletto di Chemòsc, Dio della guerra e distributore della vittoria, ma perchè lo abbia oppresso lunghi giorni, | 72° 79; sendochè Chemòse non pure si era sdegnato, sane ma se ne era stato per tutto quel tempo tico contro. De aa fi Gi di dat (1) V. First, Librorum Sacrorum V. T. concordantiae vtr tue ‘haldaicas, Lipsiae 1840, ad v. H3, p. 490-494. P° gi Sa pate : 349 do di Moàb (1). S'avviene poi egregiamente ai dettati della | grammalica ebraica; perocchè è noto che gli Ebrei, non avendo al par degli altri Semiti che due tempi ne’ loro verbi, il passato cioè ed il futuro, ad esprimere l’imper- fetto, massime quando si tratti di azione od abitudine continuata, usano soventissimo il futuro (2). Il che, a detta del Cellérier, avviene principalmente « dans les nar- » rations, après d’autres prétérits ou futurs accompagnés » du 3 conversif (3)... C'est alors un aoriste dont la sigui- » fication précise est déterminée par le temps qui pré- » cède (4) ». Or tale appunto si è il caso, di cuiqui si tratta. IMNI , contro la terra sua. - Questa parola non si legge tutta quanta in quella copia primitiva, che il Ganneau sì procacciava di questa iscrizione mercè il metodo di calcamento ; ma in fine della linea quinta, dopo la 3, vha una lacuna capace tutto al più di due lettere, e in principio della linea sesta appariscono nette e distinte le lettere ©x (5). Però, a detta del citato scrittore, nella linea quinta, dopo la beth vha tracce assai chiare di tale una lettera, che potrebbe essere un aleph #4, od anche una 4, rese (6), due lettere, che nell'alfabeto samaritano hanno fra di loro non poca rassomiglianza. La lettura pertanto della parola Mx)X23, proposta a priori dal Nél- IO Gf. Psalm. XLIV. 10. sqq., coll. Deut. XXVIII. 32. sqq. ; Jud. IL. 42004: 042: 14.2; VI 1; X.6:: XII fs, leto. (2) buoi ; dndiiimaiica Ebraica. Nireuso 1863, p.430. — Geseni us, Hebraische Grammatik, $ 125.2. (3) GL. Gen. IL 6.10. 25; IV. 14; Jud. II 1; V.8; II, Sam. XII. 3; Psalm. II. 6.8; XLIV.3; Job.1.5; IV. 15.16. ® (4) Cellérier, Elémens de la Grammaire Hébraique, Genève 1824, : È: | pag. 224, (5) Ganneau, l.c., sp 381. (6) Ivi. 320 a 1 a decke (1) e dal Kaempf (2) perchè voluta dal contesto, è fondatissima, e venne a giusta ragione accettata e a- dottata dal Ganneau (3), dallo Schlottmann (4), dal Fa- biani (5), dall’Oppert (6), dal Bruston (7), siccome quella che è avvalorata e, poco men che non dissi, confermata dalle tracce, che per noi si hanno del testo stesso. Quanto poi al suffisso _—, in vece di 3, usato quello costantemente dai Moabiti, questo ordinariamente dagli Ebrei, per indicare il pronome possessivo della terza persona singolare maschile, vuolsi osservare che questa particolarità del dialetto moabita ha il suo fondamento e trova il suo riscontro nei libri più antichi del Codice Sacro, vo’ dire i mosaici; e ne sono prova, fra i molti altri, il nou, figliuol suo (8); il MY, asinello suo (9), il mimo; paludamento suo (10) del Genesi; il n” , grido suo dell’Esodo (11), il mî), posar suo de’ Numeri (12). — Del resto la è questa una prova novella dell’affinità che corre tra il dialetto de’ Moabiti e quello degli Arabi, co’ quali essi confinavano ed avevano certo frequentissime e stret- | tissime relazioni (13). (1) Nòldecke, a. a. 0., S. 10. (2) Kaempf, a. a. 0., S. 21. (3) Ganneau, l.c., p. 386. (4) Schlottmann, Additamenta tiber die Inschrift Mesa's, a. a. O., S. 442. (5) Fabiani, l.c., p.il. " (6) Oppert, l.c. (7) Bruston, l.c., p. 324. (8) Gen. XLIX.10. (9) Ivi, v.11. (10) Ivi. (11) Exod. XXXII. 17. (12) Num. X. 36. (13) Ganneau, lLc., p.863. Te o si PIOTTA POLI n SIE VII. 2ND DN NIIN NT DI ven) moa nbfmm E gli successe il figliuol suo: e disse anch'egli: op- primerò Moab. Ì PI (lin. 6). be, hi” n53 nom, e gli successe il figlivol suo. Noto è che il verbo nen, il quale in ebraico ha varie significa- zioni, ha fra le altre, come si scorge dal derivato nDin, mutatio, alterna vices, successio in vicem alterius (1), anche quella di ercipere, sequi, succedere. Nell’arabo poi, lingua affine all’ ebraica e più ancora alla moabita, il corri- spondente Spara dis, chalìfa-chòlafon, significa special- mente succedere al trono (2). Ed in questo senso appunto il Geiger (3), lo Schlottmann (4), il Ganneau (5), il Nol- decke (6), il Levy (7), il Kaempf (8), l’Oppert (9) e il Fabiani (10) presero questo verbo e tradussero : e /o seguì, o, con frase più propria, gli succedette il figlio suo. (1) V.Gesenius, Lericon, ad hh. vv. (2) Ganneau, l.c., p.363. — Geiger, Die Siule des Mesa, a.a.0., S. 218-219. è (3) « bia) +... hat hier hòchst wahrscheinlich die prignante Bedeu- tung des arabischen ST (UCholafon}, in der Herrschaft nachfolgen ». Geiger, a. a. O. ì : (4) Schlottmann, Die Inschrift Mesa's, a.a.0., S. 254. (5) Ganneau, l.c. . (6) Noldecke, a. a. 0., S. 10-11. : (7) Levy, Das Mesa-Denkmal und seine Schrift, S.9. (8) Kaempf, a.a.0., S.21. (9) Oppert, l.c. (10) Fabiani, l.c., p.12. Ta tre eil su DI INN , e disse dadiVegii. îa fiale” an ‘Sr: è eguale al xt imma del capo XXIV del libro de’ Numeri (1), tranne che il pronome &m difetta della 3, la quale ri- corre nel citato testo del Codice Sacro. fee: difetto della scriptio plena in siffatto pronome è esso pure una delle caratteristiche proprie del dialetto moabita, cui esso ha comune col fenicio (2). INDENX 197, opprimerò Modb. Queste parole messe così direttamente in bocca al re d’Israele sono tutt’affatto secondo l’indole e il fare della Storia Biblica (3), e stanno in vece della frase puramente e prettamente storica: « ad ‘ Omrî succedette il figlio suo, ed esso pure oppresse Moàb ». IX. DII TIR 128 Santoni miami ma NIN) [wwo9] ovs ma A’ miei dì disse Chemòsc: ed io sogguarderò Tui e la sua famiglia; ed Israele perì di perdizione eterna. (lin. 6-7) WI MX DI, A’ miei dì disse Chemòsc. — Questa | parola WI, manca e fu supplita dallo Schlottmann (4) per colmare la lacuna, che trovasi dopo il verbo MX, disse (5). Siffatta lezione è riconosciuta plausibile dal Gan- (1) Num. XXIV. 24. (2) Ganneau, l.c., p.363. — Schlottmann, Die Siegessaule Mesa's, S.47, — CL. Schréder, Die Phònizische Sprache, S.118, (3) Ganneau, l.c., p. 363. (4) Schlottmann, a.a. 0., S.51, und S.1f, (5) Ganneau, l.c., p.381. x” dia neau (1), e come tale si appresenta diffatto chi consideri che cotesta lacuna è appunto capace di tre lettere, e che là dove si trovava la prima di queste hanvi tracce pro- babili di una 9, caph. Tuttavia il Kaempf la rigetta, perchè la copulativa 3 in principio dell’inciso seguente, non consente, s'abbia i il medesimo come oracolo od affermazione di Chemòse. 1 Il perchè egli proporrebbe di leggere, MOR MP2, ne' giorni della mia signoria, o, ciò che fa lo stesso, durante il regno mio; e vorrebbe aggiunte queste parole al fine : del periodo precedente, sicchè, a parere di lui, il figlio « —d’Omrî avrebbe detto nel suo salire al trono, io opprimerò , Modb in tutto il tempo del mio regno. Traduce poi l’inciso seguente: « Ma io vidi con gioia raumiliato lui e la sua î casa, ed Israele rovinare per sempre (2) ». | Ma questa lezione e questa interpretazione del dotto Orientalista di Praga non ci sembrano fondate su ragioni decisive. Anzi tutto fra le parole opprimerò Modb e le pa- role a’ giorni miei v'ha nel tésto la verticale, con che vi si suole separare l'un inciso dall’altro, l’una dall’altra pro- posizione; non si possono dunque riunire insieme. — S'arroge che, sebbene il verbo MX nel Codice Sacro | _—S’abbia a quando a quando il significato di comandare, come il dimostrano chiaramente vari suoi testi (3) e il con- ferma l’essere il medesimo usato come parallelo e corri- «| —spondente al verbo IX (4); pur nulla di manco la parola MIX nel significato di dominio , signoria, regno non vi (1) Ganneau, l.c. do (2) Kaempf, a.a.0., S.22-23. ic (3) Esther, 1.17; IV.13; IX. 14; Nehem., XIII.9; I. Chron. XXI. 7; «I. Chron. XXIV. 8; Psalm. CV. 31-34. (4) Psalm. XXXII. 9; Thren. III. 37. wo 324 e: 5 SORIANO VC ricorre mai per confessione stessa del Kaempf, il quale, 0 per sostegno e conforto della sua lezione, è costretto a ri- ‘ volgersi a libri e testi posteriori d’ assai a quelli della Bibbia (1). — Vero è, che questa nostra osservazione non è alla sua volta decisiva, sendo certa ed incontestata cosa, 3 che da un lato potevano benissimo mancare presso gli ; Ebrei ed essere in uso presso i Moabiti parole derivanti da radici comuni ad entrambi, e dall’altro non tutte le parole usate dagli Ebrei nella loro favella sono, senza eccezione alcuna, comprese nel Codice Sacro. Tuttavia ragion vuole che a tali spedienti non si ricorra se non i quando stringente necessità vi ci costringa, e questa ne- cessità, a nostro credere, non vi esiste. Che, a dir vero, non mancano esempli.di frasi, le quali incomincino per una % copulativa, e siano appunto le prime parole, che nel Codice Sacro si pongano in bocca a chi si narra aver preso a parlare. Così, ad esempio, nel Salmo II, Davide, dopo riferito il tumultuar le genti , e il consigliarsi fra loro i re e i principi della terra contro # al Signore e all'Unto suo, dicendo: « rompiamo i loro le- “i gami e gittiamo via da noi le lor funi », soggiunge, che il Signore si befferà di loro, e, parlando loro nella sua ira, Mo dirà: « ed io ho consecrato il mio Re sovra Siòn, monte Bi della mia santità »: YTpom pPyrhr 15510 MIDI). 750008 Così ancora (e notisi che qui non si tratta più di libri poetici, fi” ma storici) nel I libro di Samuele, questo Profeta, vol- : gendo la parola a Saulle, che ne avea fatto evocar l’ombra dalla maliarda di Endòr: « e perchè, gli dice, dimandi di me, poi che il Signore si è partito da te, e t'è diventato he ATTI a ni PESA pe a NT rie. vi ie i li (1) Kaempf, a.a.0., $.23. (2) Psalm. II. v. 6. 325 nimico ? » Fag OT FPOFO IP Nimn abavin moa) (1). E nel II dei Re, a Joràm, che, avvisato del come nel campo de’ Siri, i quali sedevano ad oste contro la città di Samaria, non si trovasse più persona, ma solo cavalli, giumenti e trabacche ritte, piene di spoglie e vittovaglie, temeva, non forse i Siri, ben sapendo come la città fosse affamata, si fossero posti in guato, sperando, con quella mostra, di trarre i cittadini al campo, e, pigliatili, inva- dere a man salva l’abbandonata città, diceva uno de’suoi ministri: « e si piglino i cinque cavalli, che soli avanza- rono alla fame, e si mandi ad esplorare: N37IMP" DINN RIDI MNVIY DMN D'IENTO won (2. V' aggiungi che il nesso logico delle idee, considerate nella mente dì Mesa, non solo non ripudia, ma anzi con- sente al tutto e giustifica l’uso della particella copulativa Y, aggiunta alla prima delle parole pronunziate da Che- mòsc, allorchè, rotto il lungo silenzio serbato nei dì del suo corruccio contro al suo popolo, tolse a parlare in suo pro. Di fatto alla mente di Mesa ricorrevano ad un atto lo sdegno del suo Dio, l'oppressione del suo popolo, e la libertà del medesimo da lui rivendicata coll’aiuto di Chemòsc; conta pertanto le superbe e crudeli parole del figlio di Omrî: i0 opprimerò Moîb; ma tosto vi contrappone il rotto silenzio di Chemòsc, le costui parole: « ed io sogguarderò lui e la sua famiglia, ed, effetto di ciò, la ro- vina compiuta e interminabile di Israele. A quello fa dire: «io opprimerò Moàb »; a questo: « ed io sog- guarderò lui e la sua famiglia, e mi delizierò nella loro raumiliazione e rovina ». Quale corrispondenza e, fui (1) I. Sam. XXVIII. 16. (2) II. Reg. VII. 13. — V’ha un altro esempio, II. Reg. IV. 4{. 326 di per dire, quale naturalezza di concetti , di: sentenze. e di forma ! “ Che se una siffatta maniera di scrivere sa alcunchè di poesia, da cui aborre, secondochè obbietta il Kaempf, come l’epigrafia in genere, così in ispecie cotesta iscri- zione di Mesa, in cui, a detta del valente Orientalista, vha sì millanteria vanitosa, amaro sdegno, e gioia bassa e maligna della rovina de’ suoi nimici, ma non vha nè scintilla, nè traccia alcuna di quell’estro poetico, che a quando a quando s'incontra nella Bibbia (1); vuolsi però os- servare che altro si è lo stile epigrafico del freddo Occi- dentale, ed altro quello dell’imaginoso Orientale; che il volo poetico, il quale è sbandito dalla nostra epigrafia , ricorre non di rado nelle iscrizioni di Oriente (e ce ne porgono spessi esempli, non che le egizie , ma e le as- sire, le babilonesi, le armene, le persepolitane); e che infine sa proprio del far imaginoso e poetico della Bibbia il detto posto in bocca ad Achàb per indicare ch’egli pure oppresse Moàb al pari del padre ; sicchè, se quel terri- bile disegno e quella sentenza crudele potè in questa sua iscrizione porsi da Mesa in sulle labbra al figliuolo di Omrî, non si vede ragione perchè in simile maniera non siasi potuto da esso lui esprimere il pietoso disegno e l'oracolo di Chemòsc. Del resto basta il primo capitolo del Genesi a chiarire come tal fatta colori poetici si ado- perassero in Oriente nelle pagine stesse della storia (2), (1) « Die Inschrift, die wohl eitele Ruhmredigkeit, kleinliche Scha- denfreude, verbissenen Ingrimm, nur nicht einen Funken von Poesie kennt, gestattet nicht eine solche , biblischen Geist ath- mende Auffassung ». Kaempf, a.a.0., $. 22. (2) Cf. Gen. , 1.2, sqq. e peane 5 19-29 S00D LS 2 e si potesse per conseguenza usare del pari nell’epigra- fia storica. È Nè certo più grave si è la difficoltà, cui altri potrebbe per avventura trarre da ciò, che, in sul finir di questo pericdo, si dice, che « Israele fu incolto da irreparabile di rovina »; D5Y T2N T2N Santin, — Imperocchè, dato pure che così abbiasi veramente a punteggiare ed a leg- gere cotesto inciso, - nel che però, come vedremo tra breve, non sono d’accordo i dotti che tolsero ad interpretare ed illustrare siffatta iscrizione, - niuno ignora che anche presso gli Ebrei, e allora in ispecie che trattasi di vaticinii di cose future, si usa il tempo passato pel futuro, e ne sono irrefragabile prova, Pombir DYNON" PW Santo, ge Israel salvatus est salute aeterna, di Isaia(1), e l'wno95 DY max, pertit populus Chemòsc, di Geremia (2); le quali due sentenze, se non sono, certo sembrar potrebbero due antitesi allusive e contrapposte al vanitoso asserto: Di» TN na ann, ed Israele perì di perdizione eterna. prc Così dunque sendo la cosa, noi non ci sentiamo co- : ti stretti a prendere col Fabiani (3) il verbo OX nel signi- ficato di parlare puramente e prettamente, ed a considerare la ©, che precede il verbo x°IN , come vav conversiva, e punteggiarla per conseguenza di kameiz, riferendo così quest'inciso non già ad un proposito e ad un oracolo di Chemòsc, ma ad un fatto storico, avvenuto la costui mercè a Mesa, il quale, in grazia della cessata ira del suo Dio e del favore del medesimo riacquistato dal suo popolo, abbia avuto la consolazione e la gioia di vedere raumi- wi È liati ed avvolti in una comune rovina e re e popolo ni- 1008 (I) ISSALVAT. (2) Jerem., XLVIII. 46. ‘(3) Fabiani, l.c., p.12. mici. — Imperocchè, a detta del Gesenius, dubbio affatto — Si si è il significato di parlare senza più, attribuito dal va- sà lente Archeologo romano al verbo ebraico MR, e questo Bi; differisce dal verbo “2%, logui, per ciò appunto, che se questo si adopera senza più; quello, aggiungendovi le cose dette ». A 927, locutus est ita differt OR, ut illud abso- lute ponatur, hoc additis verbis quae quis dixerit, hunc in modum Lev. I. 2: MON) PRIDE SIIT, dl- 4 loquere Israelitas et dic illis; Cf. XVIII. 2; XXIII. 2. 10; vel Exodi VI. 10: on aviota nin am, Jenona alla: cutus est Mosen, dicendo , i. e. his verbis...Item, sequente accu- sativo, Jerem. XIV. 17: MIN SITA orba MON), ei diens îis hoc verbum. .. Paucis in exemplis iisque incertist e nonnisi sequioris Hebraismi YY9X absolute poni videtur pro 9233; IL Par. IT.10: mio Sw» now» 2053 DIN DIONN, et locutus est Huramus per literas et misit Salomoni. Sequuntur ipsissima verba. At revera et misit Salomoni parenthesi includendum est, et INN ad verba epistolae referendum. II. Paral. XXXII. 24: 55 non», ei hic (Deus) eum allocutus est. At potes etiam interpretari : et hic ci promisit, er sagte so (es) him zu (1)». i Certo non è nè impossibile, nè inverisimile, che questa differenza fra i due verbi MX, e 527 non abbia avuto luogo presso i Moabiti, e che questi usassero il primo nel E significato stesso che ha il secondo presso gli Ebrei; sicchè x Mesa, per esprimere puramente e prettamente il concetto, Es che Chemòsc ruppe a’suoi dì il silenzio, indizio ed effetto «RR del suo sdegno contro di Moàb, e procacciò a questo e al suo re la sospirata gioia di pascere l’avido sguardo nell’u- miliazione e nella rovina de’ loro oppressori, abbia potuto AP RI o ae Ù i RI (1) Gesenius, Lezicon, ad vocem YOR. C£ First, 1.c., ad h.v, + di TE PRIAIN 7 % pi 4 VO, PA pe lle i Price + A Mò f, SITA ERRO. ei i 329 usare-le parole che leggiamo in questa sua iscrizione: pb Tan TIR Santin MISI MI AIN) WD SON A, ne’ giorni miei parlò Chemosc, ed io vidi con gioia abbattuti lui e la sua famiglia, ed Israele fu incolto da irreparabile rovina. — E noi infatti, dove stretti a dare tal sorta di si- gnificazione alla parola 72%, e ad interpretare in questa guisa cotesto periodo dell'iscrizione di Mesa, per ciò che ra diversamente non si potesse avere un senso netto e pre- ciso, non ci periteremmo punto di ciò fare; ma, non ‘essendo così la cosa, non ci crediamo lecita questa sup- posizione, e, pur nostro malgrado, ci asteniamo dall’accet- tare la versione del valoroso Italiano. Dissi nostro malgrado; perocchè, ammettendola , il senso correrebbe spontaneo e naturalissimo, ed il contesto dell'iscrizione avrebbe tale una coesione, che non si potrebbe desiderare maggiore. « Placato Chemòsc dai patimenti del suo popolo, ruppe ai giorni di Mesa il silenzio, effetto e segno del suo corruc- cio; e tosto il re di Moàb vide la persona e la famiglia del re oppressore gittata nell’abbiezione , e il costui po- polo involto da fatale rovina ». Ned altrimenti correrebbe il senso, ove, - osservando collo Schlottmann (1), 1° che il verbo NY alla coniu- gazione ka! ha il significato di guardare con occhio be- nigno e favorevole (2); 2° che, come gli Ebrei, così i Moabiti s’ avevano il lor tempio nazionale, a cui allude apertamente Isaia ne’ suoi vaticinii contro di Moàb (3) e cui essi poterono, al par degli Ebrei (4) chiamare, e chia- AA I mavano di fatto col nome antonomastico di M°3, ossia SA (1) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S.Al. SIOE $ (2) Gf. Gen., XXIX. 32; Zach., IX.8. Mo i (3) Is.XV.2, coll. 16.12. ; (4) Schlottmann, a.a.0., S.15. “9 TORI 259 330 RODE essa per eccellenza (1); 3° infine, che, come il popolo — va ebreo e il suo tempio erano oggetto di compiacenza per. Jehova, così poterono esserlo per Chemòsc Moàb e il ; tempio da esso lui drizzatogli, - ne piacesse tradurre con : quell'eruditissimo Archeologo ed Orientalista: «succedette ad Omrt il suo figlio, e disse egli pure: io opprimerò Moàab. Ma a’ miei giorni disse Chemòsc: ed io guarderò benigno a lui ed al suo tempio, ed Israele è ito per sempre in perdizione e rovina (2) ». — Senonchè le ragioni addotte ‘più sopra, la maggiore naturalezza del discorso, e 80- prattutto la perfetta convenienza de’ fatti storici coi dati dell’iscrizione (3), come pure l’aversi in tal caso dovuto porre in bocca a Chemòsc: « ed io guarderò benigno al popolo e al tempio mio », anzichè: « ed io guarderò be- nigno a lui ed al tempio suo », fanno sì che noi a questa preferiamo l’interpretazione e traduzione data più sopra. Ma si accetti questa versione dello Schlottmann, o si addotti quella del Fabiani, o si preferisca quella nostra cui accennammo più sopra, la sostanza del fatto narrato ed eternato nella sua iscrizione da Mesa è pur sempre la stessa. i Il perchè, dalla parte storica ritornando oramai alla filologica, osserveremo piuttosto come la*%, che precede il verbo N°N (prima persona, singolare, futuro apoco- pato del verbo Ma, vedere, guardare, sogguardare , od anche pascere lo sguardo), possa e debba punteggiarsi di scevà semplice, oppure di kametz, secondochè la si consi-. dera o come vau copulativa, oppure come vau conversiva; nel primo caso il verbo fa parte dell'oracolo posto in bocca * (tendo sas six e: bi (2) Schlottmann, a.a. 0. i ec «ty (8) V. infra, pag. seg. i a pr ci RERrR coi 334 | —a Chemòsc; nel secondo, si riferisce a Mesa e fa parte degli avvenimenti in questa iscrizione ricordati. ‘mbam mi, lui e la sua famiglia, Achàb cioè, e i suoi due figliuoli, Ochozia (1) e Joràm (2). In quest’inciso la parola N2, casa, scrittavi giusta il vezzo patrio difetti- vamente, e corrispondente all’ebraica M°23 , scritta colla jod fra la beth e la thau, ha qui, giusta la bella osser- vazione del Noldecke (3), il significato di famiglia, come -presso di noi Casa Savoia, Casa d’Austria e simili; non già, come vuole il Ganneau (4), di tempio. Il qual tempio, sebbene in ira e spregio a' Moabiti, cui ne era stato da Mosè divietato rigorosamente e perpetuamente l’in- gresso (5), tuttavia non ha qui nulla che fare; tanto più che il tempio, di cui parlava Mosè, era quello di Jehovah in Siòn, e non altrimenti quello di Bethèl frequentato dai Reali di Samaria: e per altra parte ne insegna la storia, che Mesa vide diffatto Achàb sconfitto e morto dai Siri in Ramòth Galaàd (6): Ochozîa e Joràm, impotenti quello ad assalirlo (7), questo a vincerlo ed assoggettarlo, armata mano (8). Come il secondo, così pure il terzo inciso di questo periodo è punteggiato e tradotto diversamente dai vari (1) 1. Reg. XXII. 42. 50. 52. Rs. (2) II. Reg. 1.17; IIL. 1; VIII. 16. 25. 28.29. i (3) Noldecke, a.a.0., S. 11. È (4) Ganneau, l.c., p. 364. È {5) Deut. XXIII. 2; laddove degli Idumei e degli Egiziani era stato, << come notammo più sopra (vol. VIII, pag. 738), stabilito, che la “eg terza generazione de’figli che nascessero loro, potesse entrare nella raunanza del Signore. Ivi, v. 7.8. (6) I. Reg. XXII.37, II. Chron. XVIII. 28. 34. (7) I. Reg.I, 1.2. 4.6.16-17. (8) II. Reg. III, 3-9. 27, interpreti e commentatori, sebbene tutti s'accordi el ALII riconoscervi la profetazione, od almeno l affermazione or della rovina perpetua di Israele. — Il Noldecke , osser- vando come ai tempi di Mesa Israele non fosse ancora caduto realmente in rovina compiuta ed irreparabile , vi; anzichè T2N , perì, legge T2N, participio presente, e, | considerandolo adoperato in vece del futuro, traduce : « ed Israele cadrà in perpetua rovina (1)». — Ma questa ragione non può molto sull’animo nostro, sì perchè non è insolito presso ai Semiti, specialmente .lorchè trattasi di profezie, l’usare, come il tempo presente (2), così an- cora il passato (2), in vece del futuro; e sì ancora, perchè l’esagerare l’importanza de’ rovesci toccati a’ suoi nemici e considerarli come privi di confine e di termine, non disdice per nulla al fare vanitoso e millantatore di cotesta < iscrizione; e sì infine, perchè Mesa, mosso da vivo senti- ‘PR mento di avversione e da cocente desiderio di vendetta, pr potè benissimo con queste sue parole esprimere, anzichè $ un fatto storico, un desiderio, e, se vuolsi, una cre- Ù denza dell’animo suo esulcerato (4), sendo notissima cosa che i tour. «E ale : CE Sar ia ra LP* : « Quod miseri volumus, facile credimus ». (1) Noldecke, a. a. 0., S. 11. (2) Jes. VII. ta. Cf. Glassins, Philologia Sacra, Lib. I, Traet, m, sect. I, canon. IV. (3) V. Jesi IX, 1; V. 13,44, 17, 25, 36; XI; 152,46, 40; LI, | 5, 65; Glassius, l.c.; Gesenius, Grammatik, $ 124, sa 4; Ewald, ‘Gram: È; matik der hebràischen Sprache des A. T., Leipz., 1838, Eb: STICA IRSNN (4) Egregiamente il Kaempf: « Mesa sprach dies in seinem. Rach- SCA ‘ gefilhl eben mehr als Wunsch denn als costhicRe Rete enti, “© aus. Was man wiinscht, das glaubt man »; asa. 0., S.24, 4; DI Mette E BI TDI de: 333 | Partendo da ciò che, se i due gruppi di parole. 32N 32% fossero veramente due forme verbali della radice 2, sicchè si avesse a leggere T2N TIN,; periens pertit, vi dovrebbe essere una preposizione (per esempio Bo t) innanzi al vî», aeternum, lo Schlottman legge il primo di que’ gruppi 32%, pertit, il secondo mR, perditio; e, considerando la parola Db», come sostantivo esso pure astratto, ma in istato costrutto retto da mR, traduce : periit Israel perditione aeternitatis, 0, come diremmo. noi nella lingua nostra, rovinò in rovina eterna (1). — La quale traduzione è certo al tutto secondo l’ indole sì della lingua e sì della grammatica ebraica, ed ha-come un sostegno nel 338 PRES I, afftigent Hebraeos usque ad perditionem, del libro dei Numeri (2), così un contrapposto in quell’oracolo di Isaia: mos» yin vw sunto, Israel salvatus est salvatione aeternitatum, o, come diremmo noi italianamente, fu salvo per sempre (3). Essa dunque può benissimo adottarsi. i Altra cosa è però che la medesima adottare si possa, altra che adottare si debba. Conciossiachè non manchino esempli, i quali dimostrino come le due espressioni ebraiche Dar e Das, eguali alle due difettive moa- bitiche obi e bi. corrispondono (non altrimenti che le due espressioni latine aeternum ed in aeternum, e le —. due italiane sempre e per sempre), ai nostri avverbi eterna- mente, perpetuamente, interminalamente. E di vero: nel si | Salmo LXVI chiamasi Iddio Sîy invia Swi, signo- hi reggiante nella potenza sua in eterno (4); e nel LXXXIX, al bi (1) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S.41. (2) Num. XXIV. 24. (3) Jes., XLV. 17. (4) Psalm. LXVI.7. uo di rt ti >» " IL 4 pi ‘è; 1 (Ag ERI SA o Sa +» e 4 ‘ 1a a? D 4 LE NIRO: A +3 bia ‘ we “ =" "E Pitica CA i n 4 dei. » . pn 4 fe + % e 39% ‘ l À Rei ; v.2: mmwa Dbiy mim “on. cantina 60 RAPID pe nignità del Signore; al v.3: “map? Dn v5ir, la benignità | % {del Signore) sarà stabile in eterno ; e al v. 38, del trono ve: di Davide dicesi che Day }î9), perdurerà sn eterno (1). Non v ha dunque nulla che ci tolga di leggere col Kaempf (2): D5Y T2x Tax Soto, Israel periens periit in aeternum; o coll’ Hitzig (3): obi TIR TIR ID , Israele è ito, sì è ito per sempre. Ma qualunque di queste lezioni si adotti, il senso è sempre sostanzialmeute lo stesso: la frase, al tutto scrit- turale e piena di vigore (4); l'oracolo posto in bocca a Chemòsc, simile affatto a quelli di Jehova (5); e il detto di Geremia: WWY237DY TIR, il popolo di Chemése é ito (6), eco beffarda e risposta tremenda all'DSY 12% Sani Israele è ito per sempre, dell'iscrizione di Mesa (7). » * SIA PA dtt 44, add lA hr. x. INDI YI NN N? UM E occupò Omrî la terra di Medebà. (lin. 7-8). Nel periodo, cui appartiene quest’ inciso, Mesa entra nelle particolarità della lotta da lui intrapresa e sostenuta contro gli Israeliti, e terminata, la mercè di Chemòse, (1) Psalm. LKXXIX. 2. 3. 38. (2) Kaempf, a.a.0., S.24, vgl. 40. (3) Hitzig, a.a.O., S.23. Cf. XXVI. 5.6. (4) Fabiani, l.c., p.12. i (5) Hitzig, a. a. 0. — Of. Jes. XXXII. 10; Psalm. XII. 6. sd (6) Jerem. XLVIII. 46. [ob ref T8) de (7) Schlottmann, Additamenta, a. a. 0., S.4516, | col i | | 335 LC coll’agognata rivendicazione della libertà e indipendenza di Moab. E qui rifacendosi da capo donde avea preso più sopra le mosse, narra come Omrî, il fondatore della re- . gnante casa d'Israele e l’'iniziatore dell’ incomportabile oppressione che a’ suoi dì ancora pesava su Moàb, si fosse a viva forza impadronito di Medebà, e, stanziatosi colà fortemente, egli ed ì suoi tiranneggiassero i Moabiti e li tiranneggiassero pel volgere di quarant'anni. Il che risulta in parte da quanto si legge parola per parola in questa iscrizione, e in parte da quanto il contesto e la storia ne insinuano doversi conghietturare nella lacuna, che sventuratamente vi ricorre. Dissi sventuratamente ; peroc- chè i dati in essa contenuti avrebbero gittata non poca . luce sulla cronologia storica, vuoi di Moàb, e vuoi di Israele (1). Nella prima parola di questo periodo , WNW, la vau iniziale è conversiva; resta il verbo w, il quale, come osserva rettamente l’Hitzig (2), potrebbe punteggiarsi del pari 5, W)?, WI, e wo; futuro converso Ka/ nel primo caso; pinel, nel secondo ; hiphnil, nel terzo; in tutti e tre i casi, scritto difettivamente secondo l’uso e il vezzo già sovraccennato de’ Moabiti. Ma, comunque si punteggi e si legga, il senso è sempre lo stesso, conciossiachè il verbo St", sì al Ka/ (3), sì al Pinel (4), e sì all’Hiphnil (5), abbia nel Codice Sacro il significato di impossessarsi, pren- (1) « Diese... Liicke ist die empfindlichste der ganzen Inschrift, da ihre Ausfùllung fir die Chronologie der israelitischen Konigen von héchster Wichtigkeit wire ». Noldecke, a.a.0., $.11. (2) Hitzig, a.a.0., S. 23. ; ‘e dr l (3) Cf. Reg. XXI. 14; Levit. XX. 24; Deut.I.8; III. 12,20; Psalm. i. 0 XLIV.4; LXXXII13. sa (4) Deut., XXVIII. 42. (5) Num. XIV. 24; Jos. VIII 7; XVIL 12; Jud.1.19. e bl ai "ade dere, occupare , in ispecie a viva forza (1). Sarà diga: « Ed Omrî erasi impadronito della contrada di Medebà. my , Omri. La hain, onde comincia questa parola, non è al tutto certa, non ricorrendone tracce incontesta- bili nella suddetta copia del Ganneau e sendo andato perduto il frammento della Stela, ove era scritto questo nome; tuttavia le lettere che seguono, e tutto il contesto cì stringono a leggervela ed inscriverla. Nel che s’accor- dano tutti coloro che impresero ad illustrare e commen- tare questa lapide. N2779 TOR DX, /a terra, la contrada, il paese di Medebà. — Osserva il Ganneau che della parola Y9®, l’ultima lettera, cioè la tsade, si legge visibilmente in sul principio della linea ottava della Stela; delle altre due ricorrono tracce nella copia che si era procacciato della medesima, facendovi calcar sopra carta bagnata (2). — Conseguita pertanto che Omrì aveva preso e occupato a forza non solo la città di Medebà, sì ancora tutto il paese circostante. Se poi ciò abbia fatto, lorchè semplicemente Generale di Elà, re d'Israele, oppure quando, ucciso «questo da Zimbrîì, egli s'impadronì del soglio, dopo la scon- fitta e il suicidio del regicida usurpatore (3), non consta nè da questa iscrizione, nè da quanto sta scritto nel I libro dei Re. Tuttavia, ove i dati cronologici dell’ emi- stichio seguente, paragonati con quelli della Bibbia, non sì potessero altrimenti conciliare fra loro, ne sarebbe mestieri ammettere senz'altro il primo di questi due casì. N277 AO YA, la terra, la contrada, il paese di Medebà. È questo il nome di. una città antichissima , sita a set- (1) Gesenius, Lezicon, ad h.v. (2) Ganneau, l.c., p.381. (3) I. Reg. XVI. 8-10; 16-18; 21-23. cui dicemmo più sopra (1). Qui pertanto ci occuperemo soltanto del modo, con cui abbiasi a punteggiare in co- testa iscrizione di Mesa. Quell'uomo dottissimo che è il Professore Schlottmann punteggia e legge N237M9, cui dice formata originaria- mente da 0, acqua, e N27, quiete (2). Osserva egli che questa è parola composta sì nel Testo Sacro, e sì in questa iscrizione di Mesa (3); che, a detta del Ganneau (4), i due gruppi di caratteri N27 #2 sono ivi separati per mezzo d’un punto (5); che è proprio de’ Moabiti (e certo quest’ iscrizione lo mostra ad evidenza) lo scrivere l’o finale con una ; (6); che pur nell’antico idioma ebraico (7), non altrimenti che nel caldaico (8) e nell’arabo volgare (9), la parola %9, suona agua, liquor, virus; donde appunto i nomi antichissimi di Moàb, 3NY9, virus patris (10), e di Mophanath, n>DYA (11), identico al Mephdnat, N*DY di Giosuè (12) e delle Cronache (13), significante le acque di (1) V. sopra, Capo VIII, $ 2. (2) Schlottmann, Die Siegessiiule Mesa's, S.41, coll. 5, Additamenta, a.a.0., B. XXV, S. 439-440, (3) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S.44, coll. Addit., a.a. 0. (4) Ganneau, l.c., p.381. (5) Schlottmann, Additamenta, a. a.0., S. 439. (6) Schlottmann, Die Siegessiule Mess, S.4A, vgl. 47. (7) Gesenius, Lezicon, ad vv. tris (8) Cf. Levy, Chald. Worterbuch, 11.13. (9) Schlottmann, a.a.0., S.41. (10) Gen. XIX. 37. coll. 30 sqq., coll. Num. XXIV. 7; Prov. V. 15-17; 3 Jes. XLVIIT. 1.— Cf. Rosenmiller, Schol., in h.1.; Bunsen, Bibelwerk, in h.l.; Gesenius, Thesaurus, 775.a. (11) Jerem. XLVIII. 21. Ketib. MR (12) Jos. XXI. 37. (13) L Chron.VI.79. ), suona appunto pul- eritudo, splendor urbis. Ib., ad b.v. (2) Rosenmiiller, Handbuch der biblischen Alterthumskunde, 2, B., 2.Th., $.40, Anmerk. 90. — Cf. Scholia in Jos. XIIIL 1% (3) Noldookgi aa: 05, 41. (4) Schlottmann, Agip uber die Inschrift Mesa's, a. a. Q., Leipzig 1871, 25 B., S.439. ein en gi 1 Td * fatti e 40* | Pi Eb, av rl Pt RESI 340 de’ caratteri, onde questo nome risulta, — nel che ras- somiglierebbe esso ai due antichissimi nomi di 297 "9, aquae auri (1), e di Pron , aquae flavedinis (2) — lo punteggia e pronuncia Mah-devà, N29 , aqua quietis, aqua silentii; appunto si è come lo puntano e pronunciano ancor oggidì i Beduini, i quali le rovine di questa città : A chiamano e scrivono 3 , Màdebà (3). XI. nu pas ni3 wa (1 ap a Sant] na wa 3 W25 UN E stettevi Israele ai dì di Omri e ai dì del figlio suo per quarant'anni; ma ricuperolla Chemòsc a’ miei dì. (lin. 8-6). MD DON, e stanziossi fortemente colà. — Noto è che il verbo 2%, donde il futuro converso 2W°, ha il si- gnificato generale di consedit, sedit; specialmente poi ha fra gli altri il significato di sedit ad struendas insidias, ad damnum alteri inferendum (4); e quando si tratta di cose militari, ha il significato di stanziarsi rafforzandovisi con munizioni e difese; diresti con altre parole occupare forte- mente un qualche luogo: « einen Ort besetzt haben » (5). Qui noi lo prendiamo appunto in questo senso, che è pure quel (1) Gen. XXXVI. 39. (2) Jos. XIX. 46. Cf. Rosenmiiller, Scholia, in h. 1 (3) Ganneau', l.c., p. 381-382. (4) Cf. Psalm. X.8; XVII. 12; Job. XXXVIII. 40 (XXXIX.2) (5) Gesenius, Lezicon, ad h. v. — First, le., ad hiv 0° CA Ie n Ps + dle ETTI desso, in cui lo veggiamo adoperato nel primo libro di Samuele (1), là dove conta, come in sull’inizio' della guerra rottasi l’anno secondo del regno di Saulle fra i Filistei e gli Ebrei, questi in numero di soli secento, stanziatisi fortemente (in ebraico Daw) insieme col loro Re e Gionata suo figliuolo in sulle alture di Gabaa di Beniamin, vi si mantenessero impavidi (2) di fronte ai loro nimici, che stavano accampati in Macmas all’oriente ‘di Bethàven con tre mila carri falcati, seimila cavalli ed un subisso di fanti. Ma, colà, vale a dire N277T9 TRI, nella terra di Medeba, menzionata pur dianzi. — Ivi dunque stanziandosi fortemente Israele, non ne occupò e fortificò solo il capo- luogo, sì ancora le castella ed i varchi, affine di potere e mantenervisi di fronte ad ogni assalto de’ Moabiti, e trarre di colà ad offesa e danno loro, giusta il costume strategico di que’ tempi (3). Di che si par manifesto errare l’Hitzig, lorchè ripudia la parola Y9®, lettavi dal Ganneau per supplire la la- cuna della linea settima di quest’iscrizione e compiere il nome, di cui è ultima lettera la y, colla quale comincia la linea ottava (4). Osserva egli che Omrî, nel suo forti- ficarsi contro Moàb, doveva occupare e munire fortemente non il paese, sì la dirupata collina (722, 0, meglio, 75D) , @, per ciò stesso, la città torreggiantevi di Me- debà (5). Poichè dunque la parola Y78, non si usa mai di una città, sì solo d'un paese, e poichè è inverisimile (1) I. Sam. XIII. 16. coll. 1-15. (2) Gf. I. Sam. XIII. 16. cum 6-8. (3) V. sopra, cap. VII, $ 9. (4) Hitzig, a.a.0., S. 23-24. (5) Hitzig, aa. 0. Le pe cu ATI 8 sE e PONT 4 bi 21° È MAR A fr AREE POR e perc » è - Lato NC Gu di ed pe o affatto che in ciò i Moabiti usassero diversamente -dag E Ebrei:(1), conchiude egli non potersi in guisa veruna leg- gere N337M9 YI, la terra, il paese di Medebà (2). — Ma, pur lasciato da parte quanto gli risponde lo Schlott- mann (3), che 222, e 933 y9N (4), MIDA, e MEA YIV(8), San e DIN TR (6), usate come sinonime, provano che la parola Y pur nel Codice Sacro si adopera con- giuntamente col nome di città, di circuito più o meno vasto (7), — certo è che l’occupare un paese e stanziarvisi fortemente di fronte ad un agguerrito nimico non toglie, ma inchiude l’occuparne e munirne validamente come gli sbocchi, così ancora ogni altro luogo che per sito e na- tura si presti ad ostinata difesa, ed in ispecie le città e ville più importanti, massime se poste, al par di Medebà, su alture dirupate e scoscese. E basta infatti scorrere la Bibbia, o le iscrizioni, sì geroglifiche di Egitto, e sì cu- (1) «Eine YI mith ihre eigene Name kommt vor (Z.B., I. Sam. IX. 4.5), jedoch im ganzen A.T.keine YX einer Stadt; es wird denn sogar mit Fleiss ausgewichen II. Chron. XXVI. 6. Sollen wir, was nicht hebraisch ist, deshalh fiir moabitisch halten?» Hitzig, Epigraphische Miscellen, in Z.4.D.M G., XXV. B., $. 255. (2) Hitzig, a.a. 0. (3) Schlottmann, Addilamenta iber die Inschrift Mesa’s, in d.Z. d. D.M.G., XXV.B., S. 477. (4) Jer. L.28., coll. 23.29; LI. 29, coll. 33. 35. 37. (5) Jos. XII. 17, coll. XVII. 8. (6) Jos. XII. 17, coll. I. Reg. IV. 10. (7) Cf. Eretz Ghiliad, 3752 YIN, terra di Galaad, Num. XXXII 1. Os. VI. 8, coll. Jud. XXXII. 29; eretz Hhamath non TR, terra di Hhamath, II. Reg. XXIII. 33; XXV. 21.coll. Jos. ; eretz Laise, vs YI c il paese di Laise, Jud. XVIII. 14. coll. 7. 27, MIX. 35; eretz Mitzpa, DIN YXN, paese di Mitzpa, Jos. XI. 3. coll. Jud. X. 17. XI. 11,34. neiformi di Ninive, di Babilonia, di Van, di-Persepoli, | per iscorgere come ne’ vari paesi si solesse in que’ tempi murare e fortificare le singole città, e, fui per dire, le singole castella (1). Dopo l’inciso, di cui ci occupammo finora, v’ha nel testo una lacuna, la quale è (2) capace di assai lettere. Questa fu supplita dal Kaempf colle parole MMxI Nb DI #9, sicchè, congiungendo insieme le ultime due parole del- l’inciso precedente, M2 20, con quelle da lui supplite, leggerebbe: MW DIR np NON) nono D na UN, e vi si stanziò fino al dì della sua mor te, e dopo lui sot figlio suo quarant'anni fra tutti e due (3). — L’Hitzig proporrebbe di colmarla leggendovi: Nu PR noa 2IRTROONMTINI NM, egli, e dopo di lui Achab suo figlio pel volgere di quaranta anni (4). — Il Noòldecke vorrebbela colmata in guisa, che, congiungendo colle parole supplite le due ultime dell’in- ciso precedente, si leggesse: MON) MO? A23 25WN NW FYN MII DNMR, e si stabilì in essa Omrî, e dopo lui Achab, figliuol suo, per lo spazio di quarant'anni; oppure; (1) Che poi si tratti qui veramente dell'invasione ed occupazione armata non solo della città, ma di tutto il territorio di Medeb4, il Ganneau vuole dedurlo eziandio da ciò che, ad indicarla, Mesa servesi del verbo (>)j jarasc, anzichè del verbo IMA, dihaz, da lui usato quando si tratta della presa ed occupazione di una città. « Mesa (scrive egli) emploie deux expressions différentes pour designer la conquéte d’un territoire (N277V79 YIN NN WY ) et la prise d'une ville (1. 11: PD. MEN). Ce n’était pas seulement la ville, mais toute la région de Madeba, dont s'était emparé et qui avait occupé Omrì ». L.c., p. 382. (2) Nòldecke, a.a. 0., S. 11. (3) Kaempf, a. a. 0., SS. 24. 40.42. (4) Hitzig, a.a. 0, S. 24, nw ESD nia 13 DI nin No M> sun, se otri stanziò egli e il figlio suo, come pure il figlio del figlio suo per quarant anni (1). — L’Oppert adotta quest’ ultima lezione (2); laddove lo Schlottmann (3) leggerebbe : NW FIX MIDI NM DN NR 19), ed oppressero Modb egli e il figlio suo per quarant'anni. — Ma ulteriori studi sulla sua copia ad impronte saglienti svelarono al Gan- neau, come innanzi alle parole NW 17 vi si leggano ehiaramente e distintamente le parole ns .; le quali pertanto, come ci stringono a rigettare i supplementi pro» posti dai citati scrittori, così ne suggeriscono di leggervi in quella vece: ni5 MIDI INT I gato na 2=UN nw uuemR; e stette colà Israele (4) ai di di Omri ed a quelli del figlio suo per lo spazio di quarant'anni », Nella frase nw 1739, la parola arbanin, XIX, sta per l’ ebraica D'IMX arbanim, di cui, giusta il vezzo de’ Moabiti, si omise la ‘, e scambiossi la D, termi- nazione usuale de’ plurali mascolini ebraici, in ?: ter-. minazione comune de’ mascolini plurali degli Arabi, dei Moabiti e degli Aramei (5). — MW poi sta per l'ebraico miw, ed è forma al tutto fenicia, trovata, come no- (1) Néldecke, a. a. 0., - Of. Jerem., XXVII. 7. (2) Oppert, l. c., pp - (3) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S.11.u, 51. (4) E dove la lacuna volesse qualche parola di meno, potreb- besi in vece di PRI) leggere °, abbreviazione notissima di Jehevah (Cf. Psalm. LXXXIX 9g; XCIV. 7; CIV. 35; CV. 45; CVI. 4,48; CEI. 15 CXII. 1; CXIII.4; CXVII. 14; Jes., XII. 2; XXXVIII. 11 ecc.); indicando così Israele ch nome della costui divinità nazionale, come tosto dopo indica Mob col nome del suo Dio nazionale, di- cendo « che a’ suoi dì vi abitò invece Chemòsc ». (5) Se ne trova però un esempio anche nel testo. ebraico del Cantico di Debora, Jud., Vi 10, % x n le asta > A giiiti "vi I ci Sr adod a 1 dA lamina: più sopra (1) nelle i iscrizioni, Maltese I CREA. nesi II e XI, Sidonie I e II, in quella di Umm-el-Awàmid, nella Neo-Punica LXIX (2), come pure in quelle di molte monete (3). In vece d’essere al singolare è al plurale, giusta lo stile comune agli Ebrei, ai Moabiti ed agli altri Semiti, quando il numero degli anni supera il dieci. — Quanto poi alla cosa stessa, vo’ dire alla somma di anni quaranta, nu 37 39X, cui avrebbe durato siffatta oppressione di Moàb, iniziata da Omrî, vedansi le cose dette più sopra (4). Dopo le parole NW 393 , quarant'anni, ricorre nel- l'iscrizione moabitica di Mesa, sì e come fu essa pubbli- cata dal Ganneau , una nuova lacuna, capace, a giudi- carne così ad occhio, di tre o quattro parole al più. Egli dunque, desideroso, a quanto pare, di conciliar insieme i dettati della Bibbia coi dati cronologici dell’ iscrizione di Mesa, vorrebbe che la grande lacuna, di cui parlammo qui sopra, si colmasse leggendovi MW PI abb! mm, î giorni di suo figlio furono quarant anni; quest’ altra poi si supplisse ponendovi un verbo, di cui la terza radicale fosse quella 2, che tuttora vi si legge, seguita da una %, ed avesse il significato di far perire (5), sicchè alludesse così al notissimo fine tragico di Achab (6). Il quale verbo (cui egli però non reca in mezzo), non potendo esser altro che il futuro Pinel del verbo 2xM 0 20, necavit, (1) V. sopra, cap. VI, $ 2. (2) Schroder, Die phònizische Sprache, S.106. = Levy, Phonizische Studien, TII. 26.32. — Fabiani, l.c., p.10. (3) Schréder, a. a. 0. (4) V. sopra p. 139. (5) Ganneau, l.c., p. 365. (6) I. Reg. XXII. 34. 38. + veli pei e x ° Ra ia. caecidit, delevit, preceduto dalla vav conversiva, noi E vremmo a leggere in siffatto inciso: "N23 Wed maxmn, < e Chemòosc lo fe’ perire a’ miei giorni. Laonde tutto intero questo periodo dell'iscrizione di Mesa, a sentenza del valentissimo dragomanno francese, suonerebbe così: «Omrt s'impadronì di Medebà e vi si stanziò fortemente. Suo figlio visse quarant'anni, e Chemòsc il fe’ perire a' miei dì ». — Or questa lezione (non necessaria, come vedemmo altrove (1), per conciliare insieme i dati di quest’ iscri- zione di Mesa con quelli del primo libro dei Re), è ad un atto inammessibile, sì perchè renderebbe la narra- zione intralciata e sconnessa, e sì ancora perchè contraria agli avvenimenti storici, giacchè Achab morì combattendo: contro i Siri, non contro i Moabiti, epperciò Ja sua morte non verrebbe a giusta ragione attribuita a Chemòse, Dio nazionale di Moàb, non universale del mondo (2). Lasciato pertanto da banda quest’ ultimo supplemento proposto dal Ganneau per colmare questa nuova lacuna ricorrente in sul principio dell’ ultimo inciso di questo periodo, i dotti, i quali presero ad illustrare e commen- tare cotesta iscrizione, batterono altre vie. — Lo Schlott- (1) V. sopra, l. c. (2) Queste medesime ragioni ci rattengono dall’adottare la proposta del Renan, il quale vorrebbe, nelle linee 6-7, « mettre dans la bouche d'Achab: NIDI MI NINY [12] MON n0°2 2ND DN IP « J’opprimerai Moàb en mes jours, je lui commanderai, et je l’hu- milierai lui et sa maison » (Renan, L’ inseription de Mesha, IRR he p.333). — Arroge, che giusta l’osservazione del Bruston: « la barre verticale qui précède indique évidemment que le discours d’Akhab est terminè , et que Mésha reprend la parole. Cette interpretation donne d’ailleurs une rédondance inutile et fastidieuse, sure SANS compter qu'Akhab ne pouvait guère tourmenter Mob après sa mort, et qui on lui fait dire ....... ainsi une étrange naiveté ’ (Bruston, L’inseription de Dibòn, l.c., p. 331 ). STO VD, IN mann, il quale; ricordata la presa di MedebA4, avea riem- | piuta la gran lacuna precedente colle parole: « ed op- pressero Moàb' egli e il figlio suo per quarant’ anni », suppliva or questa piccola, leggendo dapprima: 32 x9N MI wo9, ma gquardollo pietosamente e graziosamente Che- mésc a’ miei dì (1). La quale lezione, considerata sotto il punto di vista filologico, è certo ammessibilissima, giac- chè ricorrono bene spesso nel testo ebraico del Codice Sacro, tanto il % in senso di ma (2), quanto il verbo FNI, seguìto dalla preposizione 3, nella significazione sì di guardare misericordiosamente (3), e sì di guardare con piacere, con affetto (£L). — Ma sotto il punto di vista storico, non accennando ad una riconquista di Medebà per parte de’ Moabiti, rende inesplicabile come abbia potuto Mesa for- tificarsi senza impedimento e molestia di sorta in Baal Meòn ed in Kiriathàim (5), e perchè Joràm, traendo in- sieme con Josaphàt a combattere e sottomettere il ribelle suo vassallo, anzichè assalirlo dalla parte settentrionale, dove s’aveva tuttavia una forte e poderosa piazza d’arme, voluto abbia muovere all'assalto dalla parte meridionale, circuendo l’Asfaltide e mettendosi per un deserto, che non poteva non renderne malagevole e pericolosa la spe- dizione (6). ‘Per la stessa ragione non è guari ammessibile il sup- ‘plemento proposto dall’ Hitzig, il quale leggerebbevi : (4) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's , S.11.51. (@) Cf. Gen. IIT.2; XXX.3; XLII. 10; Exod. XIII. 18; XIV. 8; Is. XIX. 9-10; XXIX. 13; LII. 5; Zach. VII 19; Mal. I. 2-3. (8) Cf. Gen. XXIX. 32. © (4) Job. HI. 9; Psalm.CVI.5; Jes. LXVI. 5. (5) Lin. 9. (6) I. Reg. III. 8,9. A area SEL hl Uri x $3 ona fo e ae CRE Md WO5 Na YMON, ma scagliossi contro di lui Chembse a'miei giorni (1).— Imperocchè il fatto dell'averla Chemòsc rotta con lui ed essersegli avventato contro, — chè tale è incontestatamente uno de'significati del verbo YD (2), — accennando alla sconfitta ed alla morte recata dai Siri ad Achab in Ramòth di Galaàd (3), spiega bensì come Mesa, tolta occasione dalla triste condizione e dagli imbarazzi, in cui, dopo quella rotta non poterono non trovarsi gli Israeliti, osato abbia non che macchinar rivolte, ma co- lorirle, incarnarle, e scendere, non pur audace, sì vit- torioso in campo; non vale però a spiegare il fatto so- vraccennato di Joràm e di Josaphàt, che è pure un fatto capitale nella storia di questa sanguinosa e terribile guerra. Sentì, a quanto pare, la forza di questa ragione il Nol- decke, il quale vi lesse invece (4): mia [jalo NMUN, ma ricoverolla Chemésc a' miei dì; ritolta cioè Medebà ali Israeliti, Chemòsc restituilla a Moàb, a cui apparteneva e a cui Omrî l’avea prepotentemente e violentemente tolta (5). La quale interpretazione non pure s’avviene egre- giamente all'indole dell’idioma ebraico (6), ma ha inoltre un bellissimo riscontro nel libro secondo dei Re, là dove si legge che « Joàz, figliuolo di Joachàz, riprese di mano a Ben-hadàd, figliuolo di Hazaél (re di Siria) la città, che Hazaél aveva presa a Joachàz suo padre in guerra. Joàz lo percosse tre volte, SRI? "MY=NN 2WN, e ricuperò la città d’Israele (7) ». (1) Hitzig, a. a. 0., S. 13.25. (2) Cf. Gen. XIX. 9; Exod. XIX. 22. 24; II. Sam. VI.8; Chron. XV. 13. (3) I. Reg. XXII. 29 30. 34. 38. (4) Noldecke, a. a.0., S.11. (5) Tale si è per lo ENTIRE il senso del verbo wu», " se, adoperato più sopra (lin.9) a questo riguardo. (6) Schlottmann, Additamenta, a.a.0., XXIV.B., S.447. (7) II. Reg. XIII 25, si Consente, se non nella punteggiatura, certo nelle pa- role, nel concetto e nel senso il Kaempf, il quale vi legge: i a}jo! WI A2UN , ma ricuperolla a'miei giorni Chemòse (1). E questa lezione e traduzione; in qualunque modo poi si voglia punteggiarne il relativo verbo, noi adottiamo di buon grado, non solo, perchè filologicamente e logica- mente sana, ma sì ancora perchè consentanea al con- testo, e direi voluta dal parallelismo, che in quest’iscri- zione ricorre chiaro e manifesto. — E da prima essa ci pare al tutto consentanea al contesto; imperocchè, mentre si conta che Medebà era la sede principale dell’ esercito israelita e la piazza d’armi onde questi prendeva le mosse ad offesa di Moàb, non si accenna mai, dove questa le- zione si rigetti, ad impresa avente in mira di scacciare di là l’oste nemica e tagliarle così la base strategica d’ogni sua operazione. Che più? Alloraquando Mesa, dopo fortificatosi, com’esso narra, in Bàal Meòn ed in Kiria- thàim, scese in campo contro il re d’Israele, non è altri- menti Medebà; sì Ataròth, che apparisce come quella, .che ne fosse la piazza d'armi e la precipua fortezza (2). — Oltraciò essa è, diresti quasi, voluta dal parallelismo che ricorre e domina in-tutti i periodi, o meglio in tutti i brani precedenti; nei quali noi veggiamo sempre con- tato qualche avvenimento dei tempi passati ed oppostogli tosto un fatto di Chemòsc, che o lo spiega, o lo oppugna. E di vero in questa sua iscrizione Mesa. ci. parla da prima del Santuario da lui drizzato sulla Korhhàh ; e il soccorso presentissimo di Chemòsc lo spiega. Conta poscia in genere l’opprimere che Omrî fece il popolo di Moàb; (1) Kaempf, a-a.0., 8.40.42. (2) Lin. 10,11. 350 1 e lo sdegno di Chemòsc contro di questo ce ne porge la ragione. Appresso narra il crudele disegno e 1’ altezzosa minaccia di Achab; ma questa e quello impugnati sono dal fatto di Chemòsc, che decreta e predice la raumi- liazione dei principi e la rovina perpetua del popolo d’I- sraele. Sceso ora ai particolari, nota come fosse Medebà la piazza d'armi, onde gli Israeliti ai tempi di Omrî e di Achàb movevano minacciosi e feroci contro di Moàb; qual cosa pertanto più ovvia e più conforme a siffatto pa- rallelismo, che il soggiungervi un fatto di Chemòsc, con che questi gli spogli di quella formidabile ròcca e ne prenda egli medesimo il possesso? — E per conservarla ai Moabiti, qual cosa più savia e più opportuna, che . fortificare e congiungere con essa strategicamente altre città, dove l’oste moabita potesse stanziarsi e di là ac- correre, ove d’uopo, a difesa della rioccupata fortezza ? ” LIL (Continua). |’ L’Accademico Segretario GASPARE GoRRESIO. | i È i] | Errata: alla pagina 74 — linee 4 e 2 della precedente dispensa del mese di Novembre 1874, invece delle parole poco tempo dopo il suo rilorno in patria, 7 leggasi poco tempo prima di lasciare la patria per la missione di Costantinopoli. FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO di se paL 1° noveMBRE AL 31 piceMmBRE 1874 si Ha Donatori ; Mi. RI Osservazioni dei Professori e Dottori BOLLEY, KUNDT e PESTALOZZI Società anon. ital. - sopra le precauzioni che sono da prendersi per trasportare senza della dinamite E x î , A (Avigliana). pericolo la dinamite, ecc. Torino, 1874; 16°. ; Seventh annual Report of the trustees of the Peabody Museum of museo Prasopr American Archaeology and Ethnology, etc. Cambridge, 1874; 8°. d'Acch. ed SARE P (Cambridge). 4 Verhandelingen rakende de Natuurlijke en Geopenbaarde Gods- società Olandese dienst, uitgegeven door Teylers Goodgeleerd Genootschap ; nieuwe delle Scienze | di Harlem, Serie ; Deel III, 1, 2 Stuk. Haarlem, 1874; 8°. t'Radoe Archives néerlandaises des Sciences exactes et naturelles, publiées Id. par la Société Hollandaise des Sciences à Harlem; tome IX, 1-3 livr. La-Haye, 1874; 8°. b Natuurkundige Verhandelingen van de Hollandsche Maatschappii der Id. ni Wetenschappén; 3ìe Verz., Deel II, n. 2. Haarlem, 1874; 4°. î Programme de la Société Hollandaise des Sciences, à Harlem ; Pod année 1874; 8°, i s Direz.della F | —’Archives du Musée Teyler; vol. IMI, fasc, 4. Harlem, 1874; 8° gr. Teyler (Harl _ Consiglio Prov. di Lecce, Id. 1d. Id. R. Istituzione della G. Bretagna (Londra). Società Chimica di Londra. R.Soc. di Vittoria (Melbourne). — R. Istituto Lomb. (Milano), | Società italiana di Scienze natar. (Milano). LI Si LO *; | —’Società Reale di Napoli. | Soc, di Geografia _ di Parigi. : Soc, Geologica di Francia (Parigi). Società — ell’Oriente Lat. (Parigi). — jervatorio astr. di Fa Collana di Scrittori di Terra d'Otranto. La Fauna Salentina; del Prof. Giuseppe Costa. Lecce, 1874; 2 vol. 16° Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio; Trattato di Giovanni PRESTA. Lecce, 1871; 1 vol. 16°. Opuscoli di Antonio DE FERRARIS, detto il Galateo, ecc. Iscrizioni messapiche; del Cav. Luigi MAGGIULLI e Duca Sigismondo CasTRO- MEDIANO. Lecce, 1871; 1 vol. 16°. Monografia di Muro Leccese ; del Cav. Luigi MAGGIULLI. Lecce, 1871; 1 vol. 16°. Proceedings of the Royal Institution of Great Britain. Vol. VII, parts 3 and 4, n. 60, 61. London, 1874; 8°. Journal of the Chemical Society, etc. August-October 1874. Lon- don; 8°. Transactions and Proceedings of the Royal Society of Victoria; vol. X. Melbourne, 1874; 8°. Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; serie se- conda, vol. VII, fasc. 17, 18. Milano, 1874; 8°. Atti della Società Italiana di Scienze naturali ; Vol. XVII, fasc. 2, fogli 7-13. Milano, 1874; 8°. Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli; Ottobre 1874, 4°. Bulletin de la Société de Géographie, etc. Septembre, Octobre, 1874. Paris; 8°. Bulletin de la Société Géologique de France, 3ème série, tome II, n. 5. Paris, 1873-74; 8°. Société pour la publication de textes relatifs à l’histoire et à la Géographie de l’Orient Latin. Genève; 8°. Magnetische und Metorsalige Beobachtungen an der k. k. Stern- warte zu Prag im Jahre 1873, ete.; von Carl HORNSTEIN. Reati 1874; 4°. bolchntà de e i Annali d'Agricoltura, Industria e Commercio. . Secondo, terzo e quarto trimestre 1872; n. 51, annata 1873, n. 66 ministerodi Agr, Ss" (Statistica). Roma, 1873; 1 vol. 8°. Ind. e Comm. (Roma). pa Ù Notizie per Ia Storia dei prezzi, raccolte per incarico della Camera Id, V Ro di Commercio ed Arti di Rovigo da Leonida SAMPIERI, vol. 72. se Roma, 1874; 8°. Quarto trimestre 1873, vol. 73; parte 1° - Bachicoltura nel 1873. rà. 7 - Roma, 1874; 8°. si Terzo e quarto trimestre 1873 - Commercio e Industria, vol. 68. - — 14. Roma, 1874; 8°. Secondo, terzo e quarto trimestre 1873; parte 12 - Agricoltura, Id, se, vol. 69 - Roma, 1874; 8°. 2 L’Italia economica nel 1873; testo e tav., 2 vol. Roma, 1874; 8°. Id. I È Meteorologia italiana, pag. 129-144; 4°. rà. Bollettino meteorologico mensile; Giugno 1874; 8° gr. : Id. Atti della Reale Accademia dei Lincei, ecc. Sessione V* del 6 Aprile. R. Accademia | - Sessione VIII? del 15 Giugno 1873. Roma, 1874; 4°. dei. Liaesi i (Roma). È Atti dell’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei, ecc.j anno XXVII, Accad. Pontificia fi Sessione 62 del 31 Maggio 1874. Roma, 1874; 4°. de’ Nuoto A (Roma). 7 ; Diodata Saluzzo; Poesie varie. Saluzzo, 1874; 1 vol. 8°. Municipio È di Saluzzo, ; g Die Neugriindung der Strassburger Bibliothek, und die Gothe-Feier università “i s) k am 9 August 1871. Strassburg, 1871; 8°. di Strasborgo. TI 3 i ae c'V . Die Vorreden Friedrichs des Grossen zur histoire de mon temps; Id. “ma "a Inaugural - Dissertation zur Erlangung der philosophischen Doc- dr torwirde an der Universitàt Strassburg; von Wilhelm WIEGAND. RI x Strassburg, 1874; 8°. Die Tage von Tribur und KRanossa; Dissertation zur Erlangung der Id. , 57 philosophischen Doctorwiirde an der Universitàt Strassburg in A È Elsassj von Robert GoLpscHmiT. Mannheim, 1873; 8°. } na: i GEE > SALONE TR pa daga ‘IRON AI ROSIE ‘ZAN 95E RO i Cali + falli CNS È è | di atte i bo bi: Università —Beitrag zur Kenntniss der Verbindungen Zwischen Aldehyden, und || (2. di Strasborgo. aromatischen Rohlenwasserstoffen; - Inaugural-Dissertation der philosophischen Facultit der Universitat Strassb. behufs Erlangung der Doctorwiurde vorgelegt von Othmar ZeipLeR. Wien, 1873, 8°. Id. Versuch eines Systems der Mycetozoen; - Inaugural-Dissertation der philosophischen Facultit der Universitàt Strassburg in Elsass, zur Erlangung der Doctorwurde vorgelegt von Joseph Thomas von RosTAFINSEI. Strassburg, 1873; 8°. Id. Die Einweihung der Strassburger Universitàt am 1 Mai 1872. Strass- burg, 1872; 8°. R. Acc. di Medie. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino ; n. 14-18. Torino, di Torino. 1874; 8°. i Il Club alpino L’Alpinista: Periodico mensile del Club Alpino italiano ; anno I, Italiano (Torino). n. 12. Torino, 1874; 8°: Bollettino medico-statistico della città di Torino; dal 2 Novembre ‘8 Il Municipio a di Torino. al 27 Dicembre 1874; 4°. ; n R.Istit. Veneto Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; tomo terzo, (Venezia). serie IV, disp. 10. Venezia, 1874; 8°. Accademia Imp. Denkschriften der K. Akademie der Wissenschaften; Mathematisch- delle Scienze naturw. Classe; XXXIII Band. Wien, 1874; 4°. Naturw. Classe; erste Abth., LXVIII Band, 3-5 Heft.; LXIX Band, 1-3 Heft; — zweite Abth., LXVHI Band, 3-5 Heft; -- LXIX È Band, 1-3 Heft.; — dritte Abth., LXVIIHI Band, 1 und 5 Heft. PIA Wien, 1874; 8°. vi 5 p: K LI ; di Vienna. <& ‘Id. Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften; Mathem.- ? a CR ) î ; ) ) i 0 Id. Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften; philosophisch- e. historische Classe, LXXV Band, Heft. 1-3; — LXXVI Band, Heft 1-3. Wien, 1874; 8°. là. Monumenta Conciliorum generalium seculi decimiquinti ediderunt Caesareae Academiae Scientiarum Socii delegati. — Concilium Basiliense. Scriptorum tomus IH. Vindobonae, 1873; 49,0 Archiv fur Osterreichische Geschichte, etc. LI Band 2 Halfte; — Accademia imp. | Register zu den Rànden I-L etc. Wien, 1874; 80. delle Scienze di Vienna. Almanach der K. Akademie der Wissenschaften ete. Jahrgang 1874. Id, Wien, 1874; 16°. Jahrbuch der KR. K. Geologischen Reichsanstalt: XXIV Band, Juli- 1.R.Istit. Geol. September 1874. Wien, 1874; 8°. di Vienna. Verhandlungen der K. K. Geologischen Reichsanstalt, n.12 und 13; 8°. Id. Bollettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e _ Sig. Principe fisiche, pubblicato da B. Boncompagni; tomo VII, Luglio 1874, 3. Boxcomraeni. Roma, 1874; 4°. L’Enfer, Poéme de Dante Alighieri; traduction en vers francais etc.j; Ml Traduttore. par René ALBy; chant VI. Milan, 1874; 8°. La Sardegna provincia romana; Saggio di studi antiquari di Luigi L'Autore, AMEDEO, Dott. in Legge. Roma, Î874; 8°. Forza e Materia; osservazioni critiche (all’articolo Forza e Materia L'A. del Dott. Luigi Biichner; Studi popolari di Filosofia e Storia na- turale) del Dott. Gaetano ANTINORI. Piacenza, 1872; 16°. Rassegna entomologica; per Flaminio BaupI. Firenze, 1872; 8°. L'A, Coleoptera quaedam e Staphylinorum familia nova vel minus cognita, Id. cum observationibus; auctore Flaminio BaupI A SELVE; 8°. Coleopterorum messis in insula Cypro et Asia minore ab Eugenio Id. TRUQUI congregatae recensitio: de Europaeis notis quibusdam additis, auctore Flaminio BaupI A SELVE; pars prima, secunda, *. «PO _lertia et quarta; 1864-1870; 8°. 5,08 Malacodermatum quaedam novae species, a Flaminio BAUDI A SELVE Id. descriptae; 8°. Sulle specie italiane di Scotopidnus; Studi di Flaminio BaupI. Fi- Id: - 69008 d renze, 1871; 8°. dg Osservazioni sulle specie italiane del genere Limnebdius De! di Id. Flaminio BaupI. Firenze, 1871;.8°. i L'Autore. Id. Id. Id. L'A. L'A. L’A. L'A. L'A L'A 356 Sedi dio) > DADI Europeae et cireummediterraneae Faunae Dasytidum et Melyridum specierum, quae Comes DEJEAN in suo Catalogo ed. 3a consignavit, ex ejusdem collectione in R. Taurinensi Musaeo asservata, cum auctorum hodierne recepta dominatione, collatio; auctore Fla- minio BaupI A SELVE, pars alteraf; 1873; 8°. Catalogo dei Dascillidi, Malacodermi e Terredili deila Fauna europea e circummediterranea , appartenenti alle collezioni del Museo civico di Genova; per Flaminio Baupi. Genova, 1873; 8°. Catalogo dei Tenebrioniti della Fauna europea e cireummediterranea, appartenenti alle collezioni del Museo civico di Genova; per Fla- minio Baupi. Genova, 1874; 8°. Studi entomologici pubblicati per cura di Flaminio BaupI e di Eugenio TRUQUI; tomo I, fasc. 1 e 2. Torino, 1848 ; 8° Sul modo di assicurare la posizione morale ed economica del medico condotto; Relazione del Dottore Giuseppe BERRUTI, ecc. Torino, 1874; 8°. Sulla pena della deportazione; poche idee di Giovanni BraybA Mar- chese di Soleto. Benevento, 1874; 16°. Projet d’une légende internationale pour les cartes archéologiques préhistoriques ; Rapport présenté au Congrès international d’an- thropologie et d’archéologie préhistoriques - Session de Stockolm par Ernest CHAnTRE. Lyon, 1874; 8°. Cosmos; Comunicazioni sui progressi più recenti e notevoli della Geografia e delle scienze affini; di Guido Cora; vol. II, n. 4, d. Torino, 1874; 8° gr. Appendice all’arte di fabbricare; Corso completo di istituzioni teorico- pratiche per gl’ Ingegneri, per gli Architetti, ecc. ; per CurIONI Giovanni, 1874; vol. II, disp. 2 e 3; 8°. o Réponse de M. Dausse à M. le Sénateur Lombardini, au sujet des digues dites insubmersibles. Grenoble, 1874; 8°. Letture sopra la Mitologia Vedica; fatte dal Prof. Angelo DE GupeR- NATIS all’Istituto di studii superiori di Firenze. Firenze, 1874; 1 vol. 16°. . RESSE TE i 357 Mythologie zoologique, ou les légendes animales; par Angelo DE GUBERNATIS, Professeur de Sanscrit et de Littérature comparée à Institut supérieur de Florence; traduit de l’anglais par Paul RÉgNnAUD, etc. Paris, 1874; 2 vol. 8°. Bollettino del Vulcanismo italiano; Periodico geologico ed archeolo- gico, ece.; redatto dal Cav. Prof. Michele Stefano DE Rossi; No- vembre e Dicembre 1874. Roma; 89. Le Industrie, l'Agricoltura e il Commercio; Periodico settimanale, ecc. diretto dai Professori ELIA e PANIZZARDI; n. 46-52. Torino, 1874; 40. Bollettino del Circolo legale di Macerata; anno 1°, n. 1-16. Mace- rata, 1874; 8°. La langue et la littérature hindoustaines en 1874; Revue annuelle par M. GARCIN DE Tassy; Paris, 1874; 8°. Del principio di autorità; Orazione pel riaprimento degli studi, pro- nunziata il 16 Novembre 1574 nella R. Università di Torino da Giusto Emanuele GaRELLI, Prof. di Diritto amministrativo. Torino 1874; 8°. Onderzoekingen, gedan in het Physiologisch Laboratorium der Leid- sche Hoogeschool, nitgegeren door Dr. A. HEyNsIus, Hoogleeraar in de Physiologie en Direkteur van het Laboratorium; derde Deel. Leiden, 1874; 8°. È Trattato di Medicina legale del Dottore Secondo Laura. Torino 1874; 1 vol. 8°. Vita e studi del Conte Giuseppe Marzari-Pencati, Geologo Vicentino; per Francesco MoLon. Vicenza, 1874; 8°. Gli Argonauti, Poema orfico; prolegomeni, traduzione e note di En- rico OrTINO. Torino, 1874; 16°. Résumé météorologique de l’année 1873, pour Genève et le Grand Saint-Bernard; par E. PLANTAMOUR. Genève, 1874; 8°. Dei tre Prelati ungheresi menzionati da Vespasiano da Bisticci; Com- mentario di Alfredo REUMONT, ecc. Firenze, 1874; 8°, L'Autore. Il Redattore. 1 Direttori. Sig. Dott. R. FocuerTtI. L'A. 50 L'A. L'A. L'A. L'A. L'A. Id. L’A. Id. Id. Biblioteca inciaai italiana, per P. RiccaRDI; vol. II, fas. » ; Modena, 1874; 4°. AS Nuovi studi sulle correnti delle macchine elettriche del sd tiri: cesco RossETTI. Venezia, 1874; 8°. Il diritto degli edifici comuni a più proprietari, esposto dall'Avv. Girolamo ScaLamanprÈ. Napoli, 1873; 16°. Storia della Zecca Sarda; ecc. per Giovanni Spano. Cagliari, 1874; 1 fasc. 16°. L’Antiquario della Valle di Maira; Novella di Tommaso VaLtauri. Torino, tipografia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, 1874; 16°. Thomae VaLLavRI de optima ratione instaurandae latinitatis; Acroasis facta studiis auspicandis litterarum latinarum in Athenaeo Tauri- nensi, vi Cal. Decembres an. mpccceLxxni. Augustae Taurinorum, ex officina Asceterii Salesiani, an. Mm. pccc. Lxxv; 8°. Cenni biografici di Nicolò Copernico, dettati dal Dott. Arturo WoLYNSKI. Firenze, 1873; 8°. Relazioni di Galileo Galilei colla Polonia, esposte, secondo i docu- + menti per la maggior parte non pubblicati, dal Dott. Arturo Wo- LYNSEI. Firenze, 1873; 8°. La Diplomazia Toscana e Galileo Galilei; per il Dott. Arturo WoLYNSKI. Firenze, 1874; 8°. CLASSE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE. Gennaio 1875. DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Adunanza del 10 Gennaio 1875. SS PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Cav. Lessona legge alla Classe la segnente sua Nota DELLA AZIONE DELLA LUCE SUGLI ANIMALI La Memoria del Dottore FuBini, intitolata Influenza della luce sul peso degli animali, letta dal Prof. MoLEscHoTT nella seduta del 15 novembre di questa R. Accademia, e gli studi del Prof. MoLescHorT stesso intorno alla luce ri- “up spetto alla quantità d’acido carbonico espirato dagli ani- 5 mali, mi richiamano alla mente alcuni fatti intorno a questo argomento poco studiato finora ed importantissimo dell’azione della luce sugli animali, che prego mi sia ‘concesso qui riferire. . Quei numerosi molluschi pteropodi che vivono in mezzo agli oceani e solo raramente ed accidentalmente si tro- SA i vano presso le coste, e per la loro conformazione e per la Di “e loro locomozione meritarono la denominazione espressiva Visa ; LS di farfalle del mare, e gli eteropodi che menano la stessa vita, non appaiono alla superficie marina se non che dopo il tramonto. Il n’ OrsiGny, che li osservò a lungo nei mari tropicali, dice che non gli venne mai fatto di prenderne pur uno lungo la giornata. Quando il cielo è nuvoloso, siccome egli riferisce, verso le cinque pomeridiane cominciano a mostrarsi alla su- perficie marina qualche specie del genere Hyalea. Al cre- puscolo sono numerosissime le varie specie minori dei pteropodi e degli eteropodi: le specie maggiori aspettano che la notte sia al tutto venuta. Allora si mostrano i Pneumodermon, le Clio, le grandi specie del genere Cleodora. Alcune specie, come per esempio la Hyalea balantium (ora genere Balantium) nel golfo di Guinea, non si fanno ve- dere se non che nelle notti più buie. Poco dopo scom- paiono le piccole specie nell'ordine in cui sono venute, poi le grosse, e verso la mezzanotte appena più sì vedono qualche rari individui che chiudono la ritirata. Il signor RaxG, che aveva pur osservato questi fatti, li spiegava dicendo che in quelle ore della notte questi molluschi vengono a galla pei bisogni del cibarsi e del respirare. Ma non si può comprendere come essi abbian bisogno di respirare qualche ora alla superficie, mentre tutto il resto del tempo rimangono nel profondo, e come siano per cibarsi alla superficie solo qualche ora della notte. DN Ben meglio nel vero appare il n'OrBIGNY, che pati in rapporto colla azione della luce la vita di questi mol- luschi ai vari livelli, e crede vivano le varie specie a A determinate profondità, e vengano a cercare alla super- ficie, nella notte, quel grado di luce che HEare più sotto | durante il giorno. ‘SR n signor Lacaze DuTtHIERS, che ha fatto un mirabile studio anatomico e fisiologico del Dentalium, dice di questi molluschi che sentono vivamente l’azione della luce. Un raggio di sole promuove forti contrazioni in essi, la luce SG della candela li fa ritrarsi rapidamente nella conchiglia. Il signor Oscar ScamiDT, tanto benemerito degli studi intorno agli animali inferiori, ha raccolto un gran nu- ses mero di osservazioni, le quali dimostrano che molti ani- Si: » mali di varie classi, sprovveduti di ogni organo visivo, sentono vivamente l’azione della luce. Anzi egli dice ap- ALTEA punto che si è sugli animali senz’occhi che quest'azione + ® si manifesta più palesemente. - Da Tutti conoscono il fatto del proteo anguino sprovveduto » d’occhi che mena vita sotterranea in acque buie, e por- tato nell’acqua alla luce, dà subito segno di patimento, e in breve per l’azione della luce muore. Ora un fatto ben più notevole di azione micidiale istan- tanea della luce sopra un animale sprovveduto d’occhi io sto per riferire, osservato dal nostro valente entomologo Cav. Flaminio Baupi pi SeLve, che ebbe la gentilezza di darmene i particolari. i Gli insetti sprovveduti d’occhi sono numerosi, e di tratto in tratto, ora che le ricerche sono volte in questo senso, sì viene scoprendo qualche nuovo fatto di anot- talmia in questa classe di invertebrati. È Il Cav. Flaminio BauDI DI SELVE dichiara senza dub: af: jo: biezza che sovente nella stessa specie si trovano individui fi È sprovveduti d’occhi, o con occhi al tutto rudimentali, 1 d oppure meglio sviluppati, a seconda che vivovo affatto al bo: buio, od in una scarsa luce, oppure all’aperto. fo sa) Una specie che egli ha descritta, lo Scotodipnus glaber . Baupi, della famiglia dei Carabici, suddivisione dei Bem- bidii, sprovveduta d’occhi, fu da lui rinvenuta per la prima volta in piccole gallerie sotterranee scavate da altri animaletti, sotto sassi ed un alto strato di foglie di faggio nelle foreste di questi alberi delle pendici volte a settentrione della catena dei monti liguri fra il monte Antola ed il Penice. Questi animaletti, vivacissimi nei loro movimenti, appena colpiti dalla luce, cercan rifugio rapidissimamente in qualche fesso del terreno; se non vi riescono, se son tenuti sulla palma della mano, o posti in qualsiasi modo su di una superficie illuminata, fanno due giri convulsamente, si arrovesciano sul dorso, e subito muoiono come fulminati. In quelle stesse località, tanto in primavera, come a stagione più inoltrata, il Cav. BaupI pI SELVE potè ripetere queste osservazioni, e sempre collo stesso effetto. Più tardi trovò questo insetto in Piemonte, sui monti sovra- stanti a Bibiana verso Luserna, in una foresta di faggi a nord, e rinnovò subito la prova, e ne ebbe, sopra una ventina di individui che gli vennero raccolti, sempre il medesimo risultamento, la morte istantanea appena li ebbe esposti alla luce. È da desiderare che questo importantissimo fatto fo muova altre ricerche intorno a questo argomento dell’a- zione della luce sugli animali, di cui si son dato assai poco pensiero gli antichi naturalisti. x Il Socio Cav. Curioni espone alla Classe i seguenti ESPERIMENTI SUL VETRO TEMPRATO. A. Nel giorno 5 del corrente gennaio 1875 e nell’ an- fiteatro di chimica della R. Scuola d'applicazione degli Ingegneri. in Torino, per iniziativa e per cura del distinto Ingegnere Leone GaviLLet, già allievo della scuola me- desima, ebbero luogo interessanti esperienze su alcuni vetri, che l’esperimentatore chiama vetri temprati e che si ottennero con un procedimento, il quale finora costi- tuisce un secreto, stato ideato dal signor DE LA BATTIE di Pont-d’Aine (Savoia). Queste esperienze furono instituite collo scopo di pro- vare la grande resistenza del vetro temprato agli urti, ed ai bruschi cangiamenti di temperatura, ed ecco una breve esposizione dei risultamenti stati ottenuti. 2. Si presero innanzitutto due lastre eguali, una di vetro comune e l’altra di vetro temprato, lunghe metri 0,145, larghe metri 0,105 e grosse metri 0,0025. Queste lastre, l’una dopo l’altra, furono messe sul bordo di un’intela- iatura di legno in modo da avere appoggio lungo l’intiero loro perimetro, si disposero orizzontalmente e quindi si lasciarono cadere dei pesi nel loro mezzo. La lastra di vetro comune si spezzò sotto l’azione della prima percossa prodotta dal peso di 100 grammi lasciato cadere dall’al- tezza di metri 0,50. La lastra di vetro temprato resistette agli urti prodotti dallo stesso peso lasciato successivamente F49 Hi d, Ci a ì, Pet det 4 > SPERI + #5 (2! MP RI, | la à = * ji Pi e si - 49 SEDI, AI | n GS $a£ x SONE REA FS VORAA SCESE TSI i x ) Pad f ” Mii dd 9A Aa ar E: Mei cadere dalle altezze di metri 0,50, 0,75, 1,1,50 Re 850; ed essa si spezzò soltanto ‘sotto l’ azione del detto peso lasciato cadere dall’altezza di 3 metri. Quest’esperienza comparativa ha posto in evidenza la grande superiorità del vetro temprato sul vetro comune per resistere alle percosse, e gli immensi vantaggi che può apportare la tempra ai vetri per finestre, per lan- ternoni, per coperture ed in genere a tutti quelli che possono trovarsi esposti agli insulti della grandine. 3. All’indicato esperimento tennero dietro due altri su lastre di vetro temprato colla spessezza di metri 0,004, coi lati lunghi 0,145 e 0,105 e disposte sull’intelaiatura di legno come si è indicato nel precedente numero. La prima di queste due lastre ha resistito alle tre per- cosse predette : Dal peso di grammi 100 lasciato cadere dall’altezza di metri 3,00; » » » 3,90 ; » » » 4,00. Finalmente si ruppe sotto una quarta percossa prodotta dallo stesso peso lasciato ancora cadere dall’altezza di 4 metri. La seconda lastra si mantenne apparentemente inalte- rata sotto le dodici percosse cagionate: Dal peso di grammi 100 lasciato cadere dall’altezza di metri 3, 00; 200 » ee 7 » » 1,50; #- Ue ene | E si spezzò sotto la forte percossa prodotta dal peso di 500 grammi lasciato cadere dall’altezza di 2 metri. Osservando la frattura di questi vetri, si riconobbe che essa avvenne per divisione in parti quasi prismatiche, aventi tutte per altezza la spessezza della lastra cui ap- partenevano, e disposte per file su due direzioni quasi perpendicolari. 4. Dopo le esperienze su lastre percosse nel loro mezzo ed appoggiate per l’intiero loro perimetro, se ne institui- rono due su lastre appoggiate solamente per le estremità. Su una lastra colla grossezza di metri 0,002, darga me- tri 0,08 e lunga metri 0,105, appoggiata alle estremità nel senso della sua larghezza , furono prodotte tre percosse -Col peso di grammi 100 lasciato cadere dall’altezza di metri 1,00, » » o» 1,50, » + » » 1,50, senza che essa sì spezzasse, e la rottura avvenne sola- mente dopo una quarta percossa prodotta dallo stesso peso caduto dall’altezza di metri 2. Una seconda lastra grossa metri 0,003, larga metri 0,03 e lunga metri 0,145, appoggiata alle estremità nel senso della sua larghezza ha resistito alle successive percosse prodotte nel suo mezzo: Dal peso di grammi 100 lasciato cadere dall’altezza di metri 0,50; » » » 0,75 3 » » » 4 1,00 5 » p È » 1 50 ‘ E questa lastra si spezzò solamente sotto una quinta percossa fatta nel suo mezzo dallo stesso peso caduto dall’altezza di 2 metri. . Dall’esame della frattura delle due ultime lastre si ri- conobbe: che nella prima essa avvenne per divisione in pezzi piuttosto lunghi, aventi la maggior larghezza in cor- rispondenza degli appoggi e quasi convergenti al centro di percossa; che nella seconda invece si manifestò come già fu detto per le lastre aventi appoggio sull’intiero perimetro. 5. Oltre le indicate esperienze dirette a provarela grande resistenza delle lastre di vetro temprato alle percosse e la loro elasticità, giacchè i pesi percuzienti si vedevano rimbalzare dopo le prime percosse, altre ne furono ese- guite per confermare il vantaggio che possono ritrarre le arti e le industrie dal nuovo ritrovato. Parecclti vetri da orologio da tasca, quantunque di esi- lissima grossezza, non si ruppero cadendo sul pavimento dopo essere stati comunque proiettati in alto; ed altri, esposti all’intenso calore di una fiamma a gas, si mostra- rono affatto refrattari. | Una coppa di vetro temprato, fortemente riscaldata su un fornello a gas, non diede segni delle benchè minime screpo- lature ponendo su essa della neve, e neppure dopo averla cimentata ad un rapido ed alto cangiamento di tempera- tura coll’immergerla in un cumulo della stessa sostanza. 6. Ammesso che sia possibile avere prodotti costanti, colla trasparenza dei vetri e dei cristalli non temprati, fa- cili ad essere lavorati e non soggetti a dividersi in ischegge sotto il taglio del diamante, il ritrovato del signor DE LA BaTTIE sarà certamente per apportare segnalati vantaggi alla scienza, alle arti ed alle industrie, in quanto potrà dare ai vetri commerciali le preziose doti di una certa elasticità, e di.una grande resistenza alle percosse, alle elevate temperature ed ai repentini cangiamenti del loro stato termometrico. ’ rta! e — Adunanza del 24 Gennaio 1875, PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Conte Tommaso Satvapori legge alla Classe la seguente sua Nota INTORNO Genere MACHAERORHYNCHUS Gouib. La collezione Beccari delle isole Aru, e la collezione p'ALBerTIsS della Nuova Guinea, intorno alle quali sto attualmente studiando, contengono ciascuna parecchi in- dividui di una specie diversa del genere Machaerorhynchus. Per la determinazione di essi sono stato condotto ad invesiigare anche le altre due specie descritte di questo genere, il quale non è ancora compiutamente conosciuto, onde ho stimato non fosse inutile riunire in una breve nota monografica i fatti già noti ed alcune nuove osser- vazioni. Ecco i più importanti dati storici intorno alle specie di questo genere: (1850). Il genere Machaerirhynchus (recte Machaerorhyn- chus) fu stabilito dal GouLp nel 1850; esso ha per tipo il M. flaviventer del Capo York in Australia, che il GouLp contemporaneamente descrisse e figurò (P. Z. S. 1850, p. 277, pl. 33). ) (1851). Il GouLp torna a figurare il M. flaviventer nella sua grande opera Birds di Australia, Supplemeni, pl. 11 RE I, 1851). SRILESE ta “ \) % È Ri tenta Mg E DE Ta “ Si DR BIEL Tab 870 7 : SP | Ce "Io 3; SR - Perno cd È (1858). Il Gray descrive una seconda specie, il M. can- thogenys, scoperto dal WarLace nelle isole Aru, ove si può considerare come il rappresentante della specie austra- liana (P. Z. S, 1898, p. 176). , (1861). Il Gray descrive e figura il M. albifrons scoperto dallo stesso WaLtace nelle isole di Mysol e di Waigiou [PZ S41861;p- 420143, LA (1868). Il Ramsay descrive la femmina ed i giovani , fino a quel punto ignoti, del M. flaviventer (P. Z. S. 1868, p. 384). (1869). Il Gray annovera le tre specie note di questo genere: M. flaviventer, M. canthogenys e M. albifrons (Hand- List (1,ph: 329); "lf (1871). Lo ScHLEGEL descrive una quarta specie, il Ma- cheirhynchus (sic) nigripectus, scoperta dal von RosENBERG nell’interno della penisola settentrionale della Nuova Gui- nea; inoltre lo ScHLEGEL menziona e brevemente descrive le altre specie conosciute, ed afferma che il M. albifrons è stato trovato dai viaggiatori del museo di Leida non solo in Mysol ed in Waigiou, ma anche in Salawatty e nella penisola settentrionale della Nuova Guinea. (Ned. Tijdschr. voor de Dierk. IV, p. 43). Le quattro specie note del genere Machaerorhynchus co- stituiscono un gruppo assai naturale, tanto per la loro grande somiglianza nelle forme, nelle dimensioni e nel colorito, quanto per la loro distribuzione geografica. Rispetto alle forme tutte hanno la testa proporziona- tamente grande; il loro becco è estremamente largo e depresso, col culmine distintamente carenato e coll’apice fornito di uncino; le ali sono alquanto acute e mediocri, colla prima remigante piccola, la metà più breve della seconda, la quale è notevolmente più breve della terza; ‘a sip $ | ALE - LA che è la più lunga; la coda è mediocre e molto graduata; i tarsi sottili, di mediocre lunghezza. Per le dimensioni le quattro specie differiscono di poco ; la lunghezza totale oscilla fra 0”,120 e 0" ,130. Infine rispetto ai colori tutte le specie hanno le parti inferiori gialle, le superiori nere, o verdi-nerastre, le ali con due fascie bianche, formate dagli apici delle medie e delle grandi cuopritrici. Queste quattro specie si possono dividere in due gruppi a seconda del colore della fronte, in uno gialla, e nell'altro bianchiccia, come si può vedere nel seguente quadro: Clavis specierum generis Machaerorhynchi. i. Fronte flava: a. lateribus capitis fascia lata nigra . 1. M. flaviventer. b. lateribus capitis flavis ............ 2. Fronte albida: a'. gula alba, pectore toto flavo...... 3. » a/bifrons. b'. gula flava, macula pectorali magna Dieta. a vevena d. » Migripecius. 9 x Queste quattro specie, come si è detto, formano un gruppo naturalissimo anche per la loro distribuzione geo- grafica. Esse costituiscono un genere che si potrebbe dire papuasico ; tre specie, il M. ranthogenys, il M. albifrons ed il M. nigripectus, sono proprie della Nuova Guinea e delle isole vicine, Mysol, Waigion e Salawatty a nord-ovest, ed Aru a sud; la quarta specie, il M. flaviventer, vive nel- lAustralia settentrionale, di cui sono ben note le affinità ornitologiche colla Papuasia. Si può notare come le due specie colla fronte bianchiccia, M. a/bifrons e M. nigripectus, siano proprie della Nuova Guinea e delle isole poste presso e 371 “la terza e la quarta sono poco più brevi della quinta, » ronthogenys. È IE tan ALA, Made e REI ni Sa n —— Sc ? PIAN Ce N ed 372 LI ra Mps" la sua estremità settentrionale, mentre la specie colla fronte gialla, M. flaviventer e M. ranihogenys, vivono al sud della Nuova Guinea, e rispettivamente nell’Australia set- tentrionale e nelle isole Aru. QUADRO della distribuzione geografica delle specie del genere Machaerorhynchus. REGIONE AUSTRALIANA s|È PAPUASIA z|d a E |O = ai ER 8° Bb léla E n 5|F|O|ale{f ciceisi_jS lea |a alalPlc[blzi=zlo|olE 5|5|2|S{a|2|S|2|LIS L_|L[|O|= dqdS[{O[|{OJ5 è [b|s[=[>[2|z|2{|/2/3 1 | Machaerorhynchus flaviventer .. I 2 » xanthogenys. Li 3 » albifrene- Giuria 4 » nigripectus. . Le affinità del genere Machaerorhynchus non sono ancora ben note; sembra che esso debba essere collocato nella sottofamiglia delle Myiagrinae, nella vicinanza, o non lungi dal genere Myiagra, e specialmente non lungi da quel gruppo di specie, cui dovrà darsi il nome Platygnathus, HartL. Lo ScLateR (Ibis, 1872, p. 177), discorrendo del genere Peltops, WaGL., accenna all’ affinità di questo col genere Machaerorhynchus. Tuttavia a me pare che questa sia una forma che, specialmente per la coda graduata. e pel modo di colorazione delle sue specie, resti ancora isolata, e che per ora non si possa dire con certezza a quale altra debba essere ravvicinata, tanto più che non si conoscono attualmente forme intermedie che la colleghino colle altre note del gruppo delle Myiagrinae.. IANI CL ig opt CANI E - 373 | Pocò si sa dei costumi,-e quel poco è relativo al M. Niaviventer ; probabilmente quelli delle altre specie non sono diversi, per cui si può supporre che come quella tutte vivano nelle boscaglie, e stando posate sui rami degli alberi attendano gl’insetti che passano nelle vicinanze, e che acchiappino inseguendoli a volo come fanno i Piglia- mosche, per poi tornare a posarsi sul luogo donde parti- rono. Gen. Miachaerorhynchus GouLp. (udyaipa gladius, puyyxos rostrum). . n Typus: Machaerirhynchus, GouLp, P. Z. S. 1850; p. 277 . . . ... . HM. flaviventer, Gov. Macheirhynchus, ScnLEG., Ned. Tijd- schr. voor de Dierk. IV, p. 43 (1871) . . . . . . M. nigripectus, ScuLeo. Macheirhamphus (errore), ScHLEG., tue: pi 58: Rostrum latissimum, valde depressum, culmine carinato , apice uncinato; nares patulae, ovales, concavae, seu in foveis prope basin rostri positae; vibrissae mediocres; alae acutae, remige prima brevi, dimidium secundae aequante, tertia paulo quarta et quinta breviore, his longissimis; cauda mediocris, valde gra- data; tarsi graciles, mediocres. PA î è: Hab. Papuasia et Nova Hollandia sepientrionali. Sp. i. Miachaerorhynchus flaviventer, GouLD. Machaerirhynchus flaviventer, GouLp, P. Z. S. 1850, p. 277, pl. 33. - Id., B. Austr. Suppl. pi 21, pl. 11 (1851). - Id., Handb. B. Austr. I, p. 257 (1865). - Ramsay, P. Z.S. 1868, p. 384. - GR. Gn., Hand-List, I, p. 329, sp. 4937 (1869). - Sunp., Meth. nat. av. disp. tent. p. 24 (1872). Machaerirhynchus flaviventris , G. R. Gn., P. Z. S. 1858, ur p. 192. - Finscn, Neu-Guinea, p. 168 (1865). Macheirhynchus flaviventer, ScnLec., Ned. Tijdschr. vVOOT de Dierk. IV, p. 43 (1871). Fronte flava, gula alba, fascia lata transoculari nigra. i Fronte, fascia superciliari et gastraeo toto, gula alba excepta, fiavis; pileo, loris et fascia postoculari migris; dorso et uro- pygio olivaceo-nigricantibus ; alis caudaque migris; tectricibus alarum mediis et majoribus apice albo, fascias duas albas con- stituentibus ; remigibus exterius subtiliter flavo-olivaceo-mar- ginatis, tertiariis margine partim albo; remigibus intus et subalaribus albis; rectricibus nigris apice late albo, extimis etiam pogonio externo albo; rostro nigro; pedibus nigro-cae- rulescentibus. Foem. Mari simillima, sed gastraeo pallidiore, dorso olivaceo- fusco. Jun. Colore flavo fere albo. Long. toi. unc. angl. 5 (=.0%,127); al.2" (== 02505200 caud.. 21), (=.0"®., 057); rostri 5/,”(== 02.046); tarsi Li [re DE-OI 3): Hab. Australia settentrionale, Capo York (Mactritaatà Queensland (Ramsay). Questa specie fu scoperta nel Capo York, donde diversi individui sono stati inviati in Europa, dopo che vi fu trovato il primo individuo descritto e figurato dal GouLp, raccolto durante il viaggio in quella regione dal MacGiLLIvRAY. Pare che il GouLp abbia conosciuto soltanto il maschio; la femmina ed i giovani sono stati descritti dal Ramsay. | (1) Nella figura del GouLp l’ala appare alquanto più lunga,. al- meno 0”, 054, «Questa specie si distingue facilmente dal M. ranthogenys delle isole Aru, cui molto somiglia, per la fascia nera sui lati della testa, che dalle redini, attraversando gli occhi » e la regione auricolare, va ad unirsi col nero della parte posteriore della testa, separando così la fascia sopracci- gliare gialla dal giallo delle parti inferiori. , Questo uccello vive nelle dense boscaglie; il primo individuo scoperto fu trovato sul margine di una bosca- glia; stava posato su di un albero, donde si slanciava nel- l’aria, facendo un breve volo per acchiappare mosche, che passavano volando, e poscia ritornava sul medesimo al- bero, che era una Wormia alata, notevole per la sua cor- teccia rossa, papiracea, per le grandi foglie lucide, e pei suoi fiori gialli, che attraggono gran numero d’insetti. Sp. 2. Machaerorhynchus xanthogenys, Gray. Machaerirhynchus ranthogenys, G. R. Gr., P. Z. S. 1858, De416,192.- Id., Cat. -B. N. Guin: p. 27,5 (1859). - Id., P. Z. S. 1861, p. 434. - FinscH, Neu-Guinea, p. 168 na (1865). - G. R. Gr., Hand-List, I, p. 329, sp. 4938 (1869). TA Myiagra canthogenys, Rosenz., Journ. f. Orn. 1864, p. 119. ; Macheirhynchus xanthogenys, ScaLec., Ned. Tijdschr. voor de Dierk. IV, p. 43 (1871). Fronte flava; gula alba; genis flavis ; fascia transoculari nigra nulla. Mas. Pileo nigro; dorso viridi-olivaceo, nigro-mixto; supra- eaudalibus nigris; fronte, lateribus capitis, fascia superciliari et gastraeo, gula alba excepta, flavis; alis nigro-fuscis , tectricibus mediis et majoribus tate apice albo, remigibus flavo-olivaceo- limbatis, tertiariis et scapularibus albo-marginatis, subalaribus. 25 Pe, ed di ae di e A de albis; tibiis flavidis; rectricibus nigro- Susi apice lio nia etiam pogonio eterno albo-marginatis, reliquis limbo ezterno olivaceo ; rostro, pedibusque fuscis. Foem. Pileo fusco, piumis apice olivaceo-marginatis, fron- talibus flavo-marginatis; notaeo reliquo olivaceo; lateribus ca- pitis flavo-olivaceis; fascia superciliari pallide flava; gutture albo ; pectore, abdomine et subcaudalibus flavo-virescentibus ; pectore olivaceo-vario ; lateribus virescentibus; alis fuscis, tectri- cibus albido-virescente-marginaltis; remigibus viridi-flavo-mar- ginatis ; subalaribus albis; cauda fusca, rectricibus extimis apice et pogonio externo albo-marginatis, reliquis olivaceo-marginatis ; rostro pedibusque fuscis. Long. tot. 0,120 (©; al. 0,059; caud. 0®,047; ro- stri 0®, 014; tarsi 09,014 Hab. Isole Aru (WaLLacE, von RosenBERG), Vokan, Giabu- lengan (Beccari). Ho esaminato tre individui di questa specie, un ma- schio e due femmine, raccolti dal Beccari nelle isole Aru. La femmina non era stata ancora descritta. In essa il bianco della gola scende molto più in basso che non nel maschio, occupando tutta la parte anteriore del collo. In una delle due femmine i margini delle piume fron- tali sono di color gialliccio-fulvo. Questa specie rappresenta nelle isole Aru il M. flavi- venter, GouLn del Capo York, dal quale differisce prin- | cipalmente per le gote interamente gialle, mancando la fascia nera a traverso gli occhi, che distingue la specie australiana. Il Gray aggiunge che differiscè anche pel (1) La lunghezza totale indicata dal Gray è troppo grande, circa. 7 linee di troppo. . St) — e i SANA individuali. 3 Sp. 3. Miachaerorhynchus albifrons, Gray. Machaerirhynchus albifrons, G. R. GR., P. Z. S. 1861, p. 429, 434, pl. 43, f. 1. - FinscH, Neu-Guinea, p. 168 (1865). - G. R. Gr., Hand-List, I, p. 329, sp. 4939 (1869). Macheirhynchus albifrons, ScHLEG., Ned. Tijdschr. voor de Dierk. IV, p. 43 (1871). Fronte et fascia superciliari albis; gula alba; genis flavis. Pileo nigro; dorso, uropygio et supracaudalibus olivaceo-ni- gris; fronte et fascia superciliari albis; loris et macula posto- culari fuscis; genis et gastraeo toto, gula alba excepta, flavis; alis nigro-fuscis, tectricibus mediîs et majoribus, remigumque tertiariarum marginibus externis late albo-marginatis; rectri- cibus nigro-fuscis, apice albo; rostro pedibusque fuscis. Jun. an. Foem.? Supra flavido-olivascens; fronte et superciliis pallide rufis; gula et pectore albis, hoc fusco-vario; gastraeo reliquo flavo, lateribus olivaceis; alis fuscis, tectricibus supe- rioribus albo-marginatis; rectricibus fuscis, flavo-marginatis. Eeng:"4ot. une, anglo IDO 00125) al 2a (=0%",059); rostri hiat. 9 1/,"(=0%,0205). Hab. Waigiou; Mysol (WaLLace, ScHLEGEL); Salawatty; Nuova Guinea, Costa rimpetto a Sorong e Lobo (Mus. Lugd. SCHLEGEL). Ho tratto la descrizione di questa specie dalla figura e “dalla descrizione del Gray, e credo che quella considerata 377 dorso meno verde e pel becco alquanto più largo, ma, giudicando dalla figura del M. flaviventer, quelle diffe- renze non mi sembrano reali, e forse sono soltanto ‘Mi A 4 Gata N. # v ca ai Xe 378. ai AI come propria del giovane spetti invece alla femmina, 0. forse anche tanto alla femmina, quanto al giovane... Questa specie differisce dalla precedente principalmente per la fronte e per la fascia sopraccigliare bianche; le gote sono gialle come nella specie precedente; il bianco della gola pare più ristretto, mostrando con ciò una ten- denza verso la specie seguente, che ha la gola intera- mente gialla. Sp. 4. Machaerorhynchus nigripectus, ScHLEG. Macheirhynchus nigripectus, ScHLEG., Ned. Tijdschr. voor de Dierk. IV, p. 43 (1871). | Macheirhamphus nigripectus, ScaLEG., op. cit. p. 58 (1871). Fronte grisea, gula flava, macula pectorali lata migra. Mas. Fronte grisea; pileo, cervice et supracaudalibus nigris; uropygii plumis apice flavo, fasciam uropygialem flavam consti- tuentibus; loris nigris; fascia superciliari, lateribus capitis, gula cum gastraco reliquo, macula lata pectorali nigra excepta, flavis; alis migro-fuscis; teciricibus mediis et majoribus et rec- tricibus tertiariis late albo-marginatis, primariis exterioribus et secundartis ultimis limbo tenui externo albido; subalaribus albis; tibiis nigris; cauda nigra apice albo, rectricibus duabus extimis utrinque etiam margine externo albo; iride, rostro pedibusque nigris. Foem. Pileo fusco-cinereo; dorso et uropygio cineraceo, oli- vaceo-tincto; fronte sordide grisea; loris et auricularibus fuscis; fascia superciliari, genîs et gastraeo toto ut in mari pictis; i alis fuscis, tectricibus alarum mediis et majoribus apice tantum ; “ albis, remigibus primariis et secundartis sordide grisco-limbatis, sa tertiariis albo-marginatis; cauda nigro-fusca, apice albo, rectri- i Di i diva timis diiabus sitrinque margine externo etiam albo; | rostro pedibusque migris; iride nigra. Long. tot. 0" ,130; al. 0%, 057; caud. 0",052; rostri 0,013; tarsi 0”, 017. Hab. Nuova Guinea, penisola settentrionale (von Rosen- BERG), Atam (D’ALBERTIS). Questa specie si distingue immediatamente dalle altre pel grande scudo nero in mezzo al petto, e per la gola gialla come le parti inferiori; inoltre il colore giallo è più intenso che non nelle altre specie. La femmina differisce dal maschio principalmente per le parti superiori di color cinereo-scuro, con lievissima tinta olivastra sul dorso, per non avere la fascia uropigiale gialla, e per le piume auricolari scure. Lo ScaLEGrL ha descritto soltanto la femmina; il ma- schio era finora ignoto. Io ho esaminato quattro individui di questa specie, tre maschi ed una femmina, raccolti dal D'ALBERTIS presso Atam sui monti Arfak. VAC " Tia ae Sd Il Socio Cav. Curioni presenta e legge alla Classe, a SE Mt nome dell'Autore sig. CastiGLIano Alberto, Ingegnere delle Strade ferrate dell’Alta Italia, la seguente Memoria # INTORNO ALL'EQUILIBRIO ba, DEI SISTEMI ELASTICI . INTRODUZIONE. L’anno 1857 il Generale Luigi Federico MenaBREA lesse all’Accademia delle Scienze di Torino una Memoria, ove propose e cercò di dimostrare un nuovo teorema, che se egli chiamò principio di elasticità o del minimo lavoro, se- SA condo il quale quando un sistema elastico si deforma per È l’azione di forze esterne, le tensioni finali, che hanno E luogo nel sistema son quelle, che rendono minima l’e- È > spressione del lavoro molecolare fatto nelle deformazioni. È L’anno appresso comunicò all'Accademia di Parigi le sue | AR ricerche sullo stesso soggetto. < j AR Non essendo però sembrata accettabile la dimostrazione 1 Se del Generale MenaBREA, questi pubblicò l’anno 1867 un’al- pi tra Memoria nella quale dopo aver fatto vedere sopra È © alcuni esempi particolari che il suo teorema conduceva 2 : in quei casi a risultati esatti, ne propose una nuova e dimostrazione generale. La quale però pare non essere b, n stata giudicata più rigorosa della prima, perchè non ostante la grande bellezza e la evidente utilità del teo- rema del minimo lavoro, nessuno, ch’io sappia, cre- dette di poterne trarre partito prima dell’anno 1872, in 4 s ; ì | E cui l'Ing. Giovanni Sac®eri lesse alla Società degli Inge- gneri ed industriali di Torino una sua Memoria, nella quale si provò ad applicare quel teorema all'esame della stabilità delle centine della grande tettoia nello scalo di Arezzo. Però di questa Memoria non mi occorre parlare, perchè, contenendo solo un esempio numerico, non fece punto progredire la dimostrazione del teorema. Al principio dell’anno 1873 in alcune mie ricerche in- torno all'equilibrio dei sistemi elastici, dopo aver pensato un metodo, che doveva certamente condurre a risultati esatti, mi proposi di confrontarlo col teorema del minimo lavoro, pensando che se questo era falso, l’avrei facilmente riconosciuto con alcuni esempi; e se era vero, avrei forse trovato in quel confronto la via per dimostrarlo in modo generale. Nel proseguire quest'idea mi parve di trovarmi nel se- condo caso, e nella mia dissertazione di laurea pubblicai il risultato delle mie ricerche. Debbo ora aggiungere per imparzialità che non fu il Generale MenaBREA il primo a proporre il teorema del minimo lavoro, o almeno egli non lo trovò di pianta, senza che prima fosse stato preceduto da teoremi ana- loghi. Già il Capitano Vìène nel 1827 aveva proposto un principio, secondo il quale quando un corpo rigido (cioè non elastico) s’appoggia per più di due punti sopra una retta o per più di tre punti sopra un piano, la pressione del corpo contro la retta o il piano si distribuisce sui diversi punti d'appoggio in modo da rendere minima la somma dei quadrati delle pressioni. Se invece di dire un corpo rigido si dice un corpo elastico, il principio di VÈNE è talvolta vero e può riguardarsi come un caso partico- PI d I EER Vo CEL ite # AL di L'anno 1828 A. Cournor pubblicò nel Bollettino di ma- tematiche di Férussac una Memoria, in cui estese il prin- cipio di VènE, e cercò di dimostrarlo, benchè, per vero dire, la sua dimostrazione non sia altro che un giro vi- zioso. In questa Memoria di CournoT alcuni hanno voluto vedere il teorema del minimo lavoro in tutta la sua ge- neralità. Ma è da avvertire che Cournor parla dapprima del modo di determinare le pressioni di un corpo rigido, che per più punti si appoggi ad un altro, poi considera il caso di due corpi assolutamente rigidi congiunti da verghe assolutamente rigide; infine estende il suo teorema al caso di un corpo rigido, che s'appoggi sopra sostegni elastici. In quest’ultimo caso il teorema di CourNnoT è vero ed è con- tenuto in quello di MenasrEA. Ma Cournor non è andato più innanzi, cioè non ha inteso di enunciare un teorema generale applicabile a tutti i sistemi elastici. Difatti parlando, quasi alla fine della sua Memoria, del- l'importanza di conoscere come si distribuisce la pressione di un corpo su’ suoi sostegni, così si esprime: « La con- naissance de la manière dont les pressions sont effecti- vement et individuellement réparties est donc indispen- sable; et quoique nos formules ne la donnent que pour le cas abstrait de la rigidité absolue, il est clair que la réso- lution de ce cas abstrait jette de la lumière sur celle des différents cas de la nature. C’est de la sorte que toutes les théories des mathématiques pures sont applicables aux besoins de la pratique ». Del resto poco importa chi sia, che abbia pel Benda: trovato il teorema del minimo lavoro ; chè in questa come. in tutte le altre scoperte si è vi han merito quelli, che vi hanno contribuito. Abbiano dunque Vine e CourNoT e anche Pagani e MossorTI, ma . è proceduto per gradi , e tutti Mr seg “> © o più di tutti MexABREA, il merito d’aver intuito il teorema; E e se a me sarà riuscito di darne una dimostrazione ri- 3 Se gorosa, e di farne vedere l’utilità, mi reputerò ricom- Si pensato abbastanza, per quanto sia piccola quella parte 3 i di merito, che gli intelligenti crederanno essermi dovuta. e Ed ora dirò il perchè di questo scritto: da quando ho stampata la mia dissertazione, io son sempre venuto me- ditandola, quando mi è stato possibile; e benchè ne sia stato distolto per mesi intieri dalle molteplici occupazioni del mio impiego e da altre estranee, pure mi pare di va ii x ar perte aver trovato alcune nuove dimostrazioni più semplici o a più rigorose di quelle, che io aveva dato dapprima: inoltre i per rendere più evidente agli Ingegneri il partito, ch’essi Ce possono trarre dal teorema del minimo lavoro, ne ho a fatto l'applicazione all'esame della stabilità delle centine SS della tettoia nello scalo di Bra. Non ho riprodotto qui alcuna delle importanti applicazioni, che io ho fatto nella sa mia dissertazione per non estendermi troppo. Io non so se questa Memoria conterrà qualche cosa di buono; e tuttavia spero che mi sarà perdonato l’averla E pubblicata, perchè colle mie ricerche, per quanto siano ppt esse poca cosa, potrei pure avere spianato ad altri la via o a porre affatto fuori di dubbio la verità teorema del minimo lavoro e trarne conseguenze ancora ignote, o a Sg dimostrarne la falsità; il che sarebbe pur sempre una ve- ss rità acquistata alla scienza. ; DEI È * dat] SISTEMI ELASTICI 4. Consideriamo un sistema formato di verghe elastiche congiunte a snodo e sollecitato da forze applicate a’ suoi fi vertici; e riferiamolo a tre assi ortogonali, dei quali l’o- i rigine sia in un vertice, l’asse delle x passi per un altro vertice, e il piano delle xy passi per un terzo vertice non posto coi due primi sulla medesima retta: supponiamo che nella deformazione del sistema i tre assi si spostino a seguendo i tre vertici testè nominati. In tal modo, avendo È riguardo solo alla deformazione del sistema e non al suo sal moto assoluto nello spazio, sarà come se gli assi fossero , immobili, il vertice, che è nell’origine, vi fosse fisso, quello S che trovasi sull’asse delle x potesse muoversi soltanto su questo asse, e quello, che è nel piano delle xy, non po- GE tesse uscire da questo piano. COD Chiamiamo Y, un vertice qualunque del sistema, p,Yp,%p le sue coordinate prima della deformazione, I», Y», Zp ti le componenti, parallele agli assi, della forza applicatagli; A É,, "p, $p gli incrementi delle sue coordinate per causa della deformazione, ossia i suoi spostamenti parallela- mente agli assi. Chiamiamo ancora V,V, la verga, che “ congiunge i due vertici VY,, V,, 9 l’area della sua se- zione, lg la sua lunghezza, E,y il coefficiente d’elasticità della sostanza di cui è.composta, pg il suo allungamento a EQUILIBRIO iii x per causa della deformazione e 7,y la sua tensione finale; 9 SRA ang, Bra > Yog € pg B'og o Y'pq gli angoli, che essa fa cogli i vd assi prima e dopo la deformazione. vo Pel vertice, che è nell’origine e che riguardiamo come È ‘@ fisso, prenderemo p=0, per quello posto sull'asse delle Paol iu x, p=1, e per quello contenuto nel piano delle xy, p=2; è. onde avremo TR =D &=0, n=0, = 0, n=0, <,=0, Ga=0 (1). cea Inoltre posto in generale Sia 3 eri SO Sal lpg a avremo - < S rat, x ; lgg=V(e Lg Lp} +(Yg—Yp)+(Z9—-3p)" È È e È log +Apg=V(24- Ept Eg- Ep)" +(Yg-Yp+ gip) +(24-3p+ 697 Sp) Se le differenze &, —&,, 19 —#p, Sg — Sp SONO piccolis- Mi sime a fronte delle altre x, —%p, Yy—Yp, Za —%p; PO- tremo sviluppare A,y in serie convergente ordinata colle potenze ascendenti di quelle piccole differenze, il che ci dà ZE pu. ] 2 (Gant) +9p9 > N ove pg comprende tutti i termini dello sviluppo, che con- A tengono le potenze di &, —É,,... superiori alla prima, e sa i perciò il suo rapporto con Ag ha per limite zero, quando fe Xg-®, Ra E a 7 Nig—Ip)+ PI PI È: le differenze È, — &, ,.... tendono verso zero. 3 pi î iS i Ora, si ha 1 <& 4 2; sn , — 5, x L= (0549 ’ le = 00889 , - = COS Y pq ea : mr | Apg= (Éq— Ep) COS apg + (9 1p) COS B pg + (69 Sp) COS Yp9 +6p9 (3). i 4 Gli angoli 9, 09, Y'7; che la verga VV, fa cogli assi dopo la deformazione sono dati dalle equazioni Lg — dpt Eg—&p coste PI lpg + dpgq 31208) ossia, sviluppando anche qui in serie convergente na nata colle potenze positive e crescenti di &, —&,, spit AE La —=® I cos = Ss P+ 0o#) = 008 agg +00) Dq LE j YgSYp'S (1) (9) S = iz cos 6'pq 7 +®pq = 008bpg +0, PI 0087 pg= IP +00) = C08Ypg +0 i SI PI ig pg Ypq Pq Ove pg, 99), copy) sono funzioni, che non conten- gono alcun termine costante, e perciò hanno per limite zero quando le differenze &, —È,, 19 —#p, Sg—- Sp ten- dono verso zero. PRE 2. Dopo la deformazione il sistema essendo in equi- librio, è chiaro che le tensioni di tutte le verghe con- correnti nel vertice V, debbono fare equilibrio alle forze esterne Y,, Y,, Z; onde avremo le equazioni: X,+21,7c080',g=0 ; | ha ; Y,+2Tp96088',9=0 ; odi dA Z,+T,gc08yY'9g=0; \ stitat 1 ove la somma indicata del simbolo = è relativa a tutti | Se i valori di g corrispondenti ai vertici congiunti per mezzo di verghe al vertice Ve i zi pa ASTI 387 par | Per ciascun vertice del sistema eccettuati i tre Veio, V, si hanno tre equazioni analoghe alle precedenti: per Vi, che deve riguardarsi come fisso, non si ha alcuna equazione; per V,, che non può uscire dall’asse delle x, se ne ha una sola, e per V,, che può muoversi soltanto nel piano delle xy, se ne hanno due. Ne segue che si hanno tante equazioni quanti sono gli spostamenti £,, Nip; Sp; €g e, onde questi possono essere determinati, e perciò anche le tensioni di tutte le verghe dopo la de- formazione. . Però le equazioni (4) e le loro analoghe sono assai complicate, ed il risolverle rigorosamente è cosa pratica- mente impossibile: la soluzione diventa invece assai sem- plice, se ci contentiamo di risultati approssimati, però talmente approssimati, che si potranno in generale riguar- dare come esatti. Difatti abbiamo Tg Cosa rg =€ | PI rg =“pq à 6 pq (6a I Ypq Pq [(E7— Ep)cosapg+ (19—1p)c08Bp9g+ (Gg Sp) COSYp9]C0S4p9 =tpp)+{(E7—E,)0084,9-+ (1417) 0088 + ((4—G;) 0087 glo (1) +6pg COS &py +®pg :0pg ora nel secondo membro vedesi che dei quattro termini contenuti entro la parentesi esterna, il primo è del primo grado rispetto alle differenze &,—&, n7—%p, SW > gli altri tre contengono solo le potenze di queste diffe- renze, di grado superiore al primo; perciò il rapporto A fra la somma dei tre ultimi termini e il primo ha per | limite zero quando le dette differenze tendono verso Mi desi: Lili — _—’—Dunque se queste sono piccolissime, come avviene sem- ani (con ARCHI a fronte del nenti il che ci dà Tpg €08 0'pq = Engl (Eg— Ép) COSApG+ (9 — p) COSBpg + ($4-— Sp) COSY pg] COS &pg. Ma vedesi che in questo modo si viene a supporre Trg=&pg[(E&7— Ép)COSA4p9+ (19 —1p) C0SBp9+(6a Sp) C0SYp9] (5) ! cosa pg =C054pg ; cioè nell’espressione delle tensioni si tengono soltanto i termini del primo grado degli spostamenti, e le direzioni delle verghe si considerano come invariabili nella defor- mazione. E qui si avverta che se le tensioni si vogliono espri- mere colla formola (5), bisogna necessariamente supporre a'rg=tpg, B'ra=bpq, ecc. cioè supporre! ‘invariabili ‘le direzioni delle verghe, perchè se si accettasse quella for- mola e tuttavia si volesse tener conto del cambiamento di direzione delle verghe, si cadrebbe in quest’assurdo, che nell'espressione di 7,ycos a'yg si terrebbe conto del termine epg[(E£,—Ép)C0S4p9 + (77 —1p)COSBp9g+($9° Gn) 008Y 10 e si trascurerebbe l’altro Eng 0pg COS Upg è VE che è dello stesso ordine di grandezza. Dunque invece delle equazioni (4) e delle loro ana- loghe, avremo, per determinare dapprima tutti gli spo- | stamenti e poscia le tensioni finali di tutte le “verghe. del sistema, le equazioni. MATITA bal A Pi o Li Ò kr: ù | X,+2T,g005419=0 Ea \ X,+2T,gc05a,g=0 3 Y,+27,70058,9=0 6 X,+2T,qgc05a,g=0 ; Ypg+ZTpy00sByg=0 ; (0) Za +ZTpq008Yp9=0 3. Teorema del minimo lavoro. — Il lavoro moleco- lare prodotto nella deformazione dell’asta V, 7, si può esprimere colla formola 1 T'pq 2 609 quindi il lavoro molecolare della deformazione di tutto il sistema, si può esprimere colla formola 15Tg 3272 Sia) ? Or bene, io dico che l/e tensioni delle verghe del sistema dopo la deformazione son quelle, che soddisfanno alle equa- zioni (6) e rendono minima l’espressione del lavoro molecolare del sistema. Per comprender bene il significato di questo teorema si osservi che le equazioni (6) sono in numero di 3n— 6 chiamando n il numero dei vertici: quindi, se il numero delle verghe è 3n—6 (minore non può mai essere, se il sistema, supposto rigido, devessere di forma invaria- bile), le èéquazioni (6) servono a determinare le tensioni di tutte le verghe indipendentemente dalle deformazioni: ma se il numero delle verghe è maggiore di 3n—6, come avviene generalmente, il numero delle tensioni incognite supera quelle delle equazioni (6), le quali perciò non bastano più a determinare quelle tensioni senza espri- merle dapprima in funzione degli spostamenti dei vertici. Senza ciò le equazioni (6) possono essere soddisfatte da la’ L'E Pi da Pia un’infinità di sistemi di valori delle tensioni, ea ciascuno — di essi corrisponde un diverso valore dell'espressione . ‘sim: CE pg ebbene, il teorema enunciato consiste in ciò che fra tutti questi sistemi di tensioni, quello che ha effettivamente luogo dopo la deformazione delle verghe, è quello che rende minima l’espressione (7). Difatti per trovare i valori delle tensioni 7,y, che sod- disfanno a questa condizione, si ha l’equazione Tg A Tp € pq ove i differenziali 47,y sono vincolati fra loro dalle equa- zioni: 2dT,gc0sa,g=0 RL 2A Tggc0sb,g=0 ADR fiotni. dan IRA Ma a sa onplapit 00) ZdTycosay=0, alare Zd1:g00879=0 ® » 0 0 e 0 0 000 00 08» e 0800 000 o pie‘ lo CE DICO x 3) LE ce le quali si ottengono differenziando le (6). Moltiplichiamo ciascuna delle equazioni (9) per un coef- ficiente costante, e chiamiamo in generale 4,, B,, Gi coefficienti pei quali si moltiplicano le tre equazioni re- lative al vertice Y,, indi sommiamo i primi membri delle equazioni (9) moltiplicati pei coefficienti costanti col primo membro dell’equazione (8), ed uguagliamo a zero i coeffi- cienti di tutti i differenziali delle tensioni: otterremo così tante equazioni quante sono queste tensioni: p. es. ugua- liando a zero il coefficiente di 7, si ottiene l'equazione, — 5 PI di Hi: s ri fe * ; Aa Tha €pq \ =(Ag— 4p)c05apg + (By B,)cosbpg +(Cg° C,)cos gs i la quale non differisce dalla (3) se non pel cambiamento delle lettere &, n, < nelte lettere A, B, C. Ora combinando le equazioni così ottenute colle equa- zioni (6) si ottengono dapprima i valori delle costanti (AS È Bp, Cp,..., e poscia quelli delle tensioni 7,y. Ma poichè l'equazione precedente e le sue analoghe non differiscono dalla (5) e dalle sue analoghe se non pel cangiamento delle lettere &, », $ nelle lettere A, B, C, è evidente che si troveranno per le costanti A4,, B,, 0, ecc. gli stessi valori, che si sarebbero ottenuti per .gli sposta- menti &,, "p) $---, @ perciò i valori delle tensioni, che così si otterranno sono effettivamente quelli, che hanno luogo dopo la deformazione. È dunque dimostrato pei sistemi articolati il teorema del minimo lavoro; e qui ripeto quello che ho detto testè, cioè che /e costanti, per le quali si moltiplicano le equa- zioni (9), non sono altro che gli spostamenti dei vertici paralle- lamente agli assì. A. Espressione del lavoro molecolare di un sistema articolato. — Riprendiamo la formola (5), la quale può porsi sotto la forma. È; 24 +É,C05%p9+7pC088p9 +$pC08Yp9 PI ° - +É,c050,,+n7008bgp+69008Y9p=0 ; moltiplicandola per 7,y si ottiene T2 PI ‘o + É,TpqC08c%p9+1pTpq COSBpg + $pTpa C08Yp9 +£,TpgC084pg +9Tpq COSBpg +S9Tpg 008Yp9 = 0 + Applicando quest’equazione a tutte le verghe del sistema, sommando membro a membro tutte le equazioni così ot- tenute, e raccogliendo insieme tutti i termini, che con- 26 E { RT PR DIR rt Pai tengono il medesimo spostamento, si ottiene /GGGG na x +É,27,g0054,g3+E,2T,70084,g-+n32T,9008Bsg +... .. Nba WE OR, PA o e I a a A ARE Re _ ora dalle equazioni (6) si ha 27,gc0s4,g=—X, , Z2Tgc0sag=—X,, 2T,9gcosbyg=—Y, 2T,gcosapg==—X , 2Tpg008Ppg=—Yp, 2Tp9008Y,9==Zp dunque l'equazione precedente diventa P È AA ARR: + ApEptIpip+Zpipt. ic. ossia, più brevemente, 2-=2(Ipf,+ Ypip+Zp$p) » PI Dicasi R, la risultante delle tre forze X,, Y,, Zp, ed rp, la proiezione dello spostamento del vertice V; sulla dire- zione della forza R,: si ha x X,tp+Ypip+ZpS=RpTp a onde è r° | is SRI =ZRprpw i Epq x. Il primo membro di quest'equazione esprime il doppio Ni del lavoro molecolare proveniente dalla deformazione del sistema, dunque questo lavoro può anche esprimersi ANT funzione delle forze esterne e degli spostamenti dei locali 1900 LS i” » e e "sà tici colla formola ] 5 2Rprp (*). 5. Io passerò ora ad esaminare il caso che un sistema si trovi già in equilibrio sotto l’azione di forze esterne, quando vi si applicano le nuove forze delle quali vuolsi studiare l’effetto ; il qual caso è appunto quello più fre- quente in natura. Può anche avvenire che in un sistema le diverse parti si trovino tese o premute già prima dell’applicazione delle a . forze esterne: tale è il caso, per es., di un quadrilatero ‘ articolato formato con sei verghe disposte secondo i lati e le diagonali, se una delle verghe non ha naturalmente quella precisa lunghezza, che la lunghezza naturale delle altre cinque richiede: or bene anche questo caso è in- cluso in quello ch'io qui tratto. Forse a taluno parrà inutile il presente numero; pure non so risolvermi a sopprimerlo, sembrandomi ch’esso giovi a rendere più completa e rigorosa la mia dimostrazione. Siano X°,, Y°, Z°, le componenti, parallele agli assi, della forza applicata da principio al vertice V,; Xp, Yp; Zp le componenti della forza, che si applica dopo allo stesso vertice, É,, 7», $ gli spostamenti del medesimo prodotti dall’applicazione delle nuove forze al sistema, ap, 8», Yp gli angoli della verga V,V, cogli assi prima della nuova deformazione; 7°,g la tensione della verga V,V, prima dell’applicazione delle forze Y,, Yp, Z», ecc., e 7py l'in- cremento di quella tensione prodotto da queste forze. Poichè il sistema è in equilibrio prima dell’applicazione (*) Il ragionamento col quale ho ottenuto questa formola, mi pare che per semplicità e rigore non lasci più nulla a desiderare. pi forze ap To; Lp SONE vi ritorna , dog avmemo i i due gruppi di equazioni: X°,+2T°,g0084,g=0 , i X°,+=T°,g0054,9=0, Y°+ZT°gc088g9=0, RIA AP ni nIù pata iasa qirtare EAT E (10); X°,+2T°,90084p7=0, Y°,+2T°9c08Bpg=0, 2° ET 00879330 i co ea x, +X,+2(T°,9+T,9)c084,g=0 , X°,+X+Z(T°9+T,9)c088g9=0 ; Yo, + Y,+2(T°g+ Ta9)C085Y29=0 , OR IORORORCO SEI RETRO eo. lare aa ue 44 2 X°,+Xq+Z(T°pg+Tpq)c08ap9=0 , uri P°,+ Ypg+2(T°pg+Tp9)c08Bpg=0 , Z°,+Zog+2(T°p9g+Tp9)C05Yp9=0 , ‘è. D'm7e- 8. ole s'e epo io ‘o. se lea Sag dal secondo dei quali sottraendo il primo si ottiene que- st'altro: X,+2T,gcosa,g=0 , X,+2T,gcosa,g=0, Y,+2T,qc0868g=0 , X,+2T,9c054,g=0, Y,+2T,ygc08B9=0 , Zon F2Tg00SYpg= Di uni pie ee dec E Ora il lavoro molecolare della verga V,Y, mentre la sua tensione passa da 7°,g a 7°,9 + Tpy è espresso da (Patt de | 1 È SORGE PI Pi LI (7° 3% fagli TAO 2 €59 PI Ri Aega Mica quindi il lavoro molecolare di tutto il sistema, da | 4g i T 0 lg PY. . 2(1w+ 51); PI I va: iz ‘Abbiamo poi 2E1 = (E, — fp) C0SG99 + (17 — o) cOSMpr+ (69) COSV ossia dog 3 Sp0O8 pg HpCOSH pg — La 00S Yo 33 A — È, COSAYp — Ng COSHIp — Eq COSY9p Moltiplicando quest’'equazione per T°,q + ; Tg e facendo la somma di tutte le equazioni, che così si ottengono per tutte le verghe del sistema, risulta sÌ T () we PI =, ; —5,2(14 +, Tu) cos arm — 192 (1° +3) c08 6,9 pò, —SpE (D+ - Tu) COS Ypg ossia, eliminando per mezzo delle equazioni (10) e (12) le somme contenute dentro le parentesi, 1..\T 7° +3 I) M= x( Piero vi E Dia i: 3%) “Re (1,+ 3 n) "ip n (2°, + 3%) %, | SE I È E questa dunque l’espressione del lavoro molecolare . ‘in funzione delle forze esterne. Se le forze esterne 1°,, Y°,, Z°,, sono nulle, l’espres- . sione del lavoro molecolare si riduce a. 1 1 sog Lire) =: CALI ANTI RO ENTRO CI €pq qualunque siano le tensioni iniziali T°pg delle verghe. 6. Se nella formola (13) si suppongono le forze Dir 00 S Z, infinitamente piccole, onde anche gli incrementi 7py , delle tensioni delle verghe, e gli spostamenti É,, #p, Sp, ecc. dei vertici saranno infinitamente piccoli, e se si cambiano XF, 23, +.-, Ep; "ip: Coi 0 logge RED) AP, dL'pr is dÉp dhp 3 dpr AAT POLSI sopprime dappertutto per semplicità l’indice 0, e si tra- scurano gli infinitesimi del secondo ordine, si ottiene, per esprimere l’incremento del lavoro molecolare prodotto dagli incrementi dati alle forze esterne, la formola x pedlra = >(X,di,+ Y,dnp+ pd) PI Ora, differenziando la formola (14), il primo membro ci dà: (T°pg+Tpg)d Tpg i Epq i e siccome 7°,7+7,g esprime la tensione dell'asta V, Vy dopo l’applicazione delle forze esterne X,, Y», Zp, ... al sistema, la qual tensione nella formola precedente è stata rappresentata con 7,7, potremo scrivere, per mantenere nelle due formole gli stessi simboli, 7g invece di 7°,y + Ty: ciò posto ditferenziardo l'equazione (14) sì ottiene: x x Tra9Ipo _ 1 3(X,dt,+ Ypdnp+Zpd%) S EMA + 12 (E,dX,+npdYp+6p02p) - T, Ta. Uguagliando le due espressioni ottenute di 2 9-29 ; PIO risulta : =(X,dt,+Y,dup+2pd)=Z(&,dX,+npdYp+6pdZp) (15), cosicchè l'incremento del lavoro molecolare prodotto dagli pito citta AR dl fo, incrementi d Di dY, sd , +. dati alle forze esterne, può | esprimersi sia col primo membro dell’equazione (15), sia col secondo. Se le forze esterne hanno direzioni costanti, che è il solo caso, che mi importi considerare, chiamando R, la risul- tante delle forze X,, Y», Zp, € dp, Hp, ‘p Gli angoli, che essa fa cogli assi, si ha X,dEp+ Ypdnp+ZpdSp = R,(dÉ,:cosAp+drp-cospp+d$p-C08%p) ; A ossia, chiamando dr, lo spostamento elementare del ver- tice V, proiettato sulla direzione della forza R,, X,dE,+ Y,dnp + Z,d$p=R,dry. ù Ma si ha ancora di,=dR,.cosà,, dY,=dR,.cospp, dZy=dR,C08t, dunque 1% E,dXy+npdY,+SpdZy i =dR,-(&,cos),+7,c0spp+pc0svp)=rpdR, , A e perciò l'equazione (15) può anche scriversi pod =R,dr,=r,dR, . (16) si Avvertasi però che l'equazione (15) è vera sempre, men- _ tre la (16) lo è soltanto quando la direzione delle forze esterne è costante. Osservazione. — La formola -— =($—É)c0sapg+ (14 —p)c0sbpg+($— Sp) C08Yp9 | Tg » i €pq St, | applicata a tutte le verghe del sistema e combinata colle N Y PARENTE I SIIT IE I “i n] ( ; eee ASI conduce alla formola ya onde dalla (13) si ha x Sela 23 (IE, ++ Zip de) . 29 Pi Ora, 3 9 LE T'p9 esprime il lavoro molecolare del sistema, proveniente sita soli incrementi 7,g delle tensioni delle verghe, come se le tensioni iniziali 7°,g fossero nulle; Fogli 3 i e a esprime il lavoro molecolare del sistema, PI che le tensioni primitive 7°,y producono in causa dell’al- lungamento delle verghe dovuto agli incrementi 7,9 delle loro tensioni: dunque i secondi membri delle due equa- zioni precedenti ci danno questi due lavori in funzione delle forze esterne e degli spostamenti dei vertici. Vedesi poi facilmente dalle cose precedenti, che il teo- rema del minimo lavoro è vero anche per un sistema articolato, nel quale le tensioni iniziali non siano nulle, o che trovisi già in equilibrio sotto l’azione di forze qua- lunque, quando vi si applicano quelle delle quali vuolsi studiare l’effetto, purchè prendasi per espressione del la- voro molecolare quella del lavoro prodotto da queste ul- time forze, come se le altre non esistessero e le tensioni iniziali delle verghe fossero, nulle. 7. Proprietà principale del teorema del minimo pica — In un sistema articolato qualunque immaginiamo una superficie S, la quale racchiuda entro sè un certo nu- mero di vertici: alcune verghe saranno tagliate dalla su- equazioni (12) nello stesso modo come nel num. | (Ce A = Si * Li 2 x palo 435 U i ba ol A | x J perficie S, cioè congiungeranno i vertici V,, V/,... in- terni a questa superficie, coi vertici V,, V/,... esterni ad essa, e le loro tensioni le rappresenteremo con 7,s, Tel'eco. Il lavoro molecolare prodotto nella deformazione del : È: A 1 i sistema si esprime colla formola 3 ) +. , la quale si Pg può porre sotto la forma L+L', chiamando £L la somma di tutti i termini relativi alle verghe interne alla super- ficie S ed L' la somma di tutti gli altri relativi alle verghe esterne alla superficie S o tagliate da essa. Uguagliando a zero il lavoro molecolare del sistema si ottiene: dL+dl'=0. Differenziamo ora le equazioni (6) come nel num. (3), moltiplichiamo ciascuna per una costante indeterminata, e sommiamo i prodotti coll’ equazione precedente: pos- siamo dividere quelle equazioni in due gruppi, dei quali uno comprenda le equazioni di equilibrio relative ai ver- tici posti entro la superficie S, e l’altro quelle relative ai vertici posti fuori: la somma dei termini provenienti dal primo gruppo la rappresento con dM+Z(A,c054r5+B,C08Brs+ C.C08Yrs)4Trs mettendo così a parte tutti i termini contenenti le ten- sioni delle verghe tagliate dalla superficie S: la somma dei termini provenienti dal secondo gruppo la rappre- sento con dM'. Otterremo dunqae l'equazione dL+dl'+dM+dl'+(4,c080,5+B,c088,5+C,008Yr)dTxs=0 . Per trovare le tensioni di tutte le verghe del sistema, bisogna uguagliare a zero i coefficienti dei differenziali di Li VOREDO, MS * elia: e. ife: VI By ALIA Ago NR AC cd tutte le tensioni contenute nell’ equazione. cadi RS i e combinare le equazioni così ottenute con quelle di 00° 4 equilibrio intorno a tutti i vertici. Ora è facile vedere È che i termini dL, d M contengono soltanto le tensioni delle verghe chiuse entro la superficie S e non possono contenerne altre, e che gli altri termini non possono contenere alcuna di tali tensioni. Dunque l’equazione tro- vata si scinde subito in due: dL+dM=0, dl'+dl'+2(A,cosa,;+B,c0sb,s+(C,c08Yrs)dTs=0 . x La prima è precisamente quella, che si sarebbe otte- So nuta considerando il sistema contenuto entro la super- ficie S come un sistema libero e riguardando le tensioni "a delle verghe tagliate dalla superficie S come forze esterne: perciò uguagliando a zero i coefficienti di tutti i diffe- renziali contenuti nell'equazione dL+dM=0 e combi- nando le equazioni così ottenute con quelle di equilibrio » nei vertici contenuti entro la superficie S, è chiaro che % si otterranno i valori delle costanti 4,, B,, C,, e delle ten- (E,dX,+npd Yp+SpdZp) . Ora, quando avremo trovate le tensioni di tutte le verghe in funzione delle forze esterne, otterremo facilmente in funzione di queste forze anche il lavoro molecolare di tutto il sistema. Detto £ questo lavoro il suo differen- ziale rispetto alla variazione delle forze esterne sarà: dl dL dl x(t pi + 17.44) onde avremo (E, dX,-+,dY,+,42;)= z(7 dii a 2 d4,) ; TI, et e poichè quest’equazione deve sussistere qualunque siano gli incrementi dX,, dY,, dZ,,..., ne segue in generale dL dL ax, ’ ug ne ’ az, = ; Sia R, la risultante delle forze X,, Y,, 84,8, y gli angoli di una retta qualunque cogli assi: detta P la proiezione della forza R, sulla retta (a, #, y) si ha P= Xycosa+ Yp0088.-+- Za cosy : ‘ Ni ora, siccome le forze X,, Y,, Z, sono uguali alla Rp mol- tiplicata pei coseni degli tight: che essa fa ibi assi, CJ ‘PRA Pea "LE Sie r 4 dai tio - Pep STA ib è 4 e ee A sh " al i E © I° ved ( si che il lavoro LZ può esprimersi in funzione delle sole forze esterne R, e quindi anche in funzione soltanto delle loro proiezioni P. Supponendola espressa in tal modo si ottiene di dL dP__ dL _dL 38 WI IRR e dL _daL RARI ANAL e sommando queste equazioni, dopo averle moltiplicate ordinatamente per cosa, cos8, cosy, risulta die i cosb + aL cos ANIA dI, TT, Vga Moral 1A ossia : dL a 7D= £,c0054+,c088+<,C08Y . Chiamando co, lo spostamento del vertice V, proiettato sulla direzione P, si ha o,=Épcosa+npc088+%,C08Y , dunque avremo’ ancora dL dP cioè differenziando il lavoro molecolare di un sistema artico- lato espresso în funzione delle forze applicate a’ suoi vertici, rispetto alla forza applicata in un vertice proiettata in una data direzione, la derivata, che sì ottiene, esprime lo sposta- mento del vertice considerato proiettato sulla direzione data. Ne segue che la derivata dell’espressione del lavoro molecolare rispetto alla risultante R, è la proiezione dello spostamento del vertice Y, sulla direzione &, . Non si dimentichi che tutto questo è vero soltanto se le direzioni delle forze sono costanti, perchè altrimenti =: 408 404 ‘ SRO gli angoli a», 8,, Y» che la forza R, facogli assi sareb- bero funzioni di questa forza, e nel prendere le derivate sì otterrebbero altri termini oltre quelli scritti. 9. Sistemi articolati ritenuti da punti fissi. — Sup- poniamo che in un sistema articolato alcuni vertici siano fissi. Sia V, uno di essi: chiamando — X,, —Y,, —Z, le componenti, parellele agli assi, della pressione, che questo vertice esercita sul punto di ritegno, è chiaro che po- tremo considerare il vertice V. come libero e sollecitato dalle forze X,, Y-, Z- parallele agli assi. Supponiamo ora che siasi ottenuta l’espressione del lavoro molecolare del sistema in funzione delle forze esterne, delle reazioni X., Y-, Zr, ecc.dei punti fissi, e delle tensioni di alcune verghe, nessuna delle quali però concorra nei punti fissi. Rappresentiamo con F(X,, Yr, Z-, .... Ig;--..) le- spressione del lavoro molecolare di tutto il sistema. Io dico che i valori delle reazioni X., Y-, Zr,... €@ delle tensioni incognite 7,yg sono quelli, che rendono mi- nima l’espressione del lavoro molecolare, tenendo conto delle equazioni di condizione tra le tensioni 7,y . Difatti uguagliando a zero il differenziale del lavoro mo- lecolare si ottiene: ” dF dF,. dF : PIC, ri+ pitone; pa ora, poichè nessuna delle tensioni 7,, appartiene alle verghe concorrenti nei punti fissi, è chiaro che in nessuna delle equazioni di condizione entreranno le reazioni X,, ecc. onde l'equazione precedente si scinde in queste altre: L a E * Cere Combinando quest’ultima nel modo consueto colle equa- zioni di condizione, si ottengono evidentemente le stesse equazioni come se le forze Y,, Y., Z-,... fossero note; cioè si possono determinare tutte le tensioni incognite Tg in funzione delle reazioni incognite dei punti fissi. A queste equazioni bisognerebbe poi aggiungere quelle, le quali esprimono che gli spostamenti dei vertici fissi sono nulli: ora, secondo il teorema enunciato nel num. 10, dF dF dF di,’ dY,° dZ,° menti del vertice V, parallelamente agli assi; dunque uguagliandole a zero si viene appunto ad esprimere che il vertice V, è fisso. Si può giungere in modo più diretto a questo risultato immaginando che ciascun vertice fisso sia trattenuto da tre verghe perfettamente rigide e parallele agli assi: difatti se si immagina una superficie S, la quale tagli tutte queste verghe rigide e tale che comprenda entro sè tutta la parte di sistema di cui si sa esprimere il lavoro in funzione delle forze esterne e delle tensioni delle altre. verghe (comprese quelle rigide), e se si rappresenta, come poco fa, con le funzioni ecc. esprimono gli sposta- F(X, Yr, bit; PORZIO il lavoro molecolare di tutto il sistema, è chiaro che i valori delle tensioni incognite (comprese quelle delle verghe rigide aggiunte) si otterranno rendendo minima la funzione F, tenuto conto delle equazioni di condizione. Ora, poichè nei vertici V, non si hanno equazioni di con- dizione secondo quello, che è stato dimostrato nel num. 7, vedesi che si avranno dapprima le equazioni dF * dF dF enti = |) dX, sa gi 406 | - RR e 3 Seni e poscia l’equazione dF sa alal ’ la quale dovrà combinarsi colle equazioni di condizione. È da notare che le tre verghe ortogonali sostituite a ciascun vertice fisso si sono supposte rigide, perchè così il loro lavoro molecolare è nullo, e perciò il lavoro mole- colare del sistema non resta alterato. Si sarebbe tuttavia ottenuto lo stesso risultato supponendo sostituite a ciascun vertice fisso tre verghe elastiche ortogonali e facendo poscia diminuire indefinitamente la loro elasticità. 10. Ztilità del teorema del minimo lavoro. — In pra- tica non avviene quasi mai che si adoperino dei sistemi elastici semplicemente articolati, cioè dei sistemi com- posti soltanto di verghe elastiche congiunte a snodo : invece sono continuamente adoperati dei sistemi che chia- merò misti, composti di travi rinforzate da saette o ti- ranti, cioè da verghe elastiche congiunte a snodo colle travi in diversi punti della loro lunghezza, e fra loro. Affinchè dunque un teorema intorno ai sistemi elastici abbia un’utilità pratica, bisogna che esso sia applicabile ai sistemi misti. Questo pregio ha appunto il teorema del minimo lavoro, ed è solo per ciò, che io mi sono adoperato, quanto ho potuto, a dimostrarne l'esattezza e l’utilità. Siccome però le sue proprietà riguardo ai sistemi sem- Ù plicemente articolati si mantengono anche per quelli mi- sti, come dimostrerò fra poco, dirò fin d'ora alcuni van- taggi che esso presenta su altri metodi nel calcolo dei F sistemi articolati. 4 cisti Sg Dapprima è chiaro che esso permette di determinare le tensioni di tutte le verghe del sistema con qualunque pri __ 407 — dei metodi, che servono a trovare il minimo di una fun- zione di più variabili, essendo date fra queste variabili alcune equazioni di condizione. Inoltre dalle cose dimostrate nel num. 7 risulta che, se in un modo qualunque si è ottenuta l’espressione del lavoro molecolare di un sistema articolato in funzione delle tensioni di alcune soltanto delle verghe, che lo compon- gono, si otterranno i valori di queste tensioni esprimendo che il lavoro molecolare del sistema è un minimo, te- nuto conto delle equazioni di condizione tra le incognite. Infine, se si ha il lavoro molecolare di un sistema ar- ticolato espresso per mezzo delle tensioni di alcune ver- ghe, e se queste tensioni si possono esprimere in fun- zione di altre quantità m,, m,,... è chiaro che anche il lavoro molecolare del sistema si potrà esprimere in funzione di m,, m,,... e le equazioni di condizione tra . le tensioni incognite si potranno convertire in altre tra le quantità m,, m,, ecc.; or bene, i valori di m, Mano si otterranno colla condizione che il lavoro molecolare del sistema espresso per mezzo di esse sia un minimo, tenuto conto delle equazioni di condizione, che le vin- colano. Quest'ultima osservazione è di molta importanza AA. Osservazioni intorno al teorema del minimo lavoro. — Vi sono alcuni casi pei quali potrebbe dubitarsi che non fosse applicabile il teorema del minimo lavoro: io ne sceglierò uno, e il ragionamento, che farò su di esso, potrà servire di norma anche per gli altri. Sia un corpo perfettamente’ rigido, al quale siano ap- plicate delle verghe elastiche, che formino un sistema qualunque, ma tale che prescindendo dalle piccole defor- mazioni provenienti dall’elasticità delle aste, esso abbia forma invariabile. 27 408000 È chiaro che non cambierebbero punto le condizioni del sistema, se al corpo rigido si sostituissero delle ver- ghe rigide congiungenti fra loro in tutti i modi possibili i punti del corpo rigido, ove fanno capo le verghe ela- stiche. Immaginiamo ora una superficie $, la quale chiuda dentro sè tutte le verghe rigide, e tagli le verghe ela- stiche congiunte con quelle. Consideriamo poscia un altro sistema, il quale non dif- ferisca da quello ora considerato, se non per ciò che alle verghe rigide siano sostituite delle verghe elastiche, e supponiamo, che la somma dei lavori molecolari di que- ste verghe, le quali son contenute entro la superficie S siasi espressa in funzione delle tensioni delle verghe ta- gliate dalla superficie stessa e delle forze esterne, e quindi abbiasi il lavoro molecolare di tutto il sistema in fun- zione delle tensioni delle verghe esterne alla superficie $, o tagliate da essa. Risulta dal num. 7 che i valori di queste tensioni son quelli, che rendono minima l’espres- sione del lavoro molecolare del sistema, tenuto conto delle equazioni di condizione tra le tensioni medesime. Questa proposizione è vera, qualunque sia il grado d’ela- sticità delle verghe contenute entro la superficie S, pur- chè le deformazioni del sistema siano sempre piccolis- sime: dunque essa è vera anche quando queste verghe sono rigide, nel qual caso il loro lavoro molecolare è nullo, e perciò il lavoro molecolare di tutto il sistema si riduce al solo lavoro molecolare delle verghe elastiche. Avvertendo poi che nelle equazioni di condizione non potevano entrare le tensioni delle verghe contenute entro. la superficie $, possiamo conchiudere che nel caso di un’ corpo rigido trattenuto da verghe elastiche, si otterranno É 1 he Preti nEbe | ‘le tensioni di queste verghe esprimendo che la somma | SÙ Miei = 409 dei loro lavori molecolari è un minimo, tenuto conto delle equazioni di condizione tra le tensioni incognite. In questo caso, che io ho considerato, è evidentemente compreso quello d’una tavola piana e rigida appoggiata sopra un numero qualunque di sostegni elastici. 12. Considerazioni intorno ai sistemi perfettamente rigidi. — Immaginiamo un sistema articolato formato di aste perfettamente rigide: è chiaro che esso potrà riguar- darsi come il limite di un altro formato di verghe ela- stiche, per le quali il grado di elasticità diminuisca in- definitamente, ossia il coefficiente di elasticità E cresca in- definitamente. Supponiamo dunque dapprima elastico il sistema, di cui sia n il numero dei vertici, e determi- niamo le tensioni di tutte le verghe. Abbiamo veduto nel num. 2 che si hanno le 3n—6 equazioni (6) fra le tensioni incognite, e che queste si possono esprimere in funzione dei 3n—6 spostamenti dei vertici per mezzo della formola (5), cosicchè pren- dendo per incognite questi spostamenti, si avranno ap- punto tante equazioni di primo grado quante incognite. Le quali dunque si potranno tutte esprimere nello stesso modo, cioè col rapporto di due determinanti, dei quali il denominatore sarà lo stesso per tutte e dell’ordine 3n— 6, e perciò, sarà funzione omogenea del grado 3n—6 rispetto ai coefficienti epy. I numeratori poi si deducono dal determinante del denominatore, sostituendo agli elementi di una colonna i termini costanti delle equazioni (6), ossia le componenti X,, X,, Ya, X, Yp, Zp,. delle forze esterne: quindi essi sono ancora determinanti del- l’ordine 3n—6, ma rispetto ai coefficienti e, sono fun- zioni omogenee del grado 3nt—7. Dunque se le trovate espressioni degli spostamenti dei Po 410 "SRL ; vertici si sostituiscono nell'equazione (5) per ottenere le. x A tensioni delle verghe, vedesi che ciascuna di queste ten- I sioni sarà espressa dal rapporto di due funzioni omo- genee del grado 3n—6 rispetto ai coefficienti e,7, e per- ciò dipenderà soltanto dai rapporti tra questi zia e non punto dai loro valori assoluti. Variando questi rapporti, variano i valori delle feti sioni: ora se si suppone che i coefficienti di elasticità di tutte le verghe vadano crescendo indefinitamente, il si- stema si avvicina sempre più ad essere rigido, ma in-- tanto i rapporti fra i coefficienti di elasticità restano pie- namente arbitrari, e perciò i valori delle tensioni non tendono verso alcun limite finito, ma restano indeter- minati. x Dunque in un sistema perfettamente rigido è impossi- bile determinare le tensioni delle verghe, salvo che il loro numero sia soltanto 3n—6, e la loro disposizione sia tale che renda il sistema di forma invariabile, nel qual caso bastano le equazioni (6) indipendentemente dalla formola (5). È Vive e Cournot, come ho detto nell’introduzione, cre- $ devano di avere scoperto un principio atto a determinare le pressioni e le tensioni nei sistemi perfettamente ri- * gidi, e l'illustre Prof. MossortI trovando confuse le idee 8 di quei due autori, credeva difficile giudicare se potesse hi: esistere tale principio. Vène e CournoT erano partiti dal- Pa i l’idea che, dato un sistema di forma qualunque, perfet- * SUE tamente rigido, le tensioni e le pressioni delle diverse ne parti di esso hanno necessariamente valori determinati, È: i quali devono potersi trovare; e si confermavano in tale sia opinione, riguardando i sistemi rigidi come limiti di si- Ss stemi elastici, onori so Au — Ora, in natura non esiste, almeno alla superficie della terra, alcun sistema perfettamente rigido; ma posto pure che potesse esistere, deriva dalla dimostrazione precedente, che sarebbe impossibile determinare le tensioni delle sue parti, benchè sia evidente che in ciascun caso partico- lare queste tensioni dovrebbero avere valori perfettamente determinati. 13. Sistemi non semplicemente aPWiootaNi — Fin qui io non ho parlato che di sistemi articolati, cioè formati . di verghe elastiche congiunte a snodo le une colle altre : essi hanno questo di particolare, che le verghe possono soltanto trovarsi soggette a tensione o compressione, cioè a forze dirette secondo i loro assi, perchè nella defor- mazione ciascuna verga può liberamente ruotare intorno ‘alle sue estremità. Qfiesti sistemi non sono mai adoperati nelle costruzioni, cosicchè le ricerche intorno ad essi possono bensì riuscire eleganti e ricche di dottrina, ma sono inutili alla pratica, se non sono tali che i loro ri- sultati possano estendersi anche ai sistemi di cui si fa effettivamente uso. Ora, io mi propongo di far vedere che il teorema del minimo lavoro è applicabile a tutti i sistemi. È ammesso da tutti che i corpi sono composti di mo- lecole di dimensioni piccolissime rispetto alle loro distanze, le quali sono esse medesime estremamente piccole; e che lali molecole, in un corpo in equilibrio, si mantengono a determinate distanze a cagione di attrazioni e ripulsioni , che esse esercitano l’una sull’altra: chiamando m, m' le masse di due molecole ed r ia loro distanza, la loro attrazione reciproca può esprimersi con mm'f(r) essendo f(r) una funzione incognita della distanza r. Se al corpo si applicano delle forze esterne, esso si deforma e si di- la distanza delle due molecole m, m' riesce r+Ar, e perciò la loro attrazione reciproca mm'f(r) +mm'f'(r) Ar supponendo Ar piccolissima a fronte di r. Dunque l'aumento dell’attrazione delle due molecole sarà mm'f(r)Ar, cioè proporzionale all'incremento Ar della distanza, pre- cisamente come avviene per l'aumento della tensione delle verghe. Ne segue che un corpo qualunque si può riguardare come un sistema di verghe piccolissime congiunte a snodo, le quali sono forse soggette a certe pressioni o ten- sioni, anche mentre il sistema non & sollecitato da jo forza esterna. È da notare non essere necessario che la funzione f(r) abbia la stessa forma per tutte le coppie di molecole, ma bastare che per ciascuna coppia essa sia continua, almeno per variazioni di r piccolissime, a partire dal valore cor- rispondente all’equilibrio naturale del corpo. Quest’osser- vazione era necessaria, perchè poco si sa finora intorno alla costituzione molecolare dei corpi, come può vedersi nei migliori trattati (*). Conchiudiamo, che ad un corpo o ad un sistema di corpi, il quale per l’azione di forze esterne subisca de- formazioni piccolissime, cosicchè l'allontanamento di due molecole qualunque sia piccolissimo rispetto alla loro (*) Lami. — Théorie mathématique de l'élasticilé des corps solides. — Vingt-quatrième lecon, N° 134. Vedansi pure le note e le appendici IV e V del signor de SANT- Venant al Trattato della resistenza dei solidi di Navier.. istanza ia è isla il teorema del minimo lavoro. Quindi se lo stato del sistema dopo la deforma- zione si può far dipendere da un piccolo numero di quan- tità, legate fra loro da alcune equazioni di condizione, e se il lavoro molecolare del sistema nella deformazione si esprime per mezzo di quelle sole quantità, si otter- ranno i valori delle medesime considerandole come va- riabili legate dalle equazioni di condizione, e cercando il sistema dei loro valori , che rende minima l’espressione del lavoro molecolare. i Supponiamo p. es. un corpo elastico sollecitato da forze comunque applicate, al quale siano unite a snodo in più punti delle verghe elastiche congiunte pure a snodo fra loro, o con altre verghe elastiche. La teoria matematica dell’elasticità dei corpi solidi ci insegna a trovare le con- dizioni d’equilibrio del corpo sotto l’azione delle forze, che vi sono applicate, comprese le tensioni delle verghe congiunte direttamente ad esso, onde, per mezzo della formola di CLAPEYRoN, si potrà ottenere il lavoro mole- colare fatto nella deformazione del corpo in funzione delle forze esterne e delle tensioni di alcune verghe, e per- . ciò il lavoro molecolare di tutto il sistema in funzione delle tensioni di tutte le verghe. Immaginando una superficie $, che circondi ì corpo dato, e tagli quelle verghe, che vi sono direttamente ap- plicate, vedesi il caso ora considerato essere precisamente quello studiato nel numero 7, e perciò doversi trovare le tensioni incognite delle verghe del sistema, esprimendo che il lavoro molecolare di esso è un minimo, tenuto conto delle equazioni di equilibrio in tutti i vertici, ove concorrono soltanto le verghe elastiche. 44. Avvertenza. — La dimostrazione del numero 7 l'ho data appunto per poter passare con ragionamento rigounio N alla conseguenza, che ora ne ho tratto. Forse parrà ad alcuni che il teorema del numero 7 avrei potuto dimostrarlo in poche parole così: il lavoro mole- colare di tutto il sistema articolato espresso in funzione delle tensioni delle verghe tagliate dalla superficie S o esterne ad essa, è ciò che si sarebbe ottenuto dal lavoro molecolare del sistema espresso in funzione di tutte quante le tensioni, eliminandovi le tensioni delle verghe interne alla superficie S; quindi si troveranno i valori delle ten- sioni, che quest’espressione contiene ancora, cercando il minimo di essa, tenuto conto delle equazioni di equili- brio nei vertici esterni alla superficie $. Questo ragionamento sarebbe buono, se le equazioni di equilibrio nei vertici interni alla superficie S bastas- sero ad esprimere le tensioni delle verghe interne a que- sta superficie in funzione delle tensioni di quelle, che ne sono tagliate; ma siccome in generale non bastano, l'eliminazione testè detta non può farsi. Ad alcuni parrà ancora che il teorema del num. 7 si possa per intuizione dedurre da quello del num. 3: io credo però non bastare nelle matematiche che una cosa si presenti alla mente coll’apparenza della verità, ma es- sere necessario che essa sia rigorosamente dimostrata, e questo tanto più quando trattasi di teoremi, che, ove siano dimostrati esatti, possono diventare di un uso con- tinuo nella pratica; | ho preferito essere lungo e preciso, piuttosto che breve e confuso. 43. Applicazioni. — Nella mia dissertazione di laurea stampata nel novembre. 1873, io ho procurato di dimo- strare l’utilità del teorema del minimo lavoro, facendo. vedere quanto semplicemente derivino da esso le condi- todd è L zioni dell’ equilibrio d’elasticità per quei sistemi di uso più frequente nella pratica, e che fino allora erano stati fra tutti meno imperfettamente studiati. Io ho fatto ve- dere in quella dissertazione che coll’applicazione del teo- rema del minimo lavoro si ottengono facilmente sia l’e- quazione del signor CLAPEYRoN relativa alle travi sostenute in più punti, sia le formole note pel calcolo delle inca- vallature PoLoncrau, delle incavallature inglesi e delle travi armate; ho detto entro quali limiti sono esatte que- ste formole, e quali termini bisognerebbe aggiungervi per renderle rigorose. Io non ripeterò qui tali cose, ma invece darò un esem- pio del modo di applicare il teorema del minimo lavoro allo studio della stabilità delle centine di forma qualun- que: e questo studio potrà forse non riuscire inutile, perchè finora l’abbiam sempre veduto fare partendo da ipotesi arbitrarie, talvolta pochissimo conformi alla realtà dei fatti, e dalle quali perciò non si può sperare nè pro- gresso per la scienza, nè risultati degni di fiducia. Io so bene che molti credono bastare nella pratica il sano criterio del costruttore, aiutato tutto al più da qual- che formola empirica; e tuttavia credo che per molte opere, come p. es. le centine delle grandi tettoie, per nessuna delle quali si può generalmente prender norma in tutto da altre costruzioni analoghe, sia indispensabile determinare con un calcolo esatto gli sforzi, ai quali si troveranno sottoposte le diverse parti, per poter assegnare a ciascuna quelle dimensioni, che assicurino all’ opera una durata indefinita. 46. Centine della tettoia dî Bra. — Queste centine sono formate di un arco di legno, a cui si collegano cinque tiranti e due saette, come è rappresentato nella figura. 416 n STI CI ca, CSS CORSIVO Suppongo la centina caricata vitrotmià GE sità proîe- zione orizzontale sia riguardo al peso permanente che al sovraccarico; e poichè la tettoia è coperta di zinco, prendo 70 Kgr. pel peso distribuito sopra ogni mq. della proie- zione orizzontale, comprendendovi il peso proprio delle centine, il peso della neve e la pressione del vento: quindi detta D la distanza di due centine, sarà p=70D il peso in Kgr. distribuito sopra un ml. di proiezione orizzontale della centina. Suppongo ancora la centina appoggiata per le sue estre- mità sopra un piano orizzontale senza attrito, cosicchè ciascun appoggio sopporterà solamente una pressione ver- ticale uguale a Kgr. 6,15X70D=430,5D, che chiamo 0. Volendo riconoscere se la centina sia in buone condi- zioni di stabilità, dobbiamo dapprima determinare le ten- sioni incognite dei tiranti e delle saette; perciò dobbiamo esprimere il lavoro molecolare di tutto il sistema in fun- zione di queste tensioni incognite, e poi cercare i valori di esse, che rendono minima quell’espressione, tenuto conto delle equazioni di equilibrio nei vertici D e D', o meglio soltanto nel vertice D, poichè per la simmetria del sistema basta considerare solo la metà di esso. Chiamo ordinatamente #, t,, t,, tz le tensioni delle aste AA'=12%,30; CE=2,10; Da=0,60; AD=4,200 BD'=DB'=1,19; BD=1,25; DD'=4,00 DD dn DB, DB, le du sono uguali alle tensioni delle loro simmetriche; 2, Z,, 2, 2: le lunghezze di tali aste, @, 6,, ®,, 6, le aree delle loro sezioni, e il coefficiente di elasticità delle tre aste DD', AD, DB', che son di ferro, ed e, quello della saetta di ghisa DB; « e # gli angoli DAE, B'DD'. Considerando, come abbiam detto, soltanto la metà del sistema, il lavoro molecolare delle quattro verghe è espresso da 2 2 2 2 ca(53+ 2 cea DIA +ap fil FA A questo Ea aggiungere il lavoro molecolare fatto nella deformazione dell'arco AMC: ora, chiamando w il momento inflettente rispetto al punto M, N la somma delle componenti, parallele alla tangente in M, di tutte le forze applicate all’arco alla sinistra di questo punto, compresa la reazione dell’ appoggio, 7 la somma delle componenti perpendicolari alla detta tangente (avvertendo che tutte le forze sono contenute in un piano verticale), s, S le lunghezze degli archi AB, AC, e do l'elemento infinitesimo dell’arco AC, illavoro molecolare fatto nella deformazione di quest’arco è espresso dalla formola: sf fis fe] santi sev(19) T*do Tîdo + ove Q ed I indicano l’area della sezione dell’arco e il suo momento d’inerzia rispetto alla orizzontale passante pel centro di gravità, E ed E, sono i coefficienti dell’ elasti- cità longitudinale e trasversale della sostanza dell’arco (*). Ora, abbassando dal punto M le perpendicolari Mm, Mn sulle AE, AD e dal punto M' le perpendicolari M'm', M'7, M's sulle AE, B,D' DB' e chiamando g, g' gli angoli delle tangenti in M, M' coll'orizzonte, si ha, pel punto M 418 ; i SANIRERARAAN A: >) u=(0—5p-4m) Amin , i . N=(0—p-Am)senp+t,-cos(p—a), T=(0—p-Am)cosp—1,.sen(p—a) > (*) In questa formola il terzo termine esprime il lavoro prove- niente dallo scorrimento trasversale, ma la sua forma non è rigo- rosa, ed il coefficiente f è messo appunto per assegnarvi in ogni caso particolare un valore conveniente onde ottenere risultati esatti. Questo coefficiente dipende, sia dalla forma della sezione del solido, sia dalla legge della distribuzione delle forze; ma finora non si sa trovarne esattamente il valore, tranne in alcuni casi semplicissimi e tuttavia importantissimi, che per la prima volta sono stati ri- soluti dal signor de Sarnt-VENANT. Perciò i Professori Bresse e CurionI partono dall’ipotesi che le sezioni dei solidi si mantengano piane nella deformazione ed otten- gono f=1: ma dai lavori del signor de Samt-Venant risulta che in questo modo si può commettere nel calcolo dello scorrimento trasversale un errore dello stesso ordine di grandezza della quan- tità, che si vuol calcolare, e che invece si può già ottenere molto maggiore approssimazione tenendo conto dell’inflettersi delle se- zioni; ma ammettendo che l’inflessione avvenga secondo superficie cilindriche. Partendo da queste idee, io ho ottenuto, per esprimere il lavoro molecolare dovuto allo scorrimento trasversale, il terzo termine della formola (19), ove il coefficiente / devesi perciò ri- guardare come funzione soltanto della forma della sezione. Per l’arco che consideriamo essendo rettangolare la sezione, con un lato orizzontale, ho trovato 6 l=35° Di queste ricerche e di-altre analoghe tratterò un'altra volta. e pel punto Ml. tt Cai he ((-3p-400 Am'—-i-M'm'—1,.(M'r+M's); N=(0—p-Am')senp'+(t+2t,cos6)cosp' , % T=(0—p-Am')cosp'—(1+2t,c0s88)senp' na Da queste ultime tre espressioni si può eliminare 1, e dalla formola (18) si possono eliminare le tensioni 13; #3, poichè le tensioni delle quattro verghe concorrenti *nel punti D dovendo farsi equilibrio, si hanno le due equa- zioni: t+t,cos6 — t,cosa=0, ,sena—l,;—t,set8=0, ossia, sostituendo agli angoli a, 6 i loro valori, ii 1030, t,=0,3134 — 0,1531,. Sostituendo alle lettere i numeri nelle formole testà ottenute ed eseguendo le integrazioni, si ottiene: 244 fwedo= 2650000 D° + 3,441,5— 6070Dt, , RE C) $S |} u8 do=3240000 D2+4,56,°+0,05212—7700 Dt,+755.Dt-0,9244, s {°42=102000 0° + 4,201, + 112007, ffrrao=370 D°+6,901,°+1,68°+59Dî,— 20,3D1—6,62tt,, st T*de= 330000 D® — 710 Di, + 0,4084,* , $ (72d0=138000%+0,0621,%+0,01421-46,50 Dt, +21,0D1-0,0581,. DIETA I | 420 | fa 1" PO TENAA Dobbiamo ora sostituire queste espressioni nella for- mola (19), poi sommare questa formola colla (18) ed ugua- gliare a zero le derivate della somma prese rispetto a 1, t,. Osserviamo però che la sezione dell’arco essendo un rettan- golo col lato orizzontale di 0", 12 e l’altro di 0”,20, si ha Q= 0,024; I=0,00008, onde, supponendo l’arco di larice e prendendo perciò ” E=1500000 000, E,= 500000 000 si ottiene EQ= 36000000, EQ=12000000 , EI=120 000. £ PI 1 ) Vedesi adunque che le quantità DE’ KO sono uguali 1 1 Mir: soltanto ad 300 € ad 100 di x— onde segue che con un grado di approssimazione assai maggiore di quello, che occorre in pratica, si possono trascurare i due ter- mini del lavoro molecolare dell’arco, i quali provengono dalla compressione e dallo scorrimento trasversale, a fronte di quello proveniente dalla flessione: perciò io li trascuro, ma vedesi che non havvi alcuna difficoltà a. tenerne conto. Riguardo alla formola (18) avverto che le verghe AD, DB', DD' sono tutte tre di ferro ed hanno sezione circo- lare col diametro di 0%,035, mentre la saetta BD è di ghisa ed ha una sezione a croce colle due braccia della croce lunghe 0%,08 e coll’area di 0©4,00215. Essendo dunque pel ferro e per la ghisa e= 15000000000, e, =12000 000000 si ha eo=ea,=e0,=14400000 , e, og =25 800000: RESA LASE RL nn oltre sostituendo alle lettere i numeri si ottiene . cs Et lol 28,071,°4+- 0,6088518, = 18,1,=0,02921," + 0,1221 — 0,120 tt, . Sogtituendo tutti questi risultati numerici nella for- SR mola (18) ed avvertendo che le quantità —, odg sono i ed e,03 assai minori di sa della quantità i , vedesi che anche 100 EI i termini provenienti dal lavoro molecolare delle verghe sono trascurabili a fronte di quello dovuto all’inflessione dell’arco. Tenendo dunque conto soltanto di quest’ultimo termine ed uguagliandone a zero le derivate parziali prese ri- spetto a ?, t,, si ottengono le due equazioni 161, —0,924=13770D, 0,92,,—0,1041=755D, dalle quali si trae t,=900D , #ZS615:D*; e perciò ,=285D, ,=50,5D.. | Se la distanza delle centine è di 5 metri, si ha t=4500; — 1=3075, t=1425, &=,252,5 e quindi supponendo, come ordinariamente si fa, che la resistenza del ferro agli sforzi di tensione sia di 6 Kgr. per mmq., trovasi pel diametro dell’ asta AD mm. 30,7; per l’asta DD' mm. 25,6 e per l'asta DB mm. 17,4. ARBEIT "riv rca ici ," te 7-20 | EZIO La resistenza della ghisa agli sforzi di tensione può pren i dersi di Kgr. 1,5 per mmq.; quindi basterebbe che l’area della sezione della saetta AD fosse di mmq. 22 — 168. I costruttori della tettoia di Bra hanno fatto di ghisa la saetta BD e le hanno dato una sezione a croce, cre- dendo probabilmente che essa si sarebbe trovata premuta, mentre invece risulta dal calcolo precedente che essa è tesa. Ma esaminando bene le cose, non è difficile ren- dersi ragione del perchè questa saetta si trovi soggetta a tensione: difatti quanto più l'asta DD' si avvicina alla retta BB', cioè quanto più corte sono le due saette BD, B' D', tanto più deve crescere la loro tensione , come ri- sulta dalla disposizione delle aste concorrenti nel punto D: avvicinandosi invece l’asta DD' alla corda A4', la tensione della saetta 8) diminuisce, e diventa zero quando la tensione della verga AD diventa uguale alla risultante delle tensioni delle due verghe B'D, DD': a partire da questo punto continuando l’asta DD' ad avvicinarsi alla corda AA' la tensione della saetta BD diventa negativa, cioè si cangia in pressione. Determinate le tensioni di tutte le aste del sistema; non havvi più difficoltà alcuna a valutare la massima tensione e la massima pressione generate nell’arco e quindi il grado di stabilità del medesimo. Io non fo questo calcolo, benchè assai breve, perchè nulla aggiungerebbe a quello, che io ho voluto dimostrare con un esempio, che è la grande utilità del teorema del minimo lavoro. Piuttosto aggiungerò che le semplifica- zioni, le quali abbiamo, veduto aver luogo per la centina | della tettoia di Bra, provenienti dalla piccolezza di alcuni termini rispetto ad altri, hanno luogo in-quasi tutti î casi; . DI | che è utilissimo a sapersi , perchè giova ad abbreviare | grandemente i calcoli, senza tuttavia cadere in errori, che possano avere nella pratica perniciosa influenza. L’Accademico Segretario SoBRERO. — CLASSE Gennaio 1875. I CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE x ga —_ © Adunanza del 3 Gennaio 1875. PRESILENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS . Il Socio Prof. Fasretti continua l'esposizione del TERZO SUPPLEMENTO ALLA RACCOLTA DELLE ANTICHISSIME ISCRIZIONI ITALICHE. Due voci, per derivazione e per significato simiglian- ties lissime, e che spesso ritornano nelie iscrizioni sepol- ili crali, sono lautni e lautniSa, l'una talvolta abbre- fer; viata in lau, e forse la seconda in lautni: lautn e i E lautni ricevono inoltre in undici titoli funerarii l'ag- giunto di eter o eteri ed eters'. Quanto all’ortografia, di variante nella sillaba radicale (lau-, lav-, lu-, la-) 0 Po: «e nella terminazione, occorrono le forme lautni e lavtni, lautn e lavtn o lav$n, laut e lau, latn e Wo rlatniflutni, lavti,; LantnasgilautaiSa;lawvt nata e lavtnit, oltre il diminutivo lautnes'cle. i Era generalmente ammesso, non provato, che lautni _ e lautnida fossero nomi proprii di donne etrusche , a | cagione del titolo cortonese dana lautnei (C. i. ital. } «n, 1031), e dei titoli volterrani vela lautni (n. 168) e LA larti lautnei (n. 2564 bis). Di questa interpretazione, accolta in mancanza di un’ altra migliore, non rimasi mai soddisfatto; e dei miei dubbii ebbi conferma nelle osser- vazioni pubblicate dal ch. Gamurrini (1), che avendo riu- nite insieme varie epigrafi, nelle quali le due voci in discorso si presentavano, venne nella conchiusione che vi si celasse un significato assai diverso : egli congetturava potersi rendere lautni per servus o Hibertus, e lautniSa per serva o liberta. Per verità quell’accordare all'una e all'altra voce il valore di un nome personale non si con- formava sempre con una chiara e spontanea tessitura epigrafica; il che aveva bene avvertito l’acutissimo Pietro Capei, cui si era affacciata la congettura che lautni potesse significare concubina. Le ultime scoperte di urne ‘e tegoli, venute alla luce dalle tombe dell’agro chiusino, risvegliarono le antiche dubbiezze e vennero a convalidare la dichiarazione del Gamurrini. Il Corssen nel suo primo volume sulla lingua degli Etruschi non si è dilungato dalla vecchia interpreta- zione; lautni è Lautinia (una volta Lautinius) e lautnisa è Lautinita, sempre nomi personali. Per me una cosa in- nanzi tutto è fuori di dubbio, che cioè lautni si rife- risce ad uomo e lautniSa a donna, senza escludere per altro qualche raro caso, in cui lautniSa per brevità di. scrittura, del che l’epigrafia etrusca ci diede esempi fre- quentissimi, fosse accorciato in lautni, come per fermo lo fu di lautni in lau. Per la più chiara intelligenza di quanto siamo per dire è mestieri schierare, distinte in varii gruppi, tutte le iseri- zioni portanti le voci lautni e lautniSa. i (1) Bullettino dell’ Istituto di corrispondenza archeologica + an. 1874 pg. 10-17. bn te Ar Mad 1 Ia? SE ) i den en LI 19 =) tirò S' da 16 22 22 bis larS lautni panis (Suppl. terzo). 23 24 25 d 26 dI 27 28 fà Ù > © O 0 n Ut a LI dI de aule alfnis' lautni (Suppl. sec. n. 40). A atale velias' lautni (C. i. ital. n. 596). arnziu slaides' latni (n. 1508). auliu camarines' lautni (Suppl. terzo) avtu vipi lautni (n. 1869). larsiu varnas lautni (n. 1500). leSe ucrislanes' lautni (Suppl. sec. n. 66). tama velus' lautni (Suppl. sec. n. 34). velu anis lautni (n. 1392). venzile alfnis' lautni (Suppl. sec. n. 37). larS avles' latn (n. 1031 bis). la velus’ tins' lautni (n. 1909. laxu Sefris' spurinas' lau (n.1896). cai creice Surmnas' lautni (n. 1338). ve. raufe upelsis lautni (n. 1723). ve. fulu ucrs’' lautni (n. 602). capiu ranazu 'sautles’ launtni (n. 796). apiuni cumeres lau (Suppl. sec. n. 25). ROTTA, plautes' lautni (n. 686). l pupuni lautni anainis velu's (n. 249). cae lautni cultacgs' (Suppl. pr. n. 179 bis c). i RODE larS lautni peyias (Suppl. sec. n. 64). Mer la lautn.pecias (Suppl. sec. n. 69). leSe lavtni herines' (n. 550). fe certu lautni tlesnas (n. 546). a: tlapu lautni capznas' targisla (n. 1662). Mei, ilunice lautni helu alfnis (Suppl. sec. n. 41) haspa lavSn IS clates (n. 170). lar9$ lutni ceisis' (n. 1191). Passg. > »% % (N au.aulu lautni larisal (n. ‘1028 bisi. lauto precus (n. 1915 lin. 2). i lavtn pumpus (n. 2279 lin. 1). lautn velSinas' (n. 1914 A lin. 2). la[u]tni (n. 359). lavtni (n. 2335 lin. 1). lautn (np. 1116). arng musclena larSal lautn eteri (n. 186 a). arnòà musclena larSal lautn eteri (n. 186 db). vel.tetina titial lautn. eteri (n, 218= 914). vel tetina... lautn ete...(=n. 218?). aule acricias' lautn. eteri ei s'e. iQls (n. 1934 bis a). 19 avei lautn eteriein menis eres. (n. 1581). sal... precus' lautn eter (n. 2578). [la]}rd cutus' seSres' lautneters' (n.1935). ar....f arsa lautneteri (n. 1966). lautn eteri (n. 1018 Dis a a). arndal lautn.eteri (n. 2565 dis). Sana pumpnas lautniSa (Suppl. terzo). Sana titi vescus'lautnida blitz n. 46). setria velcitial lautnita (n. 208). velia tutnal lautnitas (n. 270). fasti hami..a lautni.nus (n. 1602). Sana lecusta lautni (n. 1670). SIGN Sana tretna lautni (n. 1814) i tarsia salvis' lautn (n. 1733). larsi lautniSa presnts (n. 250). larSi lautniia petrnas (n. 1663). ramsa lautnida venziles' (Suppl. sec. n. 38). lesia lautni3a arntial (Suppl. terzo). piuca lautnida nu. (Suppl. terzo). tretnei lautnida seiantial (Suppl, sec. n. 48). la.veratrsa lavtnita purnal (Suppl. pr. n. 251 bis h). lecusti cuspres latni (n. 1218). Sansi vipis' lautni (n. 778). aepva papasla lavti (Suppl. sec. n. 20). velia caine muteni tite lautna Suppl. sec. n. 42). velu lautni r.s (n. 168=471?). velia lautnit rvs (n. 174=168?). veli cuflaris tp]al lautn3a (n. 814 bis). papi plancur lautni... (n. 195). etan lautn (Suppl. pr. n. 260). elmutie latn (Suppl. terzo). ane tamini latni (n. 131). lautnata serturus (n. 934). Sa titi latunis curislan (n. 724 bis f). ta suti mncetis' cneunas'lautunis (n. D45). m. estr s'uplu lau ar (n. 658). ai...z... mr$i laut (Suppl. primo n. 339). e...rpit... calisus lauts' (n. 1960). .. a. lautni v. cavlai (n. 169). xestu.... pa laut car9 (n..1996). Ro i 281 lautnescle (n. 4945 lin 1). — speri, La Tutte queste leggende, distinte come meglio potevasi per gruppi, si prestano ad una serie di osservazioni, alcune delle quali ci è sembrato opportuno sottoporre ai lettori. 1° La distinzione di lautni e di lautniSa appare chiarissima dinanzi ad un rapido esame degli enumerati titoli sepolcrali: lautuida non sì trova mai congiunto con titoli virili e si riferisce costantemente a donne (M 47-48, N 49-50, 0 55-57, R 58-61, T 68), mentre lautni accompagna sempre i nomi maschili (A 1-11, B 13, € 14-16, D 17, G 21-28, H 29, K 36-40, 43, U 71-72), tranne pochi casi ne’ quali lautni è un'abbreviazione di lau- tniSa (0 52-53, P 54, T 65-66), come lau è un accor- ciamento di lautni (B 13, E 18). 2° L'una e l’altra voce nella composizione dei titoli mortuariù si comportano in due maniere differenti : lautni e lautnidta prendono posto, alla maniera usata dai Romani per la posizione delle voci libertus e liberta, servus e serva, dopo il nome del padrone (A 1-11, B 12- 13, C 14-16, D 17, E 18-19, K 40, 42-43, M 47-48, P 54, S 62-64, Y 78), come in: A4 auliu camarines’ lautni= Aulius Camarinii libertus. i M 47 Sana pumpna's lautniSa=Tannia Pomponti liberta. 6 AR oppure, ma con minor frequenza, precedono il nome del padrone (G 21-28, Q 55-57, V_ 73, X 74-75), per esempio: G 23 lese lavtni'herine’s = Letius libertus Herennii. 3 057 ramda lautniSa venziles' =Aruntia liberta Vensilii. "ROME - In certi altri casi omanca il nome ‘del padrone (0 51- bi 53), o lautni e. lautnida si accompagnano ad un pre- > SOI nome o ad un gentilizio desinenti in - al, caratteristica pet dei matronimici e di alcuni prenomi paterni (H 29, K 36-38, L 46, N 49-50, R 58, 60, 61). Forse in lautni larisal (H 29) si cela un libertus Laris o Larisalis, e in larSal lautneteri (K 36, 37) un Lartis o Lartialis libertus alter. 3° Spesso il nome dei defunti, dichiarati nella con- è dizione di liberti o liberte, non si enuncia nella maniera I comune al maggior numero delle iscrizioni etrusche: si nota la frequente mancanza dei matronimici; e i soggetti è ricordati negli addotti titoli hanno per lo più o il solo di prenome o il solo nome proprio, invece del prenome e del gentilizio degl’ingenui. 4° Molti nomi sono assai diversi da quelli che s’in- contrano nella epigrafia etrusca: taluni derivarono da prenomi comunissimi, come auliu e aulu, aruziu, larsin, velu (43,4, 6,9,H 29), formati da aule, arn9, o: lar9 e vele; altri, come avtu, capiu, certu,.(A.5, D 17, G 24), non trovano confronti in altri monumenti ; e parecchi hanno tal forma, che accenna ad origine stra- niera, come atale, haspa, ilunice, tama, piuca, A lecusti, aepva (A2, 8, G 26, 27, R 59, S 62, 64): uno è fio detto cai creice nella perugina, tratta dal sepolcro dei Tormenti : C 14 cai creice Surmnas lautni=Caius Greicius per. Tormenii libertus. Nel titolo C 16 ve. fula ucrs' lautni(= Velius Fullo 0 "I Fullonius Ocrii libertus) il nome fulu ricorda una origine Wi servile. : o STRA 3, 5° I prenomi ei nomi personali, indigeni dell'Etruria, > che recano l’aggiunto di lautni o lautniSa, si com- portano come in altre epigrafi per l’uscita del nominativo: arn9,.aule, cae, laràt e 19, Sana ielSa; ‘setria, velia e vela, fasti, larSia e larSi, leSe, venzile, raufe, leSia, tretnei, titi; ma il nome del pa- drone, seguito o preceduto da lautni o lautniSa, è posto sempre al genitivo con le desinenze in -as, -es, -is, S-, quasi costantemente mantenute. Non si dissimula che tali desinenze sono anche proprie del caso retto, come tarxnas, tluties, petrunis (Tarquinius, Tlutius, Petro- nius); ma se generalmente si mantiene la s di -as, questa stessa sibilante va spesso perduta nei nomi terminati in -îs, e quasi sempre in quelli terminati in - es: troveremo (specialmente nelle lapidi chiusine) a modo di esempio vl.alfni (n. 792)= Velius Alfenius, 19 ucrislane (n. 2574 bis) = Velius Ocrilianius; alfnis e ucrislanes sono geni- tivi nelle iscrizioni : A 41 aule alfnis lautni=Aulus Alfenîù libertus. A 7 leSe ucrislanes' lautni= Laetius Ocriliani libertus. E così preferiamo leggere e tradurre i seguenti titoli: A 2 atale velias lautni= Attalus Veliae libertus. 3 arnziu slaides latni= Aruntius-i libertus, da rinii libertus. 6 larsiu varnas lautni= Larsius Varenîii li- bertus.. ( i i SLY 8 tama velus' lautni = Tama Velii: picarri velu amis lautni= Velius Annii libertus. | auliu camarines lautni= Aulius Cama- fs 15 16 E 18 C 21 k 40 ni, libertus. larS avles latn=-Lars Auli libertus. la velustins lautni= LarsVeliì Tinii libertus. layxu Sefris spurinas lau= Lacus Tiberi Spurinnae libertus. cai creice Surmnas lautni= Caius Grei- cius Thormentii libertus. ve.raufe upelsis lautni = Velius Rofius Obelsîi libertus. ve.fulu ucrs lautni= Velius Fullo (o Ful- lonius) Ocrîi liberius. apiunìi cumeres lau = Apionius Cumerii libertus. .«...plautes lautni=..... Plautîì libertus. cae lautni cultaces = Caius libertu-tî. lar$ lautni peyias (oppure la.lautn pe- cias) = Lars libertus Peciae. leSe lautni herines=-Laetius libertus Herennii. certu lautni tlesnas= Certus libertus Telesini. tlapu lautni capznas= 7labo (o Tlabonius) libertus-ti. | ilunice lautni helu alfnis = Iunicus” li- berius Helii Alfenii, haspa lauSn 19 clates = Haspa libertus Lartis Clatiî. lar$ lutni ceisis = Lars libertus Caesti. aule acricias' lautn eteri= Awlus Acricéne libertus alter. venzile alfinis lautni = Vensilius Alfenii RIE PNE 42 sal... precus lautn eter= Salvius Precîi libertus alter. 43 larS cutus seSres lautneters = Lars Cutius Setrii libertus alter (oppure Lartis Cutîì, Setrii lib. sec.). M 47 Sana pumpnas lautnida = Tannia Pom- ponii liberta. 48 Sana titi vescus lautniSa = Tannia Titia (oppure Titi) Vescii liberta. P 54 larSia salvis lautn = Lartia Salvii liberta. 6° Se lautni e lautniSa, che assieme alle notate varietà ortografiche s'incontrano così frequentemente nelle iscrizioni, fossero veramente nomi personali di donne etrusche, è egli verosimile che mai sia occorso di ricor- darne alcuna nella forma di un matronimico in -al, sic- come avviene per tanti altri nomi di donne che furono ricavati dai monumenti? Nelle molte serie di epigrafi, provenienti da altrettante tombe, è difficile trovare il nome di una donna nel caso retto segnato in uno dei cinerari, senza che in un altro ritorni quale matronimico designato in - al. Aggiungi, che lautni e lautniSa non leggonsi mai in principio di una leggenda, alla maniera adottata pei nomi personali. # In alcuni titoli funerarii, spettanti ad uomini, oc- corre la voce etera (C.î. ital. n.1245; 1260, 1399, 1868, 1931 Suppl. pr. n. 297): due volte è preceduta dal matro- nimico (n. 1396, 1643), e una volta si presenta sola in un ossuario (1594): è propria del dialetto perugino, e pare equivalente ad #7epos, alter o secundus. La stessa voce, modificata in eteri, eter ed eters', trovasi più di dieci volte congiunta con lautn, talora anche formante ì E % cassia | i composti lautneteri e lautneters. In tutti gli altri casi, precedentemente segnalati, l’etera si comporta assai diversamente nella composizione delle epigrafi. 8° Raramente avviene che il soggetto della iscrizione mortuaria sia ricordato con un solo nome; e questa sin- golarità verificasi una volta per etera (C. i. ital. n. 1594), due volte per lautn o lautni (J 33,35) e una volta per lautneteri (L 45). A questi esempii si può aggiun- gere la iscrizione arudal lautn eteri (L 46) = Aruns vel Aruntialis servus alter. Un sepolcro perugino, scoperto l’anno 1843, diede ventisette iscrizioni etrusche a ricordo della famiglia Aria (C. i. ital. n. 1110-1136), incise in urne o in lamine di piombo sul tipo delle seguenti: larS acsis' larSial = Lars Axius Lartià natus ar aysi arndal cvesànal= Aruns Azius Aruntis filius Quaestinia natus un solo ossuario recava inciso il semplice vocabolo lautni, col quale accennavasi a persona quasi straniera alla famiglia, non ad una Lautinia, ma ad un servo o li- berto degli Aziî. 9° In tre iscrizioni etrusche, due al certo funerarie, lette nel monumento di S. Manno presso Perugia e in una tomba di Corneto, e la terza nel cippo perugino, ritorna la voce lautn o lavtn, non preceduta da nome ‘pro- prio, ma seguita da un gentilizio posto al genitivo, cioè lautn precus, lavtn pumpus, lautn velSinas. Dappertutto e sempre una donna per nome Lautinia? 10. Ove si voglia persistere nell’accordare a lautni e lautnida la significazione di un nome di persona, certe leggende diventano inesplicabili: col metodo adottato si- nora ed accettato dal Corssen, la traduzione di lede ucrislanes' lautni, layu Sefris spurinas lau, «Pr . . 4. &inlb ve raufe upelsis lautni, lede lavtni herines Sana pumpnas' lautnida, male si accorda col sistema epigrafico degli Etruschi. ce 11° Era invalso in Etruria il costume di dare la libertà agli schiavi, i quali nel quinto secolo di Roma avevano. raggiunto a Volsinio l’apogeo della loro potenza, forse esagerata nelle pagine degli storici romani. Non difettano le iscrizioni, spettanti all’ultimo periodo della storia etrusca, nelle quali si faccia menzione di servi e di li- berti: sono epigrafi etrusco-romane, come le seguenti: THANNA NAEIPVRS SIHRII- CIZARTLII - LR-L SEFIRE- CEZARTLE-LR*L HASTIA -ALFIA -L-L ACONIA - C- L- PVMPVA PONTIA:L:L SALVIA 12° Andò perduta (o per dir meglio ignorasi a chi ven- duta e in quale collezione di antichità conservata) una urnetta chiusina ((C. i. ital. n. 794 bis), la cui cono- scenza verrebbe ora opportunissima a confermare la ve- rità delle nostre osservazioni: portava la seguente iscri- zione bilingue segnata in nero, che riposa sulla fede del fu canonico Mazzetti che la vide e copiò nel tempo stesso della scoperta (aprile 1861) nella casa Nardi-Dei: i IMIMMRAN 2I21d IVVAY leucle pisis lavini | n, L - PHISIVS -L - LAVCI Qui trattasi di un liberto, Lucio Fisio, che nella prima Linea, alla maniera etrusca, è detto leucle, quasi Luciolus, che ua Sa E a PATO non trova posto nel limitato numero dei prenomi, e che considerato come prenome o come gentilizio non s'in- contra mai nelle lapidi dell'Etruria. Nel lauci romano, d’altronde ignoto e di cui non è accertata la lezione, non si potrebbe per avventura riconoscere l’etrusco lautni? « Da tutto ciò risulta (così conchiudeva il cav. Gamur- rini), specialmente per chi ha qualche pratica delle iscri- zioni latine, che la £ di Luci dopo Phisius non può re- stare isolata, e che la seguente deve indicare libertus. D'altra parte in quella etrusca per gli esempii di sopra recati si leggerà lautni, e tosto ne vedremo la relazione fra i due nomi, posti il primo in caso retto e phisis in genitivo (1) ». 13° In tutte le iscrizioni, schierate in principio di que- sta disamina, tranne quelle imperfette o di dubbiosa lettura, il significato di servus e serva o libertus e liberta si adatta con singolare chiarezza, senza appigliarsi ad interpretazioni arbitrarie, che non si accordano sempre colle leggi della etrusca epigrafia. 14° Quanto al valore etimologico di lautni e lanut- nidta, assecondando le congetture accennate dal Ga- murrini e più oltre spingendo le ricerche, cade in ac- concio ricordare le voci latine /autia e lautitia, delle quali discorrono i vecchi grammatici e i commentatori di Livio (2) e di Apuleio (3). Con lawtitia intendevasi signi- ficare epularum magnificentia (4), e con lautia supellex (5): (1) Bullettino dell Instituto: an. 1874 pg. IT. (2) Liv. XXVIII 39, XXX 17, XXXIH 24, XXXV 23, XLII 26, XLV 20. (3) Apul. Metam. III 26, IX 11. (4) Paul. pg. 117 Miiller: Lautitia (al. laulia) epularum ma- | gmificentia. (5) Charisius pg. 34 Keil. 29 e: a! ari o * to e usavasi anche la loris dautia, ossia aa para E n hospitii gratia (1); e lautitia pigliavasi nel significato di magnificentia, elegantia et munditia in victu et vestitu et ha- bitatione, come dichiarano i lessici. E qui soccorrono le antiche glosse: lautitas zoAvréesa (2), e lautia évdopeviar(3); e così pure: #vdopevia supeller, évdopevia Eviyn supellex lignea; e la citata glossa « evdoueviu laucia » non che altre edite dal Mai (4) « laucia, epularum magnificentia, e lauciae, mundiciae », si attagliano in particolar modo al lauci della citata urna chiusina, che acquisterebbe una non lieve importanza storica e filologica. 15° Le quali voci /autia e lautitia (e così dicasi di daw- tia e laucia) dagli antichi e dai moderni espositori sono state ricondotte ad una radice /av- (2u-), onde lavo e luo, lavatio, lavandria, luior, lutum, lutra, lustrum, lautulae ecc.: tutte inchiudono il significato primitivo di lavare, che si manifesta simigliantemente in lautni e lautniSa; ac- cennandosi, come ha congetturato il Gamurrini, ad un famulus ingenuus o familiaris addetto alla casa, epperciò accolto nel sepolero comune della famiglia; e nulla di più naturale, che uomini e donne del minuto popolo, o nati in condizione servile attendessero primamente alla lavatura della biancheria, alla nettezza degli abiti, e quindi all’assettamento delle suppellettili e ad ogni altro dime- stico servigio: i lavapanni anticamente erano cosa di lusso, come dice l’abbreviatore di Festo nell’esporre la voce (1) Paul. pg. 68: Dacrimas pro lacrimas, ilem dautia pro lautia dicimus, et danlur legatis hospitiî gratia. (2) Gloss. Philor., ap. Labb., pag. 105. (3) Charis, pag. 550; e nelle glosse raccolte dal Labbeo: bri tai Evdopzviz, @ Evdopeviai haec laucia, (4) Class. auet. VIII 328, pra Bi p- gnificentia, soggiungendo: Alîî a lavatione dictam putant, quia apud antiquos hae elegantiae, quae nunc sunt, non erant, et raro aliquis lavabat. 16° La relazione tra lautni e lautniSda con lautia o dautia o laucia e lautitia e nel significato di fami- liaris o servus o libertus ha trovato conferma nelle glosse greco-latine: la voce Zawtia si faceva corrispondere al greco évdouevia, che in un passo di Cornuto (cap. x1v) si accosta al concetto di casalingo applicato alle Muse, scri- vendo gl’interpreti: feminas fingi Musas etiam hac de caussa, quod eruditio paretur domi manendo et assidendo, ut domi- sedae sunt mulieres. — La n di laut, che abbiam visto caduta in lavti(S 64), rimpetto alle romane lautia e lautitia sì spiega con le forme etrusche alfni, arntnal e canzna, che nelle iscrizioni bilingui diventano latina- mente Alfius, Arria e Caesius. Concludiamo da tutto ciò, che lautni e lautniSa non sono nomi proprii di persone: nel linguaggio etrusco desi- gnavano un officio domestico, esercitato da uomini e donne di servil condizione, e si comportano nei titoli funebri in una maniera particolare, cui meglio si acconcia la spie- gazione di famulus, servus o libertus. Accennammo in prin- cipio di queste ricerche alla conoscenza di tre titoli, cioè Sana lautnei, vela lautni e larti lautnei, nei quali non vogliamo escludere assolutamente un nome di donna, che in tanti altri sarebbe inverisimile; e per vero un gentilizio Lautinius non giungerebbe meno inaspettato che un Servius e Libertius nell’onomastico latino. Ritorno ora sopra un argomento, che nel febbraio del- l’anno decorso, mi diede occasione di esporre alcune con- — lautitia (0, come altri leggono, (autia) per epularum ma- ni ax. siderazioni in una lettera indirizzata al mio amico e col- lega, il conte G. €. Conestabile, a proposito di una im- | portante scoperta avvenuta a Cervetri (1). Il 25 gennaio 1874 nella Nuova illustrazione di Milano (an. I, n. 7) era. stato dato il disegno di un sarcofago ceretano, acquistato dal chiarissimo Alessandro Castellani e da lui venduto al Museo Britannico: essendo arcaici i bassirilievi, tanto nella cassa che nel coperchio, nasceva vivissimo desiderio di avere un apografo della iscrizione che l’accompagna, la quale tanto più riuscirebbe preziosa in quanto che ra- ramente avvenga di trovar traccia di lettere nei più ve- tusti monumenti dell’Etruria. Anche la cassa funeraria della collezione Campana, passata nel Museo del Louvre, proveniente dagli scavi di Cervetri, era mancante di leg- genda. A questo desiderio aveva soddisfatto il signor Murray nel n. 71 del giornale inglese The Academy del 1° maggio 1873 con dar conto delle sculture di quella cassa, nel cui coperchio giacciono due figure (uomo e donna), come in quella della collezione Campana: e in cui erasi recata .la iscrizione in due linee con caratteri etru- schi da destra a sinistra, probabilmente molto fedeli al- l'originale, nella forma seguente: AAIIRAVTA[i]37AMMAMM23A433|M ATAMVIAMITAMIAVJIIAIMA® Il Murray leggeva: mi vela vesnas me vepe tursi kipa nella prima linea, e thania velai matinai u- nata nella seconda. La presenza di una leggenda in così antico monumento era un fatto importante, tanto più pel (1) La lettera pubblicata nel periodico milanese La Perseveranza. 4 (del 19 marzo 1874), fu riprodotta nel Corriere dell'Umbria (del 24 Marzo ). 442 E (EA E i e ROFA od | modo con cui essa comin - mi=lat. sum non si era mai visto nè nei sarcofagi, nè nelle urne, ma solo nei cippi funerarii e in alcuni mo- numenti etrusci ed arredi domestici. Le forme delle lettere sono arcaiche; ma è inesatto il dire con l’egregio scrittore inglese, che la esistenza delle due sibilanti ac- cenni alla età, in cui il greco alfabeto non aveva perduto l’uso dei due suoni, derivati dall’alfabeto fenicio, il san e il sigma: ammendue questi segni (M ed 2) nella scrittura etrusca furono lungamente e costantemente mantenuti. Le ragioni che mi avevano spinto a dichiararè impor- tantissima la nuova iscrizione mi condussero poco a poco col farmi credere che non fosse senza grande sospetto di falsità: le falsificazioni, che, più che altrove, si verificano nell'Italia centrale, avvalorarono i miei dubbii. Questa nuova ed arcaica leggenda si direbbe una ripetizione, per poco mutata, di quella letta nella celebre fibula d’oro trovata a Chiusi e conservata nel Museo del Louvre ((. è. ital. n. 806): mi aradia vela vesnas zamaSi..... even petursi kipa Le voci principali, e per così dire fondamentali delle due iscrizioni, sono le medesime, mutato l’ordine di alcuna, non che l'andamento grafico delle lettere, che procede da sinistra a destra; le quali voci anzichè giovarsi vicende- volmente per riuscire di facile interpretazione, ne accre- scono le difficoltà ; la struttura di tutta l’epigrafe è mu- tata e scomposta. Non è più il nome araSia che pre- cede il vela vesnas, ma sottentra il pronome Sania confinato nella seconda linea: qualche elemento dell’una pare una alterazione degli elementi dell’altra leggenda; cia, cioè mi vela vesnas: il cia 4 chi prende le voci tursi kipa per un artefice Jieoa: c% Cipius ricondurrebbe la fibula chiusina ed il sarcofago ad una stessa epoca, od attribuirebbe due lavori di ben di- versa natura ad un medesimo artefice; il che nofi è nè probabile, nè verosimile. i Persisto nel credere che non sia da ricercare nomi di artefici nei sarcofagi, nelle urne e nelle olle cinerarie, chiuse nei sepolcri: il Corssen medesimo, che ha tro- vato uno scultore, anzichè un pittore, nell’arca dipinta di Corneto, ora nel museo etrusco di Firenze, esclude che nel ceretano ci sia il nome dell’artefice. Nè so veramente se le voci tursi kipa ed altre della seconda linea si leg-. gano chiaramente, come affermò il padre G. P. Secchi, seguìto dal Campanari, nella fibula chiusina, S'io guardo al fac-simile, che fino dal novembre 1862 mi trasmise il signor G. Stromwald (quello stesso edito dal Clément nel Catalogue des bijoux ecc. pl. II, pg. 86, ediz. 2*, pg. 94) del quale conservo la prima prova corretta, eseguita con diligenza grandissima, ho motivo di dubitare della lezione data dal citato G. P. Secchi nel Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica (an. 1846, pg. 8). Al postutto, ove una lezione diversa si ricavasse dalla stessa fibula del Louvre, la origine impura della iscrizione ceretana sarebbe accertata: non sarebbesi fatto altro che guastare la iscri- zione vera per comporne una nuova, pigliando a guida l’apografo del Secchi, anzi che l’originale : le voci tursi kipa diventerebbero, peggio che ipotetiche, una RISO in- venzione. Il Corssen non ha punto dubitato, nè probafitiaa sa puto che altri dubitasse, sulla sincerità della iscrizione del ti fe: sarcofago ceretano, letta e pubblicata dal Murray: a lui non ha fatto ostacolo la somiglianza di questa leggenda distinta in due membri, la iscrizione di Cere (Op. cit. I, 784): mi vela vesnas me Me Vela Vesnae uxor Me[sia?| matre nata vepe tursi kipaoti Vepus Tursa matre natus xiBoy (dederuni); thania velai matinia unata Thania Velaia Matinaia Unata matre nata /mortua est). Non istarò qui a combattere la interpretazione di mi per me e sostenere che mi corrisponda ad siui=sum; ma porrò innanzi la difficoltà di accordare che nel mono- sillabo me abbiasi a riconoscere il nome di una donna, Mesia od altra simigliante, e che in tursi si celi un altro matronimico, Tursia, e un terzo matronimico in unata, scritti in una maniera eccezionale, ossia senza la ordina- ria terminazione in -al: ciò che giunge improbabile si è che alla voce kipa possa convenire il significato di xiBoy (arcam); la quale può bene adattarsi ad un sarco- fago, ma non ad una fibula d’oro, la quale uscì dalle mani dell’artista insieme con la leggenda, eseguita con artificio mirabile, a picciolissimi globetti, ch'era un se- greto dell’arte etrusca, di cui ebbe a discorrere così bene l’egregio Alessandro Castellani (1): cotesta fibula, orna- mento di una donna chiusina, doveva parlare un linguag- gio funereo, e ricordare innanzi tempo il sepolcro? Nè «meno strano è trovare nel sarcofago me Vela Vesnae uror Mesia matre nata dedit, e nella fibula me Aratia Vela Vesnae (1) Meémoire sur la joaillerie chez les anciens, adressè a MM. les membres de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Paris, 1860, # CR ipo : "aa - con l’altra della fibula chiusina ; e così ha letto e tradotto, uzor dedit; e un Vepus TursiA matre natus în ammendue i monumenti. Ho detto che il coperchio del sarcofago in discorso . reca le figure giacenti di un vecchio e di una giovane donna: l’uomo è interamente nudo (questa circostanza sarà notata dagli espositori delle antichità figurate), coperta la donna, ma in un atteggiamento poco appropriato alla severità del monumento. In generale le iscrizioni, che accompagnano i sarcofagi e le urne con doppia figura nei coperchi, ci manifestano, come nelle urne bisomi, i nomi e le relazioni di parentela di due personaggi; ma la nuova iscrizione di Cere ricorderebbe il solo nome della giovine donna estinta, Tannia Velia Matini filia Unata ma- tre nata mortua est, mentre alla vista del sarcofago si ar- gomenterebbe a ragione che l’estinto fosse il vecchio nudo. Coloro che dedicarono il monumento sarebbero state per avventura persone straniere alla famiglia? Ma ammettendo per un momento che, tradotta parola per parola, la iscri- zione dica veramente me Vela Vesnae (uxor) Mesia (matre nata) Vepus Tursa (matre natus) xi8ov Thania Veli Matini (filia) Unata (matre nata), sarà lecito dimandare: come facevano gli Etruschi a distinguere quali fossero i morti e quali i vivi? Ed avvertasi che in altri monumenti, di donativi o di offerte, non manca il dedit od altra formola dedicatoria, facile a sottintendere. Mi astengo inoltre da ogni osservazione paleografica, che per mancanza di un lucido o di un’impronta, e senza la conoscenza del taglio delle lettere, riuscirebbe incompleta; ma più considero. la iscrizione senza perder di vista il monumento, e più mi persuado della sua impura origine, anche accordando, lo che non è poco, la facoltà di renderla intelligibile col — ficcarci dentro dederunt e mortua est. Mign5 3 Lr E ioh i È > n toi ser; si È È à 7 ta 2 st CE | 447 = a - Certi ‘dilettanti, che speculano sulla buona fede degli amatori e raccoglitori di cose antiche, non sanno sempre inventare voci nuove: i meglio guardinghi o più scaltri sì contentano, come fecesi or sono tre anni a Nizza (1), di coniare i primi elementi delle parole, lasciando indo- vinare le desinenze, che sono i più difficili esperimenti grammaticali: i più copiano addirittura iscrizioni cono- sciute, ed a questo metodo si attennero due artisti pe- rugini co’ famosi coperchii di piombo, rimasti a Perugia o condotti a Roma o trasportati a Parigi, della cui fal- . sità avevo notizia certa, e che per falsi (meglio tardi che mai) furono definitivamente riconosciuti. Un piombo scritto che capitò nelle mani del chiarissimo Raffaele Garrucci (C. I. ital. n. 1916 bis), portava una iscrizione nuova di pianta, inintelligibile. Così dichiarai false, mon ostante l'avviso contrario di alcuni dotti archeologi, quelle tante pietruzze incise e scritte, col solo esame di una iscrizione che era stata tolta, non dall'originale, ma da un cattivo apografo di C. 0. Miller, consegnato nel Bullettino del- l’Instituto di corrispondenza archeologica: quelle pietre, che parevano rivelatrici di grandi segreti, erano fabbricate a Roma, e chetamente andavano nel mercato di Chiusi a gabbare i galantuomini. Riconfermando ora la falsità della iscrizione di Cere , io non intendo dichiarare che anche gli anaglifi del sar- x (1) Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, VII 854-859, 894-896. Qualche nizzardo voleva ripetere il cattivo giuoco; e tralle altre antichità peregrime m’inviò un frammento di vaso dipinto, in cui restava quanto basta per riconoscervi una donna nuda, con accanto le voci turan calli ... in buone lettere etrusche; e così sapendosi che turan è il nome di Venere, s’inventava una Venere callipigia; ma l’impostore non conosceva la forma etrusca calanice = aaddivizos. gua cofago e le in giacenti » FM: ‘dano; fattura di si pa: mano vivente; ma non è fuor di proposito avvertire, (che i > del suo ritrovamento non si ha testimonianza sicura: gli archeologi italiani n’ebbero sentore quando il monumento È SE era passato, all’insaputa della sopraintendenza di Roma, « Rn nel Museo Britannico. Non è noto come e quando il sar I cofago fu trasportato dall’agro ceretano nello studio dello i scultore Penelli, nè si sa in quale condizione trovato, nè quanta parte vi abbia l’opera del ristauratore; ma che . l’artista romano per lo meno lo racconciasse, basta l’af- fermazione del chiarissimo Helbig che alla sfuggita vide <'‘706 il monumento ad altri nascosto e non ancora compiuta- È mente ristaurato. * A Ma Tag ba i Che pr ‘> sy o ‘MI AR } VI "94 rose diri hi, tasti stat RIDI ida “ ppt AGLA percio & 18 «ftttni ;mbpeotaz. > vata - È è na $ st093A di ratio: pa fr { ni - sd ; c I° Adunanza del 17 Gennaio 1875. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Nell’adunanza del 17 gennaio il Socio CLaRETTA co— mincia la lettura della prima parte della sua Dissertazione critica sui principali storici piemontesi, e particolarmente sugli storiografi della Real Casa di Savoia. Considerato anzitutto lo stato di coltura de’ Piemontesi ne’ tempi più remoti, e de quali sia rimasta qualche traccia, accenna alle scuole che le badie della Novalesa, S. Colombano di Bobbio, e S. Michele della Chiusa tenevano aperte, e che molto contribuirono a diffondere il sapere in quei ferrei tempi. Ed i cronisti, che fiorirono in quei cenobii furono, pur i soli che ritrassero la storia di quell’ età; storia, che sebben implicata di favole, di anacronismi e di poca o nessuna critica, tuttavia ci fornisce qualche barlume per giudicare tempi e personaggi che riscossero qualche rinomanza presso di noi. Ai cronografi monastici susseguono i cronisti dei co- muni; ed Oggerio Alfieri nobile astigiano riferiva i fasti di sua patria, registrando privilegi e concessioni impe- riali, cogli strumenti, che riportano le alleanze, le tregue e le convenzioni fatte da quei cittadini mentre vivevano a comune. Tali furono pure i due altri astigiani, Secon- dino e Guglielmo Ventura, il lor compaesano Antonio Astesano, come pel Novarese, Pietro Azario, e pochi altri. lero distinguersi pei favori conceduti ad eruditi, che fu- rono avvicinati alla loro Corte, nella qual nobile gara concorsero pure i Marchesi di Saluzzo e di Monferrato. Ma i cronisti della Famiglia compaiono al solo secolo de- cimoquinto, al quale si ascrive la prima cronaca della Dinastia, intitolata Les notables et modernes chroniques des vaillants et renommés Seigneurs jadis comtes de Savote. Opina l’autore che l'ufficio di cronista 0 storiografo palatino debbasi assegnare ai soli tempi di Amedeo IX e della sua consorte Iolanda di Francia, sorella di Luigi XI, reggente e tutrice dello stato alla morte di lui, avvenuta nel 1472. Pietro Dupin della Roccella, mal qualificato savoiardo da parecchi nostri storici, primo avrebbe cominciato la serie di quegli eruditi, che anzitutto cronisti, e poi sto- riografi vennero denominati. Cronista fu anche Sinforiano Champier, nato nel 1472 nel Genevese, ed in tempi in cui fiorivano anche altri, i quali non trovasi che siano stati decorati di quel titolo speciale, come il savoiardo Guglielmo Fichet, dottor della Sorbona, e pochi altri. Ma all’apparir del secolo XVI, il Piemonte già poteva noverare storici non ispregevoli, come Pietro Lambert, primo presidente della Camera dei conti, che scrisse i commentarii del travagliatissimo regno dell’ infelice Duca + Carlo IH, i quali cominciano dal 1504, e terminano al 1539. E mentre fiorivano in quell'età alcuni cropisti, come Bartolomeo Miolo di Lombriasco, Gian Andrea Sa- luzzo di Castellar, e Giulio Cambiano di Ruffia, eransi pur - fatto un nome, Matteo Bandello, chiamato persino Fran- cesco Petrarca redivivo, Federico Asinari di Camerano e Domenico Della Bella, dalla patria sua, chiamato il Mac- caneo, il quale fu elevato alla qualità d’istoriografo ducale. Ed intorno a questo chiaro autore delle cronache di Savoia, l'autore scende ad alcune particolareggiate no- tizie, che sono confortate dall’ illustrazione e pubblica- zione di documenti inediti, relativi alla sua vita ed alla sua discendenza. PAT v DA OST LI E°, eee“ i, 77 > L È È : LED Ik. PIA } Culo ‘Ai i è VC he wi 4 a PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Conte Vesme prosegue la lettura del suo lavoro, Del volgare toscano e della lingua italiana, ricerche filologiche; e ne legge il Capitolo III, intitolato Distinzione dei vo- caboli della lingua italiana in volgari e letterarii, Premesso, che anche in altre fra le lingue neolatine già fu notata simile distinzione, avverte ch’essa non può aver luogo pel volgare toscano, la quale non essendo lingua scritta non ha vocaboli letterari. Nella lingua italiana tale distinzione fu da molti avvertita nei primi tempi della lingua. Vocaboli volgari dicevansi quelli tratti dal volgare toscano; di grammatica o letterali, che noi a scanso di equivoco diremo letterari, quelli derivati dal latino. Dei vocaboli letterarii altri sono assolutamente tali, ossia mancano al volgare toscano; altri hanno semplice- mente mutato forma nel loro passaggio dal volgare to- scano alla lingua italiana, e perciò più che vocaboli /et- terariî potrebbero dirsi vocaboli riformati. Esempi di vo- caboli letterarii propriamente detti si citano da parecchi scrittori del secolo XIV adolescenza, impetrare, mansueto e mansuetudine, turbine; uno scrittore del secolo XIV ne assicura, che tali vocaboli nella lingua italiana « sono infiniti ». Esempii di vocaboli riformati sono gloria, pu- blico, canonico, ferire, obligare, flagello, gleba, invece dei volgari toscani grolia, piuvico, calonaco, fedire, obrigare, Rot fragello, ghieva o ghiova. Questa distinzione tra i voca- boli volgari e i letterari deve sempre essere tenuta pre- sente nelle ricerche sulla forma dei vocaboli della nostra a lingua; poichè la maggior parte delle regole foniche se- condo le quali si formarono i vocaboli volgari non hanno luogo pei vocaboli letterari; anzi, come appare dagli ci esempii sopra citati, per molti vocaboli nel loro passaggio | dal volgare toscano alla lingua italiana andarono in disuso e furono abbandonate le forme che richiedeva la natura del loro volgare, e prevalsero le forme letterarie. A "e Continuazione della Memoria del Prof. Vittore. Testa | $ sulla iscrizione di Mesa. È tt a XII. | MW MO INI). IT. NR. 7) TOP. DA. DI 728). Ed io ristorai Bàal Meòn e vi feci la fossa tutt'intorno, e ristoraì anche Kiriathàim. (linee 9-10). S In questo periodo Mesa racconta in qual modo iniziato D abbia la sua lotta contro Israele per la libertà e l' indi- i, } pendenza della sua patria. Anzi tratto dunque, poichè, Pr. rotto e morto Achàb a Ramòih di Galaàd, e costretto per po: ciò stesso Ochozìia a raccogliere e concentrare tutte le be. sue forze, sì per difendersi contro l’inorgoglito vincitore, a e sì per porsi in istato di ottenerne a men dure condi- ES zioni la pace, Medebà od era stata, come noi siamo di Ì “a credere (1), sgomberata al tutto da Israele e rioccupata "3 i così da Moàb senza colpo ferire, oppure, come sembraci opinare l’Hitzig (2), sguernita della massima parte del suo presidio, cessato avea di essere d’impedimento ai pre- ” DI È parativi e ai tentativi guerreschi di Mesa, questi cominciò pad À : > CISSE se dA (1) La necessità che aveva Mesa d’impadronirsi di Medebà affine “a di poter colorire ed incarnare felicemente il suo disegno, e per hi altra parte il non accennar esso in questa sua iscrizione all’assalto dato a quest’antica piazza: d’arme degli Israeliti ed all'acquistatone possesso, sono le ragioni che ne fanno piegare a cotesta NOREA opinione. x (2) Hitzig, a.a.0., S. 25, col fortificarsi poderosamente in Bàal Meòn ed in Kiria- thàim, affine di conservarsi Medebà, se già rioccupata da’ suoi, o tenerla in iscacco, se ancora presidiata da sol- datesche nimiche. Di qui trasse egli securo ad assalire i Gaditi in ‘Ataròth, dove il re d’Israele erasi stanziato for- temente, e dove, perduta o minacciata Medebà , aveva riunito il nerbo precipuo delle sue forze in quel paese. Assalitala, se ne impadronì. Esposte e chiarite così in genere le cose narrate in questo e nel periodo seguente, venendone ai singoli par- ticolari, e cominciando dal primo inciso riferito più sopra, an Sya N8 }2X), osserviamo anzi tutto, come in esso il verbo ; 93, il quale si usa ora in senso di edificare, costrurre (1), ora in quello di riedificare, ristorare (2), ed ora in quello di munire, fortificare (3), abbia entrambi questi due ultimi significati; abbia cioè il significato di ristorare e rafforzare le mura cadute o smantellate della città onde si tratta; e ciò, sì perchè tanto Bàal Meòn (4), quanto Kiriathàim (5) sono più antiche di Mesa e, prima di lui, ricordate più e più volte nella Sacra Scrittura, e sì perchè, non comparendo esse fra le città cui egli ebbe riconquistate, e per altra parte non essendo probabile che gli Israeliti abbiano, a poca distanza dalla precipua lor piazza d’armi, lasciate in mano d’un popolo da esso loro tiranneggiato ed oppresso città forti, ricinte e mu- nite di tutto punto, gli è affatto verosimile, che, vinci- (1) Gf. Ezr. IV. Ras: CXXII. 3: (2) Amos, IX. 14; Ps.CXLVII.2; Num. XXXII: 94. 37- 38; Jos. VI. 26; I. Reg. XVI. 34; II Reg. XIV. 22. (3) Cf. I. Rég., XV. 17. (4) Gf. Num. XXXII. 38. (5) Cf. Gen. XIV.5; Num. XXXII. 37; Jos. XIIIL 19. Ly Ped | 4 284 te). Spe % + DI tori, ne abbiano prima diroccate le mura. e © colmat leo fosse, onde i Moabiti non potessero in quelle raccogliersi ed attestarsi, dove venisse loro talento di macchinare ri- volte, e, dato di piglio alle armi, tentassero scuotere hi giogo imposto loro sul collo. + Osserviamo in secondo luogo, come Tn Sya corri- sponda all’ebraica TRL Ae) ra , di cui, giusta il vezzo più e più volte citato de’ Moabiti, sopprime la %, che pre- cede la } finale. Di questa città antichissima de’ Rubeniti non ditemo più nulla, avendone parlato altrove diffusamente (1). i Seguono le parole: ma WIN, e feci in essa , oppure vi feci. - Qual cosa poi fatto vi abbia, non si può sa- pere così di leggieri; imperocchè la parola MOR, cui il Ganneau afferma doversi ivi leggere preceduta dall’ arti- colo n (2), non ricorre mai nella Bibbia e non si trova nel dizionario ebraico. Ben altrimenti correrebbe la bisogna, ove ne fosse © dritto sospettare, non forse nello stampone malconcio del Ganneau tenesse dietro una 5, di cui vi si fosse per- duta la traccia. Imperocchè allora, dividendo per metà la parola risultantene SMNWYNM, noi avremmo la frase mn UNI, in cui la parola wx, - dalla radice Vuwx, fundavit, stravit, jacto fundamento stabilivit (3) - avrebbe il significato di sostruzione, rimpello, e la parola Sp, quello, che ha bene spesso nella Sacra Scrittura (4), di fos a cioè dotata d’antemurale che la ricinga. Donde tale una Je- zione che non potrebbesi desiderare più ODROLREA ed FENTTRE IOTEÌ (1) V. sopra, cap. VIII, 63. | (FR INTEBRMARIO O (2) Ganneau, loc. cit., p. 382. 44 RSA YONEB (3) Genesius, Lezicon, ad hh. vv. Re RI HAS 4) C£. II Sam. XX. 15; Jos. XXVI. 1; Nah. ui 8; Titor I é 8. acconcia; giacchè in tal caso direbbe Mesa, ch’ei ristorò Bàal Meòn e la rafforzò con sostruzioni, rimpelli e fosse ricinte di mura, di steccati, di bertesche. — Ned oste- rebbe l’ essere questi due nomi al singolare, anzichè al plurale, sendo frequentissimo nelle lingue semitiche, e in ispecie nell’ebraica, l’uso del primo pel secondo (1). Dove poi sia al tutto giusta ed esatta la lezione MOR, riferitaci dal Ganneau, giusta altresì ed esatta hassi a dire l'origine e la significazione, da esso lui attribuitale , di fossa, fossato, dalla radice mu, subsidit, desedit, donde appunto le parole NNW (2), nen (3), mmme-(4), aventi tutte del pari la significazione ‘di fossa (5). - Quanto poi all’, servile od heemantica, che dire si voglia, avendo- sene un bellissimo riscontro nella parola Dx, pyris unguentaria (6), - cui veggiamo formata essa pure mercè un & aggiunta alla radice MD, uncit (7), - non abbiamo per nulla mestieri di ricorrere, per ispiegarnela , al so- spetto non forse sia dessa una forma grammaticale , de- rivata dall'arabo, ed indicante una specie di plurale efalon, $ 0 Ì Jas, come fa il dotto dragomanno francese (8), e pre- ponderebbe a fare il Renan (9). — Che se fra le rovine di Myun si trovasse, come a Kiriathàim e a Medebà (10), (1) Glassius, Philologia Sacra, Lib.3, Tract.1, can. 22. (2) Psalm. VII. 16; IX. 16; XXXV.7; XCIV. 13; Prov. XXVI. 27; Ezech. XIX. 4.8; Job.IX.3I. (3) Psalm. QXIX. 85; LVII.7. (4) Jer.; 11.6; XVIII. 20; Prov. XXII. 14; I. Chron. IV. 11. (5) Cf. Gesenius, Zezicon, ad hh. vv. (6) II. Reg. IV. 2. (7) Gesenius, loc. cit., ad hh. vv. (8) Ganneau, loc. cit. | (9) Renan, L’inscription de Mescha, 1. c., p.333-334. (10) Burckhardt, Reisen, II. 625-626. Vi LR e DIE IR CE IA ap è è grad UA La una vasta cisterna, ben ay e destingiaf al I d’acqua e cittadini e soldati in tempo principalmente d’assedio, potrebbesi benissimo interpretare collo Schlot- tmann.(1) questa parola MON , cisterna ; essendo questa per certo tal cosa, cui doveva badare senz'altro chi di Bàal Meòn avesse voluto fare una fortezza od una piazza d'arme. Tuttavia poichè , più sotto, Mesa, ad esprimere il concetto di cisterna, usa la parola 92 (2), e peraltra parte il circondare di fossa le mura di una fortezza era allora, non altrimenti che a’ dì nostri, parte del sistema di for- tificazione, noi, posto che sia giusta ed esatta la lezione del Ganneau, al significato di cisterna preferiremmo quello di fossa, o fossato. E certo che un tal mezzo di difesa, stia qui onninamente bene, lo riconobbe lo stesso Schlott- mann (3), il quale, ricolmando il vacuo che qui s' aveva nella prima edizione di quest’iscrizione di Mesa fatta dal De-Vogsiié (4), e, in vece della © iniziale scorgendovi con questo dotto francese una M, vi suppliva, le. parole Sm non, Mauer und Graben, bastioni cioè e. fosse (5). (1) Schlottmann, Die Inschrift Mesa'°s, a. a.0., $, 243. (2) Lin. 24-25. (3) Schlottmann, Die Siegessaule Mesa's, S.54, vgl. 11; Die Inschaii Mesa’s, a.a.0., S. 523- 54. (4) Nella Revue Archéologique, Livraison de mars 1870, p, 189-186. (5) Prima che il Ganneau pubblicasse le sue Addilions, et. gorre- ctions (l.c., p.378, sg.), il Kaempf si mostrava inchineyole a porvi 90, torre (a.a.0., S. 25); con che riconosceva, egli pure che qui doveva essere accennata qualche opera di difesa. — Ned: altri- menti la pensava il Geiger ( Weileres ber die Siulé des Mesa, a. a. 0., S. 434), il quale, conosciuta la nuova lezione del Ganneau, considerava la parola MIWN come affine alla caldaica iva, e la traduceva Grundmquern, fondamenti, o, meglio sostruzioni. Lo stesso avverrebbe, ove, secondo, il. nostro, modo .di, vedere; lav . © fe VE DAR > RI 459 CIC ‘A cotesto inciso ne seguita un altro, breve esso pure, ere nel quale dopo le due prime lettere NY ricorre una bre- de. vissima lacuna, capace tutto al più di quattro lettere (1). AR 198 Le parole che tengono dietro a questo vacuo sono + 300 TOP fX. Laonde ella è cosa verisimilissima, siano le pi dué prime lettere di quest’inciso il resto di un verbo di È. | VI, persona prima singolare preceduto da una vau conversiva, non alttimenti che nelle linee 15%, 32, 349. i br Ab fà. Questo verbo, cui il Noldecke non cerca di supplire (2), s vd E. ‘ Ko: i È l'argomento somministratoci dagli antichi morena egizi, sui quali le forme duali dei nomi delle ‘città ca- nanee sono generalmente espresse colla terminazione dm od dn (3). —.Pone il colmo l’ autorità di. Eusebio e di Jeronimo, de'quali il primo, a detta dello Schlottmann (4), scrive or Kapiadatu, or. KapraSaciu, e la traduce 70% avyrertias = DA NMP (5): l’altro scrive Cariathdim e Vin- terpreta villa vel oppidum eorum (6). Or le due etimologie presuppongono evidentemente la lezione DOP, come ricorre diffatto in Ezechiele (7). — Consentaneo a sè stesso, San Jeronimo scrive talvolta Deblathin per Deblathaim, cui traduce « 7addda: eorum (8) », ed interpreta Horonàim « foramen moeroris », quasi leggesse DIN “n 0 Stabilita così e giustificata la lezione di questa parola nell’iscrizione di cui ci occupiamo, giova oramai avver- tire, che come DIDMP, in ebraico, così ancora TOP nel dialetto moabita si è il duale del nome feminino ii} in istato costrutto DIP, urbs, oppidum, deri- (1) Gen. XXXVIII. 21. — A chi poi recassero meraviglia simili con- trazioni quando trattasi di città, ricorda lo Stanley « the well- known contractions in the names of English towns, as Brighton, for Brighthelmston ». Stanley, Sinaî and Palestine, p.524, 1). (2) Rispetto a queste forme contratte dal duale ebraico, v. Ge- senius, Lehrgebiude, S.536; Geschichte der hebraischen Sprache und Schrift, Leipzig 1815, S.49-51. (3) V. Blau in Merx' s Archiv fiir wissenschaftliche Erforschung des Alten Testaments, III. B., S.352. (4) Schlottmann, danni a.a. 0., S.454. (5) Eusebius, Onomast. Sacrum, 1.171, ediz. di Paul de Lagarde. (6) Hieronymus, Onomasi. Siiori) 1.17. (7) Ezech. XXV, 9. Ketib. (8) Hieronymus, Lo. (9) Hieronymus, l.c., 1.50. RE III IE NOOO "di inte "alia ine MP, la quale al pinel ha appunto il significato di contiginavit, strurit, aedificavit, ed è quella stessa, da cui derivano i due nomi mp e XMP, quello ebraico, questo aramaico ,, significanti essi du città , castello (1. Di qui la Carthago dei Latini (2); 1 Cirta, la Cenathio-certa e la Tigrano-certa dei Fenicii o come pure la nwan Mpj, urbs nova, che leggesi sul | rovescio si alcune monete fenicio- sicule, coniate in Pa- lermo (4). OP adunque , mp e Y, significando del . pari dhe oppidum (5), sono tre voci sinonime; v’'ha però questa differenza che YY è parola più solita ad usarsi in prosa (6): MI)Pf per contro e MM - forse per ciò appunto che più antiche, come pensa lo Stanley (7) - ricorrono quelle esclusivamente (8), questa pressochè solo in prosa (9). - (1) Gesenius, Zezicon, ad hh. vv.; Thesaurus, ad hh. vv., p. 1236-37. (2) Gesenius, Il cc. (3) Gesenius, Il. cc. (4) Gesenius, Scripturace linquaeque phoeniciae monumenta, Tab. XXXVII, p.298. — Cf. opp. ce., ll. cc. (5) Gesenius, Thesaurus, ad hh. vv.; Zezicon, ad hh. vv. (6) Cf. First, Librorum Sacrorum V.T. Concordantiae hebraicae ct chaldaicae , ad h.v., pp.805-809. (7) « Kiriah, | EP. chald. NP, from Ra to build ..... apparently the ancient, and thence, in later times, the poetical «word for city ». Stanley, Sinai and ‘Patbstine. p.523. (8) Job. XXIX. 7; Prov. VIII. 3; IX.3-14, XI. ff. (9) C£.Jes. 1.21. 26; XXII. 2; XXV. 2; XXVI-5; XXXII.13; Thren:. II. 141; Hab.II.8.12; Psalm. XLVIII.3; Prov. X. 15; XXIX. 8; Job. XXXIX. 7. — Vedi però eziandio Deut.II.36; II[. 4; I Reg.I. 41.45. Pali» XIII. 104% SRO DEIR ND] ma a n dn Dv: na et: np n° 7 E gli uomini di Gad abitavano nella terra di ‘Ataroth ab antiquo, ed avevasi il Re d’Israele fortificato ‘Ataroth. (lin. 10-11). Narrato così in quali condizioni di cose si trovasse prima di scendere in campo contro l’abborrito oppressore, Mesa sì fa presentemente a contare il suo primo fatto d'armi contro il lurco straniero. Premette che da tempo antichissimo iGaditi s'erano stanziati nel paese di ‘Ataroth, ed ivi il Re d'Israele aveva munito con fortificazioni va- lidissime la città di ‘Ataroth; ma egli l’assalì coll’armi; la prese e ne trucidò tutti gli abitatori in ispettacolo a Chemòsc ed a Modab. Ecco quanto contiensi in questo e nel periodo seguente. Or, facendoci dal primo, osserviamo anzi tutto come nella parola UN) , con che comincia il suo primo inciso, tolta la % copulativa, wa, che ci rimane, corrisponda all’ebraico UR, sopprimendone, giusta l’usanza dei Moa- biti, la * intermedia. WR poi, secondo l’osservazione giu- stissima del De Vogiié (1), sta qui in senso collettivo, e perciò la frase 72 UNI) suona lo stesso che /a gente di Gad, gli uomini di Gad. E questo significato collettivo. della parola W&, seguita dal nome di una città, di una. tribù, di una nazione, noi sappiamo ricorrere frequente-. (1) De Vogiié, dans la Revue Archéologique, Nouvelle Série, XX me vol., Paris 1870, p.187, not. 1. EE GU na vs, ie fi page Re PNRA ca dat Du: Segna mente negli scritti storici degli Ebrei; il che appunto notava. il Gesenius con queste sue parole: WX, « se- quente genitivo urbis, terrae populique, incolam civemve eius noltat (1) ». E poichè questo nome collettivo noi lo troviamo sog- getto or di verbo singolare (2), ed or di verbo plurale (3), proprio sì e come in latino, in italiano ed in greco, non a torto l’ ingegnoso Schlottmann (4), dovendo supplire la piccola lacuna che si trovava nella prima pubblica- zione di cotesta iscrizione fatta dal Conte di Vogùé sulla Rivista Archeologica di Parigi (5), proponea vi si leggesse 2U?, participio presente, numero singolare del verbo au, sedit, consedit, habitavit (6). La quale lezione ac- cettata dal Noldecke (7) e dal Kaempf (8), prima che il Ganneau pubblicasse le sue addizioni alla suddetta iscri- zione (9), fu poscia da quest’ ultimo, non che ammessa volonterosamente, ma trovata e decifrata sulla sua copia ad impronte saglienti (10). Quanto poi alla sua significazione, vuolsi anzitutto av- vertire che il participio da noi chiamato presente, non (1) Gesenius, Lezicon, ad h.v. — Deut. XXVII. 14. coll. I. Sam. VII. 11; I.Sam.XI.8; coll. I. Sam. XVII.52; Jud. XX. 41, coll. 48; come pure Jud. IX. 17; XII, 14; I. Sam. VI. 15: 19; II. Reg. XVII. 30; Jon. IML19. (2) Gf. Jud. VII. 22; XX.11; XXI.1; I, Sam. XIV, 24; IL Sam. XX. | 42-43; I. Chron.X.1; alibi. (3) Jad. VII. 22; VIII. 1.22. IX.55; XX. 17. 33.36.48; I. Sam. XII. 6; XIV.22; I. Chrom. X. 7; II. Chron. V.3, XHI. 15; XX.27. (4) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S. 51. (5) De Vogilé, l.c. (6) First, Hebr. u. chald. Handwéòrterbuch , ad h: v.; Gesenius, Thesourus; ad h.v.; Lericon, ad h. v. (7) Nòldecke, a.a. 0., S. 11. (8) Kaempf, a.a.0., S.24. (9) Ganneau, l.c., p.378-386. (10) Ganneau, l.c., p.382. e i © iride MAI È 2 Saf E 3h = LI di TA "n Dad >. È Pai sa o. 7 Ò aper Fe: di Po. I Sca O ” ci FORAMOTI sp esprimendo per se stesso un tempo determinato , viene in ebraico, egualmente che nelle altre lingue semitiche, adoperato ad esprimere quando il presente, quando il futuro, e quando il preterito, vuoi perfetto, vuoi imper- fetto del verbo ond’esso deriva (1). Il più delle volte basta di per se medesimo il contesto a determinare ne’ varii casi particolari il tempo, a cui designare sia il mede- simo adoperato. Così ad esempio, là dove il Profeta Za- caria conta che l’Angiolo del Signore a lui riapparso lo scosse come scuotesi dal sonno chi dorme, e gli disse : « NS MAR MIO, quid tu videns? (2) », manifesta cosa è che il participio vi è impiegato per designare la persona seconda del verbo vedere al tempo presente (3). E là dove nel Genesi è promesso ad Abramo, che Sara l’ avrebbe fatto padre d’un figlio, la frase: « Sara uxor tua, mi rp! mo, pariens tibi filium (4) », suona evidentemente: « Sara, tua moglie, ti partorirà un figliuolo ». Laddove nelle narrazioni storiche, lorcliè si trova collegato con avvenimenti a lui contemporanei, ma passati, accenna il tempo passato, or perfetto, or più che perfetto, ed or solo imperfetto, a seconda del contesto. Così nel Deuterono- mio, dove leggesi : nin WII Toh: DINIM DPI a}} 47) 9793, “ all. vestri videntes, quae toeli Domi- nus in Bàal Penòr (9) », vuolsi tradurre: «gli occhi vostri (1) Gesenius; Hebraische Grammatik, $ 134. — Cellerier, op.cit., p.240. 241; Poggi, op. cit., p. 441- 413; Glaire, Poinaigioi de “Grett maire Hébr. aique el Chaldoigue, p.134, n. 489. (2) Zachar. IV. 1.2. (3) Cf. Kohel. 1.4.7; II.14; III. 20; VI.6; Gen. IV. 10; XXXII. 19; XLIII.5; I. Sam. XXIII de i; È (4) Gen. XVII. 19. — C£ Gen. III 20; VI.6; VIL 4; Nglieheo di: 11; Jos, VII. 14; Ezr.I.7, ecc. 6) Deut. IV. 3. Vf e Sa coll. 28; I. Sam. XXVI. 3; II. Sam. IX. 13; XL 1; K Reg. XIII. 11. 95. hanno. Jonio ) quanto fece si Signore a Bàal Penòr »; in Ezra, là dove si conta che i Leviti, reduci dalla = vità babilonica « scannarono gli agnelli pasquali per tutti quelli che erano stati in cattività, e per li sacerdoti loro fratelli, e per se stessi (1)», e vi si soggiunge tosto, che « filii Israel mbtamo DIUN, reverienies e transmigra- tione, comederunt Pascha (2) », hassi a tradurre: « e i figli d’Israele, che erano ritornati dall’esiglio, mangiarono la Pasqua »; ma nel Genesi, dove si legge: IV NY IMI, et fluvius egrediens de Eden, vuolsi tradurre: « e un fiume usciva dall’ Eden (3) »; e là dove Faraone, contando a Giuseppe ciò che sognato avea, gli dice: « in somno meo ecce-ego MY, adstans fluminis ripae (4)», si ha a tradurre: « E’ mi pareva nel mio sogno ch'io stava presso alla riva del fiume (5) ». Di qui apparisce, che nell’iscrizione, di cui ci stiamo occupando, la frase: DEY9 NIDI TINI DW TI UNI suona: «e gli uomini di Gad (il che è tanto a dire i Ga- diti) si erano stanziati (6), oppure abitavano nella terra di ‘Ataròth da tempo antichissimo ». Or questa dizione della Stela moabita s'ha bellissimi riscontri. come in molti altri (7), così specialmente ne’ seguenti passi della Bibbia ebraica: 1° cioè quello del Deuteronomio (8) che ricorda (1) Ezrae VI. 21. (2) Ivi, v.21.- (3) Gen. II. 10. (4) Gen., XLI. pre (5) Cf. Cal XLI. 18. 19; XLII. 35; Exod. Il. 6; Yue XIII. 9; I: Sui XVII. 23. i (6) Gent XXXVI. 8; Num. XXXII. 10. (7) V. gr.; Gen. XIV. 12; XXIV. 37; Num. XIII. 19, tal: 18;,29, — (8) Deut. I. 4. Gf. II. 2; IV. 46. . SC ” No d 4 pa i #0; RIPETO vw la »’ PA : «a 470 mer» siccome sconfitti dagli Ebrei « Sihòn, re degli Nm btéel E p2én 3 DWY” WR, qui Hesebonem incolens », vale ‘a dire che abitava in Hesbòn; ed 0g, re di Basàn, 20M VITI nMmwr:, qui Astarothis et Edraei habitans, il quale cioè abitava in ‘Astaròth ed in Edréi (952% quello de’ Giudici, vuoi là dove, raccontando la sollevazione: degli Israeliti contro Jabîn, re di Canàan che regnava in Hafòr, nota che ne comandava le soldatesche un cotal Sisara, DIN nona 2U N°), « et hic Harosethi Ethnicorum degens », cioè a dire, « éd egli abitava in Haròseth de’Gen- tili (2) »; e vuoi là dove nota che « dopo Abimélec, sorse, per liberar Israele da’ suoi nemici, Tolà.... momo della tribù di Issacar, DMIR MI IMI “w NIMI, < qui Samiri in monte Ephraim babitans », « il quale cioè di- morava in Samir nel monte di Efràim (3) vj e soprattutto quello del Genesi, dove, parlandosi delle contese nate fra i pastori del. bestiame di Abramo e quelli del bestiame di Lot, notasi (con dizione rassomigliantissima a questa di Mesa) che i Cananei e i Ferezei abitavano allora nel paese ; e ciò notasi colle parole: YIN3 2IW TR ISDN) "3IZIM e et tunc Chananaeus et Pherezaeus terram illam inco- lentes (4) ». Colle parole poi Iv YYN, s'intende come il paese, la terra, il contado, così ancora le città, le castella e quanto in esso si rinviene. E questo si è appunto il senso che noi troviamo dato nel codice ebraico alle frasi consi- mili, DMXY YIN, terra Aegypti (8) : 7399 TN, terra Cha- (1) Deut. I. 4. Cf. Jos. XII. 4. (2) Jud. IV. 2. i (3) Jud. X. 1. (4) Gen. XII! 7. (5) Exod. VII. 3. 4; X.22; XII. 29-30; Num. VII 13 alibi. ee 4714 cnaan (1): INTO YI, terra Moab (2): por WI: VR ‘terra filiorum Ammon (3): TOY YIN> terra Mispae (4): was YI, terra Laise (5): MONS YI, terra Amorrhaeo- rum (6): 1752m YN, terra Gilead (Î). — Anche i Fenici -davano siffatta significazione alla parola YYX e ce ne porge fra gli altri un bellissimo esempio l’iscrizione di Eschmunazar, re dei Sidonii, là dove dice aver esso alzati templi agli Dei de’Sidonii, D YI 79Y5, in Sidòn, terra del mare (8). Della parola ‘Ataròth, NMWY, dopo di YIX, terra, paese, non si vede sulla copia a calco del Ganneau, se non la N, la quale apparisce chiara e netta sul frammento cor- rispondentevi della pietra (9); le altre lettere mancano, e furono da esso lui supplite, non tanto perchè lo spazio le comporta, quanto perchè nella linea seguente ed in un comma, che fa parte di questo medesimo periodo, si legge pressochè compiutamente il nome di ‘Ataròtàh, NI y. (10); il che fa segno, che questa doveva essere com- presa nel paese, di cui si parla nell’emistichio precedente, che è quello appunto che stiamo illustrando (11). La quale lezione, trovata giustissima dallo Schlottmann (12) e dal (1) Levit. XXV.38; Num. XIII.3; coll. 20. 29. 30; Deut. 32.49; ul (2) Jud. XI. 15; Jerem. XLVIII. 33, (3) Jud. XI. 15; Jos. XIII. 25. (4) Jos. XI. 3. (5) Jud. XVIII. 14, (coll. 7.27. (6) Num. XXI. 31. coll. 25; Jos. XXIV. 8; Jud. X. 8. (7) Jos. XVII. 6; Jud. XX. 1; II. Reg. X. 33; Zach. X. 10. (8) VII. 7. - V. Schlottmann; Die Inschrift Eschmunazars, Ropigs der Sidonier, p. 83. (9) Ganneau, l.c., p. 382. (10) Gannean, Lo. (11) Ganneau, le. (12) Schlottmann, Udito: aa. 0., S. 443. « EC SE i 472 26 Levy (1), s'ha un bellissimo riscontro nell’ N3917M9 YI} terra, paese di Madeba delle due linee precedenti (2) e pur colla semplice N, con che termina la piccola lacuna, dimostra inammessibili le proposte, vuoi del Kaempf,. che inclinerebbe a supplirvi il pronome NNT, non ba- stante per fermo a colmarla (3), vuoi dell’Oppert, che vi legge 2x5, Modb (4), vuoi dello Schlottmann (5) e del Noldecke (6), che vi leggeano jNMp, e vuoi infine del- l’Hitzig (7), il quale volea si supplisse ntMM, sicchè vi si leggesse IWNIN YMN, la contrada della pianura (8), ed il senso fosse questo, che « vel a remotissimis tem- poribus consederant Gaditae in campestribus Moab (9) ». Quanto poi alla positura di questo paese, i dotti sono concordi fra loro nel collocarlo presso al Monte Attarus, sia che questo abbia dato il nome alla città antichissima di ‘Ataròth ed alle sue circostanze, o sia che quella abbia dato il nome sì al paese, e. sì al monte che le stavano dappresso. — Di questa vedi le cose dette più sopra (10). Resta la parola DIN, composta dalla preposizione N, e dal sostantivo D5Y, eguale a Day , il quale suona del pari eternità e tempo lungo, diuturno, rimoto (11): laonde (1) Levy, Das Mesa-Denkmal und seine Schrift, S.9. - (2) Lin. 7-8. (3) Kaempf, a.a.0., S. 24. (4) Oppert, l.c., p. 222, (5) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S. 51. (6) Nòldecke, a. a. 0., $.4..5. 11. (7) Hitzig, a; a. 0., S. 27. GELA (8) Deut. IV. 43; Jerem. XLVIII. 21. coll.; Num. XXI. 1; XXVI. 3; Deut. XXXIV. 8; Jos. XIII. 32. | i (9) Gf. Hitzie, a.a.0. (10) V.sopra, cap. VIII, $ 5. (11) Gesenius, ll. cc., ad Vv. Day. — First, Hebr. u. chald. Band worterbuch, ad h.v. la frase. menolam significa qui da lungo tempo, 0, come scrive il Gesenius (1), a temporibus inde antiquis (2), a longo inde tempore (3): ed ha un bellissimo riscontro nel primo libro di Samuele là dove, parlandosi de’ Ghesurei, de’ Ghirzei e degli Amaleciti stanziati in quel tratto di paese che stendesi da Sur all'Egitto, notasi che Daw aPha) Divo yINa, ipsi habitantes eam terram a lemporibus anti- quissimis (4). — Or quest’osservazione di Mesa, che i Ga- diti s'erano ab antico stanziati in ‘Atharòth nel cuore stesso della tribù di Ruben , e il notare, non senza un mal celato orgoglio, che la prima vittoria da lui ripor- tata in questa sua guerra per la libertà della patria, fu contro i Gaditi (fortissimi fra gli Israeliti), è, come ve- demmo (5), una bellissima conferma di quanto la Bibbia ci narra della vita nomade e dell’indole caratteristica sì de’ Rubeniti e sì de’ Gaditi. Seguitano le parole NMWY N PRI) 329 ni 19, ed avevasi il re di Israele fortificato “Ataròth. — In questo in- ciso mancano, od almeno non appariscono chiare, nella copia ad impronte saglienti del Ganneau, la caph finale in melek, la jod iniziale in jisrael, e la theth in mezzo alla parola ‘Atharéth; tutte tre però facili a supplirsi e volute al tutto dal vocabolo, in cui non appariscono sullo stam- pone suddetto. Di che si fa manifesto che il non appa- rirvi e distinguervisi queste tre lettere non crea imba- . razzo di sorta per la lettura e l’interpretazione di cotesta lapide. Gli è tuttavia a dolere che vi manchi, od almeno (1) Gesenius, Lezicon, 1. c. (2) Cf. Gen., VI. 4; Jos. XXIV. 2; Jerem. II. 20; Ezech. XXVI. 20. (3) Jes. XLII. 14; XLVI. 9; LVII. 11. (4) I. Sam. XXVII.8., (5) V. sopra, T.VIII, p. 879-888. i a ie CA li " FP dal sN ae I» Y pui 7 . . . Aa pe sn È lavi "a non-si possa distinguer bene la heth; imperoechè sarebbe — questa l’unica volta, in cui ricorrerebbe in tutto quanto per noi si ha di siffatta iscrizione, e sarebbe per fermo curiosissimo il vedere come dai Moabiti si scrivesse questa lettera del loro alfabeto (1). Quanto poi alle cose ivi narrate, sembra certo che il fortificatore di ‘Ataròth, di cui Mesa tace il nome, — come questo è più d’una volta taciuto in simili contin- genze (?) dagli storici sacri (*), — se non fu Omri, cui l’iscrizione dice nominatamente esserlo stato di Medebà, fu senz’altro Achàb, sì perchè sappiamo di lui, che e’ fu edificatore e ristoratore di molte città (4), e sì ancora e principalmente perchè sta scritto, che alla sua morte, Mesa levò bandiera di ribellione contro Israele (5). Di ‘Ataròth veggansi le cose discorse più sopra (6). (1) A detta dello Scholz, la W de’ Fenici sarebbe stata la se- guente Y; secondo il De-Wette invece , sarebbe stato questo segno 229; e secondo lo Schréòder, @, ©, Y, LL. — CÉ Scholz, Einleitung in die heiligen Schriften des A. und N. T., Koln 1845, I. Th., Tafel der dllesten Schriftzige. — De-Wette, Lehrbuch der he- braische-judischen Archiologie, Leipzig 1864, Tafet IT; Schroder, Die phonizische Sprache, Tafel A, Das phònizische Alphabet. (2) Schlottmann, Die Sieyessiule Mesa's, S. 19. ; (3) Di vero, nella Storia Sacra bene spesso parlasi del re di Moàb, di Edòm, ecc., come pure del re Faraone, senza che se ne rife- risca il nome. Cf. Num. XX. 14; Jud. XI.17; Il. Reg. III. 9; Num. XVI. 26; I. Sam. XXII. 3; IL Reg. XXIII. 29; LR IX. 16; X.18; coll. Exod. VI. 13; Dauk VII. 8; II. Reg. XVII. a (4) I. Reg. XXII. 39. (5) II. Reg. L 1. (6) V.sopra, cap. VIII, $ 5. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORENO par 1° ar 31 GENNAIO 1875 Monatsbericht der R. zu Berlin; September und October 1874. Berlin, Preussischen Akademie der Wissenschaften 1874; 8°. Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna; serie terza, tomo V, fasc. 2. Bologna, 1874; 4°. Bullettino delle Scienze mediche, pubblicato per cura della Società Medico-Chirargica di Bologna; Dicembre 1874. Bologna, 1874; 8°. Mémoires de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux- Arts de Belgique ; tome XL. Bruxelles, 1873; 4°. Mémoires couronnés et autres Mémoires publiés par l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique; tome XXIII. Bruxelles, 1873; 8°. Mémoires couronnés et Mémoires étrangers publiés par l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique; tome XXXVII-XXXVIII, 1873. Bruxelles, 1873-74; 4°. | Bulletins de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des - Beaux-Arts de Belgique; tome XXXY, XXXVI et XXXVII. Bru- xelles, 1873-74; 8°. r; Biographie nationale publiée par l’Académie Royale des Sciences, des | Lettres et des Beaux-Arts de Belgique; tome 1V, deuxième partie. | Bruxelles, 1873; 8°. Ponatorì Accademia PR. delle Scienze di Berlino, = Ace, delle Scienze di Bo'ogna, pr Società Med.-Chirurgi a È di Bologns. Accademia di Sc., Lett,ed Arti di Bruxelles, Id: i 476 “a Ù dos SA si RE Accademia Reale Annuaire de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des | SA Beaux-Arts de Belgique, 1874. Bruxelles, 1874; 16°. — di Bruxelles. R. Osservatorio Annales de l’Observatoire Royal de Bruxelles, publiées, aux frais Mag Priolo. de l’Etat, par le Directeur A. QUETELET, tomes XXII-XXIII, Bru- = xelles, 1873-74; 4°. Ss RS Id. Annales météorologiques de l’Observatoire Royal de Bruxelles, etc.; ta années 1872-73. Bruxelles, 1874; 4°. 5. Id. Observations des phénomènes périodiques pendant l’année 1872; par is A. QUETELET. Bruxelles, 1873; 49. a i ° CAM: Congrès international de Statistique; Sessions de Bruxelles (1853), ' Paris (1855), Vienne (1857), Londres (1860), Berlin (1863), Flo bot rence (1867), La Haye (1869), et S. Pétersbourg (1872); par A. fn QuereLET. Bruxelles, 1873; 4°, 2 fs id. Notices extraites de l'Annuaire de l’Observatoire de Bruxelles pour 1874; par le Directeur A. QuETELET. Bruxelles, 1874; 24°. e The Quarterly Journal of the Geological Society, etc; vol. XXX, Soc. Geologica di Londra. n. 120. London, 1874; 8°. | R.Istitato Lomb. Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; serie se-. È {Malzuo). conda; vol. VII, fasc. 20 ed ultimo; vol. VIII, fasc. 1. Milano, fta E 1874-75; 8°. È; È Società Atti della Società Italiana di Scienze naturali; vol. XVII, fase. 3. iano.” Milano, 1875; 8°. / | Socieià annuario della Società dei Naturalisti in Modena, ecc. Serie seconda, pa vralisti anno VIII, fasc. 3 e 4. Modena, 1874; 8°, : di Modena, s | Acca delie Reale Abhandlungen der philosophischen Classe der K. Bayerischen Aka- iero demie der Wissenschaften; Band XIII, Abth. 2. Miinchen, 1874; 4°. ANTA Abhandlungen der mathematisch-physikalischen Classe der K. Ba- yerischen Akademie der Wissenschaften; Band XI, Abth. 3. Miinchen, 1874; 4°. dd ‘Sliuiagibericiite der philosophisch- -philologischen und historischen Accademia Reale Classe der K. Bayerischen Akademie der Wissenschaften zu delle Scienze n di Monaco, Miinchen; Band I, Heft 3, und 4; Band II, Heft 1. Miinchen, Mds». 1874; 8°. Fo: ; Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der RK. [CR ; AS Bayerischen Classe; Heft 2. Miinchen, 1874; 8°. — Mt. Ueber den Einfluss des Freiherrn Justus von Liebig auf die Ent- Id. b> da î wicklung der reinen Chemie; eine Denkschrift von Dr. Emil Er- 23 LENMEYER, ete. Munchen, 1874; 4°. a, Ta Ueber Dentschlands Weltstellung; Rede gehalten in der offentlichen Id. e! L Sitzung der K. Akademie der Wissenschaften, etc. von Franz avi von Loner. Miinchen, 1874; 8°. LA Sei i > Mie: Bullettino meteorologico dell’ Osservatorio del R. Collegio CarLO © osservatorio = 0° ALBERTO in Moncalieri; vol. IX, n. 4; Torino, 1874, 4°. dei R. Collegio — di Moncalieri. Nouveaux Mémoires de la Société Impériale des Naturalistes de Società Imp. Moscou; tome Xill, livraison 4. Moscou, 1874; 4°. dei ARIA ‘ i Mosca. Bulletin de la Société Impériale des Naturalistes de Moscou, ete., EVA i tome XLVIII, n. 2. Moscou, 1874; 8°. Mémoires de la Société des Sciences naturelles de Neuchatel; Soc. delle Sc. nat. tome IV, seconde parlie. Neuchatel, 1874; 4°. di Neuchétel. (i Bulletin de la Société de Géographie elc.; Novembre et Décembre. soc. di Cena mi Paris, 1874; 8°, di Mana Bulletin de la Société Géologique de France, etc.; 3ème série, si | î . RO di Franeia ; tome II, n. 6. Paris, 1874; 8°. (Parigi). 1 Meteorologia italiana, Dicembre 1874; pag. 153-156; 4°. Ministero di Agra, È ind. e Comm. LE È Leagi À DE VALI (Rossa)pigi Atti dell’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei, ecc.; anno XXVII, Accad. Pontifici A ) sessione 72 del 5 Luglio 1874. Roma, 1874; 4°, de’ Nuovi Lincei. (Roma). — “tg Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; n. 11 e 12, Novembre —R. Comitato SI e Dicembre 1874. Roma, 1874; 8°. Gelardi i R. Ace. di Medie, ) __ di Torino, R. Istit. Veneto (Venezia). Accad, di Vicenza. Regia Società delle Scienze di Upsal, Id. Sig. Principe ._—B Boncompacni, “ARR Id . L'Autore, Sig. Prof. _G, Bizzozero, LA utore. Olimpica Giornale della R. Accanita di Medicina di Torino; Gennaio 18 1-3; 80. 4 ; x * Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; tomo primo, serie V, disp. 1 e 2. Venezia, 1874; 8°. Atti dell’Accademia Olimpica di Vicenza; .1° semestre 1874, vol. V, Vicenza, 1874; 80, Acta Regiae Societatis Scientiarum Upsaliensis ; seriei tertiae, 1874; 4°. Nova vol. IX, fasc. 1. Upsaliae, Bulletin météorologique mensuel de l’Observatoire, de l’Université d’Upsal; vol. V, n. 7-13. Upsal, 1873; 4°. Bollettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche, pubblicato da B. BoncompagxI; tomo VII, Agosto 1874. Roma, 1874; 4°. Intorno alla vita ed ai lavori di Andalò Di Negro, Matematico ed Astronomo genovese del secolo decimoquarto, e d'altri Matematici e Cosmografi genovesi; Memoria di Cornelio DE Simoni, seguita da un catalogo dei lavori di Andalò Di Negro, compilato da B. BoNncoMPAGNI. Roma, 1874; 4°. II Craniotomo trapanatore, del Dottore BenRUTI Giuseppe, Ostetrico consulente della città di Torino. Torino, 1875; 8°. Studi fatti nel Laboratorio di Patologia sperimentale della R. Uni- versità di Torino, diretto da G. Bizzozero. Bologna, 1873-74; 8°. Il Conte Ludovico Sauli; Necrologia scritta da Gaudenzio CLaRETTA. — Firenze, 1874; 8°. L’odierno concetto chimico dei corpi; Discorso del Prof. Giovanni Campani, per l'inaugurazione dell’anno scolastico 1874-75 nella R. Università di Siena. ‘Siena, 1874; 8°, SRL és L’àge de la pierre et l’àge du bronze en Troade eten Greco; par. Ernest CHiantRE. Toulause; 8°. cel id w pre ai Rd PRESI 33 ; po ATO RE (arte hydrologique du Département de Seine-et-Marne executée par L'Autore. M. presse, Ingénieur en chef des Mines, conformément aux AANAN i, délibérations du Conseil général, ete. P Carte agricole de la France; par M. Deresse, Ingénieur en chef Id. des Mines, etc. Paris, 1874; 8°. Mémoires sur l’achèvement des travaux d’amélioration exécutés aux Sig. Cav. embouchures du Danube par la Commission Européenne, instituée e 4 en vertu de l’article 16 du Traité de Paris du 30 Mars 1856. a Ghiaia Leipzig, 1873; 4°. (Avec 3 cartes jointes au texte et un atlas de 59 planches). Leipzig, 1874; fol°. Le Industrie, l'Agricoltura e il Commercio. Periodico settimanale x Direttori. diretto dai Professori ELIA e PANIZZARDI; anno IV, n. 3. Torino, 1875; 4°. Intorno ai mezzi usati dagli antichi per attenuare le disastrose con- —L’Autore, seguenze dei terremoti; per Antonio Favaro. Venezia, 1874; 8°. Sulle carte di Arborea; Prefazione di Vincenzo FroRENTINO. Firenze, L'A. 1874; 16°. ; » Breve Catechismo di Morale e di Religione naturale e divina, LASER ad uso delle Scuole elementari; di Giuseppe GaLLo. Torino, 1875; 16°. De Carolo Boucherono ; Oratio Eusebii Garitn, Doctoris litteris rà ve. Ri. graecis latinisque tradendis in R. Lyceo cui a Cavour nomen est È Bi factum, babita 1v Non. lanuarias An. Mm. pece. Lxxv; ete, Augustae 4 Taurinorum, 1875; 8°. buo Intorno alla induzione elettrostatica; Sperienze e considerazioni del L'A, Prof. Gilberto Govi. Roma, 1875; 8°. Relazione di Gilberto Govi sugli strumenti scientifici quali erano rappresentati all’ Esposizione universale di Vienna nel giugno 1873. Roma, 1874; 8°. Navigazione atmosferica; di LanziLLo Vincenzo. Torino, 1873; 8°. ne ; pes da Un episodio della Storia del Piemonte nel secolo XII, con tizie e osservazioni critiche sugli eretici Valdesi e ‘Bagnoles per ManveL di S. Giovanni. Torino, 1874; 8°. di 4 Untersuchungen zu Naturlehre des Menschen und der Thiere, he- enon. rausgegeben von Jac. MoLescHoTT; XI Band, 4 Heft. Giessen,, 1874; 8°. SIM uti. Pietro Custodi; per Gaetano Sangiorgio. Firenze, 1874; 80. È î A i piss f i o; Il Traduitore, La Sacra Bibbia, tradotta in versi italiani dal Commendatore Pietro SE Bernabò SiLorata. Roma, 1873, disp. 1-20; 8°. TS i i " s N Sig. G. Tennis: Della imitazione di Cristo di Giovanni Gersenio, volgarizzamento in fe * lingua del trecento per cura di Giuseppe TURRINI. Bologna, 1874; fe i 1 vol. 8° gr. No di i ” : nr 4 5 GE MNTAARIITITÀA - «i x 3 Pie. ia Pea + : | EFLRMT9) v n DA Vr” - i so | tea : Pi‘ tv At P i ° ri è po rari LAS n CLASSE 0 DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Adunanza del 7 Febbraio 1875, PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Cav. M. Lessona dà lettura alla Classe della seguente sua NOTA INTORNO ALLE IPOAPOFISI DE: barra Ea Gli anatomici che si occuparono specialmente della de- scrizione dello scheletro dei mammiferi, ebbero cura di menzionare e descrivere le ipoapofisi od apofisi inferiori delle vertebre dei cetacei, che sono così evidenti nella re- gione caudale, e sono un tratto di più di ravvicinamento tra i pesci e questi mammiferi dal corpo pisciforme: sebbene presentino queste grandi differenze dalle emapofisi dei pesci, che invece di partire dal corpo della vertebra di- scendendo ad incontrarsi, stanno fra due corpi vertebrali fu per due faccette articolari. Ma, al difuori dei cetacei, gli scrittori di anatomia si sono contentati di fare qualche | fuggevole cenno di processi inferiori nelle vertebre dei mammiferi, Ia in realtà essi sono assai numerosi. e a se » n « È P DO da p va Li lo - M DI & % Na Bui Do, X é p Dette ng 1 ia 4 A Tu; P9 4 A g 4 f i i "SANI - VAGA sizione, rammentano più o meno queste stesse apofisi nei delfini e nelle balene. Si trovano anche nelle vertebre x lombari e nelle vertebre dorsali, ma in questo caso non sì scorgono più i due archi inferiori od emapofisi che si vengono ad incontrare costituendo una sorta di anello, ma si tratta solo di un ossicino pisiforme di vario svi- luppo, che si trova intercalato sul margine fra i due corpi vertebrali. Sovente poi, tanto nelle vertebre caudali come nelle lombari, il corpo delle vertebre manda allo ingiù una specie di cresta, che talora ha forma carenata, in altri casi è spiniforme. Questa ultima disposizione spicca so- vrattutto evidentissima nelle prime vertebre lombari della lepre: qui nella prima, nella seconda e nella terza ver- tebra lombare scende giù dal mezzo del corpo della vertebra un processo spiniforme, più corto nella prima vertebra, lunghissimo nella seconda e più tendente alla verticale, alquanto meno lungo che non nella seconda nella terza, e più obliquo: questa disposizione speciale fu avvertita dagli autori, e segnatamente dal CuvieR. Ma essa si trova in molte vertebre di altri mammiferi, senzachè finora se ne sia fatto cenno. Se si lasciano in disparte i volitanti ed ì pinnipedi, si può dire senz'altro che tutti gli altri ordini di mammi- feri presentano esempi più o meno numerosi di ipoapo- fisi vertebrali. I marsupiali, gli sdentati, i rosicanti, sono fra tutti quelli che ne presentano in maggior numero, e con maggiore evidenza di sviluppo e varietà di forme. I ruminanti sono quelli dove si trovano meno; non man- cano nei pachidermi,. non mancano nelle scimie e nei lemuri, si trovano nei carnivori, si trovano negli insetti- da sè si vori scavatori. ri pine x x x TE fi La talpa presenta per questo rispetto qualche partico- Nest S 3 larità che, sebbene non del tutto ignote, per quanto io de = mi sappia, non sono state ancora sufficientemente de- È pe scritte. ur Ò Il signor Owen, nel suo preziosissimo volume intorno (ch 9 alla anatomia dei vertebrati (vol. II. p. 386), parlando delle OG 3 quattro ultime vertebre lombari della talpa, ha le seguenti ò vi : parole « a small, detached, wedge shaped hypapophysis is fixed into the lover interspace of the badies of these vertebra », S A e dà un disegno dimostrativo. de SD In verità queste ipoapofisi non si trovano soltanto fra "2100 3 le vertebre lombari, ma cominciano fra le vertebre dor- La E sali, e proseguono lungo le vertebre caudali. È s $ In parecchi scheletri della Talpa europaea Linn., la sola pe % specie che finora mi sia venuta incontrata in Piemonte, ‘428 | diligentemente preparati dal signor Pio BARALDI, settore N "i È zootomico presso questo Museo di anatomia comparata, cio ho sempre trovato queste ipoapofisi nel numero comples- AR sivo di diecinove, due dorsali, sei lombari, e undici caudali. ia Le vertebre dorsali della Talpa europaea sono tredici; tra la dodicesima e la tredicesima, come tra questa e la prima Se lombare, si trovano la prima e la seconda ipoapofisi. La veli prima è rappresentata nelle figure 1 e 2. La figura 1 rap- I presenta il corpo della vertebra di prospetto, e mostra al Bo disotto la ipoapofisi a: la figura 2 rappresenta il corpo della stessa vertebra di profilo, ed ha parimente sotto la “E stessa ipoapofisi. Questa è un ossicino pisiforme, schiac- 7 ciato, di cui il diametro trasversale è lungo in media | >. _ m.0,004 eil diametro anteroposteriore è circa m. 0, 0005; a | il diametro verticale è m. 0,00025. Il corpo della ver- ‘PRRd tebra ha la larghezza di m. 0,003 e la lunghezza di PONTERIA SE MOR TA “gi; "va, 486 La seconda ipoapofisi, che, come sopra è detto, sta pifta or: 1 % l’ultima dorsale e la prima lombare, ha la stessa forma della precedente, e ne differisce appena pel diametro tras- versale che è di m. 0,0015. La vertebra ultima dorsale non presenta differenza dalla precedente. Le sei ipoapofisi delle vertebre lombari sono tutte al- quanto meno depresse, ed un po’ più grosse delle due dorsali precedenti. La terza e la quarta presentano un rilievo longitudinale careniforme, che corrisponde ad un pari rilievo che si trova sul corpo della vertebra, come fanno vedere le figure 3 e 4 che rappresentano di pro- spetto e di profilo la quarta ipoapofisi lombare, quarta vertebra lombare che le sta sopra. colla Le due prime ipoapofisi lombari sono alquanto più pic- cole delle quattro seguenti. In generale il diametro tras- versale delle ipoapofisi lombari varia tra m. 0,001 e m. 0,002: il loro diametro anteroposteriore varia tra m. 0,0005, e m. 0,001. Nell’ ultima ipoapofisi lombare e nella vertebra corri- spondente non si vedono più le sporgenze carenate, sic- come dimostrano le figure 5 e 6, che la rappresentano di prospetto e di profilo. La figura 7 rappresenta le dùe ultime vertebre dorsali, e tutte e sei le lombari, colle ipoapofisi corrispondenti, a: la lunghezza dalla penultima dorsale al sacro è in media di m. 0,0265. Le Re Le vertebre caudali sono dodici, ed hannò undici ipoa- pofisi. La figura 8 ne rappresenta la disposizione generale. Nelle figure 9 e 10 è rappresentata di prospetto e di profilo la prima vertebra caudale, con inferiormente in a la seconda ipoapofisi, mentre la prima si trova fra il sacro ae e la prima vertebra caudale ; questa vertebra ha un dia sE iz + ia mà i ZA — metro trasversale minore di quello della ipoapofisi: il diametro trasversale di questa è di m. 0,002; il diametro anteroposteriore è di m. 0,0015: essa è alquanto incavata nella parte superiore. Il diametro anteroposteriore del corpo della vertebra è di m. 0,0035. La seconda e la terza vertebra caudale colle corrispon- denti ipoapofisi non presentano differenze dalle precedenti. La quarta vertebra caudale (figura 11) è più lunga e più sottile, e la ipoapofisi che le sta sotto presenta una notevole particolarità in ciò che essa manifesta come una tendenza a sdoppiarsi, mostrandosi fatta come di due parti distinte da una profonda solcatura anteroposteriore, e presentanti ciascuna un rilievo careniforme nella stessa direzione : il corpo della vertebra è largo m. 0,002, lungo m. 0, 0035: la ipoapofisi è larga m. 0, 0015, lunga m. 0,00125. i Nelle vertebre ed ipoapofisi quinta, sesta e settima non si scorge altro divario se non che questo, che il solco .che tende a separare in due le ipoapofisi si va facendo . sempre più profondo. Nella ottava (figura 12) la ipoapofisi è veramente di- visa in due, mostrandosi fortemente carenata in ciascuna delle sue due divisioni. Il diametro trasversale totale delle due ipoapofisi è di m. 0,00175, quello longitudinale di | ognuna è di m. 0,00125. Il diametro trasversale della vertebra è di m. 0,002, quello longitudinale di m. 0,0035. . La forma delle seguenti vertebre ed ipoapofisi non pre- senta altra differenza se non che questa, che vanno grada- . tamente decrescendo. La larghezza delle ipoapofisi caudali varia da m. 0,001 » a m. 0,002, la Ii varia da m. 0,001 a m. 0,0015. 488 | "o SRISARIRIDIIAL La lunghezza totale, dalla prima all’ ultima vertebra caudale, è di m. 0,0395. È Una conformazione strettamente affine a quella testè descritta nello scheletro della Talpa europaea si trova nello scheletro della scalope acquatica dell’America del nord (Sorex aquaticus Linn., Scalops canadensis Desm.). Qui le ver- tebre dorsali sono quindici, le lombari cinque, le cau- dali undici. Le ipoapofisi sono pure due dorsali, poi cin- que lombari, e dieci caudali. Presentano la medesima forma e a un dipresso le medesime dimensioni di quelle della talpa, con questa differenza tuttavia che le ultime caudali non si sdoppiano. Questa rimarchevole affine disposizione fra le scalopi e le talpe mi condusse a cercare che cosa presenti in pro- posito lo scheletro della crisoclori, che rappresenta la talpa nell'Africa meridionale, come la scalope la rappre- senta nell'America settentrionale. Disgraziatamente il solo scheletro di crisoclori che io DI abbia potuto esaminare non è in tale condizione che ci | si possa far sopra assegnamento; è uno scheletro vecchio, non preparato qui, ma comperato tale e quale; d’onde, o nella preparazione poco diligentemente condotta, o dopo, possono essersi staccati cosiffatti minuti ossicini: tuttavia in questo scheletro ho trovato due di queste ipoapofisi, collocate tra le ultime vertebre dorsali, piccole e rotonde. È possibile che ve ne siano altre; ma è probabile anche che la crisoclori, siccome meno abile scavatrice della talpa, abbia anche meno sviluppate queste ipoapofisi, delle quali poi non ho trovato traccia negli insettivori non scavatori. Talpa “li europea, £ Torino, Lit FI Doyer i 0 PA iL, i: Pag 1 Pa (00 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA: D e $ « G FiGura 1.8 Dodicesima vertebra dorsale, veduta di prospetto, a Tear 4 ipoapofisi. pai be si » 2.2 La stessa vertebra, colla stessa ipoapofisi a, veduta di "RIO profilo. Pesi È È È » 3.8 Quarta vertebra lombare di prospetto, a ipoapofisi. A CA Pi » 4a Quarta vertebra lombare di profilo, a ipoapofisi. oca d » 5.8 Ultima vertebra lombare di prospetto, a ipoapofisi. SERE ha ia Sa RE A » 6. La stessa vertebra, colla stessa ipoapofisi a, di profilo. pa & » 7.8 Vertebre dorsali e lombari fornite di ipoapofisi a. tale gi » 8.a Vertebre caudali colle ipoapofisi a. } Da ; ” .a Prima vertebra caudale, colla ipoapofisi a di prospetto. to 50, » 10.2 La stessa di profilo. da » 11.* Quarta vertebra caudale colla ipoapofisi a, tendente a Bi sdoppiarsi. o ; ton Ci Ottava vertebra caudale, colla ipoapofisi a sdoppiata. Adunanza del 21 Febbraio 1875/00 PRESIDENZA DEL SIG. COMM. P. RICHELMY VICE-PRESIDENTE a Il Socio Cav. B. Gastapi legge alla Classe la seguente sua Nota SUR LES GLACIERS PLIOCENIQUES DE M” E. DESOR. Dans le compte-rendu de la 57" session de la Société Helvétique des Sciences naturelles réunie à Coire le 11 et 12 septembre 1874, publié par la Revue Suisse du 15 octobre suivant, on lit: ..+. € M" le professeur Desor communique les observa- » tions qu’il a faites sur les moraines du versant méri- » dional des Alpes. On trouve à Bernate, près de Camer- » lata, non loin de Como, au milieu des cailloux et des ‘#» marnes d’une ancienne moraine, un grand nombre de » fossiles pliocènes (Et. Astien,J.MAyER) qui sont très-bien » conservés et ne sont nullement roulés. Cerithium vul- » gatum Bruc, Pleurotomaria interrupta Broc, turricula BRoc, » Fusus aduncus Broc, angulosus Broc, Murex scalaris BROc, — » Buccinum mutabile L., reticulatum L., etc. M" Desor en —_ » indique trente-huit espèces, dont douze vivent encore » aujourd’hui dans la Méditerranée. Un échantillon qui » se trouve au Musée ide Milan contient à la fois un » caillou poli et strié et une spatangoide, oursin délicat, | » mais bien conservé, qui prouve que ces fossiles n’ont_ ME IR e Lr 2 INI » pas été roulés. Il faut done qu’un ancien glacier ait » déposé dans cette localité sa moraine terminale au bord » méme de la mer pliocène qui formait un golfe dans la » plaine actuelle de la Lombardie, à une époque où les » Alpes existaient déjà sous la forme d’une haute chaîne. » La faune de Bernate est une faune de mer tempérée » plutòt chaude; on y trouve des polypiers; on y a re- » cueilli aussi des fragments de plantes qui indiquent » une végétation arborescente. » Les faits observés dans la moraine de Camerlata » ne sont point isolés, et divers indices font croire è » M" Desor qu’ils se retrouvent dans plusieurs des an- » ciennes moraines de la Lombardie. Ils rappellent les » circonstances climatériques actuelles de la Nouvelle- .» Zélande. Ces découvertes prouvent que la période plio- » cène et la période actuelle sont intimement unies, et ne » devraient former en réalité qu’une seule époque séparée » de l’époque miocène par une différence beaucoup plus » grande dans la faune et le soulèvement des Alpes ». Le fait du mélange de fossiles pliocéniques avec des débris glaciaires au pied du versant méridional des Alpes n’est pas nouveau. Il y a une vingtaine d’années, M" A. Siswonpa, qui n’a jamais cru et qui ne croit pas à l’ancienne extension des glaciers alpins, disait: — Comment voulez-vous que la Serra et les autres collines qui entourent Ivrée soient des anciennes moraines puisqu’elles renferment à leur base des fossiles marins du pliocène! — Moi-mème, dans les Mémoires que j'ai publiés sur le terrain erratique du Piémont, j'ai signalé quelque part la présence de la marne pliocénique avec des débris de coquilles marines en contact immédiat avec des débris morainiques dans x dire 7 10,5 ) 229 l’intériear de l’amphithéàtre d’Ivrée, entre afazze et VI SA sche, sur la droite de la Dora Baltea. © pareti Mais il ne s’agit pas ici de la nouveauté ou non du fait; il s’agit plutot de la manière de l'interpréter. M" Desor nous dit donc que, sur notre versant des Alpes, les glaciers, à l’époque de leur plus grande exten- sion, ont poussé leur pied dans la mer pliocénique et que la période pliocénique qui, jusqu’à présent dans le monde des géologues, était censée former le conronnement de l’époque tertiaire, n’est, en réalité, que le commence- ment, l’aurore de l’époque actuelle. Cependant il sent lui-méme le besoin d’appuyer cette dernière proposition, il sent le besoin de trouver une séparation plus nette, plus déterminée, mieux sentie entre ce nouveau jour de l’époque actuelle et la fin de l’éepoque miocène. En effet il ajoute: «La période pliocène et la période actuelle ne de- » vraient former en réalité qu’une seule époque séparée » de l’époque miocène par une différence- beaucoup plus » grande dans la faune et le soulèvement des Alpes ». C'est précisément cette séparation qu’il n’est pas pos- sible de trouver. La faune miocénique se fond si gra- duellement et si intimement avec celle du pliocène que le séologue, pour trouver une limite possible entre ces x deux terrains, est obligé de recourir à la séognosie plutòt qu’à la paléontologie, et il place la limite sup@ rieure du miocène sur la grande zone de gypse qui, du pied des Alpes maritimes, descend sans interruption tout sd è le long de la péninsule italienne. La difficulté qu'on trouve à séparer le plicetiio du SUI, miocène reparaît lorsqu'on cherche à séparer le miocène — supérieur du moyen, ce dernier du miocbne inferienr, Gra DI ocène, et l’eocène du crétacé. Les faunes de 135 chi I ua . i RETTA a Li nt = È pes } fi TRE 2 i | vari __ celui-ci de V’é | tous ces horizons se fondent intimement ensemble, de ci | sorte que le pliocène n’a pas plus de raison que le # miocène ou l’éocène ou le crétacé d’étre considéré comme fis l’aurore de. l’époque actuelle. dr Rien, du reste, ne prouve mieux la difficulté de trouver i une séparation un peu tranchée entre les différents hori- “ N zons du terrain tertiaire que le grand nombre de subdi- STA visions proposées pour ce terrain par MM. Pareto, MayER pista. et SEGUENZA. Il y a cependant un fait dont l’observation doit frapper le géologue qui étudie nos terrains les plus récents; c’est 3 - la superposition immédiate des couches renfermant la ; puissante et magnifique faune de grands pachydermes et 7 | de ruminants aux couches marines de sable jaune du pliocène supérieur. Ici la séparation est aussi nette, aussi tranchée qu'on peut la désirer. Au régime de la mer succède celui de l’ean douce courant sur le sol émergé ; les mollusques, les polypiers, les oursins cèdent sans transition la place aux mastodontes, aux éléphants, aux HA rhinocéros, aux hyppopotames, aux cerfs, aux boeufs etc. Il y a plus: l’observation nous montre qu’à partir de la couche à grands pachydermes, le régime marin a cessé pour toujours dans la vallée du Pò, et que, sur le sol émergé, les faunes terrestres se sont succédé sans in- sw * terruption jusqu'à nous. 29 Pour nous donc qui habitons cette vallée, la période 5 pliocénique, lorsque la mer occupait notre pays, ne peut pas étre l’aurore de l’époque actuelle; pour nous, l’aurore : _ de l’époque où nous vivons, paraît bien mieux à l’horizon ù @ lorsque le sol de notre vallée, émergeant de la mer plio- > N + cénique, permit aux grands pachydermes de venir 1’ habiter. | ; : È P Prandi. Mi. i 1 rà us, 20 AI Met: eo. la fe «È T POSTARE Fata M" Desor, se transportant en esprit è l’époque où, d’après son opinion, les glaciers de notre versant des Alpes baignaient leur pied dans le grand golfe adriatique au- jourd’hui à sec, nous dit que ces faits rappellent les cir- constances climatériques actuelles dans la Nouvelle-Zé- lande. Le tableau est séduisant, on ne peut pas le nier, mais il lui manque, au moins en partie, la couleur locale, le peu de flore pliocénique que nous connaissons étant composée des genres Acer, Populus, Alnus, Corylus, Quercus elc., flore qui ne reproduit pas exactement celle de la Nouvelle Zélande. x Mais tout séduisant qu'il puisse étre, laissons le tableau comparatif entre la vallée du Pò et la Nouvelle-Zélande et venons à la partie sérieuse de la question qui, sous un autre aspect, est encore la question des bassins lacustres. L'existence des bassins lacustres subalpins est intimement liée avec celle des glaciers à l’époque de leur plus grande extension. Douze grandes vallées descendent des Alpes comprises entre le Mont Viso et la source de l’Adige; je ne parle ici que des vallées dont le point de départ s’élève jusqu'au faite de la chaîne. De ces 12 vallées il y en a six, et ce sont les plus importantes sous le rapport orographique, qui, au lieu de déboucher directement dans la plaine, s'ouvrent dans un amphithéàtre morainique, ce qui veut dire que seulement dans ces six vallées le glacier a pu descendre jusqu’à la plaine et s’y arréter tout le temps nécessaire pour y construire sa moraine ‘terminale. Mais en face de la chaîne alpine comprise entre le Mont Viso. et la source de l’Adige s’élève une autre chaîne, celle qui court entre le Mont Viso et l’Apennin de la Toscane; de | cette chaiîne descendent vers le Pò 18 grandes vallées. ‘Aux débouchés de ces 18 vallées on ne voit aucune trace Fuel d’amphithéàtre morainique. Ainsi dans le grand bassin du Pò descendent 30 vallées alpines et apennines; de ces 30 vallées six seulement s'ouvrent dans un amphithéatre morainique, et ces six am- phithéàtres morainiques renferment tous les lacs subalpins. La couche à grands pachydermes est un horizon qui fixe avec précision le niveau de la mer pliocénique tout le long de la chaîne apennine. Ce niveau est plus élevé que celui des lacs subalpins. Les bassins de ces lacs préexistaient-ils à la période pliocénique ? Comment se fait-il alors que ces bassins sont restés vides? Comment se fait-il que les dépòts ar- gillo-marneux sableux et caillouteux du pliocène ne les ont pas comblés ? Ces bassins ne préexistaient-ils pas à la période plio- cénique? Quel est alors l’agent qui les a creusés? Notons ici un fait qui a peut-étre beaucoup de rapport avec l’argument que nous traitons. Si l’on marche dans le sens de la pente du Pò, le long de la chaîne comprise entre le Mont Viso et la source de l'Adige, on remarque que les douze vallées principales, une seule exceptée, augmentent en importance orographique, importance qui s’exprime, se manifeste par l’extension toujours croissante de leurs amphithéatres morainiques. Ainsi les vallées du Pò, du Pellice, du Chisone n’ont pas d’amphithéatre ; la vallée de la Riparia commence la série des vallées qui ‘s'ouvrent dans un amphithéatre morainique; la vallée de la Baltea a un amphithéàtre plus vaste que celui de la Riparia; l’amphithéatre de la vallée du Toce est plus gtendu que le précédent; celui de la vallée de l’Adda n'est pas en amplitude supérieur à pato du Toce; mais i faut remarquer que dans ce dernier s’ouvrent deux vallées , ‘ A celle du Tessin et celle du Toce. L'amphithéàtre de la “95 vallée de l’Oglio fait exception à la règle, mais celui de Si la vallée de l’Adige la confirme de nouveau. È SL L’amplitude des lacs actuels, celle des anciens lacs au- Îa sa jourd’hui comblés (de Rivoli et d’Ivrée) répond parfaite- b: ment — à l’exception toujours de celui d’Iseo — à l’am- N plitude, à l’importance des amphithéatres morainiques. Ù Remarquons qu’à l’embouchure de la vallée de la Riparia, È creusée dans les terrains cristallins, on ne voit pas de trace “adi de terrains sédimentaires; que sur plusieurs points de pc l’amphithéatre d’Ivrée affleurent les marnes pliocéniques; do 2 qu’à l’embouchure de la vallée Toce-Tessin et à celle de si la vallée de l’Adda les terrains tertiaires et secondaires ad prennent déjà un développement considérable qui s’ac- SA croît à l'embouchure de celle de l'Adige. On voit ainsi I qu’à la base des Alpes comprises entre le Mont Viso et s. la source de l'Adige, la zone des terrains sédimentaires Di va en s’élargissant à partir de l’amphithéàtre morainique È; : de la Riparia jusqu’au lac de Garda, et que l’amplitude A croissante de la zone répond parfaitement à l'amplitude REY croissante des amphithéàtres morainiques et des lacs to qu’ils renferment. Remarquons enfin que les amphithéà- tres des deux Doires, Riparia et Baltea, sont, pour ainsi a dire, en dehors des Alpes, tandis que ceux du Toce, de Sa l’Adda et de l’Adige obligent les lacs qu’ils renferment à £ s'alonger dans l’intérieur des vallées alpines. | n Voyons maintenant comment nous devons classer nos Ù «SU lacs subalpins. : Tal È k > @ Ces lacs d'abord sont relativement récents, puisque leur nes | bassin est en partie creusé dans les couches pliocéniques. ta - a ; SS 3 Dans la vallée du Pò il n’y a certes pas à chercher des lacs de rupture, des bassins lacustres dont les parois et i - le fond soient des couches pliées è fond de bateau. È 7 La direction générale des couches soit fossilifères, soit métamorphiques dont sont formées nos Alpes est parallele au faîte de la chaîne; il sensuit que les vallées qui des- cendent en droite ligne vers ia piaine du Pò coupent È normalement ces couches. Il y a cependant quelques i vallées dont une portion considérable est creusée dans le k ) -_—’“sens de l’axe de la chaîne. Ainsi dans la vallée de la 3 Riparia, le torrent, depuis sa source jusqu’'à Qulx, court entre couche et couche; depuis Suse jusqu’au débouché de la vallée il coupe les couches; entre Oulx et Suse il descend probablement le long d’une faille, mais dans un lit profond ou mieux dans une véritable gorsge. En général et sauf quelque cas bien rare, nos vallées alpines sont des vallées d’érosion. L’action des glaciers a dî certainement venir en aide aux agents atmosphériques etàl’eau courante pour opérer le creusement, pour don- ner au relief des vallées des formes particulières, mais l’action atmosphérique et l’eau ont pu, indépendamment de l’action glaciaire, opérer le creusement. En effet on ob- serve que là où le glacier n’est pas descendu jusqu'à la plaine, la vallée n’est pas moins large et profonde; et È: - on observe aussi qu'en général les vallées alpines ont dù —’préexisterau pliocène, puisque la mer pliocénique est en- trée dans l’intérieur.des vallées en y formant des fyords. è fl rat sti Py fa ceti aiar « Ainsi on trouve des dépòts pliocéniques dans la Sessera - et dans l’Antrona, vallées latérales à celle de la Sesia. «Là où la vallée s'ouvre dans un amphithéàtre morainique d È ccupé par un grand lac, le bassin du lac est encore un | bassin d’érosion. SOR i Li " 773 X13:6x-7659Ì. 1 Eguagliando la somma delle due forze trovate all’ ela- ' ® Er CAIGR Pa) n t, RITI RCA <* % pi ale reca cl LL TO Agi sticità del secondo strato, la quale si deduce da que ;> 7: del primo scrivendo è + Ad al posto di è, si avrà l’equa- zione differenziale cercata, che è Ar°n2-drdr= 773 x13:-6x 76 993. Dividendo per è ed integrando, si ricava Qa'n!r? VEE IHR ZIT Resta da determinare la costante. Chiamando A il rag- gio della ruota, e supponendo che l’aria esterna sia alla pressione di un’ atmosfera, ad = dovrà corrispondere $=1. Onde l'equazione della curva delle densità su cia- scun raggio della ruota è n° n° (r° — R°) 3994864 9 Come ben si comprende, l’apparecchio descritto può ser- vire da macchina pneumatica, poichè l’aria, spinta dalla forza centrifuga lungo i fori del disco, fluirà dal centro alla periferia di questo, e andrà rarefacendosi nella cam- pana più o meno, dipendentemente dall’ampiezza del disco e dalla celerità di rotazione. Il grado di rarefazione, che si otterrà con un disco di grandezza data e con una ro- tazione determinata si trova facilmente come segue. Per semplificare i calcoli numerici, e fare il caso più sfavorevole alla macchina, supporrò g=7*, e scriverò 4000 al posto del coefficiente numerico, il che dà i n? (12 pil R?) uÈ logd= — To G 3 Da log è + costante = logò= Supponendo R=1", ed r=0, calcolo il valore di è fa- cendo successivamente n=10, 20, 30, ... 200. Si ottiene | in tal modo il grado di rarefazione che dà la macchina al centro corrispondentemente a questa velocità di vole, zione. Si trova così .. AE RIBTIRMO a TI e ra Art 4 pern=10 3=-975 pern=A10 è='0487 ll sn 20- v- 1008: ni» 1420» 10274 » - pruanbi30 » ‘800 » » 130 » ‘0146 E nina? 40 de ». » 140.» ‘0074 E sa dona RIA wap tb, 0036 i » nidi 1407 »» 160 » ‘00166 ; e nen ». » 170 » ‘0007288 mon. n 80» 202 ». » 180. » ‘0003036 ; pts: di 430 » » 190 » ‘0001061 È 4 4001 74,082 » ». 200. ». ‘0000454. Si vede da questa tavola come lentamente decresca da principio la densità col crescere della celerità di rota- zione, ma oltrepassati i 150 giri per secondo, essa de- cresce assai rapidamente. A 160 giri si ottiene un vuoto di poco più di un millimetro di mercurio; a 200 quello di 3 centesimi di millimetro. Si può quasi dire il vuoto torricelliano. «_‘’©on una macchina di questo genere, quando sì riu- i scisse.a costruirla convenientemente e con materiali di A «sufficiente resistenza, potrebbesi in realtà ottenere il vuoto «assoluto; invero, scemando la densità fino ad un certo limite, che non è ancora conosciuto, l’elasticità dell’aria _‘’‘si riduce a zero, cioè a quello stato in cui si trova nelle È regioni superiori dell’atmosfera, ove la tendenza all’espan- dersi dell’aria è vinta dalla forza di gravità. A questo limite, che forse si raggiunge con 240 o 250 girì per se- condo colla ruota di un metro di raggio, tulta l’aria è lanciata dalla forza centrifuga a distanza dall’ asse, e sì i fa nel vaso il vuoto assoluto. Ù «Conviene notare che ì valori numerici trovati per è pec- | cano per eccesso, poichè nella formola ho sostituito il # vh tI U e saw DITE ch Ng AVIS Ida RIT Pt ae ee E TROVA SR RIE numero tondo 4000 ad un numero minore, ed ho assunto g=7r*, il che rende maggiore del vero il valore di dl Inoltre ho supposto la densità dell’aria alla circonferenza della ruota eguale ad 1, ossia la pressione di 76 centi- metri. Ne’ paesi (come a Torino), dove la pressione atmo- sferica è minore, la densità centrale dell’aria nella ruota ca riesce minore della calcolata, poichè viene mutato il va- lore della costante nell’integrale. - Sia d' la densità dell’aria fuori del disco girante; do- vremo determinare la costante in modo, che ad r=& corrisponda è= è. Onde l'equazione d’equilibrio diverrà 58 t £ d __n°n°(r* —R) È og = an "SA db) 3994 8649 4 sa. : Ca i il che fa vedere, che, lavorando la macchina in un’aria RE rarefatta, la densità al centro del disco varrà, per ciascun i caso, il prodotto della densità esterna per la densità che i si otterrebbe al centro, se la pressione esterna fosse di ; un’atmosfera. i «QUAL Cambiando il diametro della ruota, per ottenere al centro gli stessi gradi di rarefazione, bisogna cambiare la velo- cità di rotazione, essendo, per è costante, il numero dei giri in ragione inversa del diametro. Così, con una ruota di 50 centimetri di raggio, duplicando il numero de’ giri per secondo, si ottengono al centro rispettivamente le stesse densità sopra calcolate, e si otterrebbero ancora le stesse densità rispettivamente con una ruota di un de- cimetro di raggio, rendendo decuplo il numero de’ giri. — Quindi, per ottenere il vuoto a 3 centesimi di milli- | metro di mercurio (quasi il vuoto torricelliano), cosa che e si è ben lungi dal poter conseguire con nessuna delle più perfette macchine pneumatiche ordinarie, basta far girare — îa " VO, Lane Goa velocità di 200 giri per secondo una ruota di un metro di raggio, o colla velocità di 400 giri una ruota di 50 centimetri di raggio, o colla velocità di 2000 giri una ruota di un decimetro di raggio. Nello stato attuale della meccanica pratica la costru- zione di una macchina pneumatica di questo genere è cosa che non può presentare gravi difficoltà, per ciò che riguarda il movimento e l’esecuzione delle parti. Un osta» colo gravissimo s'incontra nello stabilire l'unione della parte mobile colla parte fissa senza passaggio d’aria. Io sto lavorando per tradurre dalla teoria nella pratica il concetto spiegato, ed ho speranza di vincere la difficoltà di commettere le due parti con un mezzo quanto sem- plice, altrettanto efficace. Resta a vedere fino a qual li- mite di velocità di rotazione la tenacità delle parti della ruota potrà resistere alla forza centrifuga. La sola spe- rienza può risolvere questa difficoltà (1). Riuscendo, la macchina pneumatica a forza centrifuga non solo potrà vantaggiosamente sostituirsi alle ordinarie macchine ne’ gabinetti di fisica e di chimica, ma servire ancora ad utili applicazioni. Mi limiterò ad accennarne una sola, la trasmissione di forza motrice a distanza. Facciasi girare una di queste ruote dove la forza motrice è disponibile, e mettasi il suo centro col mezzo di un tubo in comunicazione col sito ove occorre di fare il lavoro. È chiaro, che, adattando a questo iubo un vaso, (1) Il teorema sopra stabilito, relativamente alla macchina che lavora in un’aria rarefatta, conduce ad una soluzione pratica del | problema, potendosi con una serie di dischi convenientemente di- | sposti conseguire quel grado che si desidera di rarefazione dell’aria con una velocità di rotazione Sr ee oi anche tanto © piccola quanto si or # si otterrebbe in esso il vuoto a qualunque sica La ART sciando invece il tubo aperto e comunicante coll’ aria atmosferica, una corrente aerea s'incanalerà nel tubo e potrà dar moto ad una ruota. Grandemente utile ancora può tornare la nuova mac- TICA china, col suo tubo d'aspirazione, per la distribuzione a del vuoto, se così è lecito dire, a diversi compartimenti bo di un laboratorio di fisica o di chimica, ove lavorano si- Db: fi multaneamente più sperimentatori. Il tubo si divide in‘ « dr gi 3 | — Il Socio Comm. A. Sosrero, Segretario perpetuo della Classe, pregato dal Socio assente Comm. G. Copazza, È presenta e legge a nome dell'autore, sig. Prof. Giovanni DIA Luvini, la seguente PROPOSTA DI UNA SPERIENZA ©. SI CHE PUÒ RISOLVERE IN MODO DECISIVO ai i PE po LA QUESTIONE: SE L'’ETERE NELL’INTERNO DE’ CORPI SIA CON QUESTI COLLEGATO E LI SEGUA NEI LORO MOVIMENTI TOTALMENTE, PARZIALMENTE 0 PUNTO. Non solamente la teoria delle vibrazioni eteree, in quanto che servono alla trasmissione della luce, dei calore e dell’azione chimica, ma l’intiera fisica e quella parte specialmente di essa, che riguarda l’interna strut- tura de’ corpi e le azioni molecolari, grandemente sì : vantaggerebbe colla soluzione della quistione enunciata c ‘nel titolo della presente nota. Egli è per ciò che i più grandi fisici, come FrESNEL, ARAGO, DOPPLER, STOKES, CgaLLIS, ecc., rivolsero alla medesima i loro studi e fe- cero tentativi per ottenerne una soluzione. id © Prima della famosa sperienza del signor Fizeau (Com- È pies Rendus, 1851) a questo riguardo non si possedevano È «he ipotesi teoriche intorno alla natura del legame .che | vi ha tra l’etere e la materia de’ corpi. Vi fu chi attribuì ._—‘all’etere un’assoluta indipendenza dalla materia pondera- bile, cosicchè, movendosi un corpo, l’etere che si trova tra ; n oi sistemi molecolari ed atomistici di esso non partecipe-. rebbe punto a quel movimento. Altri invece riguardarono _ l'etere come fisso ne'corpi, e partecipante completamente | ad ogni moto de’ medesimi. il = ra ae sea 1 RTRT de ATI = Ent i FrasneL tenne la via di mezzo, e fondintogti POR i risultato sperimentale di Araco , il quale avrebbe dimo- strato, che il movimento della terra non ha influenza sulla rifrazione della luce delle stelle. nel. prisma, con un ragionamento, che non è troppo chiaro agli occhi di tutti, conchiuse, che una porzione sola dell’etere partecipa al movimento de’ corpi, ed una porzione è pienamente libera. La prima ipotesi, quella dell’ assoluta indipendenza dell’etere, ha ben poco fondamento. Come si spieghereb- bero in questa ipotesi le azioni chimiche e calorifiche delle vibrazioni eteree, e la proiluzione di calore e di luce con azioni meccaniche, senza una comunicazione reciproca di movimento tra l’etere ed i corpi? Restano le altre due. Una sperienza di BaBineT (Comptes Rendus, Tomo ix ) sembrerebbe contraria all’ ipotesi di FresneL ; ma il signor Fizeau infirma l’importanza di questo risultato considerando che la differenza di corsa dei raggi, che interferiscono nella sperienza di BaBiNnET, può essere alterata dalla riflessione su specchi in movimento. Quindi in una quistione di tanta importanza ci vediamo ridotti ad un solo risultato un po’ attendibile, alla spe- rienza del signor Fizrav, il quale dall’interferenza di due fascetti luminosi attraversanti una massa d’acqua, uno in direzione contraria al movimento di questa e l'altro nella stessa direzione, in confronto coll’interferenza degli stessi fascelti attraversanti l’acqua in riposo, ottenne tali spostamenti di frangie, che sarebbero pienamente d'ac- N cordo coll’ipotesi di FRESNEL. Ammesso questo risultato, siamo noi autorizzati a ‘con- chiudere che quel che avviene per l’acqua debba veri - ficarsi per tutti gli altri liquidi, e specialmente per de corpi solidi? Io penso da la quistione sia ben lungi dall’essere risoluta, e che nuove sperienze in proposito possano arrecare nuovi lumi, e spero quindi che i dotti vogliano prendere in considerazione il tentativo che pro- pongo per dilucidare la quistione di cui si tratta. È una nuova sperienza che non ho ancora fatto, ma che spero di poter eseguire forse fra non molto. Mentre sto prepa- rando i materiali per la medesima, ho giudicato non inopportuno di pubblicarne l’idea, non tanto nello scopo di prendere data, quanto coll’intendimento di conseguire da parte de’ dotti, che vorranno leggere questa mia pro- posta, quei suggerimenti che crederanno acconci a faci- litarmi il lavoro. Dichiaro intanto che nor intendo di fare quistione di priorità in quanto all’ esecuzione della spe- rienza. Ove altri volesse tentarla e riuscisse ad ottenere buoni risultati e prima di me li pubblicasse, non solo io non sarei per mostrare risentimento, ma ancora gli saprei grado che in vantaggio della scienza abbia potuto dar corpo ad una mia idea. . Ecco intanto il fondamento della sperienza che pro- pongo. Un fascetto di luce a raggi paralleli attraversa un disco omogeneo trasparente (una lente cilindrica) in un piano perpendicolare all’asse del disco. È chiaro che , se questo è in riposo, la luce cammina per esso in linea retta, e la stessa cosa avviene anche nel caso in cui il disco giri con qualunque celerità intorno al suo asse, ove l’etere sia nel disco affatto indipendente dalla materia ponderabile. Ma se un legame esiste tra la materia del disco e l’etere, per cui questo partecipi in qualche modo al movimento di quello, necessariamente deve la luce, attraversando il disco, cambiare di direzione colla gotazione di esso. Supponiamo che l'etere paiantiii dell’ intiero n | Via mento del disco. Alla semplice intuizione si comprende, g che in questo caso la deviazione totale della luce nel- l'interno del disco è uguale all’angolo di cui gira il di- sco nel tempo che la luce impiega ad attraversarlo. Per togliere ogni dubbio in proposito darò di questo AGIRE fondamentale una dimostrazione geometrica. Rappresenti il cerchio A una sezione del disco normale all’asse, e percorsa da un raggio di luce che entra nel di- sco in B colla direzione della corda BC. Movendosi l’etere col disco a seconda della freccia, ecco come determino la ; velocità di esso nel senso della corda BC. Facendo il di- sco n giri per secondo ed essendo 0D=a metri la di- stanza della corda dal centro , la velocità dell’ etere nel punto D sarà di 2rna metri per secondo. Ora io dico che questa è la velocità costante del movimento etereo nel senso della corda BC in qualunque punto di essa. Infatti consideriamo il punto £; ivi la velocità assoluta. è 2xnX 0E, e la sua direzione è normale alla retta OE. La sua componente nella direzione EC si ottiene molti- plicando la velocità ora scritta pel coseno dell'angolo che la sua direzione fa con EC, an- golo equivalente ad EOD, ed il ° a cui coseno è OE Dunque la velocità dell’ etere in E nella direzione della corda BC vale 2rna, come in D, il che era da i aa che nel tempo in cui il disco fa un piccolo movimento an- golare DOF, una faccia mm d'onda luminosa per la sua velocità naturale nella materia del disco percorra la di- stanza mm', cosicchè questa faccia d’onda passerebbe du- rante quel tempo da mm in m'm' se il disco fosse in riposo, ovvero se l’etere non si movesse col disco. Ma nell'ipotesi fatta compiendo il disco quel piccolo movi- mento, le molecole eteree, che si trovavano sulla linea GD, | —passano sulla linea HF; ed essendo la velocità dell'etere lungo ciascuna corda costante pel teorema dimostrato, ne segue che in quel medesimo tempo le singole particelle eteree lungo la corda BC si trasportano d’una quantità eguale a DF nel senso della rotazione, e di una quan- tità eguale a GH sulla corda MN. Quindi la faccia d’onda luminosa mm, che coll’etere in riposo si sarebbe in quel tempo trasportata in m'm', dovendo partecipare al mo- vimento dell’etere, si trasporterà in m"m'", essendo m'm" = GH, e m'm"=DF. Condotte le rette HP ed m"m" parallele a GD, si vede che nel movimento supposto la faccia d’onda s’inclina di un angolo m'"m"m'"=PHF = DOF, e che per conseguenza qualunque sia lo spazio _ mm',0o mm", girando il disco, avviene nella direzione del fascio luminoso una deviazione eguale alla rotazione che il disco fa durante il tempo che la luce impiega a percorrere quello spazio. i Dunque sta la proposizione enunciata, cioè : se l'etere b: gira fissamente col disco, un raggio di luce, che attra- E | versi questo nel modo descritto, viene deviato di una | quantità eguale all'angolo di rotazione del disco durante il tempo che la luce impiega ad attraversarlo. i Si arriva ancora allo stesso risultato considerando due BR corde. parallele BC, MN vicinissime»sull’una delle quali $ , e ERA] / + fi int Vira a A | PE ae 7] da, * S Ft PRETE e, si 4, fi Li [AR Pi aa PAPER. la-5), 13 "pred * La differenza 27nda è la velocità con cui l’etere di una corda precede quello dell’altra. Ora essendo v la velocità della luce, ed » il raggio del disco, il tempo che la luce impiega a percorrere la corda Vea? è QVr5— a? -, e questo tempo moltiplicato per la velocità v 2xnda ci dà l'eccesso dello spazio percorso dall’etere di una corda sullo spazio percorso dall’etere dell’altra nel tempo che la luce impiega a percorrere una delle corde, il quale eccesso per conseguenza sarà mb Questo spazio diviso per la distanza da delle due corde ci dà la tangente dell'angolo di cui s’inclina la faccia d’onda luminosa nell’ attraversare il. disco tra le corde stesse. Ora l’angolo di rotazione del disco durante questo tempo ha precisamente questa medesima tangente. Dunque ecc. La proposizione è vera qualunque sia la direzione della luce rispetto a quella del movimento del disco: il fascio luminoso piegasi volgendo la concavità verso il. centro, se la luce cammina a seconda del movimento del disco; volge al centro la convessità, se il movimento è in senso contrario. Quindi un pennello di luce parallela, di cui un raggio intermedio passi pel centro del disco, pie- gasi colla stessa legge de’ pennelli luminosi che sono intieramente da una parte del centro. Ne segue come corollario, che a pari velocità di rotazione e per un medesimo disco la deviazione massima sì ottiene ne’ fa- scetti luminosi che passano pel centro. u) Premesse queste nozioni, immaginiamo un disco di flint di raggio r metri, girevole sul suo asse, ed attra-o versato diametralmente da un pennello di. luce. Essendo — st Ra Ja velocità della luce nel vuoto di 300 milioni di metri al secondo, possiamo assumere che nel flint questa ve- locità sia di 187 milioni di metri, se riteniamo che l'indice di rifrazione del flint sia 1:60. Il tempo, che la luce impiegherà a percorrere il diametro del nostro di- sco, sarà di secondi. Ora facendo il disco ad 7 187000000 ogni secondo n giri, l'angolo descritto nel detto tempo 1296000nr 108nr | 187000000 — 15625 Volendo, per esempio, ottenere la deviazione di un mi- i 15625 nuto secondo d’arco, dovremo porre nr= T08 Supponiamo che il disco faccia mille giri al secondo di tempo, otterremo la deviazione d’un secondo d’arco con un raggio di 145 millimetri. Una somigliante velocità di rotazione è stata conseguita e superata nelle famose spe- rienze di FoucauLt e del signor Fizrau. Noi però non abbiamo bisogno di spingere il movimento fino a questo limite, possedendo un mezzo semplicissimo di molti- plicare l’effetto della deviazione. Eccone l’idea. Il fascio di luce, attraversato una prima volta il disco, va a battere sulla faccia curva di un prisma triangolare mistilineo, di cui due facce sono piane, e la terza è ci- lindrica coll’asse coincidente con quello del disco. Per- tanto la luce entra normalmente nel prisma, e va a ri- flettersi in totalità successivamente sulle due facce piane di esso, ritornando verso il disco per attraversarlo una seconda volta diametralmente. Si ottiene in questo pas- saggio una deviazione eguale alla prima e nel medesima senso, e si può moltiplicare il medesimo effetto a bene sarà di minuti secondi di arco. 144676. È: placito con nuovi prismi a riflessione totale. Giova no- 3,00 ca ST tare che non si potrebbe ottenere la deviazione moltipli- cata, facendo riflettere la luce sopra un solo, o sopra un numero impari di specchi tra due passaggi successivi della medesima a traverso al disco (1). Si vede pertanto essere possibile di rendere la deviazione sensibile e mi- surabile anche con discrete velocità di rotazione. D’altro canto più si aumenta il numero delle riflessioni e de’passaggi, più si perde d’intensità nel fascio luminoso, cosicchè vi ha un limite di moltiplicazione, il quale mal si potrebbe determinare senza ricorrere alla sperienza, e che varia coll’intensità della luce impiegata, col diametro e colla natura del disco e colle dimensioni de’ prismi adoperati. Io sto ora occupandomi dell'esecuzione di questa spe- rienza. Ho già fatto costrurre per questo effetto. una lente cilindrica di fini del diametro di 125 millimetri, è della spessezza di 13, e nel mentre che sto- attendendo la costruzione di alcuni prismi della medesima materia, studio il miglior modo di montatura della lente e l’appa- recchio di rotazione. Se mi riescirà di ottenere risultati di qualche importanza, mi farò un dovere di presentarli al più presto a questo onorevole Consesso. Noterò ancora di passaggio, che ove fosse dimostrata la fissità dell’etere ne’ corpi, la misura della deviazione de' raggi luminosi in un disco girante potrebbe servire a determinare la velocità della luce nella materia del disco, e per conseguenza il relativo indice di rifrazione. Un’al- tra conseguenza deriverebbe ancora da questa ipotesi , (1) Nella sperienza dello specchio di vetro girante, il fascio lu- minoso attraversando il vetro devia conformemente al teorema sopra stabilito, se l’etere ‘segue i corpi ne' loro movimenti. Ma il fascio riflesso devia in senso contrario alla deviazione del fascio incidente, e quindi il risultato finale della sperienza non è in- flvenzato da questa circostanza. VEE: | cioè la possibilità di fare îl vuoto etereo, idea che da molti anni manifestai ad alcuni amici, ed alla quale non Si so che altri mai abbia rivolto l’attenzione. gus: Non so se la sperienza potrebbe egualmente riuscire ‘ ne’ liquidi giranti in vasi cilindrici trasparenti, a cagione del cambiamento di densità generato dalla forza cen- trifuga negli strati liquidi cilindrici a diversa distanza dall’asse. Certamente essa non riuscirebbe ne’ gas, ed è appunto da queste considerazioni che fui spinto a cer- care l'equazione d’equilibrio di un gas girante in un di- sco cavo, ed a redigere la nota relativa, che presentai alle SS. VV. Ill.»me nell'adunanza del 24 p. p. gennaio. ME, Terminando accennerò ancora alla possibilità di appli- pi: care al disco girante il metodo del signor Fizeav, facendo | interferire due pennelli luminosi paralleli che attraver- . sino il disco a distanze eguali dal centro, uno da una parte e l’altro dall’altra. A parità di velocità di rotazione, per ottenere la massima differenza di cammino de’ due ; pennelli, e per conseguenza il massimo spostamento delle frangie interferenziali, conviene far percorrere ai raggi lu- minosi due corde opposte, eguali al lato del quadrato che È ha il raggio del disco per diagonale. Invero se la corda 4 | percorsa dalla luce dista a metri dal centro, l'incremento Bi; di velocità della luce generato dalla rotazione del disco | su quella corda è + 27na, e l'incremento corrispondente dello spazio percorso dalla luce si tempo che questa im- 2Vr®—a? : È ; piega a descrivere quella corda è +. 27na Trono 3 Ora questo incremento diventa massimo per af2=r . Va rh apr vi e pt + RS IT E, a ? (iv 2 EE ge pg ” Cf sd TA colle seguenti parole il grande Geologo inglese, signor Carlo LyELL. Nella seduta del 13 decembre dell’anno scorso questa Classe della R. Accademia delle Scienze eleggeva a suo Socio Straniero l'illustre Geologo inglese Carlo LvyetL. La notizia di tale elezione, confermata da S. M., ed il relativo Diploma venivano trasmessi al muovo nostro Collega il 28 del mese istesso. Ma non erano trascorsi due mesi che egli discendeva nella tomba colmo di me- riti e accompagnato da insigni onori. Come altri preclari uomini distinti nelle scienze fisiche e matematiche, egli dapprima erasi rivolto agli studi forensi ; dedicatosi dappoi alle discipline scientifiche egli pubblicò nel 1833 i suoi Princip) di geologia (Principles of Geology) dei quali sì fecero parecchie edizioni. Nel 1838 comparvero poi i suoi Elementi di geologia (Elements of Geology) dove prese ad esporre un nuovo sistema che considerò come la chiave della interpretazione dei monumenti geologici. Questa, egli disse, doversi ritrarre dallo stesso procedere che ora si osserva nei cambiamenti organici ed inorganici. Egli so- stenne che intieri continenti furono sommersi e poscia rialzati col mezzo del lento operare dei secoli, e non per subitanea azione volcanica. Gl’ Inglesi aggiungono che le scoperte fattesi nella recente spedizione della nave esplo- ratrice il Challenger confermano l'ipotesi del Lyeut (4). (1) La Contemporary Review contiene una recente nota sulla spe- dizione del Challenger. Senza voler entrare per nulla nel merito — della quistione, a titolo di semplice informazione ne riferiamo il — L’amore delle ricerche scientifiche lo spinse a fare di- versi viaggi in Europa ed in America d'onde ricavò larga messe di cognizioni che diffuse a pro delle scienze in varie pubblicazioni. In fine si fa particolare menzione di un più recente suo libro intitolato: la Dimostrazione geo- logica dell’antichità dell'uomo, con avvertenze e teorie del- l'origine delle specie per variazione. Se la malattia, che finì colla morte, impedì a Carlo Lye d’esprimere all’ Accademia la gratitudine del com- partitogli onore, non ci manca però la testimonianza di tal sentimento in una lettera da Jui diretta all’egregio nostro Collega Direttore di questa Classe, signor Senatore Sisvonpa, dal quale aveva ricevuto privato amichevole annunzio della sua elezione. Parmi conveniente il leggerla, perchè in essa si fa allusione agli studi suoi applicati all’ Italia. Carlo LveLL ottenne molti meritati onori nella sua pa- tria. Fu Presidente della Società Geologica; gli fu con- ferito dall'Università d’Oxford il grado onorario di Dottore in Legge Civile; ebbe titolo di Cavaliere, e quindi di- gnità di Baronetto. La salma di lui fu deposta nella Badia di Westminster, e la Regina d'Inghilterra mandò espres- seguente tratto: « Thus the discoveries made by the Challenger . » expedition, like all recent advances in our knowledge of the » phenomena of biology, or of the changes now being effected in » the structure of the surface of the hearth, are in accordance » with, and lend strong support to that doctrine of Uniformita- » rianism which, fifty years ago was held only by a small mi- _» nority of English Geologists - LyveLt, Score, and De La BecHE - » but now, thanks to the long-continued labours of the first two, » and mainly to those of Sir Charles LyeLL, has gradually passed from the position of a heresy to that of catholic doctrine, etc. ». si È samente una corona di fiori da porsi sulla; sua gara. Sea E questo è il caso di dire che |’ onore riesce ioni a chi lo dà ed a chi lo riceve. TI e Lettera del Signor Carlo Lyell al Signor Commendatore Sismonda. A È 73 Harley Street de London W. Dec 23. 1874. Alon cher Siguos Sirunada d9 ; Il y a vraiment bien des années que nous n’avons eu de o communications directes. Jaurais dù repondre beaucoup i plus promptement à votre aimable lettre du 13 dec. mais ee. le fait est que je ne l’ai lue qu’hier, ayant été au lit à la suite d’une chute sur l’escalier. Je me rétablis bien vite maintenant et le premier plaisir qui m’est venu était votre annonce que l’Académie des Sciences à Turin m’'a élu un des ses dix membres étrangers. Cet honneur me cause un plaisir bien vif et d’autant plus que cette expression pe+ d’estime de la part de l’Académie m’assure qu’en Italie i méme les vues que j'ai toujours soutenues sur le Vésuve et sur l’Etna sont appréciées. Je vous remercie infiniment d’avoir eu la bonté de de- Par vancer l’annonce officielle. ‘ , 2 “06 En vous priant d’agréer mes sentiments les plus. dis- E va tingués i UR RO Je suis 1 Mt Votre très-dévoné te CHARLES LYELL. | c A | A % dina LAT bd] POET error n L Accademico egregia; i ip A, Sornero. sa "ò ST i CLASSE “dI Febbraio 1875. h » # 4 fa CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE —>— Adunanza del il Febbraio 1875. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS L’Academico Conte Vesme prosegue la lettura del suo lavoro Del volgare toscano e della lingua italiana, ricer- che filologiche, e ne legge il IV Capitolo, Dell accento, ossia di quella maggiore posa o caricamento di voce, che ha luogo su alcuna vocale di ciascuna parola. Nella lingua latina le parole dissillabe avevano l'accento sulla penultima, o breve fosse o lunga; nei polisillabi, se la penultima fosse lunga, su essa cadeva l'accento ; se breve, cadeva sulla terzultima. I monosillabi, salvo rare ecce- zioni di particelle enclitiche, avevano proprio accento. Nel volgare toscano l’ accento non può mai cadere sull’ ultima sillaba; e perciò le parole etimologicamente o per troncamento monosillabe, o si congiungono alla parola vicina, o si allungano di una sillaba in fine, sic- chè quella sulla quale cade l’accento cessi di essere sil- laba finale. La sede ordinaria e regolare dell’accento nel volgare ‘AR toscano si è la penultima sillaba; e su questa si fa so- È vente cadere in parole, che in latino hanno l’accento sulla — terzultima. Cade poi sovente sulla terzultima l'accento a a parole aventi l’accento sulla penultima. Nessuna parola toscana ha naturalmente l’accento sulla quartultima o sulle precedenti, ma può avvenire per mezzo di suffissi. Nella maggior parte dei casi tuttavia è modo alieno dall’ indole del volgare toscano, e da fuggirsi. Relativamente all’accento, dal. volgare toscano dino la lingua italiana, in quanio questa ammette l'accento sul- l’ultima sillaba, nè solo nei monosillabi ma anche nei polisillabi; ed inoltre non fugge quanto il volgare toscano l’accento sulla terzultima. Oltre l'accento anzidetto, e che chiameremo accento principale, le parole che hanno più di una sillaba avanti quella sulla quale cade l'accento hanno parimente su al- cuna delle anzidette sillabe una nuova posa, che diremo accento secondario, e che sulla sillaba sulla quale cade produce effetti analoghi a quelli che suole produrre l’ac- cento principale. Sebbene lo neghino gli antichi Gram- matici, è indubitato che tale accento aveva luogo anche nella lingua latina. Il Socio Craretta prosegue la lettura della sua disser- tazione sugli Storici piemontesi, e specialmente sugli Sto- riografi della R. Casa di Savoia, accennando a quelli che. fiorirono sotto il memorabile regno di Emanuele Filiberto. Sono essi il genovese Uberto Foglietta, che nel 1564 veniva creato Gentiluomo di Corte e poi storiografo; il dé sto motivo di suffissi sì | separabili che inseparabili, ‘aggiunti savoiardo Filiberto Pingone al quale rimase sino a’ giorni ‘nostri il popolare epiteto di antiquario di Torino e di cui l’autore somministra speciali notizie ricavate da una sua autobiografia inedita; e Guglielmo Paradin, autore di una cronaca della Famiglia ducale, che viene analiz- zata e confulata nei principali suoi anacronismi. Chiude la lettura con alcune considerazioni sullo stato della cultura dei Piemontesi di quei giorni, coll’accennare ai varii distinti personaggi che ebbero un nome nella repubblica letteraria, e col tributare elogi all’ illustre Principe, che ben meritò di venir chiamato il secondo fondatore della monarchia, ed a cui fu degna compagna la duchessa Margherita di Valois, che col più. illuminato | patrocinio protesse e favorì i nazionali e gli stranieri cul- tori delle liberali discipline che fiorirono a quei giorni ne suoi Stati, e furono chiamati alla Corte di Savoia, come Clemente Marot, du-Bellay, Iodelle e Giacomo Amyot. Alcuni zelanti esagerati avendo accusato la Duchessa Margherita di putire delle idee introdotte dalla riforma, l’autore col corredo dell'autorità di scrittori insigni di- mostra erronea una tale opinione, e ben lo denota il Germonio negli elogi che fece di quella Principessa incli- nata a proteggere gli uomini dotti bensì, ma salda nelle credenze religiose. = pe ta S° "' ail RATE de ira. "a #° i ee: È _# Li IR De I IR SATA I É bs nu | a i - Ma Adunanza del 28 Febbraio 1875. LN led i PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il conte Veswe, proseguendo la lettura del suo lavoro, ne legge il principio del V Capitolo, nel quale si tratta Della forma dei vocaboli. Premesso, che il volgare toscano non deriva dal latino letterario ma dal latino volgare, e che questo medesimo non è una corruzione del latino letterario ma ad esso coesisteva o più veramente pree- sisteva, avverte, che tultavia a principale e perpetuo punto di paragone col nostro volgare prenderà il latino letterario, per essere il latino volgare e il latino arcaico troppo imperfettamente conosciuti, non ostante i progressi fatti per recenti studii particolarmente di dotti Tedeschi ed Italiani. La lingua italiana invece quanto non ebbe dal volgare toscano, trasse quasi per intero dal latino letterario. Passa quindi ad esporre le varietà che, comparativa- mente al latino letterario, nel volgare toscano hanno luogo nelle vocali; ed in prima delle diversità indipen- denti dalla sede ove si trova la vocale. Il latino arcaico non aveva lu; onde avviene che il latino volgare e il volgare toscano hanno lo nella massima parte dei casi dove il latino letterario ha lu; e ciò, quantunque in minor grado, rimase anche alla lingua italiana. L'y nei vocaboli venuti dal greco nei tempi più antichi si con- verse in 0; in quelli venuti in tempi posteriori, fu con- BR O TO RE e v fe > Hi 7 TS #c: dia DI siderato come eguale ad i, e perciò nei molti casi che l’i si converte in e, così avvenne anche dell’ y; nei vocaboli letterari sempre ha il suono di i. Il dittongo ae, e forse anche l’oe, già da tempo antichissimo presso il volgo suonavano quanto e, e lau quanto 0; e così durò nel volgare toscano, e per Vl ae anche nella lingua italiana; non interamente per |’ au. Tutte poi le vocali subiscono in certi casi nuove tras- formazioni per l'accento, o volgendosi in dittongo, o tras- formandosi in altra vocale, il che forse in origine pro- cedette parimente da un dittongo. Nel trattare della con- versione in i dell’e lungo accentato, dimostra a lungo, come la terminazione in ire degl’ infiniti che nel latino letterario terminano in ere sì lungo, sì anche breve, non venne agli antichi nostri scrittori di Sicilia, ma da tempo antico esisteva in Toscana, e presso gli scrittori volgari, e frequentissima nei documenti toscani in lalino medioe- vale e semivolgare ; al volgare toscano poi tale forma era — venuta dal latino volgare, e a questo dal latino arcaico. 536 : uc ci cc ea Il Socio Prof. Fasreti continua l'esposizione dell///-/ e. ; ge È È 9 TERZO SUPPLEMENTO ° © 46 À si» ALLA RACCOLTA È DELLE ANTICHISSIME ISCRIZIONI ITALICHE. = x; Niuno vorrà negare, che col nuovo indirizzo dato agli tr; | studii linguistici siano state meglio indagate le origini È delle favelle umane, ristaurati alcuni idiomi che pare- S vano perduti per sempre, e riconosciuti i vincoli di pa- vio rentela tra linguaggi apparentemente diversi: la gramma- tica comparata ha portato larghissimo tributo di fatti, certi e incontrastabili, alla filologia, ei monumenti scritti degli antichi popoli italici hanno giovato così alla filolo- N gia come alla storia. Senonchè nella dichiarazione delle Lo leggende etrusche i nuovi metodi e le nuove dottrine È sembrano venir meno o trascinano gl’interpreti a con- per: ; clusioni inaccettabili, spesso tra loro stranamente diverse SE È e contradittorie; nè la colpa, mi affretto a dirlo, sta nella i . insufficienza dei metodi nuovi, ma sì nella maniera di LS applicarli, e soprattutto nel non considerare abbastanza w la natura e la destinazione dei monumenti, in cui le mi. iscrizioni furono consegnate. Ricercando il valore dei vo- ; caboli senza darsi pensiero del resto, sottentra nell’opera è faticosa l’arbitrio, che piglia alla sua volta sembianza di i dirittura di giudizio, tanto meglio accolta, quanto è mag- hoc giore il sapere e la rinomanza dello espositore. $ Quando tre dotti uomini, persuasi che l’etrusco fosse un i San ramo dell’albero semitico, si provarono a tradurre parec- e chie e le maggiori leggende, con gli stessi sussidii lingui- % lA de Arsa i SRL ma CIAO | stici e grammaticali, non ebbero la consolazione d’incon- trarsi, almen per caso, nella spiegazione di una sola parola; ‘e questi esperimenti, condotti dallo Jannelli a Napoli, dal Tarquini a Roma, e dallo Stickel a Jena, diedero argomento a sentenziare, che sarebbe quind’ innanzi opera perduta il ritentare la prova di spiegare il linguaggio degli Etruschi confidando nella conoscenza dell’ebraico e dell’arameo. Ed oggi taluni sospetteranno, che non abbia a dirsi lo stesso di chi vede in questi avanzi di una lingua italica perduta i segni di affinità con gl’idiomi di origine ariana; molti non confideranno nelle nuove dottrine e nei rinnovati insegna- menti, leggendo le disparate interpretazioni di una stessa iscrizione, propugnate dai linguisti di una medesima scuola; e non pochi cultori delle scienze naturali persisteranno a diffidare della filologia nelle loro ricerche sulle pri- mitive civiltà dei popoli. Se ci fermiamo alle interpretazioni del Corssen e del Lattes, per quantunque sian esse un’applicazione delle medesime dottrine, ci accorseremo che le difficoltà non sono scemate, e che le duhbiezze sono cresciute: l’ uno o l’altro s'inganna; ma chi di loro? E il disaccordo, che | non si saprebbe imaginare maggiore, si verifica tanto nelle lunghe iscrizioni, quanto nei brevi titoli sepolcrali. In un bronzo del Museo Britannico /C. i. ital. 2582 bis) si legge: nia canzate selvansl i leSanei. alpnu ecn. turce. lardi De Ne F ui. alate dee à SE » è, P RT An LAS dia Albana Egnati ila Turcia Lartia. Nel cippo panini A lim. 24) trovasi il gruppo #13 ig cicnlhareutuse che il Lattes interpretava: Cia (?) Canula Hara Tusa; e il Corssen (1 888): Cicinae filius (dedit) farre um, thus. Nelle voci tesns teis dello stesso monumento (A 4 e 22) è matematicamente dimostrato, così disse il Lattes, essere nomi proprit; e come mai di questa matematica certezza non trasse profitto il Corssen quando prendeva le dette voci tesns teis nel significato di denî duo (duodecim)? In una parola, il professore milanese aveva trovato nel cippo pe- rugino oltre cento nomi proprii, anzi nient’ altro che nomi proprii; mentre il linguista di Berlino vi ha scorto una serie di funebri offerte, che non erano state intra- vedute in alcun monumento dell’ Etruria. Diamo, oltre il testo dello stesso cippo perugino (C. è. Ital. n. 1914), la lezione e la traduzione del Corssen. eulat - tanna . larezul velSinas amevayrlautn . velSinas e atenazuc stlaafunassleleScaru i. enesci - ip tezan fusleri tesnsteis a . spelane 5 rasnesipaamahennaper 5 Si. fulumy xnvelSinaSurasaraspe | vaspelSi. rascemulmlesculzucien reneSiest esciepltularu acvelsina | aulesi . velSinasarznalcl acilune. 10 ensi. Sii. Silscuna . cenu . e 10 turunesc ple . feliclardalsafunes unezeazue clenSunyulde i. enescì + ad falas + chiemfusle . velSina umics + afu o hinSacapemuniclet masu nas-penSn i di; SE e Li adige | 15 napersranczISiifalsti è vi 15 a. amavel9 fu. 2 elSinahut . naper - penezs ina - afun it. A 2 masu - acnina » clel . afunavel Suruni . ein S a Sinamlerzinia - intemame zeriunacx a 3 r. cn]. velSina . zia satene aSilSunyg Sa «20 tesne.eca- velSinaSuras® 20 ulS1.ichca ; 8 Ko aurahelutesnerasnecei cexazixux tesnsteis rasnesygimSsp e elSutascunaafunamena hen . naper . cienlhareutuse fd 1eu lat. tanna — larez ula e «eo (loco) Lars Tana (dedit) Lares (1) ollam, 4 d mevayr. + PARTA E PORTE IGN, AA Spe E, bc é ) tr CE w pere conditivum. ww 2lautn velSinag estla. | Lautinia Veltinii ucor (dedit) sacra. «3 afunas slel es. 3% Afonius (dedit) cellarium id. {i 4cara tez an fusle ri. È DLE SR Carus dedit hic funebrem rem. Ex: «5 tesns teis rasnes ipa ama fe Deni duo Rasenae (dederunt) 0nv (2), culignam, fi hen naper. di È item ollarium. DI 6 XII velSinaSurag | aras peras' cemulm fe: XII Veltinaturiù (dederunt) aras vpàs (3), quietalem Di lescul zuci enesci epl tularu | lectum — _ , epulum sepulerale E (1) Larum signa. 3 E (2) ollam. È ei. (8) ignarias. È € « n * n Us sea nt LG i e; i È Rie ai ei do SM = 7 10 il aulesi velSinas arznal 7 Aulesia Veltiniî uzor Artini matre nata Clentia (dedit) Sii Sil. 1% tiuntixoy (1) titulum. scuna cenu eple felic. Scuna (dedit) cenam epularem felicem (2). larSals' - afunes clen Lartis filius Afonius Clentia. matre natus (dedit) SunyulSe falas yiem fusle. monumentum, falam, quietorium funebre. velSina hinSacape municlet. o Veltinius mortui capulum munivit (3). ; masu naper sranczl Sii Maso (dedit) conditivum, quietorium —tiuntixor, fals'ti. i fala praeditum (4). ì velSina hut naper penezs. Veltinius (dedit) hoc conditivum, Penates (5). masu acnina clel Maso (dedit) agninam (carnem), cellarium (6). 14 afuna velSinam lerzinia intema mercenl Afonius Veltiniorum (dedit) —am —am —em.. 4 15 velSina zia Satene SIR Veltinius (dedit) Gerdy iusto sacro. i 16 tesne eca velSinaSuras Saura helu Denae (et) una Veltinaturiae (dederunt) taurum helvum. a i marativi Ae i (1) honorificum. | 1 De: (2) lautam. ale init, Feet (3) cooptavit. SA (4) tumulo praeditum. (5) Penatum signa. (6) conditivum. tesns teis rasnes ; o Rasenarum (1) feminae, deni duo Rasenae (posuerunt) fe. 6 xim$ spel Suta “e 3 — ©. data. % & 18 scuna afuna mena hen naper re F Scuna Afonius (dedit) monumentum item conditivum. È; si 19 cicenl hareu tuse n: Cicinae filius (dedit) farreum, tus.. += n 20 velSina satena zuci enesci ipa spel ane de E Veltinius (dedit) iustum sarum — — (Bu, — ui. Di Si fulum yva spel Si rene Si estac 23 1 i um, Yor, — _ —um. "- 21 velSina acilune turune vi - Veltinius (dedit) Avyrotyor (2), turibulum. . PL 22 scune zea zuci enesci adumics tei Scunus (dedit) {dv — —, —os. sn 23 afunas penSha ama ; Afonius (dedit) —am culignam. | 24 velSina afuna Suruni ein zeriun i Veltinius Afonius (dedit) turibulum et 6opov (3). mis fi 25 acva Sil. .SunygulSl ixca ge: -— Acca (dedit) titulum memorialem, imaginem. A _ 26 ceyas ixure «+ Cecas imaginem pinzit. Nelle traduzioni del Corssen e del Lattes cade l'accordo > | appena in qualche nome personale, riconosciuto dagl’in- aa precedenti ; i quali, comechè per diverse vie (non È per giuoco o senza metodo scientifico, come piace voci- b20) decem Rasenae. Ro: cndelabrum: ; Capi co DEE vela PACO, 10, BART SA Vr sd Ren n la 34 Cat ’ Mac > MIA Da tr }i me 4! bo «AE a" +IRD b* Pa 542 È ° È Aa, doi Vo i "O ont ferare), avrebbero talvolta dato nel segno megli che vantansi di essere tanto addentro negli studii lin- | guistici: basterebbe avvertire, citando due soli esempi per molti, che tez era stato riconosciuto per dedit, come aras peras per aras ignarias dal Vermiglioli: il Corssen ha confermato queste interpretazioni che parevano em- piriche, ed escluso che tezan abbia a dichiararsi col Lat- tes per Decianus, e che in aras' peras abbiansi a riconoscere due nomi personali, il secondo dei quali sia Berrius! Diranno poi i critici se le versioni e le analisi del Corssen, esposte con tanto apparato di novità, siano anch’esse propriamente le vere ed irrefutabili: io intanto non ammetto, per dirne una, che la leggenda perugina, ig 4, o di altri © ai addotta di sopra, abbia a compiersi con Cecas imaginem pinzit. 26 + DOG Csi arci ta) bi ie — Continuazione della Memoria del Prof. Vittore Testa "543 sulla iscrizione di Mesa. AIN: Jas | D3]3 5 n mo mimo opa onesta ax woss n R Ed io combattei contro la città, e la presi, ed uccisi tutti gli uomini della città in ispettacolo a Chemòsc e Moàb. (lin. 11-12). ire DIPENI ed io combattei contro la città, o meglio, ed io oppugnai la rocca; sendo questo appunto il signifi- cato di DI, sua radice, quando costrutto colla prepo- sizione 2 (1). In questo verbo noi abbiamo una forma del verbo e)g}, compiutamente nuova, se non in tutte, | certo in quelle fra le lingue semitiche che appartengono al gruppo cananeo. Questa forma, in cui esso ricorre per ben “quattro volte in cotesta iscrizione, — due, al futuro con- verso nella linea undecima e nella quindicesima: una, . all’imperativo, nella linea trigesima seconda: ed una, - all'infinito nella linea decimanona — si è la forma Ù fo) Hiftaéi invece dell’Hitpanel. Or questa forma, costituita da «ciò che la N (caratteristica dell’ Hipanel) vien trasferita . dopo la prima radicale del verbo di cui si tratta, ha . luogo costantemente nell’ ottava coniugazione araba che . brano dell’iscrizione di Mesa ha un bellissimo riscontro. è Cal v- (1) Gesenius, Zezicon , ad h. v. — Cf. Jud. IX. 45, in cui questo » na ER È SICURE un Part È e tetà fa) sa le corrisponde, vo’ dire la RS. Ifta” ala: (1); 0, - come altri scrivono Asta’ala (2), e ne costituisce il tipo. 74 fondamentale, o meglio caratteristico, se così preferiscasi chiamarlo. Laddove nelle lingue, vuoi ebraica, vuoi ara- maica (3), vuoi fenicia (4), siffatta trasposizione della N, ca- ratteristica dell’hitpanel, ha luogo allora solo quando la prima radicale del verbo è una dentale, vo’ dire una D, una Y, oppure una W (5). « Di qui, pensa il Fabiani, trarre » si possa, che l’intreccio dell’Hitphàel, che ha luogo nelle » sibilanti in ebraico, non sia eccezione eufonica di quella » coniugazione, ma avanzo della hiftàel in quelle sole » conservato (6) ». Valenti Ebraisti insegnano che nel Co- dice Sacro ricorrono tracce di siffatta coniugazione (7); ed il Gesenius e il Ganneau ravvisano tal fatta di traspo- zione nei due sostantivi ebraici YVONMNWN, obedientia, dalla radice mNW, obedire, ed Sanwia, petitio , rogatio da BNRU, petere, rogare; e nel caldaico INN , rebellio dalla radice STU, eguale a Sui, che all’hitpaîiel significa moliri, conari (8). Checchè ne sia, certo è che l’uso di questa ottava coniugazione araba presso i Moabiti prova come il costoro idioma si risentisse del vicino arabo, e formasse quasi un anello intermedio fra le lingue semi- tiche del Nord e quelle del Sud della Palestina (9). (1) Geiger, aa. 0., $. 220. i (2) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S. 39. , (3) Gesenius, Hebràische Grammatik, $ 53. 2; Glaire, lLc., pi D9.. 199-20}; Paggi, Grammatica Caldea, Firenze 1863, D. 56. 73, "NW i (4) Schrader, Die phòonizische Sprache, S.190. i (5) Geiger, a.a.0. — Schlottmann, a. a.0. b (6) Fabiani, l. c., p. 8. (7) V.Merx, Archiv fiir awissenschafiliche E+ofechi des A. Testo mentes, Halle 1867-69, I. B., S. 458. H. à, NT (8) Gesenius, Lezicon, ad hh. vv.; Ganneau, l.c., p.366. (9) Schlottmann, a a.0. — Vgl. Geiger, a. a. 0. i IN ti >, è IP epaaigr a vp; quella scritta difettivamente ‘emi all’usanza de’ Moabiti; questa, nella forma piena, nella quale ricorre pressochè sempre nel testo ebraico (1). Dissi, pressochè sempre; avvegnachè nella forma difettiva ricorra una volta presso Isaia (2), spessissimo poi nelle varie forme del suo derivato ed affine MP (3). Il suo signifi- cato primitivo è quello di muro (4): donde appunto i *W9M vp; Fabri murarii , ossia i muratori , mandati insieme con legnaiuoli e legno di cedro da Hiràm, re di Tiro, a David per fabbricargli un regio palazzo (5). E poichè i bastioni, i forti cioè e i ripari, con che si ricingono a difesa le città, son fatti o rivestiti di muraglie, quindi la parola > adoperasi pure ,in questo significato (6). Di qui per sineddoche un terzo significato , quello vo’ dire di rocca, fortezza, cittadella, città forte e simili (7), E quindi appunto l’usarsi la parola VP « de muro ipsoque oppido moenibus propugnaculisque munito », come scrive il First (8). Quindi il nome di 2XTO PP, are Moabi (9), dato alla principale fortezza de’ Moabiti, l’odierna Kerrek (10) o Kerak, come altri la pronuncia (11); detta anche, (1) Gf. First, Librorum Sacrorum V. T. Concordantiae hebraicae atque chaldaicae, p.989, col. 4-990, col.2. |, (2) Jes. XXII.5. (3) Gesenius, Lezicon, ad h. v. + (4) Levit. XIV. 37; I. Sam. XIX. 10; XX. 25; XXV. 22.34; L Reg. VI. 5.15.29; XIV.10; Ezech. XXIII. 14, etc. (5) I. Chron. XIV.1. Cf. II. Sam.V.11. (6) Cf. Num. XXXV. 4; Jos. II 15. (7) Gesenius, Lezicon, ad h. v. (8) First, l.c., p.989, col. 1. _(9) Jes. XV. 1. (10) Gesenius, Commentar îiber den Jesaia , Leipzig 1821, S. 514. d praniey, 1. più i DEZATE? a la Rie sc + pai rt à 3 Î 4 Si n PC, # it: È nl come pensa " comune degli Tiucoli (1), nm Ap ). e IM IPA , arx lateritia (4), murus lateritius (5), urbs cin- cta muris D. lateris, come traduce la Volgata (6). Quindi. infine il nome di MM, in istato costrutto NP, città (7), e in ispecie città forte (8), che, unito con altro nome de- terminativo, diè origine ai vari nomi di YDIR mP, urbs Arbee (9), 5Y2 MP, oppidum Baalis (10), NÎSH MP, urbs vicorum (11), DIP IMP, wrbs sylvarum (12), m3D DIP urbs palmae (13), nomi tutti proprii di città, rocche, castella. Il Ganneau persa che nell’iscrizione di Mesa, questa parola © suoni mai sempre città, siccome quella che vi ricorre consociata costantemente col nome di una-città determinata. Così in questa linea, dopo ricordato come il Re d’Israele avesse fatto di ‘Ataròth la sua piazza d’arme contro di Moàb, soggiunge tosto: “pa DIPENI, ed io oppugnai la città, e nella linea dodicesima, narrato come l'abbia presa a forza, prosegue notando com’egli sgozzato ebbe quanti abitavano, od almeno difendeano npo. la città: Melesimamente nelle linee vigesima terza e vige- (1) C£ Vitringa, Rosenmiiller, Gesenius, Keil, in hh.lI. (2) II. Reg. II. 255 Jes. XVI. 7. 11. (3) Jerem. XLVIII. 31. 36. (4) Gesenius, Lezicon, 1, c. (5) Gesenius, l. c., | (6) Gf. Jes. XVI. 7.11. — A cui poi creasse difficoltà questo vario uso della stessa parola in siffatte denominazioni, lo Stanley ri- chiama alla memoria « the use of the word castle in Nevano; Chester, Doncaster, etc. ». Stanley, l.c., not. 1. va” Patt (7) c£ Num. XXI. 28; Psal. XLVII. 2. i (8) Jes. XXV.2. ER (9) Gen. XXIII. 2; Jos. XV. 54; XX. 7. coll. 14. 15. OA) (10) Jos. XV. 60. i & (11) Num. XXII. 39. (12) Jos.1X.17; XVIII 15; Jud. XVII. 12; L SARDA fo (13) Jos. XV. 19. , $ N é tra (547 a co simaquarta, parlando degli abbellimenti e delle migliorie 3 che e’ fece nella sua diletta Dibòn, parla di costruzioni j da lui fatte 9PN 2)P3, e nota come non vi fosse ci- sterna MMPAOPo mp. in mezzo alla città in sulla Korhhah. Da ultimo nella linea vigesima nona parla della città DP: Keran ch’egli aggiunse al paese. — Noi ci ac- costiamo volonterosamente a quest’ opinione del dotto dragomanno francese: solo aggiungiamo, che, a nostro credere, significa una città munita, e per dirla col Fùrst, « oppidum moenibus propugnaculisque munitum (1) ». E di fatto, se ne togli l’ultima delle citazioni fatte dal Ganneau, della quale, a cagion della lacuna che la pre- cede, non possiam dir nulla, dovunque ricorre questa parola kir, consociata con qualche città determinata, è sempre sì nell’iscrizione di Mesa, e sì nella Sacra Bibbia, 5 congiunta con una città forte. Spa [2]: S5 x II) FITIRI, e la presi ed uccisi tutti gli uomini della città. — 55 NN, tutti. A chi poi si rife- risca questo aggettivo tutti non si può determinare con sicurezza: certo si riferisce agli abitatori, oppure ai di- fensori, od almeno ai maschi, e di questi forse ai soli «+ —adulti che là si trovavano. E questo si è per fermo ciò | —chetosto ci soccorre al pensiero, come prima ci troviamo di fronte alla breve lacuna che qui s’ incontra. Laonde, poichè nella prima edizione di questa iscrizione pubbli- catasi dal De Vogié, dopo le parole pio) NX lesgevasi una M, ed in principio della linea dodicesima, innanzi alla parola 5p, che vi si legge la prima, eravi un vuoto capace di una lettera (2), mercè i supplimenti da esso 7-99 loro proposti, leggevano, lo Schlottmann, con frase ana- b * LL RE ar e du ne (1) Furst, Concordantiae, ad h. v. gi (2) Revue Archéologique, Nouvelle Série, vol. 21, p.185. Paris 1870. $ uit loga a quella del libro de’ Giudici (1) TUN ori br RIS WP3, tutto il popolo che era nella città (2); il Kaempf, “p2 DIN ho) NN, ogni anima viva nella città (8); il Levy (4), l’oppert (5) e il Nòldecke “pa pe (dEfai Bia DX, ogni abitante que: città (6): e l'Hitzig, con frase imitata da Eze- chiele (7), alFiR) ela) no n, tutta la moltitudine della città si aci ad un atto (9) che, conformemente a quanto si legge in Mosè (10), sarebbesi potuto leggere Ipo dn 55 DX, tutti i maschi della città, od anche RIA) sam 55 NR, omnes mares urbis (11). — Ma dap- poichè il Ganneau, nelle sue addizioni e correzioni a quella prima edizione state da esso lui pubblicate tre mesi dopo nella stessa Rivista (12), ci attesta che più ac- curati esami gli fecero scorgere nella linea dodicesima una innanzi a pe. € nella linea undecima una 4, là dove egli, dopo le parole et kol avea pur dianzi cre- duto di leggervi una 7, he, più nessuna di queste lezioni è ammessibile, e non ci rimane che la scelta fra 59 DX Riza ta, tutto il popolo della città, come supplisce il Gan- (1) Jud. IX. 45. (2) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S. 42. (3) Kaempf, a. a. 0. S. 25. (4) Levy, Das Mesa-Denkmal und Scine Schrift, S.13. (5) Oppert, l.c., p. 223. (6) Noldecke, a. a. 0., S. 12. (7) Ezech. XXX. 15. : (8) Hitzig, a. a. O., S. 28-29. vii. (9) Ivi. REA (10) Deut. XX.13; Num. XXXI.7; Gen. XXXIV. 25. ESTE (11) La qual Giada avrebbesi un bellissimo riscontro nel I. Neg. XI. 15-16: DITNI pit 99, omnes mares ldumacorum ; riscontro, che ci stupisce” non aver tofu citato da un uomo così versato nel Codice Sacro. (12) Revue Archéologique, vol. cit., pag. 378.386. | Db — nean ( ); pn aa bo MX, omnes viros urbis, come sug- & Li È Schlottmann (21 CORE Bio DX, tutti «è prodi della città, come legse il Renan (3), od anche ( to- Hi: | gliendo la n a Pe). NP 11929 he) DX, tutto îl valore (4) ita ti della città, come vorrebbe il Fabiani (5). i : | Stretti a scegliere fra queste lezioni, troveremmo più agevole assai e più leggiero il còmpito, dove non se- guisse bentosto una nuova lacuna, la quale ci toglie di i #98 sapere ciò che abbia fatto Mesa dopo impossessatosi della hi città e compiuta la strage, di cui egli qui parla. E di i vero, se vi si leggesse quello che suppone l’Oppert: « et MS Re. Jenlevais captives (les femmes et je sacrifiai les enfants) r E devant Chemos à Quirioth (6) », basterebbe ciò solo a dimostrare, non potersi in guisa veruna adottare la le- mi zione proposta dal Ganneau, non potendosi per fermo la strage indistinta di tutta la moltitudine in ‘Ataroth con- Ta | ciliarsi colla cattività, in cui invece sarebbero state di PR; + là condotte le donne. — Ma poichè questa lezione del- giri. b l’Oppert non è sicura, ed altre ed altre vi si potrebbero | sostituire (e vi furono di fatto sostituite), dobbiamo ad Pi: altri argomenti la nostra scelta appoggiare. ti dg ce d MESSE I » e 3% (1) Ganneau, ivi, p.383; dove però occorrono nelle linee 5%, 68 n e 7a tre errori nelle parole ebraiche riferitevi, cioè io in vece di 59 (lin.5*); 9 in luogo di 3 (lin. 6°); e 199) invece di SI — Cf. Schlottmann, Additamenta, a. a. 0., $.443. na (2) Schlottmann, Additamenta, a. a. 0., S. 444. A . (3) Renan, L’/Inscription de Mescha, l.c., p.334. Ta .. (4) Presidio cioè, guarnigione, forza combattente, e simili. — Cf. È Il. Sam: VIII. 9, dove STYTMM DM robur Hadadezeri suona l'e- IR | sercito di Hina : e Jes. Ill. 25, dove 392) sta per DIÎDI, Rd pat prodi. P: "A (5) Fabiani, l.c., p.15. Ras (6) Oppert, 1. c. RI VDR, Anzi tutto osserva egregiamente, a sentenza nostra È Fabiani (I), che allora solo mettevansi al fil della spada e senza distinzione di sorta tutti gli abitatori di una città presa a viva forza, quando s’era contro di loro pronun- ciato l’anatema. Or questo, se fu veramente, come ve- deremo ben tosto, il caso di Nebò, non consta in guisa veruna esserlo stato pure di ‘Ataròth. — Non puossi dunque ammettere la lezione proposta dal dotto Orien- talista francese. Quanto alle altre tre le troviamo fondate del pari, nè certo, qualunque delle medesime si adotti, cangierebbe sostanzialmente il senso, chi consideri che tanto I, quanto DI, hanno fra le altre la significazione di uomo di guerra, uomo d'arme (2): che inoltre i Gaditi erano in voce di « uomini prodi, ammaestrati alle armi, per uscir fuori in battaglia (3) »; e che infine, a que’ tempi, quando una città era assalita dal nemico, ogni uomo atto alle armi accorreva a combattere in sua difesa, e, se stirpe di prodi, vi si diportava senz’altro da forte; tanto più che a que’ dì una dichiarazione di guerra soleva essere una sentenza di morte pe’ vinti (4). È ano ws DO, grato spettacolo a Chembsch ed a Modb . mo è parola moabitica (5), eguale all’ebraica NI (6), (1) Fabiani, l. c. | (2) C£ Gesenius, Lexicon, ad hh. vv. (3) I. Chron., 1.18. (4) E certo la resistenza ch’essi opposero a Mesa, e la strage che questi ne fece, se per una parte provano che ‘Ataròth era una ‘ piazza d’ armi israelitica di grande importanza, come quinci ap- punto arguisce il Ganneau (loc. cit., p.383), per l’altra provano pure che quelli che ne stavano a presidio e che ne sostennero la difesa erano diffatto uomini valorosi e forti. (5) Hitzig, a.a.0., S. 29. ud (6) Ecclesiastes, V. 10, IRA 1 + a ded Di «2 x ‘e G "1 (IA ”» 4 di « cui RongerNe la lettera N ivi quiescente, tate cioè che: nella pronuncia ne è omesso del tutto il suono. Or cotesta soppressione non deve per nulla recarne mera- viglia; perocchè il sopprimere siffatte lettere era un vezzo de’ Moabiti, e la lingua ebraica medesima ci porge esempli chiarissimi di identica soppressione. Chè, a dir vero, pur tacendo del DNP surrerit, che ricorre in Osea (1) coll’ & tra la p e la p, e che corrisponde affatto al notissimo D| senza & di sorta fra le due consonanti (2), certo è che NxY, egressa, nel Deuteronomio (3) e ’DXI, egressus sum, in Giobbe (4) son lo stesso che NNYÎ nel Genesi (5) e OR in Geremia (6); mv, plenus sum, in Giobbe (7) è lo stesso che AO in Michea (8); MN sta co- stantemente per IMNR (9); € nel secondo libro dei Re (10) niwn ih sta pel nîxwn? di Isaia (1). Ora la parola ebraica DN (dai Massoreti, forse perchè antiquata, corretta in ma) deriva dal verbo GN, spectavit, adsperit, e spesso, come vedemmo più sopra (12), adspectu delectari, oculos pascere; laonde avrebbe il doppio significato di vista, spettacolo, e di grato spettacolo: Ai Au- (1) Hos., X. 14. () Deut. XXXIV. 10; Jos. VII[19; I. Sam. XVII 48; XX. 41; XXIV.4 (3) Deut. XXVIII. 57. (4) Job. XXXII. 18. (5) Gen. XXIV. 15.45; Jud. XI.34; Psalm. CXLIV.14; XXV. 32. (6) Jerem. XIV. 18; XX. 18; Cf. Num. XXII.32; Job.1I.11; Prov. VII. 15; Dan. IX. 22. (7) Job. XXXII. 18. (8) Mich. III. 8. — Cf. Jerem. VI. 11. (9) Gesenius, Mebdraische Grammatik, $ 23.4. (10) II. Reg. XIX. 25. ” (11) Jes. XXXVII. 26. (12) Pag. 157-158. o N Di bi Ve } À 3A 1%, RE 7, ee i genveide, come dicono i Tedeschi (1), ossia di na al aa occhi, come diremmo noi. i di Il congiungere poi che Mesa fa qui, Chemòsc e Moab S- nella gioia, che e’ risentono pascendo lo sguardo nella AE strage degli Israeliti in ‘Ataròth, è al tutto naturale e E: consentaneo alle relazioni che egli qui pone fra il suo È & Dio ed il suo \popolo, quando questo a quello fedele, «so quello a questo grazioso; e che sono quelle stesse, che o in simili contingenze pone la Bibbia fra Jehova ed Israele, È vai e per cui la volontà dell’uno è il volere dell'altro: il fe: piacere dell'uno, quello dell’altro. Per la qual cosa noi e; non crediamo di dovere o potere qui ammettere collo i Schlottmann nè uno sbaglio dello scarpellino, il quale ne, - abbia inciso sulla lapide 30M W295 a Chemose ed a e x Moàb, invece di 2XD SR vos, a Chemése, Dio di Moab SA (2); nè tale uno sgorbio nella copia ad impronte sa- glienti posseduta dal Ganneau, per cui l’aleph di 6 << siasi creduto una Y, vau (2). Imperocchè non è lecito sup- porre uno sbagiio dove l’ ortografia e la grammatica non sono lese per nulla, ed il senso corre, nè presenta in- x, congruenze ed assurdi; e per altra parte l’aleph £ ed il vau Y nella scrittura moabita differiscono fra loro per po forma, che uno sgorbio nella copia ad impronte saglienti tale da fare scambiare l’ uno coll’altro non è nè proba- bile, nè verosimile. Quanto poi al fatto qui narrato da Mesa, e di cui egli aa mena vampo, gli è desso un nuovo esempio della feroce È’ legge di guerra, che in que’ tempi meno inciviliti, non e] che permettere, sanciva nel vincitore il diritto, e tal-_. volta creava il bisogno .di sterminare il nimico soggiogato; Fi x bi da (1) Néldecke, a.a.0., S.12. (sed RI SEA (2) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S.43., bi. un agio a legge feroce, cui la Bibbia ci ricorda vigente a que’ giorni: cui Mosè non potè, per le condizioni degli uomini, dei tempi, delle cose, escludere dalla sua le- gislazione (1): e che (se confermata a sanguinose prove dalle storie e dai monumenti antichi, non che dell’0- riente, dell’ Occidente stesso), dall'iscrizione di Mesa ri- ceve nuova luce e nuova conferma. XV. 959 MANfO NI IT NT Agen DUI 3UN N“Pp> WI E portai via di là l’ Ariél di David, e trassilo al co- spetto di Chemòsc in Kiriath. (lin. 12-13). Finchè s’ ebbero solo le prime edizioni di quest’ iscri- zione di Mesa, e le prime correzioni ed aggiunte, sug- gerite al Ganneau da uno studio più accurato ed intenso della sua copia ad impronte rilevate e de’ frammenti della lapide che gli venne dato procurarsi, il senso di questo versetto ritornava al tutto incerto a cagione della lacuna che nel medesimo ricorrea subito dopo le due prime pa- role DUI 2UN, e che, potendosi supplire in varie maniere lutte del pari probabili, ne rendeva al tutto im- barazzata ed arbitraria la scelta. — E di vero, si poteva - colmare la lacuna leggendovi: mn N NA DUI DUNI, | Sppure N25 IU N&; in entrambi i casi: ed io tra- Bi: (1) Schlottmann, Additamenta, a.a.0., S.455. r car dI-L'4 ATE SIE es ie dsL14 a RT E USO UE (id. 4 PRETI RU” Posa i I trà Pr SA ” o vid Bi, - Cn let AME E RAI GA SA = n TO im sportai di tà il capo elligerotto, e lo trassi tab CAPO Chemése : probabilmente, per iscannarlo sovra del suo altare. Or come il sanguinoso fatto, dove fossevi real- mente narrato nell’uno o nell'altro de’ sovraddetti modi, s'avrebbe un compiuto riscontro in Agàg, re degli Ama- leciti, fatto squartare da Samuele al cospetto di Jeovah in Ghilgàl (1), così troverebbe la*prima lezione un suo parallelo nei DAN °’W , i capi dell'esercito, nel Il di Samuele (2); l’altra, nel N3xm "W, i capitani dell'eser- cito, del I delle Croniche (3). Medesimamente si poteva supplire la lacuna leggendovi: abwim-55- Dr DUM DURI, e trasportai di là ogni spoglia, oppure Piola Dona. e trasportai di là tutta la preda DIP: e la trassi al cospetto di Chemésc ; e tanto le due lezioni, quanto l'offerta della preda a Chemòsc s’avrebbero avuto un bellissimo riscontro nelle cose narrateci nel capo XXXII de’ Numeri. Nè meno conveniente per fermo appariva il supple- mento di chi, premendo le orme dell’Hitzig (4), vi leg- geva DwIIY PINNA, ogni loro sostanza, « opes scilicet, « come riota il Gesenius (59), quae asportari et abigi pos- » sent (bewegliche Habe), velut greges, aurum, argentum , » supellex (6) », oppure DISpos2"na, ogni loro ric- chezza (7), e tra queste, per servirmi delle parole del First, « speciatim pecora, quibus potissimum veterum divitiae (1) I. Sam. XV. 33. (2) II. Sam. XXIV. 4. (3) I. Chron. XXVI. 26. (4) Hitzig, a.a.0., S. 16. u. 29. (5) Gesenius, Lezicon, ad v. ID. (6) Gen. XII.5; XIII. 6; XIV. 12-16; XV.14; XXXVI. 7. (7) Gen. XXXIV. 29: XXXXV Tore XLVI. 6; XLVII 17; NOS XXXI. 9 pe lea ‘I egli a 44 ‘ Sar a 00) ;> . Mid d)», ENTI “DI IPP 207, il Wegno delle loro gregge (2), 0, più brevemente, ono Nar 29°NX e tutto il bestiame loro (3). — Le quali ultime lezioni, ‘oltre all’ avere, al pari delle altre due (4), il loro fondamento in luoghi paralleli del testo ebraico, avevano ancora un mirabile riscontro nel fatto del popolo ebreo, che, vinci- tore di ‘Amalech, « ne risparmiò il meglio delle pecore e de’ buoi, per farne sacrificio al Signore (5) »; e traevano una grande probabilità da ciò che i Gaditi erano dediti alla pastorizia ed avevano un subbisso di bestiame (6). Da ultimo si poteva pure supporre nella lacuna di cui si tratta le parole: MM N2 "9 55 ON, tutto il vasellame del santuario di Jehovah (7); oppure: ApSSN ami o) lo na, tutto il vasellamento d’argento e d’oro (8); e più brevemente 297 [>> 55 NX, come leggesi caldaicamente in Ezra (9), 0, come direbbesi in ebraico: 20M HDI b5. DA, tutto l'argento e l'oro; e, dove fosse necessaria una frase ‘più breve ancora, leggervi: 21937 o pio DX, tutto il vasellamento d'oro (10); oppure Tom 55 b> DX, tutto il vasellame prezioso (11). — Chè, a dir vero, non havvi pur (1) Fùrst, Concordantiae, p.998. (2) Cf.I. Sam. XV. 15 cum Jud. VI. 5. (3) Num. XXXI. 9. (4) Gf. i luoghi citati nelle note 6° e 72 della pagina precedente e la nota 2a di questa pagina con Num. XXXI. 48-52; II Sam. VIII 10, sqg.; I. Chron. XVIII. 11; XXVI. 26. sqq. 6) I Sam. XV. To: (6) Num. XXXII. 1.4. (7) C£.I.Ezrae, I, .7. (8) C£. I. Ezrae, T. 11. coll. I. Reg. X. 25; II Reg. XII. 13; TI. Chron, IX. 24; Dan. V.2-3. (9) I.Ezrae, VII. 16. © (10) Num. XXXI. 50. (11) II. Chron. XXXII. 27, 556 7533 PRS TORA 0 PI . » . ; 4 e Pra t:-4 RC init pa una di siifatte espressioni che non s'abbia il suo riscontro i nel testo ebraico della Bibbia (1): e per altra parte non Dr: pure il Codice Sacro (2), ma e le iscrizioni egizie, assire, pi babilonesi, e le testimonianze de’ storici antichi (3), ci Le mostrano a prova, come fosse costume a que’ tempi sia offrire alle Divinità nazionali le spoglie opime che si e» acquistassero in guerra. pi: Che più? Potevasi persino inserirvi le parole DID 59 DR, % omnem pubem eorum (4), od anche ma WS mv pio labii : ) omnem pubem quae in ea, e leggervi: e trasportai di là tutti va i i fanciulli ch’essi vi aveano, e li trassi innanzi a Chemòsc Coi ad essergli sacrificati ». E certo in un uomo che nel dì di > della distretta sacrificò a Chemòsc il suo proprio figlio (5), i e che vivea in mezzo a popoli, presso cui tal fatta di È ca sacrificii erano in voga (6), un’ecatombe di fanciulli pre- ta è dati al nimico non sarebbe stata una cosa strana. Certo ti (4 ecatombe, non guari dissimili, ricordate ci sono nelle pa- } a gine della storia (7). set, i Simile a questa e, a sentenza dello Schlottmann (8), in ei ciò discorde dall’Hitzig (9), probabilissima anch'essa tor- e () Li e. r “a (2) Num. XXXI. 48. sqg.; Il Sam. VII. 10, sqq.; I.Chron. XVIILAI; °° Sa XXVI. 26. sq. — Cf. Jahn, Biblische Archiologie, Wien 1802; II. Th. e va II. B., S. 516. a (3) OL Bapdab, NI: 121-122; Beros. apud Joseph. Flav., Antig., X. x " 11.1; Pausan., I. 28.2; Joseph. Flav., Antigg., XV. 11.2; Live nt 46; "NO Flor. "4 Ta Plutarch. in “Nic. Cota Euseb., loc. cit. ì ia Sr (4) Num. XXXI.9; Gen. XXXI.25; Deut. XX.14... + "2 DONI, è feci risiedere în essa uomini, ecc. Noto è, che il verbo 2W', sedere, all’ hiphfil suona far risiedere (1), far abitare (2), e in ispecie mandare, porre a stanza în luogo di altri, che, soggiogati, sieno stati tra- mutati altrove. Ed in questo ‘senso appunto ricorre nel libro secondo dei Re, dove si parla della gente, che il re degli Assiri « tramutò da Babilonia, da Cuttàh, da ‘Avvà, da Hhamàth e da Sefarvàim, e pose a stanza nella città di Samaria, in luogo de’ figliuoli d'Israele (3) me- nati in cattività d’in sulla terra loro in Assiria (4) ». Or convenientissima cosa ella era che Mesa, dopo uccisi gli uomini che abitavano in ‘Ataròth e l’avevano difesa ad oltranza, e menatene forse cattive le donne e le fan- ciulle, vi trasportasse una nuova colonia, ed, ove questa non fosse al tutto necessaria, vi ponesse a stanza ed a presidio soldatesche, le quali, occupatala fortemente, «ne stessero a guardia e a difesa. DIM WR INI PIU Un na, uomini di Saron, e uomini di Mahheroth. Quali si fossero queste città o terre, e dove site, | (1) Psalm. LXVII.7; CXIII.7.8. (2) Gen. XLVII.6. (8) IL Reg. XVII. 24. 26, da har » Lù ri if fe Peel. * + È Var” È - Pa b FA » qua è ty Bi x ic mir, ‘Ai Ced) “pata Mai, LT bi D DR i 3 cd RT x 4 LE n, WI non ne è dato sapere e definire; e quindi lo Schlottmann È pensò questi nomi, anzichè a città o contadi,. accennas- sero a famiglie moabitiche (1). — Il Derenbourg per contro, scorgendovi nomi di città, propose la città di Sibmàh, MOIO, che nel Targum Gerosolimitano vien chiamata. Shiran (2), e quella di Tsèreth Hasscahhar, nun EH entrambe site nell’antico territorio moabita (3), invaso da prima dagli Amorrei, poi conquistato dagli Israeliti (4), e designato nel Sacro Testo col nome or di SW, pianura (5), ed or di 2RD MTW, campagna di Modb (6). — Ma quanto alla prima, gli è al tutto gra- tuito, ed anche poco probabile che il nome di Shiran; dato dal Targum a Sibmàh, sia, anzichè recente, antico e volgato così da risalire sino ai tempi di Mesa, e da essere già sin d’allora noto e comune ai Moabiti (7). Quanto poi alla seconda, oltre all’esserne il nome forse troppo lungo da poter capir tutto nella tramezzante la- cuna (8), certo è che nell’iscrizione di Mesa il nome della. terra o città ivi indicata finisce con una N, la quale manca affatto in MW; ed oltraciò , nel testo, come risulta dalla scheggia corrispondentevi, invece della W ivi ricorrente, si legge chiara e netta una )9 (9). LS (1) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S.43. (2) Targum Hierosolymitanum, ad Numer, XXXII. (69: (3) Jos. XIII. 19. (4) Num. XXII. 26. coll. 25-32; e XXXII. 33. sqq. | (5) Deut. III. 10. — Cf. Keil, Biblischer Commentar big dio Bicher : Mosiîs, 2.B, S.407. é Uni Ual (6) Num. XXI, 20. — Cf. Keil, a.a.0., S.287. A (7) Fabiani, l.c., p.16. — Néldecke in dem Got. ptt. Anzio. cal St. 18. — Cf. Kimpf, a. a.0., S. 26. LARA A (8) Schlottmann, Additamenta, aa. 0., S.444, vpggza (9) Ganneau, l.c., p.367. bi pi N) "6 «WU v DI Set] Ro A 563. Più probabile pertanto parrebbe l’ opinione di coloro, che nel 39W di Mesa ravvisano coll’Hitzig (1) il 7î95W delle Cronache, le quali ne descrivono il contado occu- pato dai Gaditi (2); ed in NSM9, non sembrano alieni dal vedere, insieme col Ganneau (3), la celebre Mache- ronte, Maryepods di Giuseppe Flavio (4). — Ma da una parte l’essere, non che gratuito, improbabile affatto che Mesa si fosse già spinto colle sue conquiste fino in su quel di Gad; e dall’altra, l’essere nel Talmud la Mache- ronte - di cui ci parla Giuseppe Flavio, e le cui rovine furono trovate e designate dal Seetzen col nome di Mkaur (5) - scritta non già MPN, ma-30929 (6), tolgono a questa doppia opinione ogni fondata verisimiglianza , e la riducono a pura e pretta conghiettura. E pura e pretta conghiettura, sebbene dotta ed inge- gnosissima, si è quella dell’eruditissimo canonico Fa- biani, il quale proporrebbe di tradurre cotesto versetto : E feci risiedere in essa uomini corazzati e uomini loricati : narxogitooras na Myobcipnzas , diresti quasi: « armati di grave, e armati di leggiera armatura ». — Osserva egli, ed a giusta ragione, che, trattandosi di guarnigione da porre in una colonia fortificata, era naturalissima cosa lo scegliere di preferenza uomini di guerra; che questi, ‘© come a’ dì nostri, così pure in quegli antichi tempi, trae- . (1) Hitzig, a.a.0., $.30. i (2) I. Chron. V.16; qui colla 9, perchè v'ha la scriptio plena; là col solo kolem senza la vau; perchè v'ha la scriptio defecliva, pre- ferita dai Moabiti egualmente che dai Fenìci. V. DARAI) Die tv: phònizische Sprache, S. 118. (3) Ganneau, l.c., p. 384. (4) Josephus Flavius, Antiquit., XVII. 5. 1-2, (5) Schlottmann, Additamenta, a.a.0., S.444, _ (6) Neubauer, Géographie du Talmud, Paris 1868, p. 40. 564 i LTT PRC vano più d'una volta il loro nome dalle specie di armi che portavano (1); che infine, presso gli Orientali più ancora che presso ai nostri, e in ispecie presso agli Egizi, ai Fenici, ed agli Ebrei (popoli confinanti co’ Moabiti), i corsaletti che servivano d’armatura ai soldati erano di due sorta, corazze metalliche rilucenti, come la squamata, D'WPOP 79MW, che indossava Goliath (2), e corazze di lino, come le ricordateci da Senofonte (3), Plutarco (4), Erodoto (5), Pausania (6) e Svetonio (7). E che veramente queste ultime, e non solo quelle prime , fossero note agli Egizi è provato sì dalle celebri donate da Amasi ad Atene in Lindo ed a Samo (8), e sì dagli avanzi trovatine a’ nostri giorni, anche di ornate $&y iyvpacpivcy cvyv@v (9), frequentibus animalium figuris, come le descrive Erodoto (10). Quanto a’ Fenici, ne sono irre- fragabil argomento le tre panziere di lino, che, tolte ad esso loro, erano state poste, secondo che narra Pau- sania (11), nel tesoro fenicio di Olimpia, dono di Gelone e de’ Siracusani. Che poi gli Ebrei ne avessero essi pure contezza, si par manifesto dalla menzione fattane in (1) E quindi appunto presso i Romani gli hastati, i funditores , i pilani, i sagittarii. V. Forcellini, Lezicon totius latinitatis, ad hh. vv. (2) I. Sam. XVII, 5. (3) Xenoph., Cyrop. IV. 7.11; VI.4.1-2; Anab., IV.7,45. (4) Plutarchus, in Alerandr., n. 23. (5) Herodotus, MHistor., II. 182; III 47. (6) Pausanias, De veteris Graeciae regionibus, VI. 19, (E REVO (7) Svetonius, in Galba , 19. (8) Herodotus, ll. cc. (9) Wilkinson, Manners and Customs of the VIRA Fayptians, London 1837, III. 382-3. (10) Ivi, II, 47. - RA (11) Pausanias, l. c. &dj5) due luoghi dell’Esodo (1), in cui, descrivendosi la veste È del Sommo Sacerdote, si vuole siane il lembo intessuto DI Ma e rafforzato, come una lorica di lino. Di che il valente Archeologo romano conchiude che i Moabiti conoscessero essi pure, al pari di questi loro circonvicini, questa e “SF doppia sorta di corazza, di cui sembra che l’una servisse ti agli opliti, l’altra all’ armatura leggiera; e, poichè la prima era detta OÙ (2): mevÙù (3): MU (4); Valtra N9NA, il qual nome differisce solo per la preformante n dal singolare del nostro aa scritto difettivamente ‘ secondo l’uso moabitico, vorrebbe egli ravvisare nella ta MW , 0, meglio forse MW, o }W di Mesa una tras- formazione della TIÙ. 0 NU degli Ebrei; e nel plurale moabita DMI. o meglio MN, una trasfor- mazione del plurale ‘ebraico NINIMI ; donde la sua traduzione: e fecì risiedere in essa uomini corazzati e lori- cati, armati cioè sì di grave e sì di leggiera armatura (5). i Senonchè, non avendo il dotto Orientalista giustifi- RA la cata, od almeno spiegata a punta di ragioni e di esempli Cart «questa doppia trasformazione da lui supposta; e per altra parte, non essendo nella prima di queste parole la ? ele- — mento d'una scriptio plena, e nella seconda, non essendo «la 2 una linguale al pari della N, sibbene una labiale, i questa sua congettura, per quantunque dotta ed inge- gnosa, non è tanta a piegarci e trarci dalla sua. . Per la qual cosa noi preferiamo di ravvisare col Nòl- . decke nei due nomi, di cui si tratta, 71 e MIMO, ve. * 9a DI | — (1) Exod.XXVIII. 32; XXXIX. 23. de SE (2) Job.XLI.18. n Ae GI Li: (3) I. Reg. XXII. 34; Jes. LIX.17; II. Chron. XVIII. 33. "(Sd (4) I. Sam. XVII. 538. 4 Le Fabiani, 1. c., p. 16-17. VTECA [4 24 due nomi di città moabitiche, cui però confessiamo\di }| 4 si ‘a non poter determinare per mancanza di dati sufficienti. LE Nè questo deve per fermo recar meraviglia, chi consi- Me deri per una parte il numero stragrande di rovine, di ipa Pi- cui pur a' dì nostri si vede sparso il territorio di Moàb (1); LA per l’altra, i pochi cenni che, rispetto al medesimo, ri- 5 corrono nel Codice Sacro. i; XVII. ar; Sai Sy mas nr thx

» (prosegue egli) un falso profeta (3),...che avea parlato 9-4 Ri (1) V. Seetzen, Reisen, I.405-406; Burckhardt, Reise, I. 1061-64; i/ Irby and Mangles, Travels, ch. VIII; De Sauley, Voyage autour de i ta Mer Morte, Paris 1853; i quali « in one thing all agree, the extraordinary number of ruins which are scattered over the country, and which, whatever the present condition of the soil, are a sure token of its wealth in former ages ». Grove in Smith°s, Dictionary . of the Bible, vol.II, p.398 d. E il Robinson (Patéstina, III. 923. ff.) riferisce i nomi di 47 ruine di città e villaggi, che s'incontrano x nel Belkà sulla destra dell’Arnòn. (2) Fabiani, l. c., p. 18. (3) Come i TIONN ì N°239, Prophetae Ascerae (I. Reg. XVII ON st y3n ND), ARIE Baalis (ivi, 19.22. 25. 40), 14 iui TIM Prophetae Samariae (Jerem. XXIII. 13, coll. Il. Reg. saggi ‘a nome di Camos, ovvero il re stesso credevasi ispi- » rato da Camos? - » Dii ne hunc ardorem mentibus addunt? An sua cuique Deus fit dira cupido ? » Sarebbe difficile l’indovinarlo. Le parole però di Mesa i » trovano un gran confronto nelle scritture cuneiformi , Mt » come nelle geroglifiche, nelle quali tutte le regie im- "go i » prese sono ascritte a cenno divino, a divina ispirazione, si » a divino volere. Servir potrebbero ancora a mostrare e » la giustizia di ciò, che Jephte, parlando ad hominem , » diceva a’ Moabiti: « Nonne ea quae possidet Chamos » Deus tuus tibi iure debentur ? (1) », giacchè non ai loro » re, ma a Camos, che gli spirava, ascriver doveano î È » Moabiti le proprie conquiste (2) ». Così egli: nè certo potrebbesi desiderare più acconcia ‘0 più assennata introduzione a questo versetto, il quale in fatto di filologia e di archeologia non presenta difficoltà di sorta. E di vero: il a WI INN, e dissemi Chemòse, ha il suo riscontro nella frase biblica . mm a MNM, Si e disse a meJehovah (3), e nell’equivalente: x im MN, ‘ e disse Jehovah a me, la quale ricorre frequentissima nel Codice Sacro (4). — L’aferesi in 956 va: persona seconda singolare, imperativo kal, del verbo “an, (o) meglio qP, FA i RA 6.12, 13.22.23; II Chron. XVII. 5. 11.12. 21.22); donde appunto una di - prova lampante dell'importanza a que’ tempi, ch’ erano appunto quelli di Mesa, attribuita ai Profeti, non che del vero Dio, delle stesse divinità pagane. s (1) Jud., XI, 24. Sat () Fabiani, 1.c., pag:48. ‘3 (3) Jes. XLIX. 3. ISIS (4) V.Jes.III.16; VII.3; VII. 13; Jerem.1.7.12.14; III. 6.11; XI. pri 3; XIV.11.14, 08. II1. E Amos, VII. 8.15; Zach. XI, 13. iapla A è di regola generale in tal fatta vert di prima jo e L, _ IA I riscontri poi di questa frase dell’iscrizione di Mesa con quelli della Bibbia ebraica sono numerosissimi (1). — L’3MN suona qui: prendi a forza, impossessati coll’ armi; e tale si è appunto, fra le altre, la significazione del verbo Un.) (2). — Un riscontro manifesto, così nella si- gnificazione, come nella coniugazione, nel modo e nella persona, ce lo porgono le parole di Abner ad Asaele, che, accanitamente inseguendolo, instavagli a tergo: vol- giti, gli dicea, a destra, oppur a sinistra: MX ab; URLA DIYIN N: e impadronisciti di uno di questi fanti, 35m) insémena, e prenditi le sue spoglie (3). NR na” na, Nebé, città antichissima, di cui parlammo fe più sopra (4). s ans Sy, sopra, o meglio, contro Israele: chè questo è appunto uno dei significati della PIOBAPAO O Sy (5). RSA pi door dii NA A sar (1) V. First, Concordantiae, p.491. i (2) Jud. XVI. 21; II. Sam. II.21; Psalm. LVI.1; Job. XVI.10; Cant. II, 15. (3) II Sam. II. 21. = (4) V.sopra, cap. VIII, (5) Cf. Jud. XVI. 12; Job, Gi 4.9.10; XIX.12; XXI, 27; XXX. 12; . XXXIII 10; Jes. IX. 2; XXIX.3; Ezech. V. 8. ga a Paga aa “i BR iride dip (Continua). e” ì ’ x L’Accademico Segretario i GASPARE GoRRESIO. — sx (TR) di IN bi PLAN! FATTI LI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO paL 1° aL 28 reBsralto 1875 # Donatori Monatsbericht der RK. Preussischen Akademie der ‘Wissenschaften n. Accademia da 0 zu Berlin; November 1874. Berlin, 1874; 8°. delle Scienze. di Berlino. 3 Bullettino delle Scienze mediche, pubblicato per cura della Società Società — ug. E Medico-Chirurgica di Bologna; Gennaio 1875. Bologna, 1875; 8°. Medi< Re È : i Bologna. | | Transactions of the Zoological Society of London; vol. VIII, parts soc. Zoologica È: "di È - Ll 7-9. London, 1874; 4°. di Londra. E Proceedings of the scientific meetings of the Zoological Society of Id. London, for the year 1873, Part III, June-December; for the year 1874, parts 1-3, January-June. London, 1873-74; 80. i Transactions of the Manchester Geological Society etc., vol. XIII, parts Società Geologica band. 7, Session 1874-75. Manchester, 1874; 8°. di ‘Mamehestor di AU Ò CI sa Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; serie se- R. Istituto Lomb. | he conda; vol. VIII, fasc. 2-4. Milano, 1875; 8°. (Milani: x UABET.. | —Annuario della Società dei Naturalisti in Modena, ece. Serie seconda; _ ‘anno IX, fasc. 1. Modena, 1875; 8°. ie Società | dei Naturalisti . A Lei * Bullettino meteorologico dell’ Osservatorio del R. Collegio CARLO ALBERTO in Moncalieri; vol. IX, n. 3 e 6. Torino, 1874, 4°, 15 Società Reale ‘di Napoli. hi AR. Istituto d’ Incoragg. di Napoli. Società Veneto-Trent. di Scienze-nat, (Padova). Istituto «di Francia {Parigi). Soc, Geologica di Francia (Parigi). R. Università di Parma, Ministero di Agr., Ind. e Comm. | (Roma). R. Accademia dei Lincei (Roma). Accad. Pontificia de’ Nuovi Lincei | (Roma). R. Comitato - Geologicod'Italia | (Roma). R. Accademia ile’ Fisiocritici di Siena, u CRA cc. di Medie, ‘ll n) | v A | Italiano (Torino), i Torino. i Torino È, Ù De n ‘Club alpino 570 1 Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli; Dicembre 1874, Gennaio 1875; 4°. Programmi di pubblico concorso per l’anno 1875, proposti dal R. Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze naturali, economiche e tecnologiche di Napoli. Atti della Società Veneto-Trentina di Scienze naturali, residente in Padova; vol. III, fasc. 1. Padova 1874; 8°. Comptes-rendus hebdomadaires des Séances de l’Académie des Sciences etc. Tomes 77-79. Paris, 1873-74; 4°. Bulletin de la Société Géologique de France, tome I, 3ue série, pag. 441-536; tome III, n. 2. Paris, 1875; 8°. Corso degli studi nella Regia Università di Parma per l’anno sco- lastico 1874-75, Parma, 1875; 8°. Bollettino meteorologico mensile; Luglio 1874; Gennaio e Febbraio 1875; 8° gr. Programma relativo al premio Carpi per l’anno 1875, proposto dalla Reale Accademia dei Lincei. Atti dell’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei, ece.; anno XXVII ; sessione 12 del 20 Dicembre 1874. Roma, 1875; fasc. 4°. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; n. 1 e 2, 1875, Roma, 1875580. Rivista scientifica pubblicata per cura della R. Accademia de’ Fisio- critici; Settembre-Dicembre 1874. Siena, 1874; 8°. Giornale della R. rino, 1875; 8°. Accademia di Medicina di Torino; n. 4 e 5; To- Bollettino medico-statistico della città di Torino; dal 27 Dicembre 1874 al 31 Gennaio 1875; 4°, È L’Alpinista; Periodico mensile del Club Alpino italiano ; Gennaio 1875; 8900 VASTA te. ‘Annali del R. Istituto Industriale e professionale di Torino; anno I, e; II e III. Torino, 1872-74, 3 vol. 8°. Regolamento e programmi per l’esame d’ammessione alla 1° classe, e per quelli di promozione dal 1° al 2°, dal 2° al 3°, e dal 3° fr al 4° anno. Torino, 1873-74; 8°. 4 Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; tomo primo, = serie V, disp. 3. Venezia, 1874-75; 8°. Jahrbuch der K. K. Geologischen Reichsanstalt: Jahrgang 1874, le XXIV Band, October-December. Wien, 1874; 8°. Verhandlungen der K.K. Geologischen Reichsanstalt, n. 16. December, 1874; 8° « —Nouveaux Mémoires de la Société Helvétique des Sciences naturelles; i vol. XXVI. Zurich, 1874; 40. Bollettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e dix fisiche, pubblicato da B. BoncompacnI; tomo VII, Ottobre 1874. 3 Roma, 1874; 4°. La Francia dopo il 24 Maggio 1873; per C. Box-ComPagnNI. Torino, 1875, 8°. Dizionario storico, geografico, universale della Divina Commedia di Dante Alighieri, contenente la biografia dei personaggi, la notizia dei paesi, ecc., opera di Donato Bocci. Torino, 1874; 1 vol. 16°. 1 Carmi di Caio Valerio Catullo, tradotti in italiano dal Prof. Donato Bocci. Torino, 1874; 1 vol. 16°. De l’inhumation et de l’incinération chez les Etrusques; Lettre è M. Alexandre Bertrand par M. G. ConEsTABILE. Paris, 1874; 8°. Monografia ed iconografia della terramara di Gorzano, ossia monu- È menti preistorici del bronzo e della pietra; pel Dott. Prof. Fran- __—cesco CopPI, ecc., vol. secondo. Modena, 1874; 4°. « | Gli scavi della terramara di Gorzano, eseguiti nel 1874; ecc. per * | Francesco Coppi. Modena, 1875; 8°. : sa a: srt R. Istituto Industr. e Profess, di Torino. ni Id. io R, Istit. Veneto (Venezia). 1, R, Istit. Geol, dì Vienna, Id, dae Soc. elvetica di Sc. naturali be di Zurigo. vi Sig. Principe | B, BONCOMPAGNI. L'Autore, è i CT i PeR | | ‘L'Autore. Cosmos; comunicazioni sui progressi più recenti e notevoli della Sa Si Geografia € delle scienze affini; di Guido Cora; vol. II, n. 6, 1874. % Torino, 1875; 8° gr. LI Ì MR La. Bullettino di Archeologia Cristiana; dei Comm. G. B. DE-Rossi; : 7, CRI É anno V, fasc. 4. Roma, 1874; 8°. ‘© Redattore Bullettino del Vulcanismo italiano; Periodico geologico ed archeolo- a gico ecc., redatto dal Cav. Prof. Michele Stefano DE-RossI; Gen- un; naio-Marzo 1875. Roma, 1875; 8°. To A # ‘ 2 fo | L'A Scritti minori di Pieiro ELLERO. Bologna, 1875; 1 vol. 16°. Me, 1 Direttori. Le Industrie, l'Agricoltura e il Commercio; Periodico settimanale SER ; diretto dai Professori ELIA e PANIZZARDI; anno IV, n. 3-12, To- at rino, 1875; 4°. Ise Dott. Bollettino del Circolo legale di Macerata; anno 1, n. 17-22, Mace- R. Focmerti. rata, 1874; 8°. i i L'A. Studi geologici sulle Alpi occidentali di B. GastALDI; parte II. Fi- s» | de renze, 1874; 4°. PL QUE SL'A. Appareil récepteur du courant intermittent; présenté par M. HoLTEN à l’Académie Royale Danoise des Sciences, dans la séance du 12 février 1875. 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Cagliari, 1875; 8°. Il restauro e la rigenerazione dei dipinti ad olio di Massimiliano De Pettenkofer; Studii di Giuseppe Uberto VALENTINIS. Udine, 1874; 80, i A | ERIiiili de ZA) | PEGI U Sorcofezo hè alla base SITI (i lunghazaze 4, no i 'maggiar allesza -Uguadro intrro dell'iverizione è lungo di ‘139%, dae ali 1, 146, Questo grifone ed il capo DA Bue riposo omettere ma porone servive per nuylio vi pendurt a fimn ed monumento aedeefi rvafiero, «la ostruzione Del Invefazo eru di pietra quadrata 22, via ripe vederaneigrtecontiche oli Retro Saul Burt ene VA VIMA lg 7 enplig nia di and fac, da rmuralira presen (ibb È inn errliisero: Tavola appartenente alla Lettera al Conte Carlo Baudi di Vesm negli Alli di Dicembre CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Marzo 1875. o “n Ne, Slan to b Rea: » vi ke { li => SN me ef grazie e Y È poro CLASSE os INI "I SI T | in SA DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE | 3 piroanaln : “Tato Adunanza del 7 Marzo 1875, Sr | PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Pe Ì Il signor Comm. P. RicneLmy, Vice-Presidente, presenta Si e legge a nome dell'Autore sig. Comm. Agostino CavaLLeRo, 3% Ù Prof. alla Scuola d'applicazione per gl’Ingegneri, e Preside Ù del R. Istituto industriale e professionale di Torino, la se- guente Memoria intitolata : FRENO IDRAULICO bis UDO a Pal OLM- E. E SUA APPLICAZIONE AL LOCOMOTORE FUNICOLARE AGUDIO. ti L'apparecchio, che forma l’oggetto del presente scritto, è una delle numerose innovazioni arrecale dall’ Inge- gnere Tommaso Acupio al noto suo sistema di trazione È funicolare, il quale oggidi trovasi applicato, in attesa d’una seconda sanzione dell’esperienza (*), sul versante (*) L’invenzione di questo sistema di trazione funicolare per le . forti pendenze rimonta sino all'anno 1861: esso con esito molto Di: lusinghiero, però con varianti noteyvolissime dall’ ultima disposi- ant zione adottata dall'inventore, venne nell’anno 1863 assoggettato ad MERE una lunga serie di prove per parte di una Commissione del Go- E | verno italiano, e di altre Commissioni delegate dal Governo fran- ; | ceseeda varii Istituti scientifici e Società industriali, sopra il piano | inclinato di Dusino presso Villanova d'Asti, della ferrovia Torino- | Alessandria, da lungo tempo abbandonato. i 7° } M vi * e . mit, 3 “ a n. O Alp NI c i 578 [FOR BAMIBRNRA francese del Moncenisio presso Lanslebourg. A questo ap- parecchio, destinato nella mente degli inventori, i quali sono lo stesso ingegnere Acupio e l’ingegnere costruttore- meccanico Cai di Parigi, a moderare od anche ad arrestare la discesa dei convogli lungo le ferrovie di pendenza ecce- zionale, su cui cioè non è più possibile l’uso della mac- china a vapore locomotiva ordinaria, venne molto propria- mente assegnata la denominazione di freno idraulico. Gli ingegneri Agupio e CaiL hanno ottenuto l'attestato di privativa per la loro invenzione in Italia fin dall'anno 1873 (#). Vuolsi però notare che essi non furono i primi a concepire l’idea di diminuire, o di estinguere , la forza . viva di un corpo in movimento, impiegando questo movi- mento a far circolare entro apposito recipiente una massa di fluido incompressibile. Già da parecchi anni nelle gru idrauliche, macchine con cui si sollevano grossi pesi me- diante la pressione dell’acqua, e delle quali il tipo più perfetto s'intitola col nome del celebre costruttore inglese ArmstronG, la discesa del carico si regola, in modo al- trettanto sicuro quanto pronto, coll’aprire d’una quantità conveniente la valvola scaricatrice dell’acqua dal corpo di tromba in cui nel frattempo lo stantuffo motore compie la sua corsa retrograda. Oltre di ciò non è da tacersi che il medesimo principio venne anche suggerito sin dall'anno 1833, nei termini seguenti, dal francese GaLy-CAZALAT per la costruzione di un freno ferroviario. Il veicolo, da munirsi di freno, porterebbe un corpo di tromba ad acqua, la quale sarebbe aspirata da acconcio serbatoio annesso parimente al veicolo, e poscia nuovamente cacciata in (*) Vedi l’attestato 30 novembre 1873- numero 59: AgupIe Tuiomas, IC. Carr et Comp - Perfeclionnements au système funiculaive Agudio — pour le service des chemins de fer et des mines nella pubblicazione | Bollettino industriale del Regno d'Italia, vi = % egual A Ce 8 y po 3:35 IV questo serbatoio. Lo stantuffo della tromba riceverebbe il necessario movimento d’andirivieni da uno degli assi del — veicolo col mezzo d’un eccentrico circolare. Chiudendo frattanto più o meno una chiave applicata al tubo pre- mente produrrebbesi, contra la circolazione del liquido, una resistenza capace di rallentare, od eziandio di arre- stare, il veicolo (*). Io ignoro interamente se GaLy-CazaLar abbia anche solo fatto qualche tentativo per realizzare il suo concetto. Senza dubbio questo, quale venne ora enunciato, offri- rebbe per la sua pratica effettuazione gravi difficoltà, le quali dirò più tardi come siano state abilmente superate da Agupro e Carr. Ma appunto perchè erano queste dif- ficoltà sormontabili, si presenta dapprima spontanea la domanda del come sia avvenuto che, frammezzo alla quasi innumerevole quantità di freni stati proposti per le fer- rovie e fondati sopra resistenze di varia natura, attrito, aria, vapore, niuno degli inventori per un così lungo in- tervallo di tempo non abbia più rivolto il pensiero al prin- cipio emesso da GaLy-CazaLat, ricorrendo cioè alia resi- stenza dell’acqua, massime coll’esempio sovra citato delle gru idrauliche. Invogliato sia di trovare una soddisfacente risposta a questa domanda, sia, ora che l’idea di esten- dere alle ferrovie l’uso del freno idraulico ha ricevuto una alluazione pratica, di riconoscere semplicemente col lume della teoria tutto ciò che è lecito sperare intorno al va- lore di questo apparecchio, ho reputato prezzo dell’opera il fare del novello freno dei signori Agupio e Carr argo- Re Mi duole, per quante ricerche io abbia fatte, di non essere riuscito, sul freno idraulico proposto da GaLy-Cazarat, a trovare un cenno più esteso e perfetto di quello che qui si riferisce, desu- mendolo quasi testualmente dalla Enciclopedia popolare italiana (edi- | zione 4% — vol. 8°, all’articolo freno). 580 | ce VS SRI" mento particolare di studio, del quale ora m’ascrivo ad onore di potere esporre i risultati maggiormente degni di menzione dinanzi a codesto illustre Consesso accademico. Grado di potenza dei sistemi conosciuti di freni per le fer- rovie: freni a fregamento. — Giova primieramente che sia ben messo in chiaro quanto lasciano ancora a desiderare i sistemi conosciuti di freni per le ferrovie, in ordine al grado di potenza di cuni essi sono capaci, ed anche alla prontezza e sicurezza della loro azione. Questo breve esame preliminare dei progressi compiuti in fatto di freni ferro- viarii ci porrà in istato di conoscere che al giorno d’oggi, se per le ferrovie ordinarie a locomotiva la soluzione del problema può dirsi ottenuta nei limiti del ragionevole, la stessa cosa non è concesso di asserire per le ferrovie di forti pendenze, sulle quali non è più ammissibile l’im- piego della macchina a vapore locomotiva. Il principale carattere distintivo dei varii sistemi di freni in uso per arrestare, od anche solo rallentare, il movi- mento dei convogli sulle strade ferrate consiste nella di- versa natura della resistenza, o forza ritardatrice, la quale è sviluppata da ognuno di essi in opposizione a questo movimento. Più comunemente questa resistenza è un at- trito di prima specie sulle rotaie della strada, il quale producesi arrestando il moto di rotazione di tutte le ruote del convoglio, od eziandio di una parte soltanto di queste, e così costringendo il convoglio a strisciare sulle rotaie col peso gravitante sulle ruote frenate. Talvolta, affine di risparmiare i cerchioni delle ruote, si preferisce di solle- vare ciascuno dei veicoli muniti di freno da’ suoi assi, facendolo invece appoggiare sulle rotaie per via di ro- busti pattini di ferro: Allora però è manifesto che l’intero peso del veicolo più non contribuisce a generare la resi-- stenza del freno, ma vi conferisce solamente questo peso. n 581 diminuito del peso delle parti rotanti. L’immobilità delle ruote e dei loro assi, pei freni della prima specie, in ge- nerale si ottiene spingendo con pressione d’intensità con- veniente contra il cerchione di ciascuna ruota un grosso ceppo o blocco metallico o di legno. Dei freni a fregamento, i quali cioè hanno per prin- cipio la forza ritardatrice dell’attrito, si usano numerose disposizioni differenti. Così secondo che la potenza, im- piegata per esercitare la pressione contra i cerchioni delle ruote è la forza muscolare dell’uomo, o l’elasticità d’una molla, la caduta d’un peso, ovvero la forza dell’aria com- pressa, od infine quella del vapore, si dànno all’ appa- recchio i nomi di freni a mano, a molla, a contrappeso, ad aria od a vapore. In secondo luogo dipendentemente dal genere di meccanismo, che serve a trasmettere l’a- zione della potenza, si hanno i freni a leva, a vite, a ro- tismo dentato, a snodo od a cuneo. Per rapporto final- mente alla disposizione ed alla forma dei ceppi noveransi i freni a ceppi oscillanti, a porta ceppi fissi, a porta ceppi scorrevoli ed a scarpe. I freni appartenenti ad un medesimo convoglio vengono applicati per lo più interpolatamente e soltanto. ad alcuni veicoli, fra cui lrovansi sempre compresi il tender, o carro di scorta della locomotiva, ed il carro a bagagli che im- mediatamente lo segue. Con questa disposizione di freni, detti isolati o discontinui, il macchinista ha unicamente sotto la sua mano immediata il freno del tender, e si vale del fischio della locomotiva per far chiudere gli altri freni del convoglio. Ciò naturalmente richiede una per- dita di tempo, e nuoce all’unità e prontezza d'azione di tutti i freni. Allo scopo di rimediare a questo inconve- | niente, sì è immaginato di collegare tra di loro mercè d’un opportuno meccanismo di trasmissione i freni d’uno i dI AGO UTO LI » Pe + VEST AIA, e SARE 582 di, ac al stesso convoglio: donde. l’ origine dei freni denominati continui, i quali hanno appunto per oggetto di concen- trare nelle mani del macchinista il maneggio di tutti i freni del convoglio. Nel novero di questi ultimi freni vo- gliono essere anche inclusi i freni automotori e quelli elet- trici. Mediante i primi lo stringimento dei ceppi contra le ruote viene prodotto automaticamente utilizzando la stessa forza viva di traslazione, da cui trovasi animato il convoglio. Col mezzo dei secondi invece mettesi a profitto la forza viva di rotazione degli assi e delle ruote dei vei- coli armati di freno. Nel primo caso basta che il macchi- nista rallenti la velocità della locomotiva, col chiuderne il regolatore, o valvola di presa del vapore, perchè tosto i veicoli componenti il convoglio vengano di mano in mano ad urtare coi loro paracolpi contro i paracolpi dei veicoli precedenti, e così i gambi dei paracolpi dei veicoli muniti di freno, rientrando nelle rispettive guide , pos- sano coll’ aiuto di acconcio meccanismo trasmettitore pro- durre il chiudimento di tutti i freni del convoglio. Nel- l’altro caso per via di una corrente elettrica, la quale si estende da un capo all’altro del convoglio, e che a vo- lontà può essere attivata dal macchinista od anche dal personale di servizio del convoglio, si perviene ad eser- citare una conveniente pressione dei ceppi contra le ruote, giovandosi della forza viva di rotazione degli organi rotanti dei veicoli forniti di freno. Qualunque sia però la disposizione adottata pei freni a ‘ fregamento, astrazione fatta dalla minore o maggiore unità e, celerità d’azione dei medesimi, è in primo luogo da av- vertirsi che la loro potenza frenatoria, vale a dire l’inten- sità della resistenza opponibile da essi al movimento del convoglio, non può superare un determinato limite, al di là del quale diventa inutile l'aumentare la pressione dei ceppì contra le ruote. Questo limite è dato dalla frazione del peso complessivo dei veicoli armati di freno, la quale rappresenta il coefficiente d’attrito di prima specie fra le ruote e le rotaie (*). Or bene l’esperienza insegna che il valore di questo coefficiente può variare, a seconda delle circostanze atmosferiche locali, entro limiti notevolmente estesi, cioè da !/; fino ad '/», e talora eziandio fino ad '/,oo (**). È accertato del pari che lo stesso coefficiente, al disopra d’un certo limite di velocità, non può più ritenersi siccome indipendente da questa, ma che al contrario dimi- nuisce secondo una certa legge al crescere della velocità medesima (***). Da ultimo ancora devesi notare che nelle discese la forza di gravità tende ad aumentare la forza viva del convoglio, distruggendo in parte l’effetto dei freni, per guisa che anzi, allorquando l'inclinazione della strada sorpassa l’angolo di attrito, cioè l’angolo che ha per tan- (*) Questo effetto massimo dei freni deve intendersi riferito al solo caso in cui le ruote sono interamente rese immobili, come ordina- riamente accade. Da recenti esperimenti (vedi De /a résistance des trains el de la puissance des machines par L. VunLeMIn, A. GuiBHAUD et C. Dieuponni - Paris, 1868 - alla nota F Pwissenze des frains in fine dell’opera) risulterebbe infatti che, se invece i ceppi vengono premuti solamente in parte, cioè non a segno da sopprimere del “tutto il moto rotatorio delle ruote, la resistenza riesce considere- volmente maggiore che non coi ceppi interamente chiusi. (**) Si vegga a questo proposito la Memoria molto pregevole sui freni, che venne pubblicata dail’ing. Felice BioLia nel Giornale de? Genio Civile (anno VI - 1868 - parte non ufficiale), segnatamente a pag. 374 e 375. i (***) Per velocità comprese fra 5 e 22 metri al 1” ricavasi da espe- rimenti, istituiti dall'ing. Jules Porrée sulla ferrovia di Lione, che la resistenza in Kg. prodotta da un veicolo a freno, quando le ruote sono rese del tutto immobili, in funzione della velocità è espressa da fP_—25 V+0,35. V*, essendo / il coefficiente d’attrito, da pren- dersi uguale a 0,13 per le rotaie umide, ed a 0,30 per quelle molto asciutte, P il peso del veicolo in Kg.e V la velocità in m. al 1", Lar ; Mia ; î n + Sd LES vi gente trigonometrica il coefficiente di attrito di strivtid mento delle ruote sulle rotaie, il movimento del con- voglio si accelera, ed il suo arresto diviene impossibile (*). Freni ad aria; freno a controvapore. — Oltre però alla loro inefficacia più o meno grande nelle condizioni sfa- vorevoli di atmosfera, di velocità e di pendenza, i freni a fregamento vanno soggetti ad altri inconvenienti, i quali sì verificano in ogni caso, e consistono nel rapido consumo dei cerchioni delle ruote, nel deterioramento delle rotaie, in quello dei ceppi stessi del freno, che resi inservibili in breve andar di tempo debbono rinnovarsi, nel dispendio considerevole per il personale necessario specialmente per la manovra dei freni isolati, ed infine nella difficoltà di organizzare ed attuare un servizio sod- disfacente per parte di questo personale. Tutto ciò di- mostra che, massime per le linee molto accidentate, i freni a fregamento debbono riguardarsi siccome appa- recchi non poco imperfetti. In modo particolare questa im- perfezione diventa sensibile alloraquando occorre di far uso dei freni allo scopo di moderare la velocità dei con- vogli nelle rapide discese. Da gran tempo pertanto è na- turale che siasi cercato, se non di eliminare i freni a (*) Il coefficiente d'attrito per pressioni superiori a Kg. 30 per emq. dipende altresì dalla pressione e dall’estensione delle superficie, che trovansi fra loro a contatto, atteso che allora, come osserva v#) l'ing. BioLia nella Memoria precitata, si ha, più che attrito, com- penetrazione di molecole. Così per la pressione di 33 Kg. per cmq. ripetuti esperimenti darebbero giù un coefficiente quasi triplo di quello corrispondente alla pressione di 1 a ? Kg. Ma per le ferrovie non è il caso di tener conto di questo accrescimento del coefficiente d’attrito, sebbene favorevole ai freni a fregamento, perchè nem meno per le più pesanti locomotive si hanno fra ruote e rotaie linea sioni tanto forti. dibatte DECO e e, ra È 585 fregamento nella trazione ferroviaria delle linee di mon- tagna, di associare almeno ad essi l’impiego sussidiario di qualche altro sistema di freno basato sopra un diffe- rente principio, ossia sopra una resistenza di natura di- versa dall’attrito, col ricorrere all’aria ambiente od al controvapore. I tentativi operati-appunto in questo senso diedero origine ai freni ad aria propriamente detti, ed al freno a controvapore. In due diverse maniere venne proposto di valersi del- l’aria come forza ritardatrice del movimento dei convogli sulle ferrovie. La prima maniera, ideata verso l’anno 1858 dal professore ToseLti di Milano, consiste nell’applicare a ciascun veicolo, e per ognuna delle ruote, un sistema di palette, il quale costretto a girare a tempo opportuno dal rispettivo asse del veicolo genera nell'aria circostante l’accennata resistenza. Ma, tuttochè questo genere di resi- stenza cresca come il quadrato della velocità, cioè col bisogno, si può dire, di frenare il convoglio, ciò nulla meno il freno ad ali del ToseLri sottoposto ad esperi- mento non ha corrisposto all’aspettativa dell'’inventore. La qual cosa non era difficile il prevedere, avuto riguardo all’impossibilità di trovare in tal modo nell'aria la resi- stenza nella quantità sufficiente. Ebbe migliore successo una seconda maniera immagi- nata e messa in pratica, alcuni anni dopo, dall’ing. fran- cese Deserave. Il freno ad aria proposto da questo in- gegnere fa parte della locomotiva, epperò presenta il pregio di essere direttamente sotto la mano del macchinista. Mentre questi, al momento di infrenare, chiude il rego- latore della locomotiva, inverte insieme il meccanismo di distribuzione del vapore, e di più muove due valvole sif- fattamente disposte che i tubi di ammissione del vapore > PRIN] ai è Li Je 3 i er PIETRE Sr PA, 586 dalla caldaia nei cilindri motori, e quelli di scarica del vapore esausto dagli stessi cilindri risultano allora rispet- ; tivamente in comunicazione con apposito recipiente e col- l’ambienie esterno. In tal modo l’aria fredda esterna ri- mane aspirata nei due cilindri dagli stantuffi, i quali obbligati dalla forza viva, che anima il convoglio, a muo- versi nel senso diretto comprimono quest’aria e la cac- ciano nell’anzidetto recipiente, munito di valvola di sicu- rezza con carico adeguato alla massima pressione del vapore nella caldaia, producendo così una resistenza contra il movimento degli stantuffi medesimi, e quindi anche contra quello, che si ha in animo di spegnere o solo ral- lentare, del convoglio. Però eziandio il freno ad aria di DeBERGUE, in causa del calore generato nei cilindri dalla compressione del- l’aria, come pure della costruzione alquanto complicata, ha presto dovuto cedere il posto al un ultimo sistema di freno, del quale mi resta a far menzione, conosciuto sotto il nome di freno a controvapore, la cui prima idea è dovuta al rinomato ingegnere francese Le CHATELLIER. Con questo freno si chiude anche dapprima il regolatore della locomotiva, onde polere con maggiore sicurezza invertire il meccanismo di distribuzione, ma immediata- mente lo si riapre dopo questa operazione. Poscia, col- l’aprire altresì apposite chiavi di presa d’acqua e vapore dalla caldaia, il macchinista manda nel tubo d'uscita del vapore esausto dai cilindri motori un miscuglio d’acqua e vapore in proporzione conveniente. Allora una parte di questo miscuglio sfugge pel camino della macchina in sieme coi gas caldi provenienti dal focolare. Ma l’altra parte viene aspirata dagli stantuffi motori nei cilindri, ove dapprima è interamente vaporizzata, ed in seguito. i | 587 compressa dai cilindri medesimi fa da ultimo ritorno nella caldaia, entro cuni per conseguenza si finisce per rac- cogliere sotto forma di calore la forza viva del convoglio che si vuole distruggere. Oltre al godere di questa pre- ziosa proprietà, il freno a controvapore presenta una co- struzione molto semplice, epperò ha il vantaggio d’essere suscettivo d'una manovra facile e spedita. Esso pertanto è divenuto oggidì d’uso universale e frequentissimo sulle ferrovie di montagna per moderare la velocità dei con- vogli nella discesa, od anche per arrestarli in unione ai freni ordinari a fregamento, permettendo così di ottenere l’effetto desiderato in modo più pronto e sicuro, senza che si abbia di più a soffrire il logorìo di materiale, in quel grado almeno che sarebbe inevitabile coll’impiego esclu- sivo di questi ultimi freni. Se non che altresì la sua po- tenza, a somiglianza dei freni a fregamento fin qui ac- cennati, non può superare un certo limite. Allorchè infatti, per esempio, la forza viva concepita dal convoglio è tale da sviluppare tangenzialmente alla circonferenza delle ruote motrici della locomotiva una forza d’intensità uguale al valor-limite della forza di aderenza tra queste ruote e le rotaie, quelle cessano tosto dal girare, e diviene impos- sibile l’uso del freno a controvapore: donde segue clie eziandio il massimo effetto ottenibile con questo freno, come col freno ad aria di DeBERGUE, od ancora con un freno ordinario a ceppi applicato alle ruote motrici della locomotiva, è dato dall’attrito di strisciamento fra queste ruote e le rotaie, o della macchina intera, se Pa sue ruote trovansi tutte fra loro accoppiate. Freni per le ferrovie di forti pendenze; freni “di SICUrezza. — L’opera combinata di un sistema di freni a.fregamento continui e del freno a controvapore costituisce il massimo 588 A grado di perfezionamento raggiunto fino al presente, per ciò che concerne eziandio le ferrovie di montagna, sulle quali l’esercizio è ancora possibile colla locomotiva ordi- naria. Il qual grado di perfezionamento è ad un tempo tutto quanto può ragionevolmente desiderarsi, bastando il dire che oggidì ci è dato non solo di discendere lungo pendenze notevoli con grande regolarità e dolcezza di movimento, ma eziandio si perviene sulle pendenze più usuali ad arrestare un convoglio lanciato alla velocità di 40 a 50 chilometri all’ora nello spazio di anche meno di 200 metri dal punto in cui scorgesi un ostacolo improv- viso, ossia l'assoluto bisogno di fermarlo. Ma tutto ciò è lungi ancora dal bastare per le ferrovie di pendenza, anche solo superiore dal 50 al 60 p. °%o: su cui non è più lecito d’impiegare la locomotiva a sem- plice aderenza naturale, cioè dovuta unicamente al peso. gravitanie sulle sue ruote. Tanto meno poi i sistemi di freni fin qui accennati tornano sufficienti per le pendenze eccezionali, alle quali non è più applicabile la macchina a vapore locomotiva anche ad aderenza artificialmente provocata, ad es., con ruote orizzontali sviluppantisi con- tro una rotaia ausiliaria (sistema Fell), ovvero la locomo- tiva che prende il suo punto d’appoggio sopra una den- tiera (sistema della ferrovia del Righi). Allora dovendosi di necessità ricorrere ad un motore stazionario in un punto qualunque della strada, e la cui azione viene tras- messa al convoglio mediante il sistema atmosferico, o più comunemente col sistema funicolare, è manifesto dap- principio che dei varii sistemi di freni sovra enumerati non sono più applicabili se non quelli a fregamento. In secondo luogo si comprende che non può più bastare la resistenza d’attrito di strisciamento fra le ruote dei veicoli. SA 589 e le rotaie, vale a dire l’attrito prodotto eziandio dallo stri- sciamento dell’intero convoglio, giacchè per cagione della grande pendenza l'intensità di questo attrito risulta infe- riore alla componente del peso del convoglio parallela al piano della strada. In altre parole, divien palese che, vo- lendosi far uso dei freni a fregamento, la loro disposi- zione dev'essere modificata per guisa che la pressione mutua delle superficie a contatto possa venire aumentata oltre il limite semplicemente concesso dal peso del con- voglio: ciò che per l'appunto si ottiene col mezzo di freni a mano producenti un attrito radente sulle rotaie sotto una pressione indipendente dal peso dei veicoli e suscettiva di essere convenientemente aumentata mercè d’una oppor- tuna combinazione di leve, viti, ruote dentate, ecc. Tra breve avrò l’occasione di dire una parola dei freni di questo . genere, dei quali va fornito il locomotore funicolare Agudio. Per rapporto agli stessi freni non sarà superfluo l’ag- giungere ancora che almeno uno di essi deve inoltre es- sere disposto in modo da potere con assoluta sicurezza arrestare il convoglio in un intervallo di tempo abba- stanza breve pei casi di una avaria imprevista o di una eccessiva velocità concepita dal convoglio. Allora è noto che il freno prende il nome di freno di salvezza. Volendo citare un solo esempio di questi freni, la cui efficacia venne in modo incontrastabile comprovata dall'esperienza, sceglierò quello applicato al tronco di ferrovia funicolare che dall'interno della città di Lione conduce al. sovra- stante sobborgo della Croce Rossa. La conoscenza di questo freno sarà anche utile perchè, offrendo l’opportu- nità di dire una parola dei sistemi di trazione funicolare ad azione diretta, renderà più chiaro quel poco che qui appresso mi toccherà di esporre intorno al sistema di tra- 590 ? "SR E 3: RAR zione funicolare indiretta di Agudio. Il motore è a vapore e collocato alla sommità del piano inclinato. Da un tam- buro, montato sull'albero della macchina, si diparte la fune metallica motrice a due capi, pei quali collegasi a. due carrozzoni percorrenti simultaneamente , l’uno in ascesa e l’altro in discesa, due binarii paralleli tra di loro. L’anzidetto freno trovasi applicato a ciascun car- rozzone ed è solo destinato ad agire nel. caso possibile della rottura della fune. Allora le due rotaie del rispet- tivo binario istantaneamente rimangono ciascuna come serrate da una morsa, la cui apertura continua a dimi- nuire . coll’avanzarsi del. carrozzone corrispondente, di. suisa che questo trovasi obbligato ad arrestarsi dopo pic- colissimo tratto di strada. alia i Nuovo freno idraulico di Agudio e Cail. — Lasciando. per ora da banda i freni di salvezza, i quali non debbono funzionare nell’esercizio corrente, e limitandoci a consi- derare gli altri freni a fregamento per le ferrovie di pen-. denza eccezionale, avremo dapprima presente ciò che più sopra si è detto intorno alla diminuzione possibile del coefficiente di attrito, dipendentemente dalle condizioni atmosferiche e di velocità. Per altra parte si osserverà che il secondo fattore della resistenza del freno, cioè la pressione, siccome prodotto a braccia d'uomo ha pure un limite, o per lo meno difficilmente può venire commisu- rato al bisogno. Inoltre è da notarsi che la trazione ferro- viaria a motore fisso si suole operare, impiegando l’azione di questo soltanto nell'ascesa del piano inclinato. Nella di-. scesa il convoglio viene abbandonato interamente alla forza di gravità. La qual cosa rende indispensabile l’uso. continuo dei freni pér moderare durante la discesa la. o corsa del convoglio, mentre ci conduce pure a conchiù- cal ; i Fer dere che eziandio per le ferrovie a pendenze eccezionali i semplici freni a fregamento risolvono imperfettamente il problema di regolare la velocità di discesa dei convogli, e che per esse anche è da desiderarsi, siccome sussidiario di quelli a fregamento, un sistema di freno per mezzo del quale, nello stesso modo che si fa col freno a contro- vapore per la trazione a locomotiva, sia possibile l’otte- nere l’effetto voluto con vantaggi analoghi riassumentisi in una azione pronta, sicura e tale da non arrecare dete- rioramento al materiale del convoglio e della strada. Tale appunto è l’oggetto che si proposero di realizzare gli inventori del novello freno idraulico. Non avendo essi disponibile la forza del vapore, e non reputando conve- niente di ricorrere alla resistenza dell’aria, concepirono l’idea di produrre la voluta resistenza mediante una massa d’acqua costretta a circolare entro apposito recipiente dalla stessa forza viva del convoglio, che devesi estin- guere o soltanto rallentare. Affine di comprendere tosto in che cosa essenzialmente consiste l'apparecchio dai me- desimi immaginato, si consideri per qualche istante an- ‘cora una ferrovia a locomotiva percorsa da un convoglio, del quale si vuole spegnere la velocità, dopo chiuso il « regolatore della macchina. Alla locomotiva suppongasi annesso un cilindro, o corpo di tromba orizzontale di ferro fuso a pareti robustissime, e contenente uno stan- tuffo mobile. Le due camere, in cui questo divide l’in- terno del cilindro, siano tra di loro in comunicazione per- manente per via di un canale formante sistema, ossia venuto di gitto, col cilindro stesso. Fingansi ancora le due camere e questo canale intieramente ripieni di un fluido _ incompressibile, per es., d’acqua, e per ultimo il canale interrotto da un diafragma di apertura variabile, in modo 39 tI y i) > ih È SA pid vii ib (Te, (9 dt tore intendesi mn carro che nella salita è in coda, e nella x cioè da potere ad arbitrio restringere nel medesimo punto la sezione trasversale del canale. Egli è palese. che, im- primendo un moto d’andirivieni allo stantuffo, l’acqua prenderà alternativamente a circolare da una camera al l’altra e presenterà allo stantuffo una resistenza tanto maggiore quanto rendesi più angusta l'apertura del dia- fragma. Basterà per conseguenza il collegare lo stantuffo coll’asse motore della locomotiva, perchè questo asse, ep- però anche l’intero convoglio, risentano tosto una resi- stenza capace di estinguere, almeno in parte, la forza viva del convoglio, la quale rimane assorbita dalla maggiore velocità che devesi imprimere all’acqua attraverso al dia- fragma. Si potrà altresì arrestare il convoglio, chiudendo interamente il diafragma, purchè però l’inclinazione della strada non superì l'angolo di attrito. Applicazione del freno idraulico al locomotore funicolare Agudio. — Per descrivere ora colla debita chiarezza l’ap- plicazione, che venne fatta del nuovo sistema di freno al locomotore funicolare Agudio, mi varrò della tavola di disegno che accompazna la presente Memoria, e nella quale mediante la sezione longitudinale (fig. 1) ed una metà della proiezione orizzontale (fig. 2) trovansi tappre- sentati alla scala di '/,, il locomotore ed il freno, questo * completamente e quello in semplice modo dimostrativo. Nel sistema di trazione funicolare Agudio per locomo- discesa sta alla testa del convoglio. Questo. carro ricevo da due funi motrici il movimento, che esso poscia tr as y mette agli altri veicoli, spingen.loli nella corsa di ascesa, ed invece tirandoli.in quella discendente. Nei sistemi di 3 trazione funicolare più comuni, detti quindi 3 VresTone al diretta, codesto carro speciale non esiste, éd il eonvoglio — si * sia st an 1): | s’aggrappa senz'altro ad una sola fune motrice che gli 2 comunica direttamente il necessario moto di traslazione. Conforme la disposizione, che presentemente scorgesi presso Lanslebourg, al piede del piano inclinato sta un motore idraulico, il quale imprime il movimento a due fia. corde metalliche senza fine. I rami ascendenti di queste ; corde camminano parallelamente alle due rotaie della =" strada, dalle quali essi distano di poco tanto nel senso orizzontale esteriormente al binario, quanto nel senso verticale Quelli discendenti, guidati su apposite puleggie ritornano dalla sommità al piede del piano per altra via esternamente al piano medesimo. Il carro locomotore a - sua volta porta su ciascun fianco due grandi puleggie a ) gola, intorno alle quali s'avvolgono per le mezze circon- ferenze esterne di caduna coppia i rami ascendenti delle due funi motrici. Sono queste le due puleggie motrici, destipate cioè a ricevere dalle due funi il movimento, ed a comunicarlo convenientemente trasformato in un movi- 0 mento di traslazione all'intero convoglio. A tale uopo ni lungo l’asse della strada giace una doppia dentiera, nei vani della quale imboccano continuamente i denti di due coppie di ruote dentate orizzontali. Queste ruote formano sistema col locomotore, ed unitamente alla dentiera co- i stituiscono l'apparecchio propulsore del sistema, poichè si esse poste in giro nel verso conveniente, per. via d'ac- È concio meccanismo di trasmissione intermedio, dalle due IE “< coppie di puleggie motrici prendono sulla dentiera il der” punto d’appoggio, e sviluppandosi su questa comunicano al locomotore ed al convoglio l’anzidetto moto traslatorio. Il carro locomotore posa sulle rotaie per mezzo di due Ae coppie di ruote A Asimilmente ai veicoli a quattro ruote delle ferrovie. La sua intelaiatura, la quale consta di due robuste , * lungarine di ferro BB convenevolmente collegate tra di loro da traverse, sostiene la piattaforma aaa su cui sta il mac- chinista conduttore del convoglio. Le parti elevate anteriore e posteriore C e D di questa piattaforma, munite di scalini, servono a far il debito luogo aì due assi di rotazione €, c' delle quattro puleggie motrici omesse sul disegno, ed alle rispettive coppie di ruote dentate d’angolo che trasmettono il moto delle puleggie stesse agli assi sottostanti verticali delle quattro ruote dentate cilindriche di propulsione G, 6°. Le puleggie motrici hanno due a due comune l’asse di ro- tazione. Sul disegno, delle coppie ora accennate di ruote dentate coniche, figurano soltanto le ruote orizzontali F, PF. Gli assi ec, c' delle pulesgie motrici, esternamente alle lungatine BB, trovansi protetti da manicotti y, y' racco- mandati alle lungarine medesime. Le rotelle z, z' sovra- stanti alle ruote G, G' e solidarie cogli assi di queste, le quali continuamente s’appoggiano contra i .due lembi, da cui la dentiera di propulsione trovasi terminata supe- riormente lungo i due fianchi, hanno massimamente nei tratti curvilinei della strada per uffizio di conservare il centro di gravità del locomotore sull'asse di questa, op- ponendosi all’azione della forza centrifuga. Sulla piatta- forma aaa e sulle sue parti più elevate €, D lungo cia- scun fianco del locomotore sorge una ringhuera sostenuta dalle colonnine bd. dn Il freno idraulico, che trovasi collocato sotto la piatta- forma aaa fra le due coppie di ruote portanti 4,4, sì compone di quattro corpi di tromba orizzontali di grande — robustezza, due a due cogli assi situati l’uno sul prolun- gamento dell’altro simmetricamente rispetto all’asse lon-. gitudinale del locomotore. Sul disegno sono soltanto rap- presentati due di questi corpi di tromba I; I" giustap= É x Ki 1A be DC re e ve Pe. » posti tra di loro sul fondo comune g. Gli stantuffi f, f' contenuti nei medesimi, analogamente a quelli degli altri due corpi di tromba, mentre il locomotore cammina, ri- cevono un movimento d’andirivieni per mezzo delle mano- velle a gomito d, d' appartenenti agli assi di rotazione delle rispettive ruote di propulsione G, G', alle quali ma- novelle i loro gambi sono congiunti per via dei tiranti articolati e, e'. Ciascun corpo di tromba porta superiormente fuso con sè un'appendice, ove trovasi scolpito un canale pp, il quale è verso il mezzo della sua lunghezza armato di un otturatore n, o chiave girevole intorno ad un asse verti- cale. Aprendo questa chiave viene stabilita la comunica- zione fra le due camere del corpo di tromba. Il macchi- nista può simultaneamente dare lo stesso grado di apertura agli otturatori dei quattro corpi di tromba, impugnando un manubrio che è sostenuto dalla colonna E, ed il cui asse verticale di rotazione, per via d’una coppia / di ruote dentate coniche trasmette il movimento dapprima ad un asse di rotazione orizzontale portante due viti senza fine m e poscia ai quattro olturatori n mercè di due settori dentati formanti incastro con queste viti e di un acconcio si- stema di bracci di leva e tiranti articolati 00. Il liquido, del quale debbono di continuo essere .ri- pieni i corpi di tromba, viene somministrato dal serba- toio H a questi sovrapposto ad una conveniente altezza ed in cui s’'introduce per l'apertura g chiusa con coper- chio. Da questo serbatoio il liquido, che è acqua ordi- | naria, scende in virtù del proprio peso nei corpi di tromba pel tubo AAA diramantesi alle quattro valvolette automa- tiche di presa î. Queste valvolette, le quali sono di forma conica, si aprono d'alto in basso appena che nell’interno tO. 595 596 i dei corpi di tromba, per motivo delle fughe , venga col tempo a mancare un po’ d’acqua. Allora, per ciascuna camera degli stessi corpi di tromba, nei primi come negli ultimi istanti della corsa diretta degli stantuffi la rispettiva valvoletta alimentatrice si schiude in virtù dell’acqua so- vrastante, che col suo peso vince la resistenza d’una pic- cola molla ad elica circuente il gambo della valvoletta e la quale tende a mantenerla chiusa. La valvoletta ad ogni colpo di stantuffo si apre in tal modo fino a tanto che l’acqua di bel nuovo abbia interamente riempiti i corpi di tromba edi canali pp. Si riconosce che l'apparecchio è debi- tamente alimentato di liquido appena che scorgesi che que- sto prende ad effluire per un tubo sfioratore applicato in un punto conveniente ad ognuno dei corpi di tromba. Allora si chiudono le chiavi annesse a questi tubi sfioratori, e data agli otturatori n l’apertura voluta, il convoglio è pronto per la partenza. Se trattasi di ascendere il piano inclinato, convenendo che la resistenza sia la minima possibile, bisogna rendere codesta apertura la massima possibile. Nella discesa il macchinista, coll’aiuto della manovella E, regolerà l'apertura degli otturatori a seconda della velocità che anima il convoglio. Freni a fregamento, dei quali è pure munito il locomotore. — Oltre del freno idraulico il locomotore ed i veicoli suc- cessivi del convoglio trovansi forniti di altri freni a fre- gamento , tutti quanti a mano. Quelli dei veicoli sono freni ordinarii a ceppi applicati alle ruote di ciascun vei- colo.I freni a fregamento del locomotore sono in numero di due,'ed hanno disposizione differente. L'uno di essi è a P ceppi di legno applicati contra una puleggia solidaria con ciascuno degli assi verticali delle ruote dentate di propulsione G, G'. Due manubrii distinti, posti alla por- _ i cl tata del macchinista, servono rispettivamente per strin- } |. gere o rallentare i ceppi dei due assi anteriori e di quelli er posteriori. L'altro freno è invece a pattini di ferro s, i quali «2 “innumero di quattre trovansi disposti due per parte rispetto a: alla dentiera di propulsione, e per via d’una combina- p zione di leve, viti e ruote dentate vengono premuti con- tra le faccie laterali d'una robusta lungarina di legno he sottostante alla dentiera medesima. Gli assi orizzontali di rotazione #r, r'7' fanno rispettivamente parte de’ mecca- nismi di trasmissione della potenza alle due coppie di pattini. Tanto questo freno a pattini, quanto quello a Mv ceppi, sono tali da potere ognuno di essi produrre una pressione, epperciò creare una resistenza, capace di arre- stare in ogni caso il movimento di rotazione delle ruote * dentate di propulsione, vale a dire la corsa del convoglio, Porrò fine alla descrizione del locomotore e. degli ap- parecchi di sicurezza, dei quali va munito il sistema di trazione Agudio, aggiungendo ancora a ciò che precede questi altri particolari utili a conoscersi per poter meglio : apprezzare l’importanza del nuovo freno idraulico. Durante l’ascesa, onde prevenire in qualunque caso il regresso del È convoglio, si pongono in azione quattro nottolini t, #' si- tuati due a due da una parte e dall’altra della dentiera di propulsione, e girevoli ciascuno intorno al un asse ver- i ticale. Allora le cose vengono disposte in maniera che i i |’ nottolini, per opera delle molle arcuate v, v_appoggiantisi 0g | contra i bracci di leva «, 2’, trovansi di continuo sospinti i nei vani della dentiera. All’incontro nella discesa, per mezzo - della ruota dentata conica v che fa incastro con un’altra mossa mercè d’apposito manubrio, spostasi nel senso «longitudinale un’ asta la quale stringe maggiormente tra a » di loro le due molle ed allontanai nottolini dalla dentiera, “ES5 o- È e _ “n DI e; pp PRESSI ee ì e ZI > r ai deg Ced neo A vp ar do MM | Si possono altresì far funzionare da freni le stesse pu- leggie motrici del locomotore. Nella discesa le due funi. motrici sogliono rendersi immobili. Anzi questa immo- bilità può farsi maggiormente sicura collo stringere entro una morsa, raccomandata all’armamento della strada, cia- scuna delle stesse funi. Ad un tempo le puleggie mo- trici, per via degli innesti mobili a fregamento applicati ai loro assi e che servono a metterle in presa colle ruote dentate di propulsione, si possono a volontà rendere so- lidarie con queste stesse ruote: donde segue palesemente che, collo stringere meno o più tali innesti, si ha un ultimo mezzo di produrre una nuova resistenza lungo le due funi contra il movimento del convoglio. Effetto massimo del freno idraulico. — Si comprende sin d’ora di leggieri che in qualsiasi circostanza col nuovo freno idraulico si potrà in modo certo ottenere l’arresto del convoglio. Questo effetto, che tosto fa classificare il freno idraulico tra i freni di sicurezza, è dovuto alla na- tura stessa del freno, ma ad un tempo ancora al sistema di propulsione a dentiera oggidì adottato dall’ing. Agudio. Infatti è manifesto che basta il chiudere del tutto gli otturatori del freno idraulico per potere opporre una re- sistenza indefinita alla rotazione delle ruote dentate di propulsione , le quali obbligate allora ad arrestarsi, per | virtù della dentiera, producono immediatamente l’arresto del convoglio su qualunque pendenza, e per quanto possa essere grande la velocità e la forza viva del convoglio stesso. Però egli è pur chiaro che tutto ciò cesserebbe di verificarsi ove, rimossa la dentiera, si tornasse come. nelle ferrovie a locomotiva ordinaria a far servire da. mezzo propulsore la forza di aderenza fra le ruote motrici della maechina e le rotaie Allora, solo che l'inclinazione - " 599 della strada superi l’angolo di attrito radente sulle ro- taie, l'arresto del convoglio diventa impossibile, perchè il freno non può produrre altro effetto che quello di im- pedire la rotazione delle ruote motrici. Sopra pendenze minori poi l’arresto è possibile ma non in generale per l’opera del solo freno idraulico, giacchè chiusi intera- mente gli otturatori , siccome l’effetto massimo prodotto consiste nell’avere annullato il moto rotatorio delle ruote motrici della locomotiva, può ancora rimanere al convo- glio .una parte della sua forza viva, la quale però si tro- verà in breve tempo estinta dalla resistenza di attrito di strisciamento delle stesse ruote motrici sulle rotaie. Teoria del freno idraulico: resistenza da esso prodotta per un dato grado di chiusura degli otturatori e per una data velocità del convoglio. — Da ciò, che ora ho detto intorno all'effetto massimo del freno idraulico, emerge assai chia- ramente che questo, almeno se considerasi dal solo punto di vista di un apparecchio destinato ad arrestare il con- voglio, appartiene alla categoria dei freni istantanei, poi- chè la resistenza da esso prodolta è una conseguenza immediata della totale chiusura degli otturatori. Trovasi già stabilito pertanto che il freno idraulico; come freno di sicurezza, deve essere unicamente adoperato nei casi estremi, ovvero nelle piccole velocità, se per l’inevitabile istantaneità della sua azione non si vuole andare incontro a pericoli in generale più funesti di quello che si ha in mira di evitare. Resta ora a vedersi se l’arresto sia possibile con un chiudimento graduato degli otturatori, in modo da ovviare almeno in parte all’istantaneità d’azione dell’ap- parecchio , e soprattutto quali risultati siano a sperarsi dal freno idraulico, piuttosto che come mezzo d’arresto, considerato come mezzo di regolare, a simiglianza del e, A sh SAM . Ri Ba n LI6S Ba »f 4 de dna Ì Mint e de ent aa n : ui Gi 0 freno a controvapore delle locomotive, la discesa dei. con- vogli nella trazione su pendenze eccezionali. Per ‘potere con qualche fondamento rispondere a queste quistioni, in attesa che il novello freno venga sottoposto all’espe- rienza, fa mestieri il ricorrere ad uno studio teorico del- l'apparecchio, cercando di risolvere colla massima esat- tezza concessa dallo stato attuale della scienza i quattro problemi seguenti: 1° determinare la resistenza che il freno produce tangenzialmente alle circonferenze primi- tive delle ruote dentate orizzontali di propulsione per un dato grado di chiudimento degli otturatori, e corrispon- dentemente ad una nota velocità del convoglio; 2° deter- minare io spazio che il convoglio percorre; 3° l'intervallo di tempo che esso impiega a descrivere questo spazio; 4° il grado di riscaldamento dell’acqua contenuta nel- l'apparecchio, dall’istante in cui si chiudono gli ottura- tori fino a quello nel quale la velocità è discesa, sal; li. mite voluto. specib Per la soluzione del primo problema fingerò ciascun corpo di tromba conformato come lo indica schematica, mente la fig, 3. Il canale CCC di comunicazione fra le due camere 4 e B del corpo di tromba consta di tre tronchi rettilinei raccordati fra loro mediante due risvolti circo- lari dell'ampiezza di un quadrante. Lo stesso canale è di sezione uniforme per tutta la sua lunghezza, ad eccezione della sezione di mezzo che supporrò per via del diafragma a ridotta ad una di forma simile e concentrica, ma d'area minore. Sul disegno lo stantuffo figura siecome. animato dal movimento da destra verso sinistra, nel, senso. cioè della freccia d, cosicchè l'acqua-presentemente trovasi car ciata dalla camera A e passa nell'altra 8 dopo. “d'avere | attraversato il canale cce e superate in esso tute le re: — E e Gol sistenze dovute all’attrito, alle contrazioni in origine ed attraverso al diafragma, all'allargamento brusco di sezione al termine del canale, ed infine ai due risvolti intermedii ai tratti rettilinei. Denoterò con T la resistenza, in ksg., sofferta dall’intera faccia dello stantuffo nell'istante in cui questo trovasi animato dalla velocità lineare v in metri per I”; con $ l’area della stessa faccia in mq.; con c, s ed / il perimetro, l’area della sezione e la lunghezza sviluppata del canale di comunicazione delle due camere del corpo di tromba; con w', u", u" le velocità da cui l’acqua è animata nella sezione contratta all'origine del canale, attraverso al dia- fragma ed in una sezione qualunque del canale; con u' e «" i coefficienti di contrazione in origine dello stesso canale ed attraverso al diafragma; con o l’area dell’ori- fizio lasciato aperto da quest’ultimo ; con « il coefficiente della resistenza d’attrito lungo il canale; con G il peso specifico del liquido; con g l'accelerazione della forza di gravità; con p il raggio medio dei due risvolti e con A la lunghezza rettificata di ciascuno di essi; infine con a è db due coefficienti numerici relativi alla resistenza generata da questi risvolti. Si avrà allora l’equazione Missa lg, ; GS, 29 29 2 LI uu" + uu") +2" (a+ bp +("—0)*, la la quale in parole torna a dire che la pressione motrice, riferita all'unità di superficie dello stantuffo e misurata in colonna d’acqua, è uguale alla somma di quelle che restano consumate rispettivamente dall’ attrito lungo il canale, dalla contrazione in origine di questo ed attra- Pi 3 Li T=GS$ 60? e verso al diafragma, dai due Hsvo e dal Rio di o sezione alla fine del canale. Ma pel DIRE di conti. nuità si ha pure , Sv=u'su'=p'ou'= su" 10%) . s è Y: quindi dall’equazione precedente, fatto 3335, Verrà per la resistenza opposta al movimento del locomotore da cia- scun corpo di tromba, da intendersi però misurata sulla faccia dello stantuffo di questo corpo di tromba, nell’i- stante in cui chiudesi il diafragma ed il convoglio tro- vasi animato da una data velocità \IEGOTEON Buoni Prima di procedere alla soluzione degli it cene giova che facciamo l’applicazione di questa espressione ad un esempio numerico, nel quale il più possibilmente sceglieremo le dimensioni riportate nell’annesso disegno, Risulta da questo disegno che il diametro e la corsa dello stantuffo sono entrambi uguali a m. 0,195; che la sezione del canale può ritenersi di forma rettangola di base m. 0,050 e d’altezza m. 0,040, la sua lunghezza rettificata è prossimamente uguale ad una volta ,e. mezzo la corsa dello stantuffo, epperò vale m. 0,300, il raggio medio. dei due risvolti è di m. 0,040, ed ancora che.il rapporto — fra le lunghezze della manovella a gomito, ‘da cui lo stan- a tuffo riceve il movimento, ed 1l raggio tino le ruote dentate orizzontali di propulsione è = !f,. Per. sc tr di questi dati s'ottengono primieramente S= mq: | 0,09 LI F re = 78,50, essendo 7 il rapporto della circon- . IE =l= 0,04 ) ferenza al diametro. Pertanto, assunti ancora G=1000 kg.; SE | a=pX001766=0,004415; 29=19,69; u'=u"=0,70; vi a=0,0039; b=0,0186 (*), si ricava È T=1,522} 26,460 + 41,087 +222 den e Be i +87,227+194,128 [0° È | ossia a MI 7-01:031,029+399,361(1,49.e— ft 1 -(0): Quando gli otturatori sono interamente aperti, siccome allora si hanno e=1 ed anche =, così si avvertirà a non calcolare il valore di 7, ricorrendo a quest’ultima ne espressione, sibbene alla seguente T= 531,029, 0% (0... SITR “ST La velocità v si dedurrà da quella del convoglio come segue. Detta V questa seconda velocità in chilometri al- i Vora, si avrà dapprima per la velocità circonferenziale della manovella a gomito, in metri per minuto Secondo, 1000. ai V 3600x 4 XITISXI vella eziandio per minuto secondo — , pel numero dei giri dalla stessa mano- V 3Z6x4x3142Xx0, 195) epperò per la velocità lineare, in metri per 1", dello stan- î | tuffo d'ogni corpo di tromba Lf MELFIFENICPINOI PER e, i ex er ed I * 1 x 2X0,) 199=0, 044. Vicar ri Le — lique-hyAraulique par AnrHUR Moris, 3° edit. ; Paris, 1865 a pag. SIC) e 258. Il valore 0,01766. del coefficiente | a si riferisce alle. con- a: dotte di sezione circolare. sil slhrogga ; o) I silari di 499, n vennero dine dall opera, prin pre- così che in luogo dell'equazione (?), per calcolare la re- sistenza prodotta dal freno, si potrà fare uso di quest'altra equazione T=V®}1,028+ 0,644(1,43.e—-1)}1 CLARA I valori di 7 risultanti da questa equazione, al pari di quelli dedotti dalle equazioni (2) e (3), moltiplicati per È rappresentano ancora la resistenza che, al momento in cui vien chiuso il freno, è sviluppata da ciascun corpo di tromba, ove questa resistenza venga riportata alla cir- i Res ex: covferenza delle manovelle a gomito, giacchè 7 È il rap- porto che passa fra la velocità lineare degli stantuffi del freno e quella tangenziale delle estremità delle manovelle medesime. Converremo di indicare la resistenza del freno riferita alla circonferenza di queste manovelle con 7° la quale, per essere quattro i corpi di tromba ed eguale ad ‘/, il rapporto fra le lunghezze delle manovelle in di- scorso ed il raggio primitivo delle ruote dentate di pro- pulsione, rappresenta ad un tempo la resistenza comples- siva del freno misurata tangenzialmente alla circonferenza primitiva di queste ruote. Quest’ultima resistenza, di cui specialmente avremo bisogno in seguito, in funzione di e e di V, trovasi adunque espressa da T'=V*10,654+ 0,409(1,43.5—-1)*| 0. RIO) A questa espressione sarà utile l’aggiungere ancora la seguente, che somministra in kg. per cmq. la pressione sofferta dalle pareti dei corpi di tromba, pure corrispon- dentemente a dati valori di e e V. Detta & questa pressione, essendo l’area della faccia degli stantuffi di cmq. 293,66 e T la resistenza opposta sulla faccia medesima per ciascun. è Me "1008 corpo di tromba, cioè quale questa resistenza si ricava 298,667 OSSIA Ù; a =0,003414,028+ 0,644 (1,43.e—1)9(V® ...... (5). 4 dall’equazione (2), avremo @ = e Spazio che il convoglio percorre dall’istante, in cui mettesi in azione il freno idraulico, fino a quello nel quale la velo- cità trovasi ridotta d'una quantità determinata. — Conside- i vali riamo il convoglio, che supporremo formato di n veicoli, compreso il locomotore, duraute la discesa del piano in- clinato. Sia. V, la velocità da cui esso si trova animato all'istante, nel quale il freno idraulico vien messo in a- zione, col chiuderne gli otturatori per es. della quantità il - i GIA 3 SPE gar i E 73375 e proponiamoci di determinare lo spazio ®, che il convoglio avrà descritto dopo che la sua velocità sia Ss discesa al valore V misurato, come la Y,, in chilometri i for all'ora. Indichiamo con ‘li la pendenza della strada, cioè beso la tangente trigonometrica dell'angolo che il piano di questa fa coll’orizzonte ; con P il peso dell'intero convo- glio in chilog.; con p quello complessivo delle ruote por- tanti, le loro sale comprese; con R il raggio di queste sa Vara | ruote; con % il raggio di girazione di una coppia delle AT È d stesse ruote montala sulla sua sala rispetto all’asse geo- ir: È metrico di rotazione del sistema; con r il raggio dei fusi at î: di ciascuna sala; con A l’area, in mq., della proiezione D È della parte di ogni veicolo sovrastante al suo treno su di x £ un piano normale alla direzione del movimento, ossia la superficie variabile opposta dai veicoli alla resistenza del- GB l’aria; con f ed f'i coefficienti d’attrito di sviluppo delle «ruote portanti sulle rotaîe e di rotazione tra i fusi delle /- °° — sale delle stesse ruote ed i loro guancialivi. La resistenza nd totale prodotta dal freno, e riferita alla circonferenza pri- 606 3-13 Vas RARE mitiva delle ruote dentate di propulsione del locomotore, sì può esprimere con una funzione della velocità V com- posta di dué termini proporzionali entrambi al quadrato di questa velocità, e l’uno indipendente dal grado di chiu- dimento degli otturatori e, l’altro invece proporzionale alla quantità (1,43.e—1), cioè con una funzione della forma (H+ Ne"), se per semplicità di scrittura si pone la stessa quantità (1,43.e—1)= e'. Le altre resistenze op- ponentisi al movimento del convoglio, se per il momento si considera il locomotore come un semplice veicolo, sono: 1° la resistenza d'attrito di sviluppo alla circonfe- fiP Vi+? trito di terza specie dei fusi delle sale nei loro guancia- renza delle ruote portanti ; 2° la resistenza d’at- lini uguale ad f'(P—p), ovvero ad f'(P--p) x se essa in- tendesi riportata alla circonferenza delle ruote portanti; 3° la resistenza dell’aria, da intendersi applicata al centro di gravità del convoglio parallelamente al piano della strada, la quale può essere rappresentata dalla seguente funzione della velocità 0,005 (A+ 0,93.n+0,23) V?. Il lavoro elemen- tare consumato dalle resistenze ora accennate, vale a dire il lavoro assorbito da esse nella discesa del piano inclinato mentre il convoglio descrive lo spazio dx, sarà adunque dine + LP Lpop)î VI +1? R da, + 0,005 (A+0,93.n + 0,23) V® Di ove solo riflettasi che il centro di gravità del convoglio e tutti i punti delle circonferenze delle ruote portanti e di quelle primitive delle ruote di propulsione sono animati. da uguale velocità. x : E. DIE i 607 Ma oltre le resistenze precedenti è mestieri che ven- gano ancora prese in conto quelle dipendenti dal mecca- nismo del locomotore e dalla curvatura della strada, il cui raggio pel piano inclinato di Lanslebourg scende fino a 150 metri. Rispetto al locomotore, siccome durante la discesa le due funi motrici sono immobili e le puleggie motrici girano a vuoto, così sarà lecito il tener calcolo solamente dei lavori resistenti specificati qui appresso. 1°) Lavoro consumato dalla resistenza d'attrito di ro- tazione degli assi delle puleggie motrici nei loro cuscinetti. — Dicendo pil peso complessivo di queste pulegsie, unita- mente ai loro assi ed agli altri organi di trasmissione soli- darii con questi assi, ' il coefficiente dell’attrito che si con- sidera, R'il raggio delle puleggie ed r' quello dei fusi degli assi, viene per la resistenza in discorso tangenzialmente a i, dpr Ò i tun? questi fusi p'p' e tangenzialmente alle puleggie p'p pi! così che si avrà per il lavoro della resistenza medesima lungo lo spazio elementare dx, essendo ia velocità assoluta alla circonferenza delle puléggie uguale a quella di trasla- U ; i PRA i r « zione del centro di gravità del convoglio, e'D'p -da,_ 2°) Lavoro assorbito dalla resistenza d’attrito degli assi verticali di rotazione, delle ruote dentate cilindriche di propulsione e delle ruote dentate coniche orizzontali, nelle loro ralle. — Indicando con R" il raggio primitivo di queste ruote, con r" quello degli anzidetti assi, con 9" il rispettivo coefficiente di attrito e con p" il peso com- plessivo degli assi medesimi compiutamente montati, se- | condo la nota regola dell’attrito nelle ralle si ottiene per questa seconda resistenza riportata alla circonferenza pri- la) | 9 : n" | mitiva delle ruote. 3 pp" pro acui corrisponde un nuovo È na 40 i > po & lavoro resistente elementare espresso da 59” p" o) ‘da. 3°) Lavoro resistente che sviluppasi fra le ruote den- tate cilindriche orizzontali e la dentiera di propulsione. — Allorquando nella discesa, dopo che si è posto mano al freno idraulico, il convoglio ha percorso lo spazio x, la forza viva che anima il convoglio è |P+f ci =(p+p' +9") x 0,077 Di ; Rì 9 TO00 ESA 397. Agr ° essendo 360 36 la velocità del convoglio in metri per 1", ed inoltre ancora purchè pel calcolo di questa 5 : Wario i forza viva ammettasi che la quantità RI abbia lo stesso valore per ciascuna coppia tanto di ruote portanti, quanto di ruote dentate orizzontali e di puleggie motrici. La di- minuzione della forza viva del convoglio, mentre questo descrive lo spazietto elementare successivo dr, sarà 2 0,077 |P+r pia di, donde derivasi che pel medesimo spazietto il locomotore, per parte della forza viva acquisita e della forza di gravità, trovasi sollecitato da un lavoro motore uguale a Vav Pda + ViFi In conseguenza, applicando la regola riferentesi all’attrito dell’incastro di una ruota dentata con una dentiera, sì avrà per il lavoro elementare di attrito fra le vuote den- tate di PERA enne e la dentiera 2 0,077 + s (pepe) | E° salto Pax |. “Vir » Rai: Doo 0,077. Pei pure) PARTI 609 se rappresentansi con p"' il coefficiente di questo attrito, con R" il raggio primitivo di tali ruote e con a il passo ‘dell’incastro. Relativamente alle resistenze dovute alla curvatura della strada, si noterà dapprima che esse riduconsi agli attriti trasversale e longitudinale delle ruote portanti dei veicoli e del locomotore sulle rotaie per causa del parallelismo degli assi di ciascun veicolo e della solidarietà delle ruote con questi assi, ed all’attrito pure di strisciamento degli orli dei cerchioni delle ruote stesse contra le rotaie sotto l’azione della forza centrifuga (*). I lavori elementari con- sumati da questi attriti, ove dicansi ancora 2e la larghezza della strada, 2d l’interasse dei veicoli, h la sporgenza degli orli dei cerchioni, p il raggio medio di curvatura della strada e p!, p" i coefficienti rispettivi, soglionsi esprimere i dolio Var +e pei due primi attriti complessivamente con Rca ee y2Rh+h° Vado gp Riassumendo ora quanto sono venuto partitamente espo- nendo circa le principali resistenze che il convoglio deve superare nella sua discesa lungo il piano inclinato, ri- cavasi per la somma dei lavori assorbiti da queste resi- stenze pel tratto elementare dx di strada e pel terzo con p‘P (*) Forse sarebbe più esatto il sostituire per il locomotore a questo terzo attrito quello di sviluppo, sotto l’azione della stessa forza, delle rotelle z, 2" contra i lembi laterali della dentiera di propulsione (vedi la fig. 1). Ma a questo proposito è preferibile il considerare il locomotore come un veicolo ordinario, onde non complicare maggiormente, senza reale vantaggio, l’ espressione della presente resistenza. 610 do pera _riP_pi{p—p)£ +0,005(4- 0,98. 14083) Di a * Pale x Udi P vp Cr TI (RAR i. ” Tad CIA a raro» p“P 2 2 ad +PP Ri +3p p R' top Vizi sap: P Va Tris 193 Ii È SURE n Y2Bh+hî dx+ 0,077 E! si p+t = (p+p'+p") Ke” 1 * gel 2 R 9 4 È” Ri Ove dunque si rifletta per altra parte che la forza di ‘9 gravità esercita sul convoglio nel frattempo il lavoro motore P: Pda kh? “|Vav > TTT ——— , ed avvertasi che 0,077 ES —(p+p'+"" pEr si Tre LE pa E è la metà della somma delle variazioni elementari delle forze vive di traslazione e di rotazione dell’intero convo- glio, si avrà finalmente per l'equazione differenziale del movimento di discesa di quest’ultimo hi (a+BV:)de=—yVaVi.. 00. (8), TRRON I, i posti però per brevità Fabia ti sr pa P e —p)3 +97" n*3 Pt 2A" Vi+i N È pP È 13. -pa= I i POITENÀ io gel. Re A p'" fa od (p+p'+p' = gl at iadon hi + 0,005(A+0,93.n+0,23) + Gera “TR tei SUP ca, SU) ali Come si vedrà tra breve, a motivo della forte pendenza «della strada, fra i termini componenti l’espressione. redibie +. quello relativo alla componente del peso P del corvi 390 Ly, o ataiast,i sta si Da parallelo al piano della strada, cioè (e — i | È Vi RE Ù uo «per dd ed osservasi che do Weil 4 ed i influente per segno ita 0) al di sopra di un certo valore ai î risulta sempre negativo. Mettendo sin d’ora in evi- denza questo segno (—) di «, l’equazione (5) diventa (BV*— a)do=—yVaV...00.....01:(6) ed integrata in guisa che V=: VW, renda ax=0 somministra per lo spazio descritto dal convoglio, mentre la sua velo- cità diminuisce da V, a V, Tempo impiegato dal convoglio mentre la sua velocità dimi- nuisce da V, a V. — Detto 0 il tempo trascorso mentre il convoglio descrive lo spazio x, se dividesi l’equazione (6) V ian 30 la stessa equazione diventa (6V°— a)dé==3,6.ydY > {bored 2 (8): donde integrando, col determinare la costante arbitraria per modo che a 6—=0 corrisponda YV=YV,, deducesi PRA rt Vi ie dra ue Erp) fiala) Elevazione di temperatura dell’acqua contenuia nell’appa- recchio. — Designando con Q il volume totale dell’acqua contenuta nei quattro corpi di tromba ed annessi canali 4 «del freno idraulico; con K il peso complessivo dell’appa- «| .recchio supposto vuoto d’acqua; con $ il calore specifico Bis medio dei pezzi costituenti il freno ; con = la superficie . dell’apparecchio in contatto coll’aria ambiente; con #; la i p temperatura di quest'aria uguale a quella‘iniziale dell’ap- a es Fe fi vi ASTI pe 612 RIA. | parecchio; con la temperatura acquistata da esso e dal- I l’acqua dopo che il convoglio ha nella discesa del piano A inclinato percorso lo spazio x, impiezando l’intervallo di n tempo 9; con L il Javoro meccanico esercitato in ogni 1" sull'intera massa d’acqua; con + infine il coefficiente di trasmissione del calore, per contatto insieme e per irra- diamento, riferito al 1", all'unità di superficie ed a cia- 7 scun centigrado di differenza fra le temperature interna ed esterna, si ha pel tratto elementare dx di strada la seguente equazione differenziale (1000 .0-+{K)dt+yZ((—1,)d0= 733140, in cui i ‘/,,, rappresenta in calorie l’equivalente termico di 1 chilogrammetro. Questa equazione significa, in lin- a 3 guaggio ordinario, che la somma della quantità di calore PR acquistata dall’apparecchio, l’acqua compresa, e di quella Dia dispersa per irradiamento e per contatto dell’aria am- È; biente, mentre il convoglio descrive lo spazio de, è uguale E all’equivalente calorifico del lavoro elementare esercitato pt i sulla massa d’acqua. Se non che l’equazione medesima, “ per cagione dell’incertezza grandissima intorno al valore Ca da assegnarsi soprattutto al coefficiente y, è poco atta a A determinare il vero valore della chiesta temperatura t. n 3 D'altra parte ancora vuolsi osservare che per l'oggetto ‘ nostro basta che questa temperatura venga calcolata nel- l'ipotesi più sfavorevole, in cui cioè tutto quanto il calore generato rimanga comunicato alla sola massa d’acqua. mr | Attenendoci appunto a questa ipotesi, la quale permette di trascurare il termine riferentesi al calore acquistato dall’apparecchio privo d’acqua ed inoltre di fare +8S 0, l'equazione precedente diviene * . 1 1000. Qdi=7—Ldd, ibi ossia, ove si ricordi che bi Ld0=T'.de=(M+Ne'*)V° x yVaV ) TBV'=a in seguito alle equazioni (4) e (6), riducesi a 212 3 10009.de= DEM). USL da cui, integrando per maniera che t=£ renda V=Y,, ‘si ottiene se + N03) a stano dd) tag BV'—-a log. nale a SE, Applicazione della precedente teoria al piano inclinato di Lanslebourg.— Per potere applicare la teoria precedente al sistema di trazione Agudio, quale questo sistema trovasi disposto presso Lanslebourg, ai dali, di cui già ci siamo valsi per dedurre l’espressione della resistenza 7 del freno idraulico [equazioni (2), (3) e (4)] fa mestieri l’aggiungere questisaltri »-f= 0,001; (ff=:0;05., cpp! =" = 0,08; de gv= 0,16; pg =0,015 in luogo di 0,20, perchè la ve- SIE locità V è misurata in km. all’ora; i=3: PNE ZOO si R'"=R"=0%,360; r=r'"=0%,04; a=0%,100; 2e=1",50; SI 2 I. Sun 00 Ar P=0,58: h==0 035; 0 ==1450"; pi Ti g=9,81; 1,=10%; Q=0"<,025. Oltraciò ancora devesi pi notare che, l'ingegnere Agupio proponendosi di rimor- i Dr chiare alla velocità di 10 chilometri all’ora un convoglio DE utile del peso di 35 tonnellate col mezzo di due loco- at motori accoppiati nella salita alla coda, e nella discesa dal convoglio ed al tempo # trascorso fra due gradi con- secutivi di chiusura del freno, onde rendere i calcoli pi maggiormente spediti, conviene convertire i logaritmi na- st ì capa in decimali, sostituendo a quelli il corrispondente " logaritmo decimale moltiplicato per 2,303. Così facendo, 39 e di più mettendo in luogo di y il suo valore, che è in- Ai 3 variabile, 521, 112, le stesse equazioni diventano 3 Ss piaz 00006807 Bca. i ea Bb 05 3yV° La TÀ a’ DE 3 I o 160,218, LA sd Vi)(Vi1) e Ce VaB (r. (r.VÉ+1) (VE) e y. PP, - . Sotto questa forma, preso « positivamente ed =17361, i A s 193, ed inoltre ad ogni nuova chiusura del freno cal- =. ‘RI SATA vi | i iniziali [Spazio descritto, tempòltrascorso Velocità | Velocità | Grado Valori iniziali ed elevazione di emperalura Iniziale | finale di i [dell'acqua mentre ‘il convoglio ;a SET del _ del chiusura della della passa dalla velocità 7 a r. pressione e nn] : A : . resistenza A i| convoglio | convoglio | degli Soda spentro, ; Tempo Tamers a in chilom.iin chilom.| otturatori | dal freno di asa Spazio. : Sio tura * De in }, di tromba . | in minuti || finale Ca all’ora all'ora |del freno chilos. in chilog. | in metri 7 in cai 5 per cmq. secondi centigradi IRE me N » V. 1/, RA 7. D L. {Okm. | Bim. |[:1/x9 | 71869%e| 384kg,8 | 1m,626-| 04,997.| 429,90 SD 5 7 o | 35911 | 176,4|0, 2570, 249 | 13,296 Sa 4 3 ‘Iso | 32535 | 4140, 1 | 0, 460 | 0, 390°| 13, 48 Bi 3 2 t/;g | 41761 |222, 6|0, 096|0, 306 | 13, 68 “= 2 I t/i5o | 74575 | 399, 2|0, 034|0, 157 | 13, 78 1 | 0% | ‘lsco| 74991 | 401, 1|0, 008|0; 076%] 13, 83 colando il coefficiente 8 mediante l’espressione 6 = 0,924 + 0,409 (1,43-e—1)?, io mi sono valso appunto di tali equazioni per determinare i numeri delle colonne 6 e 7 del quadro. Finalmente, per avere le successive elevazioni di temperatura dell’acqua. riportate nell’ultima colonna, ho fatto uso dell'equazione (11), trasformando dapprima I il logaritmo naturale in decimale, ed inoltre ponendo j invece di y e Q i loro valori 521,112 e 0,025. Dopo tali sostituzionì, ove ancora riflettasi che pei lavori di £ 24 contenuti nel quadro è lecito il ritenere o M+ Ne!* 0,654 + 0.409(1,43 .e—1)? 1% Al 52 een RE TTT parece DOOR AG siccome uguale all ùnità , l'equazione (60) sio in 3 quest'altra BV a pie © BY Aeg fe et puis t=1,+ 0,049 h- V4 1,151. db Bi B nella quale #, Fovea la temperatura finale dell’acqua, che è prodotta dal grado precedente di chiusura. Pel primo grado di chiusura ,. cioè; per e = 30 da Km 10 a 5, £ venne assunto = 10°. La colonna 8? fa conoscere per quali valori la temperatura t va salendo ad ogni nuovo grado di chiusura del freno, partendo da quella D'AIUAIA di 10° corrispondente a 10 Km. | Convenienza di procedere sempre per gradi nella chiusura del freno. — Avanti di formolare le conclusioni, che emer- gono da quanto finora son venuto esponendo, giova il fare ancora alcune considerazioni sopra le equazioni re- lative allo spazio, al tempo ed alla temperatura. Chi fac- ciasi ad esaminare il quadro precedente non può a meno di fissare particolarmente la sua attenzione sopra la pic- colezza dei numeri contenuti nelle colonne 6%, 7° ed 8?. Le cifre delle due prime di queste colonne indicano ab- bastanza quanto sia grande, ad ogni nuovo grado di chiusura, la prontezza d’azione del freno idraulico. Or bene può domandarsi, stando nei limiti del quadro stesso, se a motivo. d'esempio per ridurre la velocità del con- voglio da 10 a !/, km. convenga di più il chiudere gra- datamente il. freno delle quantità riportate nella .co- lonna 3?, ovvero il chiuderlo d’un tratto della quantità il. ="/s0o corrispondente alla minima velocità voluta di '/, Km. È facile il dimostrare che la chiusura per gradi è preferibile , se devesi evitare il grave in- conveniente di una azione pressochè istantanea del freno. Infatti, limitandoci soltanto a considerare lo spa- zio percorso del convoglio, poniamo che in un primo ‘caso il freno venga chiuso successivamente delle quan- tità ‘/10.e0*/.!. Diciamo 6 e 28" i valori corrispondenti del coefficiente variabile 8, e V,, V, le velocità finali ri- 10 620 SRO, È cia Sell spettive del convoglio. Applicando L'eimiassn (7) avremo È. per gli spazi successivi descritti da quest’ultimo SE , 7 BV a te si =391108- BVe—- ad | P e ig ,BV. a È È o'=3rlog' ppane è È epperò lo spazio totale percorso dal convoglio = 1 log (BV: a) — Llog'(8val'a) È y) 8 B i v+s'"=5 i È > Tag! pie. È <= #5 log.'(BV.°—a)— - log. (BV.}— a) po - Invece, nell'ipotesi in cui si van immediatamente Sa passare dalla velocità iniziale V, alla seconda velocità fi- b; nale V, col chiudere subito il freno della quantità !/,”, $ trovasi per lo spazio x descritto allora dal convoglio è $ PRES 5 L=3gn 108 Fpeza ; S008 ossia g.'(BV.°— a) 1 a=%l mrlog'(8V,°-a)-g glo Cc : i Quest'ultimo spazio sottratto dal precedente (2' + 1°) i conduce all'espressione seguente * ' pyipito di e z-p) Ba va (r'+2") = 9 (+ pi log. Avira ® #*s il cui valore è palesemente sempre >Q0, e per conse- i guenza dimostra che nel secondo caso si giunge alla stessa velocità finalé V, in modo più pronto ancora che non colla chiusura graduale. Si ha di ciò una conferma manifesta nel caso in cui prendasi per la seconda ve- S —S locità finale V,=0, vale a dire facciasi 6"= ma de . E È 621 sa Applicazione del freno idraulico alle piccole pendenze. — Seb- bene dai cenni esposti, in principio della presente Me- moria, intorno ai freni in uso oggidì salle ferrovie ordi- narie a locomotiva risulti chiaramente che il novello freno idraulico non può essere applicato con vantaggio alle piccole pendenze, per le quali sotto tutti i rapporti la preferenza spetta al freno a controvapore, ciò non di meno non faremo qui cosa superflua coll’esaminare bre- vemente a quali risultati conduce la precedente teoria allorquando la pendenza della strada è tale da rendere positivo, od anche soltanto nullo, il coefficiente «. In questo esame non è necessario il modificare i dati as- “sunti fin qui intorno al peso del convoglio ed alla cur- vatura della strada, poichè il secondo di questi elementi influisce per poco sui valori dei coefficienti a, 6 e y; lo stesso può dirsi del peso del convoglio relativamente a 6, e rispetto al peso medesimo è lecito il ritenere i coeffi- cienti x e y siccome prossimamente proporzionali a questo peso. Uguagliando dopo di ciò a zero l’espressione di « riferita a pag. 610, allo scopo di determinare la corri- spondente pendenza '/; della strada, posti in luogo delle altre quantità contenute in questa espressione i valori fin qui impiegati, si ha l'equazione VA ae de TIT i DTSIO Vas frei ea donde ricavansi #= 126, e quindi ‘/; = 0,008. Trovasi cioè | che per pendenze inferiori all’8 p. °°/,, il coefficiente « loo risulta sempre positivo. Contentandoci qui di riconoscere. ciò che somministrano le ‘equazioni precedenti (7), (9) e (11) per questa pendenza dell'8 p. °°/_,, cioè per a=0, principieremo dal trascrivere le equazioni medesime ; le = ERI ID EA pe 1? A RIA L î: vy(M+Ne'?) o * 425000 .0? MeV): La semplice ispezione di queste espressioni dello spa- zio x descritto dal convoglio, del tempo # trascorso e della temperatura £ acquistata dall'acqua racchiusa nel freno, mentre la velocità del-convoglio diminuisce da V, a V, dà a divedere primieramente che codeste quantità ri- sultano positive per qualunque valore di 8, cioè di !/., e per quali si vogliano valori delle velocità stesse V, e Y. Scorgesi inoltre che le stesse quantità crescono col ere- scere di V, ed al contrario col scemare di e e V. Così an- cora pel medesimo valore di e, supposto eziandio = 1, vale a dire cogli otturatori del freno interamente aperti, tutte e tre crescono indefinitamente con Vo e per qualsiasi grado di chiusura del freno divengono ognuna a (4) Si perviene assai più speditamente ad ottenere Ja seconda di queste equazioni integrando l’equazione . uti (AV +)d6= =-—3,6.70dV , fa che è l’equazione differenziale (8), in cui solo prendasi a col segno i (+). Questa integrazione dà nI=s6. arco (co=v vr ]/É) ateo ( cot= V, VE) fs espressione che per «=0 riducesi al simbolo _ a ditemi zione LA ma sottoposta alla nota regola del calcolo piste" Sl fornisce l'equazione qui sopra riportata relativamente al bici Di; qui 623 grandi per V= 0. Da tutto ciò manifestamente derivasi che il freno idraulico sulle piccole pendenze non è più d’azione tanto pronta quanto sulle forti pendenze, ma che, come avviene per queste, l’arresto completo del convoglio è impossibile se non cogli otturatori affatto chiusi. L’espres- sione dello spazio x indica altresì una cosa singolare, cioè che questo spazio per la pendenza particolare del- l'8 per °°/,, dipende, ad ogni grado di apertura degli ot- turatori, dal semplice rapporto della velocità iniziale a quella finale del convoglio. Variazione della velocità del convoglio prodotta da qualunque grado di chiusura del freno. — Facendo ora ritorno alle forti pendenze giova ancora che ci occupiamo di un’ul- tima quistione, cioè, che cerchiamo quale influenza tro- vasi esercitata sulla velocità del convoglio, allorchè la chiusura del freno non è al grado necessario per pro- durre il rallentamento del convoglio. L’equazione (7) re- lativa allo spazio, risolta rispetto alla velocità finale V del convoglio, diviene indicando con e la base dei logaritmi neperiani. Tale è la velocità da cui, per un dato valore qualsivoglia di &, resta animato il convoglio dopo d’avere descritto lo spa- zio x. Se e è bastantemente grande, il moto del convo- glio prende tosto a rallentarsi. In caso contrario, anche quando e ha il suo valor minimo =1i, cioè il freno è del tutto aperto, per causa della forza di gravità il movi- mento del convoglio continua ad accelerarsi, non però in quel grado che si manifesterebbe ove il freno non esistesse Ai TRE TRO È att ge \ PRINT A x CA ne Thee 4) sia BE sÌ 624 ; fanne ESA. ed operassero solamente sul convoglio la forza motrice della gravità e le resistenze ordinarie degli attriti e del- l’aria. ni La quantità e cc svolta in serie, risulta =1 "Re + sla EE) per (22). ecc donde segue che 12\0y 123.\ y ni CA quando e non è molto grande, cioè piccolo è il valore di 6= 0,924 +0,409 (1,43.e — 1)°, la stessa quanlità eziandio per valori considerevoli di x non è di molto su- periore all’unità. In generale pertanto è piccola la dimi- nuzione che il freno fa subire all’accelerazione del con- voglio, finchè gli otturatori non vengono chiusi di una quantità conveniente. Vuolsi avvertire però che lo stesso più non avviene al crescere maggiormente di x. Allora la diminuzione della accelerazione si fa più sensibile, ma non in modo indefinito perchè al crescere di x l’espres- sione precedente di V tende verso il limite v=y 5. suo massimo valore corrispondente ad x = © . Allo stesso risultato si giunge partendo dall’equazione differenziale (8) fra il tempo e la velocità, dalla quale si deduce infatti per l’espressione dell’ accelerazione, durante la discesa. del convoglio col freno chiuso di una quantità qualun- que '/: in funzione della velocità V dit: ni LI Pe CER ay _a_68V? % GU: IPY GAL la quale uguagliata a zero somministra appunto va oa Conclusioni che si raccolgono dallo sludio teorico poli. s intorno al valore del nuovo freno idraulico. — L'attestato » . . . . sii miabagi iii di privativa, ottenuto in Italia dagli ingegneri Agudio e_ i | Cail e ‘citato nella nota a pag. 578 della presente Me- moria, si esprime ne’ seguenti termini testuali intorno ©] al nuovo freno idraulico: « La machine porte trois sy- stèmes de freins: 1° le frein à màchoires; 2° deux freins indépendants el à sabot en bois; 3° quatre systèmes de pompes foulants à double effet commandé chacun par une manivelle calée sur les arbres moteurs verticaux , et dont le but est d’opposer è la descente du train une résistence constante produite par l’écoulement d’un li- quide (eau ou huile) que leur piston refoule par un orifice de petite dimension. C'est en réglant le débit de cet orifice, qu'on peut à volonté modérer la vitesse du train et méme l’arréter en fermant complétement cet, orifice ». Fin a quale segno gli egregi inventori abbiano raggiunto lo scopo, molto chiaramente dichiarato con queste parole, lo diranno le conclusioni, che a me sembra si possano raccogliere dalla precedente discussione teorica e colle quali porrò termine al presente scritto. Primicramente vuole senz’altro essere eliminata l’idea di applicare il nuovo freno idraulico alle ferrovie ordi- narie a locomotiva. Questo apparecchio, a guisa del freno a controvapore, dovrebbe necessariamente far parte della locomotiva. Quindi posti tra di loro a confronto il freno idraulico e il freno a controvapore, offrirebbero per ri- sultato: uguaglianza pressochè identica di effetto per en- trambi, anzi più pronto pel freno idraulico, la cui effi- cacia cresce col grado di chiusura degli otturatori, ma d'altro canto una complicazione di costruzione, un peso ed un ingombro maggiori per quest’ultimo apparecchio. Oltre di ciò il freno a controvapore presenta il caratte- | rislico e prezioso vantag gio di non sperdere la forza viva del convoglio, come fa il freno idraulico nel riscalda- - 2 VIETARE I dia) C0: mento di una massa fluida, ma all’incontro la utilizza col trasformarla in calore, il quale ritorna nella ‘caldaia. Dovendosi adunque emettere un giudizio sul val&re del freno idraulico, uopo è che solo ci riferiamo alle ferrovie di pendenza eccezionale, su cui cioè la trazione è uni- camente possibile, per motivo d'esempio, con uno dei sistemi funicolari. Per le ferrovie di grande pendenza il freno idraulico è sempre d’una efficacia infallibile , poichè la resistenza da esso prodotta, oltre al crescere in un col grado di chiusura degli otturatori, è ad un tempo direttamente proporzionale al quadrato della velocità, così che può dirsi che l’intensità della sua potenza aumenta col bisogno di frenare. In conseguenza per lo meno il freno idraulico deve essere considerato come un utilissimo ausiliario, 0 complemento, degli altri freni a fregamento ed apparecchi di sicurezza, dei quali trovasi fornito il locomotore Agudio. È desso un apparecchio ausiliario tanto più apprezzabile, in quanto che l’opera sua si compie a spese della stessa forza viva del convoglio, e senza produrre alcun dete- rioramento del materiale del convoglio e della strada. Egli è vero che in generale l’azione del freno idraulico è quasi immediata. Chiusi appena gli otturatori della debita quantità, la velocità del convoglio scende al mi- nimo limite corrispondente a questo grado di chiusura 6260 | uu no «dopo un tratto di strada ed un intervallo di tempo bre- vissimi. Però, avanti di spingere all'estremo grado il chiudimento del freno, si può passare pei gradi intermedii. Mercè d’un meccanismo a vite di passo bastantemente piccolo, sarà dato ognora di rendere questo passaggio lento a segno da non doversi temere alcuna variazione. troppo brusca di velocità. Gli inventori pertanto sono nel @- n vero, asserendo che mediante il loro apparecchio sperano cli riuscire a moderare, entro convenienti limiti, il mo- vimento di discesa del convoglio, non però, come essi dicono, opponendogli una resistenza d’intensità costante, poichè al contrario questa dovrà farsi variare a seconda della velocità del convoglio, che di continuo tende a cre- scere sotto l’azione acceleratrice della forza di gravità. La qual cosa si otterrà regolando convenientemente la chiosura degli otturatori coll’aiuto dell’accennato mecca- nismo, munito inoltre d’apposita graduazione, nella stessa maniera che coi freni a fregamento fa mestieri il pro- porzionare alla forza viva del convoglio la pressione, o stringimento dei ceppi, affine di evitare una discesa a sbalzi, o ad alternative continue di acceleramenti e ri- tardamenti. Una cosa analoga deve dirsi circa l’arresto del convoglio, il quale col freno idraulico può in ogni caso aversi istantaneamente, chiudendo del tutto gli ot- turatori. Per impedire allora la brusca estinzione del movimento, basterà eziandio usare la precauzione di per- venirvi con una graduale chiusura dell’apparecchio. Qualunque sia il grado di chiusura degli otturatori, il freno idraulico esercita sulla discesa del convoglio una «azione vantaggiosa, poichè esso si oppone alla forza di gravità, impedendo all’accelerazione del movimento di essere grande, come avverrebbe sotto il solo impero di questa forza e delle altre resistenze. Il quale effetto, si- milmente a ciò che si ha col freno a controvapore, giova il ripetere che si ottiene senza il menomo logorio di ma- teriale. Del rimanente poi, ove solo lo si desideri, si può anche sopprimere del tutto l’effetto medesimo, vuotando i corpi di tromba del freno dell’acqua contenutavi, cioè facendo funzionare il freno a vuoto, Durante l’ascesa del de j A Ra - LA n. ne è CR L'ERA II VAI Ù pur : pag ta 628 i \ i ; ni Re Re sà Ri ili piano inclinato, supposto che la velocità der convoglio sia costantemente di 10 km. all’ora, la resistenza pro- dotta dal freno interamente aperto e riferita al centro di sravità del convoglio risulta pei quattro corpi di tromba È assieme di kg. 65,4 come si ricava dall’equazione (4), Ris 4 fattovi V= 10, ed avvertendo che in questo caso la % quantità 0,403(1,43.e —1)? è =zero. f Il riscaldamento dell’acqua racchiusa nel freno, anche di dopo un lungo intervallo di tempo, non è tale da arre- A care inconveniente di sorta, o tulto al più può essere ca causa che debbansi riempire i corpi di tromba di nuova a “9 acqua fredda presa dal serbatoio alimentatore. Bi Le. pressioni generate nell’ interno dell'apparecchio, È: sebbene generalmente ragguardevoli, nemmeno, costitui- FE scono una grave obbiezione, atteso il piccolo diametro dei corpi di tromba, il quale fa sì che non è necessario l’assegnare alle loro pareli una grossezza eccessiva. D'altra parte è da notarsi che grazie al freno idraulico sarà le- cito il togliere, almeno da uno dei locomotori, per esempio, il freno a ceppi applicato ai quattro alberi motori verti-. cali, ciò che formerà un compenso più che bastevole dell’accrescimento di peso richiesto dalla maggiore soli- dità del freno idraulico. Rispetto alla pressione dell’acqua nei corpi di tromba non è fuori di proposito l’avvertire ancora che, quantunque l’equazione (5) pel freno inte- ramente chiuso, cioè per e= e, dia =, questo ri- sultato significa soltanto che allora la resistenza, di, cui l'apparecchio trovasi capace, è indefinita, mentre in realtà la pressione nel suo interno riducesi a quella semplice- î mente dovuta alla velocità attuale del convoglio ed al "a ai d = valore costante della forza di gravità, < Molti = Anche la scelta dell’acqua, pel fluido incompressibile | “che è l'elemento essenziale del nuovo freno, mi sembra la migliore possibile, non solo perchè trattasi d'un li- quido d'uso comune e gratuito, ma ancora per queste altre considerazioni. Si è infatti suggerito, per es., l’olio in sostituzione dell’acqua, il quale offrirebbe il vantaggio d’essere di natura assai più lubrificante, ed inoltre ren- derebbe d’alquanto minore la pressione nell'interno dei corpi di tromba. Ma è manifesto per contro che ad un tempo ne rimarrebbe scemata la resistenza del freno, e di più pel minor calore specifico dell’olio s’avrebbe un più sensibile innalzamento nella sua temperatura. Se piuttosto hannovi perfezionamenti da desiderarsi nel presente sistema di freno, questi particolarmente consistono : 1° in un meccanismo, come già si è accen- nato, maggiormente atto a permettere la chiusura re- golare e continua degli otturatori a movimento lentis- simo; 2° nell’aggiunta di un mezzo acconcio a rendere sicuro l’aprimento delle valvolette di alimentazione dei corpi di tromba. Le fughe d’acqua inevitabili richieggono che, di tempo in tempo, nuova acqua venga sommini- strata all’apparecchio, ma in modo automatico appenachè se ne presenta il bisogno, onde impedire il menomo urto degli stantuffi contra la massa d’acqua. Or bene può accadere che l’aria, introdotta nei corpi di tromba coll’acqua, si disciolga da questa per la continua agita- zione e vada a raccogliersi nei punti culminanti ove trovansi le menzionate valvolette. Quest’aria allora, pel suo volume accresciuto in causa della sua separazione dall'acqua, ed anche dell’elevazione di temperatura, po- trebbe incagliare lo schiudimento delle valvolette mede- | sime. Per ovviare ad un simile inconveniente gli inventori hanno in animo di modificare il serbatoio alimentatore Wa K * 1 per guisa che questo possa, al disopra dell’acqua, con-. tenere dell’aria compressa, la cui forza elastica sommata colla pressione prodotta dalla differenza di livello del- l’acqua nel serbatoio stesso e nei corpi di tromba sot- toposti assicuri a tempo opportuno l’aprimento delle valvolette di alimentazione. Ma, fatta eziandio astrazione da tali perfezionamenti , l'invenzione degli ingegneri Agudio e Cail, quale soltanto è al presente, merita non piccola lode. La teoria porge fondata speranza che si possa del novello freno idraulico trarre un utilissimo partito per l'esercizio delle ferrovie di forti pendenze, portando così la trazione su quesle, per rapporto ai mezzi di regolare il movimento dei con- vogli nelle discese, al medesimo grado di progresso do- vuto per le ferrovie ordinarie al freno a controvapore. Solamente nello stesso mentre non è lecito di dissimu- lare che il nuovo freno è un apparecchio il quale esige un maneggio fatto con grande cautela da un macchinista intelligente: epperò, prima di pronunziare sul suo valore pratico un definitivo giudizio, è forza ancora l’attendere il risultato dell'esperienza. Gli inventori presentemente stanno allestendo i preparativi per le prove tanto del sistema funicolare Agudio, quanto del freno idraulico. Egli è a queste prove sovrattutto che spetta lo stabilire realmente se fra i mezzi di creare una resistenza, alta a moderare il movimento dei convogli sulle strade fer- rate, abbiasi anche da comprendere un fluido incom- pressibile, come con grande vantaggio si pratica già da molti anni in parecchie macchine idrauliche destinate all’innalzamento di pesanti carichi. APPLICATO AL LOCOMOTORE FUNICOLARE AGUDIO. ig. 1. re lonsitudinale Fio. 2. ne orizzontale. ;A cala di 1:25. 4 J [i É "1 9 \oiLit F'° Doyen 4h resti n E ie rg gi aa ZLLLLOVEVVRSV&8RV,-AXVA,M\EEE-=" FRENO IDRAULICO DI AGUDIO E CAIL APPLICATO AL LOCOMOTORE FUNICOLARE AGUDIO, . Mis 1 Sezione longitudinale x | H N } a | J 2Llil || ] hi = È 3 o | B "© U71 GR) Ù Li > È —_ | | 2 Ji (È ei i La e Fio. 2. Proiezione orizzontale Scala di 125 Torino Lit FI poyen Î Re | 631 Il Socio Cav. G. Curtoni da lettura alla Classe d'una sua Memoria intitolata: L’elasticità nella teoria dell'equilibrio e della stabilità delle volte, che costituisce una nuova teoria - delle vòlte in muratura. In questa teoria l'Autore giunse a togliere l’indeterminazione nel determinare in intensità, direzione e punto d'applicazione le reazioni degli appoggi, e quindi superò il più serio degli ostacoli che si incon- trano nelle applicazioni delle teorie finora conosciute. Le equazioni di elasticità, che il Professore Curioni deduce in due modi, partendo cioè dalle formole delle deforma- zioni dell’asse dei solidi elastici e dal teorema del minimo lavoro dell'azione molecolare, detto anche principio d'ela- sticità, sono il fondamento della nuova teoria, la cui appli- cazione nella pratica delle costruzioni promette utili ed interessanti risultati. Questo lavoro verrà intieramente pub- blicato nel vol. XXVII delle Memorie accademiche. ue na - Il Socio Conte Tommaso SaLvaponi lenge la nente sua Memoria INTORNO. ALLO ORTHONYX SPINICAUDUS, Tem. È cosa sempre più o meno ripugnante quella di dover cambiar nomi di specie che sono generalmente accettati; tuttavia la legge della iingna che con ragione i natu- ralisti si sono imposta, è inesorabile, ed essa ci obbliga a fare tutti quei cambiamenti che sono riconosciuti ne- cessari, onde quella legge sia fedelmente adempiuta. Un cambiamento per una tale ragione ho appunto ricono- sciuto necessario per quella specie, che è generalmente nota solto il nome di Orthonyx spinicaudus. Questa sspecie fu per la prima volta brevemente de- scritta dal TemmincK, nel suo Manvel d’Ornithologie, ed. 2%, vol. I, p. Lxxx1 (1820), come appartenente al genere 0r- thonyr, ma essa allora non ricevette aleun nome specifico, e fu soltanto più tardi, nelle Planches Coloriées (1827), che: il TemmincK, figurandola e nuovamente descrivendola, le dette il nome di Orthonyr spinicaudus ; ma intanto, nel ‘lasso di tempo corso fra la prima descrizione innominata, e la pubblicazione del nome Orthonye spinicaudus nelle Planches Coloriées, la stessa specie veniva nuovamente de- scritta da Vicors ed HorsrieLp, che la chiamarono col nome di Orthonye Temminckii, e dallo SrepneNson che l'appellò con quello di Orthonyr maculatus; i primi. ado- perarono quel nome nella loro lazio. intorno agli. i e e I "1 vii i Uccelli Australiani, che lessero alla Società Linneana di Londra il 21 giugno 1825 ed il 17 sennaio 1826,.e che fu pubblicata nelle Transactions of the Linnean Society, vol. xv, part. I, p. 294 (1826); il nome dello SrEPHENSON fu pubblicato nello stesso anno, nell'opera General Zoo- logy, vol. xiv, part. I, p. 186, e quindi la sua pubbli- cazione sarebbe pressochè contemporanea a quella del nome di Vicors ed HorsrieLD, ai quali tuttavia pare che si debba accordare la priorità, considerando che la loro Memoria era stata in parte letta un anno prima innanzi ad un corpo scientifico; quindi la specie australiana, che, come si è detto, da tutti, anche da quelli che si sono particolarmente occupati dell’ ornitologia dell’Australia , viene designata col nome di Orthonyx spinicaudus, o spini- cauda, Temm., dovrà invece chiamarsi, per ragione di priorità, Orthonyxa temminckii, Via. et Horsr. Aggiungo la sinonimia di questa specie, che non credo sia mai stata data compiuta. Orthonyx temmimnelkiî (Vic. et Honsr.). — Orthony® (Esp. nouvelle), Teww., Man. d’Orn. ed. 2, I, p. LxxxI (1820). Orthonye Temminchii, Via. et Horsr., Trans. Linn. Soc. xv, I, p. 294 (1826). Orthonyx maculatus, Stern, Gen. zool. xtv, I, p. 186 (1826). Orthonyx spinicaudus, Tewm. (nec Scnrec. 1871), PI. col. 428, 429 (livr. 72, 25 aprile 1827, fide Crorcn.). - Less., Man. d’Orn. I, p. 366 (1829).-IA., Tr. d’Orn., p. 315 (1831).- Sw., Class. B. II, p. 321 (1837). - Less., Compl. de Buff. Ois. p. 527 (1838).- VeRR., Rev. Zool. 1847, p. 211. - Goutp., B. Austr. IV, pl. 99 (1848). - Rows., Vig. Neuholl. n. 559 t 524, fr 3622- 25 (1853). - Gouta; fa B. Austr. I, p. 605 (1865). - Ramsay, P. Z. S. 1863, p. 386. > Orthonyr spinicauda, Féruss., Bull. Sc. Nat. XI, p. 294 (1827).- G. R. Gn., List Gen. B. p. 19 (1840). - ist Gen. B. 2% ed. p. 25 (1841). - Idi, Gen. BI, ip. dof, sp. 1 (1847), et App. p. 7 (1849). - Bp., Consp. I, p. 216 (1850). - G. R. Gr., List Gen. and Subgen. of Birds, p. 30 (1855). - Ramsay, P. Z. S. 1866, p. 439. - DreGLes, Orn. Austr. pt. VIII (1866?). - G. R. Gr., Hand-List I, p. 185, sp. 2532 (1869). - Sunpev., Meth. nat. av. disp. tent. p. 11 (1872). - FinscH, Journ. f. Orn. 1873, p. 394, 395, 396. P317396R WED ii ni 1374 pad > gesti ik Pett tt 5 La Ch fono: tei APRE! Heft gni L@SIODERRER gi: nad: mrsloguae wo? e Dci ae si # Adunanza del 21 Marzo 1875. PRESIDENZA DI S.. E. IL CONTE F. SGLOPIS In questa seduta il Socio Comm. J. MocescHort prende a ragionare intorno all’azione che si deve attribuire al cervelletto nelle funzioni dipendenti dall'influenza dei centri nervosi. Rammentate brevemente le opinioni che su questo argomento si emisero da FLourens e da altri fisiologi esperimentatori, viene egli a dire che da molti anni aveva intrapresi esperimenti diretti a dissipare le incertezze, ed a stabilire in proposito alcun che di positivo. Egli istituì vivi-sezioni sopra diversi animali, e questi tentativi lo convinsero che, a tal genere di indagini, meglio che ogni altro si presta la rana, in cui l’ablazione totale del cer- velletto non presenta difficoltà, conservandosi essa in vita dopo . questa mutilazione, e potendosi procurare alla rana operata conveniente alimento (la carne stessa delle rane), con cui la sua esistenza si prolunga per molti giorni. In appoggio del che egli presentò ai Soci riuniti parecchie rane operate nel modo indicato, collocate in un piatto con alquanta acqua, e nelle quali la vita si scorgeva attiva ed energica come in altra non operata che di fronte alle medesime si era collocata in un altro piatto e sotto altra campana. Osservando tuttavia il modo di locomozione delle rane operate, e di quella che non fu operata, si rileva che in quest’ultima i movimenti sono per salti, siccome ii ce I 636 st to Ha i n n. A 2 3; ST seta to LI te A VINI it il richiede l'indole c la struttura dei batraciani, mentre nelle prime (cioè nelle operate) il movimento accennato scompare e vi soltentra un modo d’incedere con trasporto alternativo degli arti anteriori e posteriori. Da questa 0s- servazione più volte ripetuta dedusse il Socio Morescnott essere il cervelletto destinato precipuamente ad imprimere alla locomozione degli animali il carattere speciale che è in armonia colla loro organizzazione e colle esigenze del loro modo di vivere. Mi > ga una 5 Il Socio Cav. Alessandro Dorna, Direttore del R. Os- servatorio astronomico di Torino, presenta le seguenti Effemeridi del Sole, della Luna e dei principali Pianeti, ‘calcolate per Torino in tempo medio civile di Roma, per l’anno 1875, dall'Assistente Professore Giuseppe Mazzota. .—- SOLE — | Gennaio 08 TEMPO MEDIO DI ROMA BECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE Ss » } DI TORINO 3- PIA ai e Tramon- sla a a mezzodì = inéridiazo tare mezzoti vero medio di Roma ho _m h m s h m i Bag 0. | 28) 44 4 46 | 280 1' 32"A| 18 23 46 88 2 8 0 23 13 44799 56° 524 1897 43.144 3 6 ‘0 923 ‘4 4° 48% 99 50° 47 18 31 40 00 4 BO 24 8 4 49 | 22 44 ‘44 181.35 36.150 5 80 24 36 4: 50 | 22 38 13 18499 SS 12 6| 8 0 259 2| 4 51| 2231 16 18 43 29 68 ii 7.59 CUYELCIE 5990995 15 470026095 8 LT) 251154 4° 53022 16550 18. 51 29. 79 9 "it 59 296.20] 4 54| 922 7 43 18 bb A9tS5 10 959 26 44 RE RA RL JI) 19509915: LOT il 7 58 97.9 56 | 21 49 52 190 93/147 1 97 158 9770332 4 1571-21 4017 1979999 13 Nieto CR, 4 59 | 21 30 18 191558 14 DI 28 17 5 (0 | 21 19 54 191-1524314 Pa ‘56 28 39 TO et 19 18 5870 16.197 56 299. 0 i DT 20. 5751 19 22 55 26 PR 1597-55 29 20 5 4|20 46 14 19 26 5I 82 18 | 7 55 29 39 Di dp 20) ZANE 19 30 48 37 i 30 Mii dI 29 58 A 0420.210050 19 34 44 93 90.) 47.153 30 16 Si As EURI lio; 19 38 4i 49 21 "i 52 SOI Bi t9sit19. 5554 19 42 38 05 e At 159 30° 49 5 i0| 19 42 22 19 46 34 60 SIT 051 dl 5 5 12 | 19 28 28 19 50 31 16 24 | 7 50 di 20 DTS 10144643 191 5497/93 85 | #49 31*%34 | 5. 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Be _— EGCLISSI Se (41875) % f) \ br z: G $ & dî (dg : [8] 1 p s 4 Beelisse totale di Sole, invisibile a Torino. L) 6 dprite DI 29 Settembre. Ecclisse annulare di Sole, visibile a torti i ARE pricome ecclisse. parziale: da, liunell ì si è. 2A 0; dé L'ART PRINT ta x ca Ì 0146 ‘08 50 nidi Dila E GATA (0% 509 pom. | i Par > todi DE a ln o n 2 } ji a Fine < ABROAD E IA oe Re il | PEPE i FA Li - Grandezza del'eccliss 0,1 10, preso per unità i È ‘diametro’ deli Sole. | “IRA at ì E db. 11 pe Orani ‘ 12 videriio® ì CI lì re not tr 184 asdaguati 1 ti ani ME o e e e Tao Te Cp cia | cat) ste LI tg s Ea Febbraio Marzo Aprile Maggio » Agosto Seltembre » » » » » » » » 0003000084 dosso 1 000 0007000000 2,1000600 6, ia Claut dt) 20 2 00 0 000 200850100800 0 000 00000 ® + 000000080 ® 0 000080 000 *,0 0 0 e 0.0 0 0 0 000000000 ‘0000080000 ‘000000080 *r000.0009 00 *e0000 000 tesse 0 00080 *000.0008 10 ® 000000000 MERCURIO Nascere h m Mio 72 59 8 316 ° 8 20 8 8 Teet30 643 018 De 98 Do 5 6 4 ‘59 4. 55 5 1 Si 191 DIRDS 6 15 6x0 013 5 36 44094 SIN: 31 di ‘32 4 it 561 +18 6 28 Vi 19 892 8 (35 Bibi BIO 6° 34 5 29 5 44 64:25 ni 9 Hr 2 Bi 35 Passaggio az al onane Nascere meriliano h m h m hr”: 11247] 4% 2/|52=2 017 45 36]| 4253 024915 2314541 ai ° i. 2%]6, n AAI i d4il 7 (50405 i 207 RN DU 297.614 A 11246| 5 14|[4 43 10249] 4 || 4 39 10545| 4 15|| 4 39 10 55/4 44/| 4 99 110 13/5 30|| 410 112434 6a ee 0226-77 © balla (4 i.s 14/9, Spata 1 53f 9 ade ea 9° 35 SICA i. 460 95 anna 0. 57/8 17/03 1253). 1480 li = Oi 6. 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SCLOPIS In questa tornata il Socio Barone CLarETTA prosegue la lettura e l'esposizione della sua Memoria sugli Storici Piemontesi ed in particolare sugli Storiografi della R. Casa un. di Savoia; e ragiona distesamente del Padre Pietro Monod "a di Bonneville. Fatta una critica esposizione degli scritti di quel riputato La . Storiografo, autore del Trattato del titolo regio, la cui DC ì pubblicazione destò grande romore in Europa, considera ì egli, colla scorta di documenti autentici, il Monod nelle Ste diverse vicissitudini della sua vita politica e nelle varie | ‘missioni che egli ebbe fra il 1620 ed il 1637 alla Corte di È Francia, governata allora dalla mano vigorosa e dalla vo- Di : lontà inflessibile del Richelieu, con cui il Monod sostenne | vive lotte per difendere i contrastati diritti dei suoi Prin- ——’.cipi che si volevano, come suole, manomettere da un go- ‘verno alleato, ma più forte. La PART TE Se ra x 4 . ' x CR: sia Udi Polini ag x 662 Si e >> Seguita l’Autore narrando le vicende e i casi del Monod dopo il suo ritorno a Torino, dove combattuto da avversa fortuna ‘e da ‘irè che la ‘malvagità dei tempi gli suscitò contro, finì coll’essere confinato prima a Mommegliano, poi nella rocca di Miolans nella Savoia, dove morì nel marzo del 1644. SUL MANOSCRITTO PRESENTATO DAL DOTTORE AGGREGATO GIUSEPPE GALLO SULLA: VERA ORIGINE ED ESSENZA» DELLE cos suntlolcai QUI PUBBLICATO Ossi RELAZIONE Lino [98] | DI : _ i (VAIL , ip GM BEER TINO eee | s0ixbsità dig i[99 / Nello scritto del signor Detti Giuseppe Gallo hanno a distinguersi due parti, benchè non siano ricisamente separate fra loro, ma l’una coll’altra s’intrecci. La prin consiste in teorie ed opinioni appartenenti, alle pon fisiche. La. seconda è più propriamente filésofica"' è ‘ia tende ad illustrare per mezzo di quelle teorie ed'opi st le più ‘ardue questioni della metafisic ‘come’ quelle dell’origine ‘e dell’essenza delle ‘cose, ‘della natura del | 663 l’anima umana e della persona, del pensiero, e della conoscenza. Solo a questa seconda parte si riferiscono le considerazioni seguenti, la cui giustezza ed opportunità sembrano alla vostra Commissione essere affatto indipen- denti dal valore scientifico della prima parte, a giudicare del quale essa si dichiara incompetente. 1° È a deplorare che l’egregio A. abbia creduto bene di usare parecchi vocaboli filosofici in un senso affatto di- verso da quello che essi hanno nell'uso comune presso i cultori di tali discipline, onde è resa difficile e mal certa l'intelligenza del suo pensiero. Ciò si vede da bel prin- cipio: « ogni essere , dice l’A., è costituito di un ente. » L’attività dell'ente consiste nel potere, nella virtù che » ha di rotare intorno a più punti ». È chiaro che l’A. prende il vocabolo ente in un senso ben diverso da quello in cui l’usarono tanto il Rosmini, quanto il Gioberti, ma in che senso egli lo adoperi, non è tanto facile il chiarirsene. Sembra che per ente egli intenda tutta quant’ è la so- stanza materiale che occupa lo spazio infinito, poichè egli dice che « se l’ente opera secondo la suprema legge dell'ordine dell'equilibrio e dell'armonia, ossia se si ordina secondo il sistema di Copernico e di Keplero, produce gli esseri che formano l’universo; in caso contrario ge- nera il caos: se non operasse , doventerebbe il nulla ». L'ente di cui qui si parla è egli la sostanza infinita nel senso Spinoziano, la sostanza che in sè riunisce i due attributi infiniti del pensiero e dell'estensione? Le parole testè citate ed altre che si potrebbero citare, indurrebbero a crederlo: ma altri luoghi, come per es. quello ove dice che il poter d’agire dell'ente è un principio « immateriale, derivante dalla divina onnipotenza », come pure la ve- nerazione con cui l’A. parla della religione cristiana, ci pri che la sua filosofia è alienissima dal panteismo Spinoziano, tanto più che l’A. è risoluto sostenitore della libertà umana, negata dalla Spinoza, come inconciliabile colla sua dottrina. A pag. 20 del MS. l’A. ci parla di un ente ‘che « informa l ‘umana specie » e dice che questo ente, Ì « tuttochè intelligente e libero, ha le stesse tendenze » dell'ente universale che forma gli altri esseri ». Vi. sono alunque più enti, secondo il nostro A., cioè uno universale che forma tutti gli esseri, e tanti enti partico- lari, quante. sono le particolari specie di cose naturali? E quell’ente che informa l'umand specie e che è intelligente e libero, sarebb’egli mai una di quelle potenze inferiori, subordinate all'ente supremo inaccessibile, inescogitabile, e aventi in loro balia il mondo sublunare e la specie umana, come insegnavano alcuni gnostici? 0 sarebbe egli mai la Ragione universale, l’intelletto agente nel senso in cui Avverroè prendeva questa espressione ari- stotelica? La brevità estrema in cui l’egregio A. si volle . restringere, non gli consentì di darci alcuno schiarimento su questi punti. i 2° A pag. 6 del MS. s’incomincia a parlare dello spirito, della vita, dell'anima e dell'Io, cioè si entra nelle que- stioni propriamente filosofiche. Definizione dello spirito : « chiamasi spirito l'insieme delle attività e delle ragioni » di una data esistenza ». Definizione della vita: « chiamasi » vita l'insieme dei movimenti ordinati ed armonici che » (lo spirito) cseguisce ». Definizione dell'anima: « chia- » masi anima la risultante suprema di tutte le sue atti- » vità » (cioè delle attività della vita): Definizione dell'Io: « chiamasi Io il punto per cui passa questa risultante ». Qui parve alla vostra Commissione di trovare qualche am- biguità. La parola risultante, nella definizione dell’ anima, È 4 Lost, alito a l'ad” oi i 665 sembra usata come sinonimo di risultato, e il considerare l’anima come un risultato, come un’armonia, sebbene, a nostro credere, sia falso (poichè se v’ha cosa al mondo, a cui competa un’esistenza assoluta e reale, e non meramente mentale e relativa ad un soggetto che la percepisca, è certamente il principio pensante), tuttavia è un modo di vedere di cui non mancano gli esempi nella storia della filosofia, e ognuno, all’udire simili pronunziati intorno all'anima, corre colla memoria a quell’Aristosseno mu- sico e filosofo menzionato da Cicerone nelle Tusculane (Pc 49; il quale, riproducendo un’opinione già discussa da Platone nel Fedone, definiva l’anima ipsius corporis îin- tentionem quamdam, velut in cantu et fidibus, quae harmonia dicitur ecc. Ma quando nella definizione dell’/o si dice che esso sia il punto per cui passa quella risultante che chiamasi anima, è evidente che allora la parola risultante cambia significato, e divenendo un termine tecnico di meccanica, non significa più altro che quella linea che rappresenta la direzione, l'intensità e il punto d’applica- zione di una forza motrice equivalente a più altre che sono le sue componenti: imperocchè solo di una linea può dirsi con qualche senso che ella passi per un punto. 3° Il modo con cui l’A. crede di potere spiegare i fatti del mondo interno, induce la Commissione a credere, ‘che, sebbene versato nella lettura dei filosofi, e partico- larmente del Rosmini, egli non abbia veduto l’importanza della distinzione inculcata da questo, fra la serie dei fe- nomeni soggettivi e quella dei fenomeni oggettivi, e la assoluta irreducibilità di quelli a questi: sui quali veri si fonda, secondo il Rosmini, la confutazione radicale ‘d’ogni materialismo. L’egregio autore riduce ancora la sensibilità di un soggetto alla sua mutabilità, come se certo stato ad un altro, e il sentir di passarvi fossero tutt'uno. eda A pag. 10 leggiamo: «Il cloruro d'argento sente l'azione della luce, e varia il suo equilibrio in un modo con- forme, per cui si colora. Il ferro sente l’azione. della calamita, e aggiusta il suo equilibrio in modo conforme, per cui attira ed è attirato dalla calamita. Le piante cirrifere sentono l’azione dei pali, e crescono in modo da avvicinare ad essi i loro viticchi; le radici sentono l’azione delle molecole nutritive e si allungano verso di esse »..Per tenere un tale linguaggio bisogna essere, o spiritualista fino al punto di antropomorfizzare gli agenti e le forze della natura, o materialista fino al punto .di ridurre i fatti psicologici ad un puro meccanismo:. il nostro A. sarà spiritualista nel modo detto, se considera i movimenti cui egli accenna, come effetti di una forza che sente, nel proprio significato del vocabolo, le im- pressioni esterne, e regola in conformità di esse la pro- pria attività: sarà materialista fino al meccanismo, se egli intende di ridurre il fatto” soggettivo e psicologico del sentire a nulla più che ad una serie di. movimenti meccanici. 4° A pag. 11 leggiamo: « Il potere conoscitivo, è » l'insieme delle vibrazioni assai complesse, delle parti- » colari azioni e reazioni che animano il cervello e co- » ‘istituiscono la funzione del pensiero ». Se il potere conoscitivo è un insieme di vibrazioni, anche l’atto di questo potere, ossia la cognizione attuale, sarà un com- plesso di vibrazioni: e, per conseguenza, anche la par- ticolar cognizione che ha l’egregio Dottor Gallo dell’essenza del potere conoscitivo, cognizione che egli ha voluto. espri- 667 mere nella sua definizione, sarà un complesso di vibra- zioni, le quali hanno però questo di particolare, che elle si riferiscono ad altre vibrazioni. Ma in che modo vi si riferiscono? forse come a loro oggetto? No, perchè la relazione fra l’oggetto e il suo termine correlativo, cioè il soggetto s'immedesima affatto colla relazione fra co- gnito e conoscente, percepito e percipiente, presuppone il fatto della cognizione e non si può quindi assumere a spiegare questo fatto. Di che natura sarà adunque la relazione che intercede fra il complesso di vibrazioni che costituiscono la cogni- zione in quanto esiste nel soggetto come una sua deter- minazione, e il complesso delle vibrazioni che sta ad oggetto di questa cognizione? E, in generale, posto che ogni modo del pensiero, e quindi anche quel modo che si chiama sapere, sia un movimento meccanico, ne segue che il sapere che ha l'Io della essenza del proprio sa- pere, sia un movimento meccanico più o meno complesso e svariato, riferentesi ad un altro movimento meccanico, più o meno complesso e svariato. Ma in che modo vi si riferisce? Come si può concepire il movimento d’un mo- vimento , che corrisponda a ciò che è il sapere di un sapere, e in generale il percepire di un percepire? La percezione, la quale giace al fondo d’ogni modo del pen- siero, giacchè anche il piacere e il dolore non si possono provare se non da chi percepisce qualche cosa, sarà sempre lo scoglio contro cui rompe ogni spiegazione ma- terialistica dei fatti interni. Questo era già stato messo in chiaro da Leibnizio in molti luoghi, e specialmente nella sua commentatio de anima brutorum (Leibnitz, opp. ed. Dutens, tomo II, P. I, p. 230). Si capisce facilmente che in un molino, in un orologio, o in altra macchina < La = S, tl ene Liar AURA ERRE ici MMI 7 SIONE INPUT NOTI PN ERI CA P h Vi ORA TARARE 668 i Ma. », le cui parti e il cui congegno sia apprensibile al senso, | non vi può essere percezione; ma.sì crede che facendo intervenire dei fluidi, o dei solidi sottilissimi nel mec- canismo, e rendendo questo complicatissimo, si possa finalmente riuscire ad avere una macchina che percepisca e che pensi: e non si pon mente a questo che la qualità dell'operazione e dell’eifetto di una macchina è indipen- dente dalla grandezza assoluta delle parti che la compon- gono, di maniera che se la materia onde si costruisce p. es. un orologio, non cessasse di essere abbastanza maneggiabile, o abbastanza consistente, o abbastanza al riparo dalle influenze atmesferiche, quando si oltrepas- sano certi limiti di grandezza, nulla impedirebbe la possi- bilità di un orologio così grande come il nostro tempio israelitico. Se adunque il pensiero è un meccanismo, e se il pensante è una macchina, nulla vieta che si possa imaginarla tanto grande, che un uomo possa entrarvi, esaminarla a suo bell’agio, e farne la teoria. Ma adagio: nell’ipotesi del materialismo, anche questo visitatore in- terno è una macchina, e la sua disamina e Ja sua teoria sono niente più che operazioni meccaniche: ee- coci adunque anche qui impacciati nella difficoltà di meccanismi che si riferiscono ad altri meccanismi, senza che mai si possa mettere in chiaro in che consista; e di che genere sia questa relazione: e la difficoltà si ‘com plica in modo inestricabile, quando a quella disamina e a quella teoria si sopraggiunga la coscienza che necha o potrebbe averne quel curioso ; coscienza la quale nell’ipo- tesi che stiamo esaminando, non può essere ella stessa altro ehe un’operazione meccanica. Ci si dirà che questi ‘argomenti valgono bensì contro quella particolare specie di materialismo che riduce tutto a meccanismo, ma non già contro quello che riconosce nella materia azioni e lessi chimiche. Ma che cosa sono queste azioni è queste leggi? Se affermate che esse in ultimo siano riducibili ad azioni e leggi meccaniche, in tal caso dovete mostrarci in concreto e in particolare come vi si riducano, poichè questo è, secondo i vostri stessi principii metodici, il solo modo in cui possiate dimostrare la vostra tesi gene- rale, che siano riducibili: se poi le riconoscete come asso- lutamente diverse ed irreducibili, in questo caso le vo- stre azioni e leggi chimiche non sono meno oscure di quei fatti, di quelle leggi psichiche, per la spiegazione delle quali lo spiritualista crede doversi ammettere un principio diverso dalla materia apprensibile coi sensi esterni: e voi col vostro materialismo non conseguite lo scopo di emergere dalle tenebre dello spirito alla luce della materia, ma uscite dalle tenebre dello spirito per entrare in altre tenebre ancor più fitte. Dalle cose fin qui discorse appariscono i motivi che impediscono la vostra Commissione di dichiararsi piena- mente soddisfatta del lavoro dell’egregio Dottor Gallo. Essa tuttavia nel giudicare della questione se questo la- voro possa ammettersi alla lettura, crede di dover fare assoluta astrazione da tali motivi, e tenendo conto dell’in- gegno e della dottrina di cui il Dottore Giuseppe Gallo ha dato prova con questo e con altri snoi scritti di mag- gior lena, come pure dell’ardore instancabile con cui da più anni egli attende al culto della scienza per se stessa; e considerando essere giusto ed opportuno che l’Acca- demia metta largamente i mezzi di pubblicità che sono in sua balia a disposizione di quei cultori delle scienze che credano avere idee nuove da sottoporre alla discus- sione degli studiosi, e favorisca così a tutto suo potere 670 e il progresso della scienza, propone che lo scritto del si- È gnor Gallo sia letto in una delle prossime sedute della Classe, ed inserito nei suoi Atti. SULLA VERA ORIGINE ED ESSENZA DELLE COSE. « Il primo passo che debbe fare l’uomo, ha saggiamente scritto il filosofo Rosmini, si è di trovare le cognizioni, e per trovarle debbe incominciare da quell’una che può scorgerlo a trovare le altre ». Di costante, di sensibile e di intelligibile non abbiamo nell’universo che l’essere e le leggi che lo governano. Egli è quindi dalla cognizione dell’essere che si debbe incominciare. Ogni essere cosmico dura nell’eternità, è contenuto nello spazio ed è costituito di un ente. L’eternità e lo spazio sono principii primi, assoluti, elementarissimi, immuta- bili, necessarii, senza dei quali nulla può esistere, impe- rocchè ogni esistenza, ogni cosa è in quanto dura ed è contenuta nello spazio eterno. L’ente è un principio con dizionale mutabile; una cosa continua ed attiva: la sua. attività consiste nel potere, nella virtù che ha di rotare intorno a più punti: se opera secondo la suprema legge dell'ordine, dell’equilibrio e dell'armonia, ossia se si or- dina secondo il sistema di Copernico, e si muove secondo le armoniche leggi di Keplero produce gli esseri che formano l’universo, in caso contrario genera il caos; se non operasse diventerebbe il nulla. ilo sa ro PARE OO] 25 671 L’ente in grazia del suo potere rotativo, della sua at- tività, senza cessare di essere uno e continuo, si è diffe- renziato, condensato ed organato in un numero infinito di esseri finiti che agiscono e si muovono in un modo diverso a seconda della loro costituzione. L’ente nel for- mare gli esseri cosmici si è costituito in modo che gli esseri minori sono più densi e funzionano da organi degli esseri. maggiori, ed in essi si muovono, imperocchè il grado di energia dinamica cresce col crescere del grado di condensazione dell’ente. Gli atomi sono i più piccoli differenziamenti e quindi le parti più dense ed elemen- tari dell'ente: essi funzionano da organi -e si muovono nei differenziamenti di primo ordine detti molecole chi- miche, le quali a loro volta funzionano da organi e si muovono nei differenziamenti di secondo ordine detti molecole fisiche, e così di seguito di differenza in dif- ferenza, di essere in essere di più in più grande sino al tutto, all'universo che comprende in sè tutte le diffe- renze, tutti gli esseri. I differenziamenti maggiori sono totalità, unità rispetto a quelli minori da cui sono for- mati, perchè i primi comprendono in se stessi i secondi e li fanno gravitare e muoversi intorno lo stesso punto che diventa il loro centro di gravità e di movimento. La massima differenza è totalità e non parte, le minime sono parti e non totalità, sono cioè vibrazioni, forme vive elementari che non comprendono in sè delle forme vive minori, le intermedie sono ad un tempo totalità delle dif- ferenze minori da cui sono formate, e parti delle diffe- renze maggiori che informano. 1 più piccoli differenzia- menti dell’ente, ossia gli atomi, costituiscono ciò che chiamasi materia ponderabile, gli altri costituiscono ciò che chiamasi etere, il quale è tanto più rarefatto quanto 44 "e sl” # aa I, RI a ra x - ve x ai #, fur = ARI 0A il differenziamento che informa. più grande è l’essere, Ogni atomo è animato di tanti impulsi, e descrive tante irajettorie parziali quanti sono gli esseri, i differenzia- menti maggiori di cui fa parte. Per determinare la. tra- jettoria generale, la curva che descrive intorno il centro dell’essere supremo, bisogna comporne; giusta i principii della meccanica razionale, tutte le trajettorie parziali, tutti gli impulsi. L’ente che forma le esistenze avendo la virtù di agire, ne viene che ogni cosa esistente agisce: il poter d’agire dell'ente è un principio immateriale che deriva dalla divina onnipotenza. Le differenze che presentano gli esseri dipendono dal modo diverso con cni agiscono: la diversità d'azione degli esseri dipende dalla diversità di costituzione dell’ente che li informa: la diversità di co- stituzione dell’ente che forma un dato essere, una data esistenza dipende dal tutto, dalla ragione universale, im- perocchè, in quanto allo spazio, l’ente che-informa le esi- stenze di un luogo, è continuo e legato da mutui e seam- bievoli rapporti con quello che forma le esistenze degli altri luoghi; ed in quanto al tempo le esistenze che l’ente forma nel tempo presente sono una conseguenza di quelle che ha formate nei tempi passati. Il principio attivo tende ad operare in un modo conforme alle leggi divine ed, al generare delle esistenze stabili. L'ente produce degli. es- seri che durano in quanto osserva le divine leggi dell’or- dine, dell’equilibrio e dell'armonia, vale a dire in quanto ogni entità particolare ordina, equilibra, accorda, armo- nizza, lega ed unifica le entità minori da cui è, formata e si ordina, si equilibra, s'accorda, si armonizza, si lega © e si unifica nelle entità maggiori che informa. . MIGONE a In ogni esistenza si debbe distinguere l'energiaipalem» | n ziale che è causa del volume e del moto virtuale, e l’e- nergia attuale che è causa del moto reale; queste due | energie , a parità di ente, variano in ragione inversa l’una dell’altra, dimodochè quando l'energia potenziale diminuisce quella attuale cresce, e reciprocamente. Le due energie potenziale ed attuale essendo un effetto dello stesso principio dinamico, che consiste nella virtù che ha l’ente di rotare intorno più punti, il loro prodotto (pa) è uguale a V, ossia è uguale alla viriale dinamica che opera nell’ente da cui è formata l’esistenza. L’energia potenziale si compone di energia repulsiva (centrifuga) e di energia attrattiva (centripeta), e le esistenze assumono forme vive diverse secondo il modo con cui queste due ‘ energie elementari si sono tra loro equilibrate. Quando l'energia repulsiva fa crescere il volume., p cresce, ed a e quindi il grado di velocità del moto reale diminuiscono, e reciprocamente. Se il volume di una forma viva varia in ragione inversa del suo grado di velocità reale, ne viene che l’area descritta nell'unità di tempo col traspor- «tarsi da uno in un altro luogo è sempre la ‘stessa. L’e- nergia potenziale essendo la causa che tiene le parti lontane dai centri di rotazione, e l'energia attuale quella che le fa girare intorno ai rispettivi centri, ne viene che la prima può essere geometricamente eguagliata alla lun- ghezza dei raggi ossia delle rette, e la seconda alla lun- ghezza delle curve, il loro prodotto all’area descritta. La stessa quantità di viriale-dinamica descrive quindi con- formemente alla seconda legge di Keplero aree eguali in tempi eguali. “| ro d 673 È Vi sono tanti generi di viriali, e quindi tanti generi di. «energie potenziali ed attuali, tanti generi di rette, di curve «e di punti quanti sono i generi dei centri di rotazione, 674 "2°. ASS 3ASGDUINAIBNE. > Gli attributi, le qualità delle esistenze crescono col cre- scere dei generi delle loro viriali. A parte le viriali su- periori (astrigene, planetarie, stellarie....) nei minerali operano tre generi di viriali, cioè le viriali atomiche, le chimiche e le fisiche: nelle piante e negli animali, oltre questi tre generi di viriali, operano ancora altre viriali d’ordine di più in più elevato, il cui numero cresce col crescere del loro grado di complessità. I minerali posse- dono meno realità di esistenza, meno qualità che gli es- seri poliorganici, i quali a loro volta hanno tanto più di esistenza, tanto più di qualità, quanto maggiore è il numero dei generi di viriali, di energie potenziali ed at- tuali, di centri di attività, di rette, di curve e di punti che contengono. ° i Ogni centro d’attività si muove nell’etere il quale pro- paga e comunica i suoi moti agli altri centri e li mette. in relazione tra loro. Affinchè le attività minori si com- pongano in attività maggiori, è necessario che le loro relazioni siano ordinate, equilibrate ed armoniche o con altre parole che siano ragionevoli. I centri di attività che informano le esistenze stabili offrono quindi fra loro delle relazioni ragionevoli. In un’esistenza vi sono tanti ordini di relazioni ragionevoli, ossia di ragioni quante sono le viriali, i centri di attività. Vi hanno quindi le ragioni atomiche, le ragioni chimiche, le ragioni fisiche, le ragioni cellulari, le ragioni astronomiche... In ogni esistenza, olffe la quantità totale di ente da cui è for- mata, si debbe distinguere il modo con cui lente trovasi ordinato e condensato e con cui agisce, cioè la forma = ‘ che ha, le forme minori da cui risulta, il modo con cui sono equilibrate, l'uno ed il moltiplice, la totalità e la pluralità, la somma di tutte le attività, e singole. le atti- Re ue 675 | vità particolari, le diverse specie di movimenti, di ragioni, > e di religioni che legano insieme le parti per formare l’unità. Chiamasi spirito l'insieme delle attività e delle ragioni di una dala esistenza: vita l'insieme dei movimenti or- dinati ed armonici che eseguisce: anima la risultante suprema di tutte le sue attività, di tutti i suoi movimenti : to il punto per cui passa questa risultante. Il modo di muoversi di un'esistenza è una funzione del suo modo d’agire, il suo modo d’agire dipende dal suo modo di . stare, ossia dalla sua forma e struttura; la risultante dinamica varia col variare delle componenti da cui deriva: vi è dunque un’intima connessione tra il modo di stare di un’esistenza ed il suo spirito, la sua vita, la sua anima. Ciò che conviene ad uno di questi quattro fattori conviene pure agli altri tre. L’ente si differenzia, si ordina e si equilibra in modi diversi per produrre degli orsga- nismi e quindi degli spiriti, delle vite, delle monadi differenti. Lo spirito supremo, lo spirito più grande è lo spirito universale che comprende in sè tutti gli altri spi- riti. Gli spiriti più piccoli, gli spiriti elementari sono gli spiriti atomici. Dallo spirito universale discendendo giù giù per via di una progressiva decomposizione a spiriti successivamente meno grandi si giunge agli spiriti ato- mici che rappresentano l’ultimo termine dell'analisi fisica ed il primo della sintesi. Dagli spiriti atomici ascendendo su su per via di una graduale composizione a spiriti successivamente più grandi (spirito chimico, spirito fisico, spirito astronomico ....) si arriva allo spirito universale che è l’ultimo termine della sintesi fisica ed il primo dell'analisi. Lo spirito terrestre è un organo dello spirito universale; gli spiriti atomici, chimici, fisici, vegetabili ed animali compresi nella terra sono organi dello spirito terrestre e degli altri spiriti maggiori. Ogni spirito, tranne il supremo, è un differenziamento di uno spirito maggiore, ed un'integrazione, tranne gli spiriti atomici, di più spiriti minori. Nella costituzione del cosmo le ragioni particolari d’ogni spirito finito non spariscono ma diventano quantità razionali delle gl superiori. Vi hanno degli esseri che stanno e durano come sono finchè sono loro propizie le ragioni estrinseche, e di quelli, come le piante e gli animali che variano conti- nuamente. Questi esseri sono in origine piccolissimi e diconsi germi: posti in condizioni favorevoli vegetano ossia si nutrono, crescono e si sviluppano finchè abbiano acquistato una certa grandezza, e nel periodo della loro. vita generano dei germi simili a quelli da cui furono generati. In un tempo questi esseri, questi spiriti non esistevano sulla terra. Come le condizioni cosmiche di- vennero propizie alla loro esistenza lo spirito universale si differenziò e si ordinò in modo da produrre le loro forme eteree e le molecole fisiche capaci di edificare la loro monade, il loro spirito ed il loro corpo. Nella genesi dei germi le risultanti di più molecole fisiche si com- pongono in una risultante maggiore con gravitare e muo- versi intorno lo stesso punto che diventa, l’îo, la monade del germe, e l’etere si differenzia nella forma viva ger- minale. Nello spirito, nell’essenza del germe risiede la causa razionale di tutte le forme vive successive che il germe prende nel suo progressivo sviluppo, di guisa ( che ogni stato, ogni fase della sua vita è una conseguenza a dello stato precedente ed una premessa dello stato SUS. erro 677 seguente. In sulle prime nacquero i germi degli esseri poliorganici semplicissimi è successivamente col progre- dire del tempo e col progressivo mutarsi delle circostanze cosmiche presero origine degli altri germi di più in più complessi, di più in più ordinati, equilibrati ed armonici. In ogni essere, in ogni spirito bisogna distinguere le forme vive reali, le forme vive ideali e la loro mutua azione e reazione. Ogni essere in quanto agisce dipinge se stesso, genera cioè delle forme vive ideali simili alle sue proprie; in quanto reagisce riceve ed assimila le forme vive ideali, le sente ed opera in un modo conforme, di guisa che il modo di manifestarsi di un essere è simile al suo modo di sentire, ossia in istretta relazione colla natura delle forme ideali in cui è immerso, e se queste non variano allora lo stato del suo equilibrio, della sua armonia rimane sempre lo stesso, e ci sarebbe ignoto il suo sentire, e forse anche non avrebbe luogo vera sen- sione, potendo la causa del principio senziente risiedere nel principio di variazione dell'ente, o con altre parole la facoltà di sentire dell'ente può dipendere dal potere che esso ha di‘variare lo stato del suo equilibrio, e della musica che suona ed essere proporzionale alla somma | delle variazioni. Che che ne sia nell'universo tutto varia, nessuna cosa dura al suo posto, nessuna condizione si mantiene la stessa, e quindi ogni cosa sente più o meno e si modifica. Sogliono tuttavia considerarsi come insen- sibili gli esseri che sianno e durano come sono senza modificarsi in un modo a noi manifesto. Non è già che questi esseri siano realmente insensibili, ma la loro a sensibilità è immensamente piccola, e lé variazioni che subiscono essendo piccolissime non diventano manifeste pe: che dopo un tempo più o meno lungo. Difatti tutti gli UO di: 13 PRAIA esseri cosmici col tempo si modificano e cangiano, ed ogni modificazione è cagionata da un cangiamento della ragione e quindi da una corrispondente sensione. Si deb- bono distinguere tante specie di sensioni quante sono le specie di equilibrio; vi è dunque la sensione atomica, la. sensione chimica, la sensione fisica. ..; negli esseri poli- organici vi sono inoltre le sensioni cellulari e le altre sensioni dipendenti dagli equilibrii superiori ai cellu- lari, e dai particolari e mobilissimi equilibrii ed accordi che derivano dalle funzioni di nutrizione e di ripro- duzione che compiono. Un’esistenza ha tanto più di sen- tire quanto più ‘ha di essere; ha tanto più di essere quanto più ha generi di equilibri e di armonie; ha tanto più generi di equilibrii e di armonie quanto più ha generi di attività, di velocità e di monadi. Il modo e grado di sentire di un'esistenza sono in istretta rela- zione col suo modo e grado di essere ; se questi variano, variano anche quelli. Ogni esistenza, ogni spirito è tanto più sensibile quanto più mobile è lo stato del suo equilibrio, e quanto mag- giore è il numero dei generi di equilibrii che ha da sta- bilire e conservare. I minerali, fatta astrazione dagli equi- libri astronomici, non hanno da conservare che quattro specie di equilibrii: essi sono quindi pochissimo sensibili, tanto più se gli equilibrii sono stabili. Le piante sono molto più sensibili dei minerali perchè hanno più generi di equilibrio da conservare, ed hanno inoltre da ordinare ed equilibrare le molecole e le energie attuali che assor- bono dal di fuori con quelle che fanno già parte del loro organico edificio. Gli animali hanno più principii di va- riazione delle piante e sono anche molto più sensibili. Essi inoltre sono dotati di una speciale sensibilità che » ai Ù 679 costituisce la vera sensibilità animale, la quale dipende dal continuo equilibrarsi che fanno le energie attuali che si sviluppano dalle loro interne trasformazioni molecolari, equilibrio che si stabilisce mercè ‘particolari correnti eteree che circolano per il sistema nervoso nelle. diffe- renti parti del loro organismo. Ogni essere, ogni spirito ha il potere di modificarsi conformemente alla natura delle sensioni che soffre, ossia del mezzo in cui vive. Il cloruro di argento sente l’azione della luce e varia il suo equilibrio in un modo conforme per cui si colora. Il ferro sente l’azione della calamita ed aggiusta il suo equilibrio in un modo conforme, per cui altira ed è attirato dalla calamita. Le piante cirrifere sentono l’azione dei pali e crescono in modo da avvici- nare ad essi i loro viticchi. Le radici sentono l'azione delle molecole nutritive e si allungano verso di esse. Gli animali stante la loro particolare forma e struttura, e stante la continua conversione che in essi avviene di energie potenziali in energie attuali, ed il continuo svol- gersi, equilibrarsi ed armoneggiarsi di queste ultime, non solo sentono ma sentono di sentire, e quelli di ordine superiore sono conscii di sentire. Questi poteri degli ani- mali risiedono nel sistema nervoso, il quale riceve ed accumula in particolari centri detti gangli le energie delle radiazioni eteree che si sviluppano dalle trasfor- mazioni molecolari, e le fa, all'occorrenza. affluire verso i muscoli eccitandoli a vibrare ed a far muovere le leve (ossa, cartilagini.....) a cui sono attaccati in un modo conforme alle ricevute sensazioni. Ogni organo di un ani- male è presieduto da un particolare centro nervoso; i centri nervosi minori sono presieduti dai centri nervosi maggiori, tutti poi sono presieduti dal centro nervoso 680 ci Vas vr massimo il quale negli animali superiori risiede” nat? cer- vello, organo animato di vibrazioni proprie ed assai com- plesse, che ha la virtù di riflettere più volte è di cono- scere le ondulazioni e le radiazioni eteree che in esso si individuano e lo vivificano, non che quelle che provengono dal di fuori e lo modificano, e di spingere verso gli altri organi le radiazioni eccitatrici dei loro movimenti. Il poter conoscitivo è l’insieme delle vibrazioni assai complesse, delle particolari azioni e reazioni che animano il cervello e costituiscono la funzione detta pensiero. Il grado del poter conoscitivo è in relazione colla grandezza ed intima. struttura del cervello e coi suoi poteri emissivo, raggiante e riflessivo. Il cervello essendo un organo intellettivo ossia destinato a rendere gli animali consciî delle loro sensazioni non è causa di dolore; quando viene lacerato od altrimenti offeso, come risulta dalle sperienze di Flou- rens e di altri non meno celebri fisiologi. Il prodotto di- namico (dell’azione e (lella reazione) delle forme ideali proprie dell’animale e dell'io cerebrale costituisce Ta co- scienza. Il prodotto dinamico delle forme ideali che ven- gono dal di fuori e dell'io costituisce l’intelligenza psico- logica. Il soggetto animale, e quindi il suo #0 supremo, contrariamente a quanto ammettono i sensisti, conosce se stesso e le sue proprie modificazioni. Nel prodotto dinamico delle forme ideali generate dal cervello e dell'io risiede l'immaginazione. Nel prodotto dinamico delle forme ideali eccitate dall’io e dello stesso i0 consiste l'intelligenza ontologica, la meditazione, il pensiero ontologico. Tn questo Sane pensiero l'io, l'anima crea ossia dipinge le forme ideali che modificandola formano poi l'oggetto della sua cogni- zione. Gli animali anche i più intelligenti: non anno — SO ii dl | 681 intendere i rapporti che le cose offrono tra loro. Solo l’uomo stante la sua particolare forma ed intima rta e stante le particolari monadi di cui è animato , è fornito dell’ intelligenza ontologica e del lume della ragione, in grazia del quale conosce i rapporti delle cose e la re- ligione che le unifica, ed è capace di ascendere di uno in uno sino al supremo uno, ossia sino alla monade increata, Nel prodotto dell’azione delle forme vive, riflesse ed irradiate dallo cerebrale e della reazione degli organi a cui giungono risiede la volontà. In tutti gli animali, tranne l’uomo, la volontà è istintiva, vale a dire, è serva degli istinti, dei sentimenti interni ed opera nelie dire- zioni e nei modi da essi indicati. La volontà umana è nelle sue azioni, perfettamente libera di seguire la via indicata dai sentimenti, ovvero quella ordinata, equili- brata ed armonica insegnata dal lume della ragione e della religione. L'uomo è dunque un animale dotato di libero arbitrio, del lume della ragione e della virtù me- ditativa. Il FR umano in quanto vive e pensa chia- masi mente, intelletto. L'anima umana, come quella degli altri animali, è la suprema risultante di tutte le forze, di tutti gli spiriti che operano nel corpo, il quale vive finchè gli spiriti, le monadi minori trovansi individuate in modo da pro- durre lo spirito, la monade suprema che ne costituisce la sua anima. La fonte dell'anima da cui si svolgono le sue componenti dinamiche elementari risiede soprattutto nelle trasformazioni molecolari che si effettuano nel sangue. Nel Levitico si legge anima carnis în sanguine est. Dalla gerarchica composizione delle mentovate monadi, ossia potenze elementari in risultanti di più in più grandi nasce l’anima. In questa dinamica e spirituale catena di e ua ” d ©) rs Gi » rione SR rai, monadi che ha formato il corpo e lo vivifica, le dotata, le monadi intermedie sono le risultanti delle attività mi. nori, e le componenti delle attività maggiori. Il punto per cui passa la suprema risultante dell'anima è l’%o. L’anima dal suo zo che ha per sede il cervello estende la sua azione sino alle sue ultime componenti, agli ele- menti più semplici, trasfondendo ovunque la vita ossia l’attività, l'equilibrio, accordo e l'armonia. Non si è an- cora trovato il punto, la parte della mente che è la sede dell'anima. Forse un tale punto non è fisso ma mobile. Cartesio collocava la sede dell’anima nella ghiandola pi- neale; Villis nei corpi striati; Vieussens nella sostanza bianca chiamata centro ovale; Lapeyronie nei corpi cal- losi. Il grande anatomista Stenon morto vescovo e vicario apostolico del Papa Clemente XI diceva spiritualmente: « che l'anima la quale conosce così bene il mondo este riore, e tutto ciò che è fuori di essa, una volta rientrata nella sua propria casa non sa più dove abita ». Qualunque. possa essere la sede dell'anima è un fatto sperimentale, ha saggiamente scritto Flourens, che l’organo dell’intel- ligenza è il cervello tutto intiero. Esiste una relazione tra il tutto e le parti che lo formano. L'essenza, ossia il modo di essere e di operare di una risultante dinamica è una funzione del numero, della disposizione e della natura delle componenti. Lo spirito, il principio attivo sussiste in quanto è unito al principio materiale, il quale quando è organizzato costituisce ciò che chiamasi corpo. ll principio materiale è in quanto è unito e vivificato dal principio attivo, il quale lo organizza in modi diversi per produrre delle forme vive, delle attività, degli spiviti differenti. Il principio attivo nell’edificare il corpo umano crea l’anima umana, la quale sta unita al corpo, fine hè «eee | 683 | tutte le attività si accordano e sì sommano insieme ; in caso contrario si separa ed il corpo muore. Risulta quindi che la forma e struttura dello spirito è simile a quella del corpo, le qualità dell'anima sono in istretta relazione con la forma e struttura del corpo. Le varie specie di animali differiscono fra loro per le diverse forme e strutture del corpo, e per le diverse qualità dell'anima. La natura abborrisce dall’identità. A parità di specie, non vi hanno due individui, due corpi e quindi due anime in tutto e per tutto identiche. Si comprende quindi il perchè vi sia una relazione tra la forma e struttura del corpo umano e le facoltà ed incli- nazioni dell'anima che lo vivifica. Dello studio di una tale relazione si occupano le scienze che si chiamano antropologia, frenologia e craniologia. L’ente universale nell’edificare l'universo generò pro- gressivamente degli esseri di più in più complessi, di più in più ordinati, spiritualizzati ed armonici. Lo spi- rito degli animali superiori e quello dell’uomo non si svilupparono sulla terra che dopo gli spiriti degli altri animali, degli altri esseri terrestri meno complessi. Tutti «gli spiriti finiti, tutte le anime, tranne lo spirito umano, sono fatali, obbediscono cioè ciecamente agli ordini dello spirito universale. Lo spirito umano è uno spirito parti- ù colare, personale che conosce le ragioni delle cose ed è perfettamente libero di seguire la via del bene o quella R del male. L'anima umana è quindi essenzialmente diversa L: da quella di tutti gli altri esseri. Essa differisce in quanto i i al suo modo di essere ed anche in quanto alla natura Ss del suo io, il quale debbe consistere in puro spirito, mentre nell’io delle altre anime lo spirito è unito al prip- cipio materiale, di qui il perchè lo spirito umano è libefo, 6840 turca e non quello degli altri esseri. Il vero spirito, lo spirito puro si troverebbe solo nell’io dell'anima umana. Questo x spiritualismo è perfettamente d'accordo con quello am- messo dai più potenti filosofi cristiani. Gioberti dopo aver accennate le varie opinioni dei filosofi e dei popoli in- torno alla natura delle cose, cioè il materialismo ordi- nario, l’idealismo, il panteismo, lo spiritualismo consueto, dà la preferenza allo spiritualismo che egli chiama cri- stiano, « il quale riconoscendo un divario essenziale fra . lo spirito e la materia, considera tuttavia gli elementi di questa come forze semplici, attive ed esplicantisi, giusta il parere dei dinamici, e quindi stabilisce fra le due classi di sostanze una convenienza e una armonia intima, e tiene le forze corporee come perfettibili e suscettive di un perfezionamento indefinito, tanto che coll’andare del tempo possano essere spiritualizzate fino a un certo. segno ». i L’ente che forma e vivifica l’uomo è identico con quello che forma e vivifica tutti gli altri esseri cosmici. Nella mente umana vi è dunque tutto ciò che è universale e comune a tutti gli esseri, vale a dire il tempo, lo spazio, l’attività, il moto, la forma, la quantità, la molteplicità, l’unità, la pluralità, la totalità, l'ordine, la relazione, la religione, l'equilibrio, l'armonia, la causa, l’effetto, la qualità, la costituzione .... L'uomo può colla sola me- ditazione giungere a conoscere tutti questi elementi e nell’acquistare la cognizione delle relazioni tra le cose acquista pure quella di diversità, similitudine, eguaglianza, identità. L'uomo può dunque mediante una ben condotta e regolata meditazione conoscere quale sia la reale es- senza dell’ente da cui è informato, ed una tale cogni-. iene, congiunta a quella che acquista mediante l’osser- ve - ve " È i ut Sé più, VERE p vi » de ST \ LAMA an x Ù mi la; DI i a # sE, S fo ) 3 (utlrty +. - Pa UTI 685 pid e ; vazione esterna, lo conduce a conoscere quale sia la reale costituzione di tutti gli altri esseri, imperocchè ‘l'ente segue lo stesso tipo di individuazione, la stessa norma nell’edificare i differenti. esseri che formano l’u- _niverso. L’ente ha il potere «li individuare le forme vive .. minori in forme vive di più in più grandi, e di decom- porre le forme vive maggiori nelle forme vive minori da cui risultano costituite. In. questo potere risiedono le facoltà di sintesi e di analisi di cui è fornita la mente umana. « La filosofia è in parte una specie. di chimica intellettiva, la quale è tanto reale e tanto fondata in natura quanto la scienza che insegna la composizione e divisione dei corpi » (Gioberti). Come il chimico per mezzo di. opportune operazioni giunge a separare dai corpi composti quelli elementari ed a studiarli separa- tamente, così la mente per via di astrazione separa una qualità dalle altre e la esamina isolatamente, e per via di eliminazione toglie all’ente tutte le qualità, tutti i modi di. essere, e si ferma solo all'essere, alla causa delle ualità, ossia all’attività creatrice dell’infinito numero di 3 qualità, senza della quale l’ente cessa di esistere, e me- diante la quale si manifesta in questo o quell’altro modo ; a seconda della natura delle sue attività. La mente così SE operando giunge alla prima cagione della sua esistenza, È al primo ontologico, ed afferma io sono in quanto agisco, } ma io agisco in quanto sono nello spazio e duro nell’e- ternità da cui deriva il mio potere d’agire. Eternità, d spazio ed. atlività sono dunque le prime fonti di tutte _ le cose, di tutte le idee. Queste tre supreme astrazioni «| —‘intervengono in tutte le esistenze. La mente pensa in $ « Quanto produce le forme vive che rappresentano ciò che pensa, e sono .capaci di conoscere il suo pensiero. cai 686 | de —— Gli esseri cosmici sono in quanto l’ente opera in modo da generare le loro proprie forme vive reali ed ideali. L'origine del sapere è dunque strettamente connessa con l’origine delle cose e delle idee. La prima cosa fu anche la prima idea (Gioberti). Per mezzo del pensiero ontologico la mente umana conosce 1° che è in quanto agisce; 2° che può agire in un numero infinito di modi; 3° che è pienamente libera nelle sue azioni; 4° che genera delle forme vive e quindi delle idee diverse a seconda del modo con cui agisce; 5° che nel produrre una data forma viva, nell’affermare un dato giudizio, nel determinare una data locomozione, esclude tutte le altre forme vive, tutte le altre afferma- zioni e locomozioni. Se per mezzo del pensiero ontolo- gico la mente acquista la cognizione dell’attività dell’ente e del suo modo generale di operare, le cognizioni dei modi particolari in cui l’ente sta ed opera nelle diverse esistenze non le può acquistare che per mezzo del pen- siero psicologico, che consiste nel raccogliere per mezzo dei sensi le idee provenienti dagli oggetti esterni, e nel riflettere sopra le medesime. Le idee costituiscono il ponte per mezzo del quale il me si mette in relazione, sente e percepisce il di fuori; e siccome l'ente che forma . gli oggetti esterni e quello per cui si propagano le idee è continuo con quello che forma l’io conoscitivo, così la mente nel percepire le idee le riferisce alla loro origine, è alla loro causa, ossia alle forme vive reali da cui sono. generate. Le idee in quanto al mondo esterno sono forme vive eteree simili alle forme vive reali delle esistenze da cui riconoscono la loro origine: in quanto a noi sono causa di sensazioni e di cognizioni diverse conformi alla loro natura, e siccome la natura delle idee è simile alla 687 natura delle cose, siccome l’effetto pareggia Ia causa, così la mente nell’acquistare la nozione ideale delle cose ne acquista pure la loro nozione reale, semprechè le cognizioni particolari così acquistate siano per mezzo della riflessione e della meditazione esaminate nelle loro relazioni simul- tanee e successive, rannodate alle cognizioni universali, ed ordinate come si trovano nello spazio e si succedono nel tempo, semprechè la nostra mente si elevi dalle sen- sazioni alle nozioni, e dalle nozioni alle idee universali, e da queste al’principio di attività, di causalità che crea le cose, le idee, le verità con differenziare l’uno nel molti- plice, e con ridurre il molteplice all'uno per mezzo della religione e della ragione. L'osservazione esterna non ci dà che i termini partico- lari del sapere ; le relazioni, i termini universali non. sì conoscono che per mezzo di un lavoro tutto intellettuale. Il necessario della cognizione deriva dal soggetto non dall’oggetto (Leibnizio). Egli è combinando le due fonti di sapere psicologica ed ontologica, che l’uomo giunge a sollevare la sua coscienza fino alla nozione dell'essere, dell’essenza reale delle cose, ed a trovare che nell’uni- verso, fatta astrazione dell'ente assoluto, non vi è che un solo ente condizionale, che è ad un tempo lo spirito e la materia, il pensiero e l’estensione. Per raggiungere questo sublime scopo hanno lavorato le menti di Platone, di Aristotele, di S. Tommaso, di S. Bonaventura, di Spi- noza, di Leibnizio, di Hegel, di Rosmini e di tanti altri non meno profondi pensatori; e se non l'hanno perfet- tamente raggiunto, egli è perchè non cercarono di accor- dare le verità generali, che si trovano con il pensiero ontologico, con le particolari che si rinvengono con il pensiero psicologico e reciprocamente, Platone lavorò per 45 x-ST 47 ACPIRBBINBTO 4 688 RETSSBBRNIE TS) scoprire la natura delle cose per mezzo dell’intuito. Ari- stotele per via dell’investigazione empirica. S. Tommaso sosteneva che quanto al fondo la scienza deriva da Dio, attesochè il filosofo, sempre in traccia del primo ente, e della cagione delle cose, è costretto ad elevarsi alla causa ed alla ragione prima. S. Bonaventura nulla aveva più a cuore che rassodare l’infallibilità della ragione ed intendere la realtà delle cose. Spinoza ha scritto che lo scopo dello spirito e il più elevato grado della virtù è il conoscere le cose nella loro essenza: questa cognizione è la perfezione della natura umana. Leibnizio fu tutto intento a cercare quale fosse il carattere essenziale della sostanza, che ha meritamente riposto nell’attività. Hegel ad unificare il sapere con l’essere. Rosmini a conoscere l'essenza dell'ente, le ultime ragioni delle cose. Tutte le cose, compreso il sapere, sono un prodotto, hanno per causa l’attività e l’organazione dell'ente. Le differenze delle cose dipendono da una differenza di or- ganazione e di attività dell’ente. L'uomo ha più di orga- nazione e quindi più di attività degli altri esseri terrestri. L’ente che lo informa è organato ed opera in modo da conoscere se stesso e le sue infinite modificazioni. Il principio intelligente e libero è un particolare principio di organazione, di attività, di essere. Il principio di es- sere deriva dal principio di differenziazione in virtù del . quale l’ente si differenzia in parti di più in più piccole, e dal principio d’individuazione in grazia del quale le parti si organizzano secondo la religione dell’uno e la retta ragione. L'ente genera degli organismi, degli esseri propriamente detti se opera secondo gli indicati principii, in caso contrario genera il caos. Finchè dico ente, dico tutto e dico nulla: aggiungendo all’ente la religione, la 689 ragione e l’organazione ho i differenti esseri, i quali hanno tanto più specie di attività, di monadi e di equilibrii, quanto più hanno di religione , di ragione e di organa- zione. Il filosofo S. Tommaso ha detto che ens est verum commune: nella quale definizione ha compreso l’ente e la legge a cui obbedisce quando forma dei veri esseri, ossia quando opera secondo la verità eterna. Il divino autore della nostra santa religione ha difatti dichiarato che gli uomini saranno liberi quando conosceranno la verità, cioè quando conosceranno che la vera libertà è un'attività conforme alla religione dell'uno ed alla ra- gione. In tale caso Gesù Cristo si troverà in mezzo agli uomini, perchè si realizzerà il suo detto: « dove più uomini sono riuniti nel mio nome io sono nel mezzo di loro » ; cioè dove più uomini sono riuniti in nome della religione e della ragione io sono l'uno. Gesù Cristo come uomo è l'incarnazione della religione dell’ uno e della ragione, ossia delle verità contingenti e mutabili, come Dio è la verità eterna, immutabile ed assoluta. La verità è il principio di causalità, di religione e di ragione, e quindi di moralità, perchè gli atti umani sono morali in quanto sono religiosi e ragionevoli. Nell'’ordine naturale ogni porzione d’ente si organizza come comanda il tutto, e nell’ordine sovrannaturale se- condo l’eterno ed infinito piano. L’enté che informa l'’umana specie, tuttochè intelligente e libero, ha le stesse tendenze dell’ente universale, che forma gli altri esseri. I sentimenti morali di religione, di amore, di ordine, di equilibrio, di armonia, di conservazione... sono attributi essenziali dell’uomo perchè sono inerenti all'ente. Gli uomini sono i primi termini della libera società umana, come gli atomi sono i primi termini della forzata indi- 690 } 2 GR ni viduazione fisica. Gli atomi nella loro progressiva indivi- duazione sviluppano delle particolari energie che costrin- gono gli esseri minori ad unirsi e restare uniti in esseri. maggiori. Gli uomini sono indotti a costituirsi in società dai particolari sentimenti religiosi e morali di cui sono dotati, in grazia dei quali formano la famiglia, e quindi le altre unità sociali progressivamente più grandi. Gli alomi sono costretti di osservare le tendenze religiose e ragionevoli dell’ente; gli uomini sono liberi di osservarle o no; se le osservano tengono la via della verità, del bene; se le trasgrediscono quella dell'errore, del male. La via del bene è dunque la via della verità: per seguire questa via è necessario che la scienza esprima l’essenza delle cose ossia il modo di essere e di agire dell’ente, e la volontà operi secondo i dettami della coscienza, bi- sogna che la vera scienza sia il supremo direttore della vera libertà, « bisogna, dirò col sagacissimo Prof. E. Ri- cotti, accordare insieme libertà e sapere, e dare ad ognuno di essi per principio e per meta la virtù che è pure un’e- spressione dello stesso sapere ». — « La vera libertà ha saggiamente scritto uno de’ più eminenti moralisti e le- gislatori dell'Europa, l’Ecc"° Conte Federigo Sclopis, non esiste senza il rispetto alla religione ed alla giustizia, soli freni morali che valgano a dirigere l'immensa forza espan- siva della libertà popolare ». L'attività dell'ente produce gli esseri che formano l’universo in quanto segue la via, la direzione indicata dalla religione dell’uno e dalla retta ragione, la libera attività umana, la libertà per formare gli stati civili che costituiscono l'umanità debbe anche seguire la divina via della ragionevole religione dell’uno, che è la via del Signore, della verità perchè Nisi Dominus edificaverit domum in vanum laboraverunt qui edificant cam. ;SSE 694 La dottrina ontologica sull'origine e sull'essenza delle cose che vengo di esporre trovasi perfettamente d'accordo colla scienza e colle intuizioni dei più potenti pensatori. Essa sviluppa, completa e perfeziona l’unica teoria accet- tata da tutti i dotti, la teoria di gravitazione di Newton, lesandola alle teorie dell’elasticità e della musica dei fisici matematici. Gli scienziati hanno difatti riconosciuto: sotto il punto di vista fisico che l'universo si compone di materia ponderabile e di etere, e che la materia pon- derabile è dell’etere condensato. Sotto il punto di vista statico che la materia ponderabile si compone di atomi, che più atomi uniti insieme formano la molecola chimica, più molecole chimiche la molecola fisica, più molecole fisiche un sistema, un organismo maggiore e così di se- guito sino all'infinito: sotto il punto di vista dinamico che gli atomi gravitano e si muovono intorno il centro della molecola chimica; che le molecole chimiche gravi- tano e si muovono intorno il centro della molecola fi- sica; che le molecole fisiche gravitano e si muovono intorno il centro dell'organismo superiore e così progres- sivamente: sotto l’aspetto geometrico che ogni monade creata, ogni punto dinamico descrive intorno la monade increata, il centro immobile, una curva sinuosa che contiene tante sinuosità quante sono le monadi create intermedie intorno cui gravita e gira: sotto il punto di vista razionale che ogni essere lancia, per mezzo dell’e- tere intermedio, verso gli altri le sue proprie forme vive sostanziali, riceve le forme vive eteree che provengono dagli altri esseri, ed agisce in modo che la sua forma e quindi i suoi movimenti siano d’accordo ed in armonia con quelli degli altri esseri. L'esposta dottrina ontologica sotto il punto di vista i Rel - anti PS x "4 ti “#1 “a 4 ERI CENEAFANO E ri 692 di Eftroi e . pf si matematico differenzia l’ente in un numero infinito di unità di più ih più piccole, ed ascende, per via di inte- erazione dalle unità elementari, dalle unità le più pic- cole all’unità suprema. Integra e somma insieme più unità atomiche e forma l’unità chimica; integra e somma in- sieme più unità chimiche e forma l’unità fisica; integra e somma insieme più unità fisiche e forma un’ unità maggiore e così progressivamente. Essa sviluppa e per- feziona la monadologia di Leibnizio, dimostrando l'origine e l’intima natura delle molteplici e svariatissime specie di monadi, ed in ciò fare la accorda colla teoria della sostanza unica dello Spinoza, dell'ente di Rosmini, e di Gioberti; il quale attesta «che la monadologia di Leibnizio, benchè qual si trova ne’ suoi libri sparsamente accennata, sia un semplice schizzo, è tuttavia radicalmente il miglior lavoro che si possegga in questa parte delle inchieste cosmologiche, e Cousin confessa ingenuamente che a . misura che progredisce o gli sembra progredire in filo- sofia, gli sembra di veder più chiaro nel pensiero di questo grande uomo , e tutto il suo progresso consistere nel meglio comprenderlo ». Accorda l’idealismo con il rea- lismo facendo vedere che le idee, le forme vive ideali che si propagano per l’etere, sono prodotte dalle forme vive reali dell'ente che si è condensato in corpi, ed altua così il concetto del filosofo Schelling che l’idealismo es- sendo l’anima delle scienze, ed il realismo il corpo, solo con congiungerli insieme si poteva formare un tutto che avesse vita. Accorda il realismo con l’atomismo, e con il dinamismo , con dimostrare che le forme vive atomiche, le forme vive sostanziali sono un effetto dell’attività con- densativa ed organizzatrice dell'ente. Accorda il dinamismo col razionalismo con far conoscere che le forme vive s0- : stanziali stanno, si muovono e durano come comandano le ragioni, ossia le relazioni tra le diverseggose. Accorda in una parola tutte le cose, tutte le idee, tutte le cogni- zioni derivandole dal potere che ha l’ente di operare intorno più punti giusta il sistema di Copernico e le ar- moniche leggi di Keplero. Nell’ordine logico dimostra che ogni effetto ha ia sua causa, ogni causa è diretta dalla ragione, ed ogni ragione è governata da Dio. Nell’ordine cronologico fa conoscere che il presente è una conseguenza del passato ed una premessa del futuro, e retrocede di passato in passato fino al primo passato, e da questo all’atto creativo ed al Creatore in quo vivimus, movemur et sUumus. = Continuazione della Memoria del Prof. Vittore Testa È sulla iscrizione di Mesa. Î b; 41 XVIII, mm rpoo ma onreN) neba bn[»] E al E andai di nottetempo, e combattei contro di essa dal sorgere dell’aurora sino a mezzodì,. (lin. 15). Conta qui Mesa com’egli eseguito abbia con esito felice l’ordine ricevuto da Chemòse di assaltare Nebò e strapparla di mano agli Israeliti, e lo conta colle parole seguenti. 3?n INI, e andai: dal verbo 55m ì, andare. Di qui ap- parisce che l’uso promiseno delle due forme 1 donde l’imperativo sh va, dell’emistichio antecedente, e non Ì, «donde il futuro converso 520 N dell’emistichio presente, era comune ai due popoli affini, gli Ebrei vo’ dire ed i Moabiti. Quanto poi alla vau conversiva ed alla preformante aleph, vuolsi osservare ch’ esse vi furono poste per ‘conghiettura, affine di colmare il vacuo che si trova in fine della linea 14; il quale, a detta del Ganneau, non è capace che di due lettere al più (1). Se non che il contesto giustifica pienamente questa conghiettura. — Ned osta il trovarsi nel codice ebraico sempre usato il verbo CEE quando con esso indicasi l’eseguimento dell’ordine — di andare in un luogo, stato dato coll’imperativo “5 (9 (1) Ganneau, l.c., p. 384. ; % È (2) Gen. XXIL 3; Exod.IV.18; Deut. XXX[.1; Jos. VITI. 13; Jud. LS vii 3,17; XI. 11; Ruth, 11.3; I.Sam. III. 5, alibi. È \ Ro), Imperocchè una qualche differenza a questo rigaardo presso a popoli, affini sì, ma differenti, è' non pur pos- sibile, ma probabile e verisimilissima, chi consideri che siffatta consuetudine non è frutto di necessità logica o fi- lologica, sì solo di quell’uso che è legislatore sovrano in siffatte bisogne. Questo giova piuttosto avvertire, insinuare il Profeta Geremia che grande si era la confidenza de’ Moabiti nel loro Chemòsc (1); e questo fatto di Mesa, che, ricevutone un comando, tosto dà opera ad eseguirlo (quantunque richiegga pertinace combattimento e nato sia a provo- care, o meglio, affrettare e inviperire una terribile guerra di riscossa e di vendetta), ne è una bellissima conferma. Ed una conferma pure della relativa posizione geogra- fica di Nebò, Kirjathàim ed Ar ci vien data da ciò, che Mesa, di cui quest’ultima era la capitale, traeva da questa a Kirjathàim, e da Kirjathàim a Nebò, siccome quegli che da ostro spingevasi a tramontana; laddove Geremia (2), il quale descrive il territorio di Moàb invaso mano mano da un nemico, il quale da tramontana spingesi ail ostro, fa assalire da questo prima Nebò, quinci Kirjathàim, ed appresso Ar, precipua rocca, el ultimo rifugio de’ supe- rali Moabiti (3). mesa, di mottetempo, nella notte, con animo cioè di as- salirla improvvisamente a stormo fra l’oscurità delle te- nebre e la improvida sicurezza di malguardati riposi. Perocchè ripromettevasi egli sarebbe avvenuto, per ser- virmi delle frasi del Vitringa in simile contingenza; » ut » nocturno impetu, ...... Oppugnatores tutius subirent (1) Jerem. XLVII. 12. (2) Ivi, v.1. A (3) Gf. Schlottmann, Die Siegessaule Mesa's, S.19, a, « ia » muros, et defensorum eluderent tela atque conamina, WE » urbsque subitaneo et repentino....incursu facilius et i » citius caperetur atque expugnaretur, cum cives, omnium » rerum securi,.. nocturno tempore, plane quiescerent, » et exitium, sibi impendens, non praesentirent (1) n. — > Or tal fatta spedizioni ed assalti, frequenti a’ nostri giorni, i i frequentissimi erano ne’ tempi antichi, e la Storia Sacra 3 ne registra molti e molti (2). — In cotesta frase mesa il vocabolo Ph: corrisponde ed equivale all’ebraico Die; i giacchè i Moabiti, al par de’ Fenici (3), solevano con- A trarre in é, l'ebraico »_, comelo dimostrano ad evidenza gli esempli addotti più sopra (4). n DIDINI, e combattei contro di essa. Ennba deriva Vo * dal ‘verbo onb. pugnavit, decertavit, e ne è futuro con- verso, persona prima, singolare, coniugazione Hiftàél invece dell’ Hithpanél (5). In @=3 la preposizione 3 ha È, il significato di in, contra, adversus, significazione, che = ha bene spesso nel Codice Sacro (6). | “Di aa mon RIO, dal sorgere dell'aurora. — In questa 7 frase, per far nostro un bellissimo concetto del Kaempf (7), % SO da lui però dismesso (3), ma affacciatosi indipendente- - "b È PI urtaFsa 1. (1) Cf. Vitringa, Commentarius in Librum Prophetiarum Fesgige. Basileae 1732, p. 466. (2) Vedi, a ragion d’esempio, Jos. VIII. 3.13; Jud. VIT.9. sqq.: I 32. 34; I. Sam. XIV. 36; 1I. Reg. VII 21; I. Mach. IV.1.5; V.29; XIl:26; XIII:22; XV.1. — A simile assalto alluderebbero, a sentenza dello OA Schlottmann, a.a.0., le parole di Osea, X. 15. sf spor SE (3) Schroder, Die Phonistthe Sprache, 131-132. 4 (4) V. sopra, pag.463. P. ) IIS : (5) V. sopra, pag. 315. i i «SATA (6) Conf. Noldius, Concordantine parlicularum Pbraeo-Chaldoicarum, "il Jenae 1734, ad h.v. nese 180 i E (1 Kaempf, a a.0., 827: MIRTO 1, Sesta di (8) Kaempf, a.a. 0, LL Set MA Patel nel = 697 mente da lui alla mente del Ganneau (1), noi abbiamo « ein selbststindiges Bild in der Moabitischen Phraseo- logie (2) », una dizione cioè metaforica, al tutto propria de’ Moabiti. Consideravano essi « le lever de l’aurore.... comme une erspansion de lumiére (3) », e designavanlo con un vocabolo derivante dal verbo IM, il quale al Kal ha il significato di spandere, diffondere, distendere (4); al Pinel, quello di diducere in latino, e d’andar via sten- dendo, dilatando in italiano (5), donde appunto il N D’MD, . extensiones, diductiones bractearum, che troviamo nel libro de’ Numeri (6); ed all’ Hiphiil, quello pure di spandere, distendere, o meglio, come scrive il First (7), in latitidinem longitudinemque eztendere, donde il nome di distesa, PP) , dato al firmamento (8); la frase del Genesi, DWMWR VP), la distesa de cieli (9); e la solenne ed en- fatica dimanda di Elihù a Giobbe (10): Dpows=»n, hai tu distesi li cieli? — Ma qual è questo vocabolo ? Lo Schlottmann (11) crede che sia lo stesso infinito del verbo >]), e quindi, nel primo gruppo delle riferite parole ®}Y9, considerando la 2 come preposizione, qual essa «è veramente, e le altre lettere Pm, come donanteci l'infinito costrutto del verbo >mMumi; e nel seconilo gruppo (1) Ganneau, l.c., p.368. (2) Kaempf, a.a.0. (3) Ganneau, l.c. (4) CE. Psalm. CXXXVI.6; Jes. XLII.5; XLIV. 24. (5) C£. ba XXXIX. 3; Num. XVII 4, Mebr.; XVI. 39, Zulg.; Jes. XL: 49, (6) Num. XVII. 3, Hebr.; XVI. 38, Vulg. . (7) First, l.c., p.1081. (8) Gen. I. 8. 9. (9) Gen. I. 14. 15.17.. (10) Job. XXXVII. 18. i (11) Schlottmann, Additamenta, a.a.0., S.253, u. 260, n pedale come leo da e La momun ipso la cui traduzione letterale sarebbe: dallo spandere, dal diffon- dere, dal distendere, o meglio, dallo spandersi, dal diffon- dersi, dal distendersi dell’ aurora. — Ma noi confessiamo _ candidamente che questa lezione dell’ eruditissimo Pro- fessore di Halle non ci. va a genio, sì perchè non ab- biamo esempio del verbo Yp9, usato al kal in senso, anzichè attivo, intransitivo; e sì ancora perchè ad indi- care l’aurora non troviamo mai usata la parola Mw, sì veramente NvOWN (1), che, scritta difettivamente da un Moabita, sarebbe no nun. Lasciato dunque il YPIN dello Schlottmann, noi pre- feriamo di puntare e leggere PP, infinito Puîial di > (2), di cui abbiamo in Geremia il participio ma- scolino RIO (3), e tradurre perciò dal venir via via diffusa, stesa, distesa l'aurora. — Che se altri volesse asso- lutamente (non sapremmo però con qual diritto) un nome sostantivo avente il significato di diffusione, span- dimento, distesa, espansione, riputandolo forse più acconcio assai che non un verbo esprimente la stessa idea, po- trebbesi, se pure non erriamo a partito, recare in mezzo il sostantivo >?) il singolare cioè del sovracitato DIPI. exlensiones , TAC expansiones (4); e quindi gufo leggiamo e scriviamo mon PROD, dall’espandimento , dalla diffusione, dal distendimento dell’ aurora, e teniamo conseguentemente la frase moabita mnwda PRI, come. (1) Ecclesiastes, X. 11. (2) First, l.c., p.1081, col. 3. (3) Jerem. X. 9. n (4) Num. XXVII. 3, Mebr.; XVI. 38, Vulgat. et do sb sinonima dell’ ebraica MWI niro (1). — Ed a questa concessione ci conforterebbe: 1° l’autorità di quel sommo Ebraista che è il Fiùrst (2), il quale al citato plurale D'IPI, che una volta sola ricorre in tutta la Bibbia, as- gQ0 segna per singolare cotesto nostro YI; il fatto in- contestabile, che il considerare la levata dell'aurora come un suo spandimento, una sua diffusione, una sua distesa su per la vòlta del cielo e i lati campi dell’aere è cosa “al tutto naturale all'uomo e conforme al modo con che questo fenomeno succede ; 3° finalmente il paragone ado- perato da Joele: Dan DI mv. sicul aurora expansa super moutes (3), il quale ne mostra che l’aurora da quegli Ebrei medesimi, che ne disegnavano lo spuntare col verbo ny, sorgere (4), s'imaginava come stendenlesi, o distesa sulla faccia dei monti. Per la qual cosa, pur riconoscendo ingegnosa ed eru- dita la supposizione e la lezione di questo gruppo di parole recata in mezzo dal Kaempf (5), noi non ci cre- diamo stretti ad adottarla — Questo dotto Professore di lingue e letterature semitiche in Praga, partendo da ciò che su questo punto le varie edizioni di cotesta iscrizione non sono affatto d'accordo fra loro, giacchè la prima non avea del primo gruppo di lettere }pPY2 se non la n iniziale, e l’ultima leltera del secondo gruppo fu dal . Ganneau presa per una © (6), ma poscia scambiata più tardi — (1) Cf. Gen. XXXII 25; I. Sam. IX. 26; Nehem. IV. 15; ‘Jon. IV.7. (2) -Filrst,.1..c.;-p.:108#;.@oli 3. 1!(3) Joel.-II. 2. - (4) V. sopra nota 2. — Cf. Gen. XIX. 15; XXXII. 27; Jos. VI. 15; Jud. MIx.-25. (5), Kiempt, a. a.0., S. 28. (6) Ganneau, 1. c., p. 185. i | APRITE 700 i si sa 2479 tu in una N (1), sospetta, non forse in questa sua parte fosse cotesta lapide frusta e disfatta dall’azione guastatrice dell’aria e del tempo, sicchè dopo la 79 nel primo gruppo, ‘anzichè una A, resc, stata vi sia una 4, beth, la cui incurvatura a manca, frustatasi, non presentasse oramai più che una gamba spuntata, ottusa, e non sì facile a determinare (?). Supposto pertanto che la cosa sia vera- mente così, egli vi legge: mon *pao, dallo spuntar dell’aurora (3), e trova un bellissimo riscontro a questa frase nell’imagine adoperata da Isaia in quel suo para- gone: inh, MUI >p>, spunterà fuori, come l'alba, la luce tua (4). À chi poi gli obbietti che il verbo adope- rato da Isaia in questo suo verso non è altrimenti al Kal, come in quest’ inciso dell'iscrizione di Mesa, sì al Niphnal, risponde egli che, se si desidera il Niphnal, invece di puntare e leggere YPao, non sì ha che a puntare e leggere PIO, e considerare questa frase come una traduzione di PIT. La quale contrazione ricorre assai spesso negli scritti ebraici posteriori ai bi- blici, come ad esempio le uri yaw?, per vIWnO, a giurare (5); e yT55 per y35 gamba l) farsi pagare, a pro- (1) Ivi, p. 368. 8 (2) Eccone le parole stesse: « Ein Beweis, dass der Stein an dieser » Stelle schon verwittert ist. Sicher ist nun anzunehmen, dass nach » dem % ein 2 gestanden, dessen untere Biegung nach links » eben durch Verwitterung verwischt worden, so dass nur ein. » stumpfer Schenkel zuriickgeblieben, der dem fragl. Buchst. die » Gestalt eines 9 gibt ». Kaempf, a. a. 0. (3) Diffatto il significato di questo verbo si è, fra gli altri; quello — di « prorumpere, et dicitur...de n tenebras” dispellente ». First, — LOC dio: ypa, p. 205, col. i v IE, (4) Jes. LVIII. 8. ARI) (5) B. Mez. 23 bd. ; , LR } s da ite. : 3 gdo Le” "i, . Mt i 230 MOSSE fre Ì K Na Ra : o PA ST, a MEI - È ARP ee Di - n: L'USO "i }° lidi: fiat Ù ot Tod Ù > A 1 Ù n ner "n . dx è, be È, x Ù x 7 = i x ” ui us DI A ta SA # e x i x ; } n Sri NE x x SL . n 701 4 È | cacciarsi soddisfazione (1). Del resto osserva che, se Isaia nel brano citato usò il verbo Yp3 al Niphbal per indi- care il romper fuori della luce, nel Talmud vi è usato y al Kal in questo medesimo senso ; e ne cita in appoggio 0 ‘il Midrasc Rabba (2), là dove leggesi snén Dax INN < IM Yp>w, videro la cerva dell’alba, la cri luce ‘spuntava I fuori (3). — Senonchè le leggi della sana critica, vie- tando di supporre errori di scrittura o letiura là dove « în mendo non cubat ordtio », non ci consentono di lasciare Eue: una lezione che, poggiata sull’ autorità, non presenta assurdità o difficoltà di sorta, per adottarne un’altra, che forse sarebbe più facile e bella, ma non s'appoggia. che sur una possibilità ed un sospetto. Sarebbe questo un Mus procedere nelle cose critiche a punta di conghiettura e ci E non a regolo di autorità, ed un foggiare a capriccio , sa non già studiare, sì e come fa mestieri, la storia. MN, l’aurora; qui però al genitivo, perchè retta - da un costrutto antecedente, e per conseguenza, dell’au- nora, giacchè “Mw suona aurora (4). — In MITI (chè esa Ri) così appunto leggeva e stampava dapprima 1l Ganneau (5)) A la © finale è paragogica , proprio come in nos (6) — Dove poi nel testo, invece della M finale ricorresse ve- Pla Sa ramente una © — come sembra indicarlo nel secondo suo A . arlicolo sulla Stela di Dhibàn (7) il Ganneau, il quale però non ritratta, nè, come fa pure in altri casi, taccia (1) Aboth. V. 1. fi (2) Midr. Rin h.l SI Fa (3) Gf. Thalm. Hierosol., Yraet. Joma, NI. 2. sd (4) Gesenius, Leziron, ad h. v. — Fuùrst, 1, e., ad h. v. 13 (5) Ganneau, 1. c., p. 185. (6) Lin. 15.» (7) Ganneau, 1, c., p. 368, urtare fesa DI (° LR Fu È 3 È 702 Me n Ne di erronea Ja sua prima lezione (1) — allo dovrassi puntare e leggere nni, corrispondente nella sua forma difettiva moabita al IMNNÈO di Salomone (2), parola ebraica con forma compiuta di scrittura, la quale significa bensì aurora, ma ivi è adoperata in senso me- taforico ad indicare il tempo della nostra prima gioventù. DINI 1, fino a mezzodi. La parola moabita DITY cor- risponde all’ebraica DMAY, duale di alab tamen, © significante lumen duplex, i.e. splendidissimum (3), e quindi anche lux mediae diei, meridies (4). Gli è però degmo di osservazione, che qui avrebbesi la terminazione plurale in D.invece della terminazione in 7, che vedemmo propria de’ Moabiti (5). Il che lascierebbeci sospettare, non forse entrambe le. forme (per quello almeno che è del duale), fossero in uso presso a’ Moabili, questa però più, quella meno; diresti proprio come presso di noi diti e dita, castelli e castella, peccati e peccata. (1) E ciò ne porgerebbe una qualche ragione a sospettare, non forse qui come altrove, siavi occorso errore di stampa nelle parole ebraiche; tanto più che la x, hau, e la F, he, dell’antico alfabeto ebraico si differenziano troppo da potersi scambiare l’una ir ‘altra. (2) Ecclesiastes , XI. 10. 4 gii (3) Gesenius, Lericon, ad hh. vv. I}; SACE (4) First, l. c., ad v. ix. Ct. i luoghi ivi citati. x (5) V. Ali, vol. IX, p.825, vol.X, p.344, 162-163. - o. x fr. [P: rEIS WI] 7eSS navi mb IA mia ‘CA MONA wap (1) Samy: 5 nom n° E la presi, e la misi tutta al fil della spada, settemila { persone, uomini, fanciulli, matrone, donzelle, perchè ad i Astarte di Chemòsc [ oppure ad Astor-Chemòsc] sacro era È E. l’interdetto della città. (lin. 16-17). SE MN), e la presi. Con questa frase accenna Mesa E di all’esito fortunato di quella sua spedizione contro Nebò. > Prese le mosse di notte tempo con disegno e speranza di assaltarla e impadronirsene di colpo fra il buio delle tenebre, od almeno in sul primo albore della mattina (2); = trovò., se non forse intoppi per via, certo maggior vigi- sor lanza e resistenza di quella ch’ei si aspettasse, sicchè, fallitogli l’ agognato colpo di mano, dovette combattere vivamente dalla prima vegghia fino a mezzo il dì. In siffatto . combattimento, o fosse che, circondati ed oppressi i pro’ . d’Israele usciti fuor della città a battaglia, di leggieri ne avesse egli poi sfondate le porte o scalate le mura stre- sta i «mate oramai de’loro difensori, o fosse per la vigoria dei : : se ripetuti assalti, l'opportunità e saviezza degli ordini suc- cessivamente dati, o per il numero, il valore, la ferocia | degli assalitori, il disordine, le perdite, lo sgomento degli “i | assaliti, questi rimasero sopraffatti e quegli vincitori. Riusciti alunque alla perfine nel loro intento, i Moa- (I) Oppure NWI. s ù ® Gf. I, Sam. XI. 11. biti invasero la città, ,, per servirmi d'aiti fresa della | Bibbia, misero ogni anima che era dentro alla medesima al fil di spada, distruggendole al modo dello interdetto (4). Il che ne è indicato chiaramente dalle parole che tosto seguono: nia Sn IN), e la misi tutta al fil delle spade ;. orribile frase, che nel suo laconismo, come ci svela l’atrocità delle usanze e leggi di guerra che vigevano a’ que’ tempi, così ci dà mezzo a colmare, giusta le leggi. del parallelismo, la lacuna che poco stante ricorre. In-. comincia questa subito dopo le parole PES ny3ù, sette mila, e stendesi fino all’inciso seguente. In essa però lesse il Ganneau (2), scritte alla moabitica, le due parole. n, dominas, matronas, e Nm , ancillas; od anche. puellas (3). Sendo adunque mestieri inserirvi tali parole che, corrispondenti alla frase antecedente, accennino. come quella strage spietata di tutta la città fosse di sette mila persone fra maschi, donne e fanciulle, noi vi leggeremo - Dm II PP) FUN Wap jDIN NI3U, sellemila. anime, uomini, fanciulli, donne, E pronti, ove la ristret- tezza della lacuna il richiedesse, a leggervi TEPN nyzw DIMM NI2I 95) 1915 settemila maschi e tutte le donne i e le fanciulle, o, se vuolsi, tutte le libere e le schiave Kiro! (1) Jos. XI. 10-11. n (@) Ganneau, 1. c., pag. 369. 384. 23% (3) Geiger, Weiteres iiber die Sciule des Mesa, a. a Ò., S. 135, ts st Cf. Ganneau, 1. c., p. 334, e Jud. V. 20. VP ee (4) Il menar, selle iscrizioni loro, vanto di crudeltà usate ‘contro sti de’ vinti era costume degli antichi Sovrani d’Oriente; e noi ildi ne sia concesso aggiungerne qui due altri, di cui allora non ci sovvenne , e che sono tratti, 1’ uno da un’ iscrizione cuneiforme | po armena, l’altro da un'iscrizione Cuneiforme persfana. Nella prima, © stata trovata ad Atamkhan sur un'altura sita presso la sponda 1.1 cidentale del lago di Erivan. Ituvaris, figlio di Kupis, re. “armeno, — : ARNO TO) dan cd 465 mostrammo più sopra (Cap. VII, $ 10) con molti esempli, ai quin A chi poi ci obbietti collo Schlottmann: (1), che i set- temila trucidati son troppi per una città piccola com'era non però di Van, «io incesi, scrivea, e consumai colle fiamme Partakhu, la città, in cui aveva la sua sede Zimadabi, figlio di Lue; e, presi prigionieri lui, i suoi due figli e la sua moglie, occupai e deva- stai il paese di Kamrit » (V. Mordtmann, Entzifferung und Erklcirung der armenischen Keilinschriften von Van und der Umgegena, an d. Zeil- schrift A. D. M. G., B. 26, S. 625). — Nella seconda, che è la celebre di Behistun, Dario, fra le altre sue gesta onde si vanta, dice:« Près de la ville nommée Kundurus, en Médie, je trouvai Phraortès, qui dit, Je suis roi de Médie, prét à offrir le combat. Nous livràmes la bataille... Par Ia gràce d’Ormuzd je défis l’armée de Phraortès.. . Ensuite Phraortès avec quelques cavaliers se retira vers la ville nommée Rhage, en Médie; alors je le fis poursuivre par mon armée qui le fit prisonnier et qui l’amena devant moi. Je lui coupai le nez, la langue et les oreilles; je le fis exposer à la porte de mon palais; le peuple entier le vit. Plus tard, je le fis mettre en croix à Ecbatane, lui et ses principaux adhérents. — Un Sagartien nommé Tritanteechmès se revolta contre moi....Mon armée defit l’armée rebelle, et prit Tritanteechmès. On l’amena devant moi. Alors je lui coupai le nez et les oreilles; je l’exposai lié à la porte du palais. Le peuple entier le vit; ensuite je fis mettre en croix les morts et les vivants. — Un homme nommé OFosdatés.....se leva en Perse. Il parla au peuple ainsi: Je suis Smerdis, le fils de Cyrus...Les Perses...firent défection de moi, ils allèrent vers OEosdatès, il fut roi en Perse.... Parla gràce d’Ormuzd mon armée défit celle d’OEosdatès et le prit...Je fis mettre en croix cet 0Eos- datès et ses principaux adhérents dans la ville nommée Chadidia, en Perse. — Pendant que j’étais en Perse et en Médie,... le peuple . de Babylone se révolta contre moi, et se déclara pour... Arakhb.... Un Mède, nommé Intaphrès, mon serviteur, .... marcha avec les troupes contre Babylone.... Arakh fut pris, lui et ses principaux adhérents; ils me furent amenés. Alors je rendis un décret, ainsi concu: Qu'Arakh et ses principuur adhérents soient mis en croir è Babylone. (est ainsi qu’ils moururent ». /nscription de Bisouton, lign. 57-61, 61-63; 71-75; 85-89, apud Oppert, Expedition scienli- — fique en Mesopotamie, T.2, p.247-248. — CL. Rawlinson, Babylonian — translation of the Great Persian Inscriplion at Behistun, in the Journel a the R. Asialic Society, London 1851. O, Schlottmann, Additamenta, a. a. 0, S. 455-56. CASI le, "TE RO VIP o. RE ve to toe fnlolazia ar x n A ME Re. Z x ? PRATT ITA Nebò a giudicarne dalle sue odierne rovine. e ‘ quantità di villaggi, di cui si trovano tuttavia le nume rose tracce sparse qua e colà sull’ antico territorio. di Moàb; a chi, rincalzando quest’argomento, ne soggiunga con quel dottissimo Tedesco, che la stessa Kerèk, oggidi ancora la fortezza precipua di quel paese, a detta dei viag- giatori che la visitarono, non è capace d’un presidio mag- giore di mille e cento soldati; a chi ci osservi, che Mesa stesso, lorchè in essa riparava dopo le sconfitte toccate dai re alleati, trovavasi alla testa di soli settecento uomini (1), a giudicarne dalla disperata sortita tentata invano dalla parte dove stava ad assedio l’oste idumea; a chi infine ci noti che Jàhats, che era pure una piazza d'arme del re d’Israele, fu da Mesa, dopo fugatene le soldatesche , presa a forza con soli dugento caporali moabiti; — noi. rispondiamo, che, a giudizio nostro, queste ragioni non sono tali da far concepire il minimo dubbio intorno «alla rigorosa verità storica dell’accennato numero, ove si ri- chiamino al pensiero le varie combinazioni che, in fatto di guerre, possono rendere quest’ avvenimento non solo probabile, ma al tutto verisimile, malgrado coteste ob- biezioni accampate dallo Schlottmann. E di vero: per cominciare dalla presa di Jàhats , che ultima ci si obbietta; quale, non.dirò già nè impossi- bilità, nè inverisimiglianza, ma pur solo difficoltà ne presenterebbe questa, dove si ponga che le soldatesche israelite, mossesi di questa lor piazza d’arme per ripren- dere l'offensiva contro di Mesa, sieno state circuite dai Moabiti e da esso loro vinte o fugate in guisa da togliere alle medesime il ripiegarsi su Jàhats, e che, mentr’esse, (1) IL Reg. III. 26. Gli è un errore di stampa il leggervisi in Schlottmann, a. a. 0., S. 246, ottocento uonini, « mit 800 Mann ». x i incalzate dal nimico che instava feroce, cercavano scampo e rifugio in altra delle vicine fortezze, l’astuto principe, colto il destro che gli era così pòrto felicemente, spic- casse dal srosso dell’ esercito moabita un eletto stormo di prodi, il quale piombasse improvviso sull’ indifesa città, e sì con un colpo, com'e’ dicono, di mano la ri- ducesse in suo potere? E le parole che si leggono nelle linee diciotto, diciannove e venti di cotesta iscrizione , e che opposte sono dallo Schlottmann, non si acconciano esse forse egregiamente e naturalmente a siffatta supposi- zione (1)? Quanto poi a Mesa, che, rinchiuso in Kir Hharé- seth, dopo toccate gravissime sconfitte (2) e stremato così d'ogni sua forza, tenta contro di Edòm una disperata | sortita alla testa di soli settecento guerrieri, questo pro- verebbe solo a quali estremi fosse egli stato ridotto, e come ne fossero rimaste assottigliate le soldatesche; ma non prova, no, che quella rocca principale de’ Moabiti ‘non fosse capace, a que’ tempi, di presidio di gran lunga si maggiore; come non prova che Mesa, per tentare questo suo colpo, preso abbia con sè tutte le forze che avesse seco rinchiuse in quella sua cittadella, lasciandone così sguernite d’ogni difesa le mura. Che anzi, chi ben con- sideri le parole del Sacro Testo (3), troverà di leggieri che la mano di prodi con che egli, veduta la mala parata, | tentò di aprirsi un varco dalla parte del re di Edòm, non | era che una parte, fui per dire, piccola del suo esercito , e che egli tentò con essa quella disperata sortita nell’atto stesso che .il grosso delle sue soldatesche stavano com- (1) V. lin. 18. 19. 20. | -(@) II. Reg. IL. 24. (3) IL. Reg. III. 26. 4 fed LE rp È. FAPFARIRI i AIR - Me Sp de . ‘ . À ! d 2 Date, battendo alle mura per respingere il nemico che d’ogni parte le circondava, e s’allestiva ad un assalto generale. E di vero così leggesi nella Bibbia: spintisi gli Israeliti sotto Kir-Hharéèseth, « i frombolatori la circondarono e la » percotevano. E il re di Moàb, veggendo che la battaglia » lo sopraffaceva, prese seco settecento uomini con la » spada tratta in mano per ispuntare dalla parte del re » di Edòom; ma nol poterono (1) ». Adunque nè anche quest'altro argomento dello Schlottmann non ci nuoce, Nè meglio approdano gli altri; perocchè nè dallo stato presente di Kerék puossi argomentare allo stato della medesima più di due mila secento anni fa, nè dall’es- sere slati necessariamente piccoli i villaggi, che, sparsi qua e colà, s’ incontravano un dì frequentissimi in su quel di Moàb, ci è diritto conchiudere non aver potuto l’uno di questi essere stato il luogo, dove migliaia e mi- gliaia di combattenti avessero per un qualche tempo posto il lor campo per trarre quinci ad offesa del nemico, 6 dove, assaliti da questo, siano stati, non che sbarattati , trucidati. Santa Lucia in su quel di Verona, e Sédan in Francia non sarebbero certo capaci d'essere presidiate quella da tanti, vnoi Austriaci, vuoi Piemontesi, quanti nella prima fra le guerre dell’indipendenza italiana; questa, da tanti, vuoi Francesi, vuoi Tedeschi, quanti nella san- guinosa guerra del is vi combatterono aspramente e vi profusero la vita ed il sangue. E non vi avranno essi dunque pugnato fortemente, e toccate quelle loro ferite, incontrata quella lor morte? Seguono le parole: anv» ?5, o, fors'anche hrs LA NU PMDAN Wo3 , poichè ad Astarte di Chemòse [o forse ad n° si [a (1) Ivi, V. ‘25-26, si Kt, ci Astor Chemòsc] ne aveva sacrato l’interdetto, vale a dire votato aveva la distruzione totale della città. — Così pensavamo sin dal 1872 aversi a supplire la breve lacuna, che nelle varie edizioni di cotesta iscrizione ivi ricorreva. Di fatto le parole con che Mesa, parlando di Nebò , dice: la presi e la misi tutta al fil della spada, in- dicavano chiaramente che a compiere il piccolo vuoto ricorrente dopo le quattro lettere DM, bisognava, o supplirvi la parola 5PM, sicchè ne risultasse l’inciso seguente : po ivlaln]a) Uni snwri ?5, poichè ad Astarte di Chemésc [ 0, se vuolsi; ad ‘Astòr- Chemosc | sacro. era interdetto della città, oppure annettervi le tre lettere mn, e leggere NOMI, in cui avrebbesi il perfetto dell’Hiphnil del verbo 005, alla prima persona singo- lare (1), seguito dal suffisso femminino = riferentesi a Nebò; donde questa sentenza al tutto ebraica: « perocché ad Astarte di Chemòse, o, se vuolsi., ad Astor-Chemòse {ossia a Chemdsc, maschio e femina] io ne aveva votato la distruzione totale (2). i. (4) IL Sam. XV. 20. (2) Terribile sentenza, la quale ci svela come la ragione della strage, così ancora quella del voto della medesima. Ad una divi- nità femminina, credeva quell’idolatra, sarebbe piaciuto il sangue delle donne e donzelle, sgozzate in onore di lei; ad un Dio cru- dele, che in sè riuniva i due sessi, reputava g grate e gioconde eca- tombe numerose e promiscue di uomini e fanciulli, di donne e donzelle. — Le quali cose dicendo, noi lasciamo indeciso se questa divinità, in cui onore fu da Mesa votata la distruzione totale di Nebò, fosse la celebre Astarte de’ Fenìci e di vari altri popoli orien- tali, o fosse lo stesso Chemésc, considerato come Divinità andro- gina. Imperocchè (come osservammo più sopra, cap. VIT, $ 12), tanto a quella, quanto a questo poteva votarsi da Mesa la distru- zione di Nebò e la strage di tutti gli abitanti della medesima. Ciò diciamo invece e ricisamente affermiamo, non esservi ne- cessità di sorta di interpretare col Renan (/nscription de Mescha , Or ci gode l'animo al vedere, come in ‘neo Leo 3 nostra congettura noi ci siamo apposti onninamente . val vero; giacchè, a detta del Bruston (1), il Ganneau giunse. di fatto a leggere, sulla sua copia ad impronte rilevate, TROMA. sE XX. : W25 1355 Dmamoni mim [5 ne] Duo nen E presi di là i vasi di Jehovah e li trassi al cospetto di Chemòse. (lin. 17-18). DWM MPA); € presi di là, giacchè DWM, tanto in questa, quanto nella linea dodicesima precedente, è frase com- posta dalla preposizione 79, da, e dall’avverbio locale DW, ibi, donde appunto la sua significazione latina inde, asse- gnatale dal Gesenius (2); e il suo significato italiano di qui, O di là, secondo il contesto. Nel significato qui attribuitole ricorre pure sovente nella Bibbia ebraica (3). nin ana, i vasi di Tehovah. Cotesta medesima frase, ° ì. c., p. 334), la parola >5 come equivalente ad MON, giacchè, interpretandola nel significato suo ordinario di poichè, impenorgh. avvegnachè , il senso corre chiarissimo e naturalissimo. ”, (1) Eccone le parole: « Je tiens de M. Ganneau lui-mème, qui est parvenu à lire sur son grand estampage: ui elehiatzià Bruston, | L’Inscriplion de Dibén, dans le Journal Asi. lique, Paris 1898; VII Série, Ttad4:395: SITA (2) Gesenius, Zericon, ad h. v. — Fuùrst, Hebriisches, und Mae: daisches Handworterbuch z. d. W. (Bi V. gr., Gen. Il 10; XI, 8,9; 1. Sam. IV. 4. — tdi op et p.925-86. Ret Made i -_ af = n° e è DA cha 4 o è dl PRA d va affiperata appunto a significare è vasi, gli arredî sacri del gh ; _ Signore, noi la troviamo presso Isaia (1). In essa poi la k È | preposizione NR, e la lettera 2 in e) furono supplite a sk; giusta ragione dal Noldecke (2), dal Kaempf (3), dal- i l’ Hitzig (4), dal Fabiani (5), perchè volute, quella dal “ verbo attivo che precede, questa sì dalle due lettere se- fn, guenti 35, e sì dal contesto, a cui egregiamente s’attaglia : la parola 69, costrutto di DIS, vasi, arredi. Di È Quanto poi a questi vasi di Jehovah, che si trovavano in Nebò, son dessi una bella riprova di quanto ci narra la Bibbia de’ luoghi eccelsi consacrati a Jehovah , non oi pure in Giuda dopo l’edificazione del tempio di Geroso- lima (6), sì ancora in Israele (7), dopo la costruzione de’ due Santuari eretti da Geroboamo a Dan ed a Bethel, Po & l’ano a tramontana , l'altro a mezzodì del suo Stato no- ue: nr vello (8). x Pi 0A DI. 209083) , e li trassi. ln questa frase DI, dalia della terza persona mascolina plurale, sembra, a detta del: Ganneau (9), staccato dal verbo, che lo regge, mediante . il punto che in questa lapida separa ordinariamente un vocabolo dall’altro; il che, dove sia realmente così e non abbiasi ad attribuire ad un errore dello scarpellino, ae- Meo (firdesì LINE È (2) Néldecke, a. a. 0., S. 4. u. 13. ie, (3) Kaempf, asa. 0.,‘S. ‘29. ‘U. 40. a i (4) Hitzig, aa. 0. S"13! u. ‘36. oN DI ; wai (5) Fabiani, 1. c., p. 19. i 20 (6) I-Reg.XV. 145 XXIL-44; IL Reg. XII 3; XIV.4, XV. 4-35; XVII i: 22; IL Chron.XV. 17; XXXI.1; XXXIIL 47; ‘Psalm. LXXIV. 7.8. | (7 I Reg. XII. 31; XIIL de Il. Reg. XVII-9. 29; XXIII. 19; assoli; SE XX.\28; VI. 3. | (8) I. Reg. XV.14; XXII. 44; II. Reg. XII.3; XIV. 4. 35; (XVIII 2; II. Chron. XV. 17; XXXI. 1; XXXII 17; Psali, LXXIV.7. 8. (9) Ganneau, ì. Cri 369. c sg. ia 2 É; cennerebbe ad un’ ortografia, pi dor al ib ‘DI RE d5 in siffatto. caso , LE Cia POSE al tutto dei Moabiti. . i È linfa) pa, al cospetto di Chemose. Il che, mentre ne porge, ‘come osservammo più sopra (1), una bellissima conferma di quanto la Bibbia ci narra del costume degli 2 antichi Orientali, ha pure un bellissimo riscontro nei co- stumi degli antichi Occidentali, i quali solevano essi pure espilare come i palagi, così i templi delle. vinte città ; essi pure trasportarne via le statue dei Numi; essi ABITO offerire ai loro Dii le spoglie opime. XXI. 9 nomina ma awn vmw[ng n]sa Sant: 001 E il re d’Israele rafforzò Jahats, e _stanziovvisi i Beta suo guerreggiare contro di me. (lin. 18-19) - ” È PE | 94 3 ig ip CRE Ut: e il re d'Israele. Qual. LE questo re.di Israele, Mesa nol dice, pago d’indicarlo con questo nome. generico, sì e come solevano fare alla lor volta gli. Linara i ne’ cui libri storici, se bene spesso riferisconsi | di nor È dei re nimici, bene spesso pure se ne cita solo r/r SOI e il regno; donde appunto le pure e prette dizioni: @ il re. DA d di Moùb (2), il re di Bdòm (3), il re di Aràd (4), îl're di ) Si rita nina cl — A (1) V. sopra, cap.VIli, $ 23. (2) IL Sam. XXII. 4. (3) Num. XX. 14; Jud. XI. 17; IL Reg. ua 9 18. (4) Num. XXI. 1. va > Hai (1), il re di Jerihhò 2), il re di Makkedà (3) e simili (4), usate, al pari del titolo generico di Faraone, lorchè si tratta di re Egizi (5), ad indicare questo o quel sovrano (6). Ma quello, cui tace l'iscrizione, ce lo accenna la na- tura stessa delle cose. Questo re fu e dovette essere quel desso contro cui insorse Mesa, e che Ja storia c’insegna essere stato Achazia (7); il quale era per fermo un uomo ardito, intraprendente , pertinace. Or da un principe di tal fatta gli era certo ad aspettarsi che, all’udire le no- vità, non che macchinate, compiute da Mesa, non se ne stesse indifferente ed inoperoso, ma, fatta gente, accor- resse tosto a combattere e punire il vassallo ribelle. E vaccorse di fatto. Ed anzitutto, poichè era tuttavia padrone di Hesbòn, von n52 (8), rafforzò Jahàts. La quale città rube- nita (9), posta essa pure nella pianura di Moab (10), non (1) Jos. VIII. 14. (2) Ivi, X. 28. (3) Ivi. {4) Ivi, XII. 13-18, 20-21. n (5) Di vero il titolo di Faraone ricorre solo congiunto col nome di Nechò (II. Reg. XXIII. 79. 33-35; II. Chron. XXXV. 20), e con quello di Hofra (Jerem. XLIV. 30). — Cf. Winer, Realwòorterbuch , II. 244. (6) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S. 19. (7) I. Reg. I 1. (8) Così leggono lo Schlottmann (a. a. 0., $.51), Noldecke (a. a. 0., S. 54.13), Kaempfe (a.a.0., $.30), Thule (a.a.0., 5.13), Vabinni (l.c., p.21), riempiendo dra d’una 7, seguìta dalla pre- posizione NR, la breve lacuna la quale scorgesi sul finir della linea diciottesima e il principiar della decimanona, e trovasi fra le lettere 52, che ultime ricorrono nella linea decimottava, e la pa- Va yM°, che prima leggesi nella linea seguente. - (9) Jos. XIII. XIII. 18. (10) Jerem., XLVIII. 21. A, molto lungi da Hesbòn do ma più a levante. Veligii) Di pe: deserto (2), era la più avanzata che ancor s’avesse contro i : Moàb. Qui dunque, come notammo più sopra (3), stan- i ziossi egli con quel nerbo maggiore di schiere che in. is que’ frangenti gli fu dato raccogliere; e stanziatovisi, di. — so. qui prese le mosse ad offesa dell’insorto vassallo, secon- ) 1 dochè accennano le seguenti parole di Mesa: #2 20. de nonnina , e stanziossi in essa nel suo guerreggiare contro o di me. Nelle quali parole, siccome già tutte da noi illu- DE: strate colle osservazioni necessarie, sì in fatto di sramma- È. tica, come in fatto di filologia, non crediamo doverci sof- CA fermare più oltre. = e; 2 Ni. XXII. fio ì P3]po wo5 nWM i per: . a > Ma fugollo Chemòse dinanzi a me. (lin:19% WII NUM: ma fugollo Chemése. — In nn, la ) iniziale è conversiva, e significa ma; significazione che ha bene spesso, come lo dimostrano i molti esempi, aa raccolti e riferiti dal Noldio (4). La 7° finale è suffisso | Mi n della 3* persona, foggiato alla moabita ed all'’aramaica (5). " n «6 PORRI LT ETA, | (1) Jes., XV. 4; Jerem. XLVIII. 34. PAS ACHE PIRA (2) Num. XXI. 93, — CE, Raumer, Der Zug der [svaeliteni cus Agy= si. pten nach Chanaan, Leipzig 1837, S.52-53. (3) V. Atti, vol. VIII, p. 858-859. : Thi (4) Noldius, op. cit., p. 301-307. E (5) Geiger, a.a.0., S. 218. i «—’Rimane wY, forma abbreviata, cui, a cagione del | suffisso 7 assunse il verbo ur, al futuro converso. Pinel, del verbo WI, expulit, pepulit, abegit. a 79599, dal mio cospetto (1), e meglio ancora, dinnanzi . ame; giacchè 5 9DN W3, significa appunto, secondochè scrive il Gesenius (2) « expulit ante aliquem, i.e. ita ut » ante eum fugere debeas ». Ed in questo senso ricorre diffatto in vari testi della Sacra Scrittura: v. gr. nel Salmo storico di Asaf, dove contasi che Dio trasse dall'Egitto gli Israeliti, gli guidò nel deserto, gl’introdusse nella Terra Santa, « DI DPI WI , e scacciò d’innanzi a loro le nazioni » che l’abitavano (3); e, per tacere di altri (4), nel Deuteronomio, dove Mosè, predicendo ad Asèr un, lieto avvenire, gli dice fra le altre cose: « ascensor coeli » auxilium tuum, 999 1P.250 WIM, et ipse eliciet ante » faciem tuam inimicum (5) ». — Or poichè questa frase, pur-allora che, posta in bocca a Dio, non accenna sempre ad un suo prodigioso intervento, sì solo ad un suo speciale favore verso le armi vincitrici, non vediamo ragione per cui escludere collo Schlottmann (6) ogni combattimento, f in cui all’oste israelitica sia veramente toccata la peggio, È (1) Tantole due lettere 3 e >, con cui termina questa fristnhata Po la 7, con cui comincia la parola seguente, furono supplite dallo 7 Schlottmann (a.a.0., S.51), dal Nòldecke (a. a.0., $.4.5.14), dal Re. Kaempf (a.a.0., S.31), dall’ Hitzig (a. a.0., S.13), dal Fabiani i {}.c., p.21), per colmare la piccola lacuna che si trova in fine della linea 19°, e che è appunto capace delle medesime. Queste poi È sono al tutto consentite e, fui per dire, giolute dal contesto. A (2 Gesenius, Lericon, ad h. v. +9 (3) Psalm. LXXVIII. 55. (4) Cf. Exod. XXIII. 29-31; Jos. XXIV. 11-12; Jud. 11.3; I. Chron. XVII. 21. (5) Deut. XXXIII. 26. (6) Schlottmann, a.a.0., $. 20. e credere che cotesta fuga È notizie da lui avute di tr regno, 0 di nuovi ar Sirii Damasceni . pur pica stretto | cel re Achazia sia devi a MMM dl Mr, RE” (6) Kaempf, a.a.0.; Hitzig, a.a. 0. di leggere col Kaempf (1) e coll’ Hitzig (2), non già nun Log tutti suoî capi (3), o, come direbbesi volgar- mente, «ulta roba scelta, tutti de’ primi fra i suoi guerrieri », masnoi 25(3); «tutta poveraglia, tutti cella classe più misera» . «Arroge che la prima di queste due interpretazioni , quella vo’ dire dello Schlottmann: « und ich nahm aus Moàb zwei hundert Mann, die volle Zahl (4) »: ed io presi da Moàb dugento uomini, « schiera sua intiera», 0, se vuolsi, « nodo, manipolo, drappello suo compiuto », oltre al non essere necessaria, è altresì al tutto gratuita ed arbi- traria, e dà al contesto tale una durezza ed oscurità di espressione e di stile che non ha il suo riscontro in tutta questa iscrizione. — La seconda poi, se avrebbe un saldo. fondamento ne’ costumi di que’ tempi, dove si trattasse di gente lasciata.in una terra donde il vincitore cavato abbia; gli abitatori principali e gli artefici migliori (chè questo» solo ci è narrato nel brano del libro dei Re (5) citato; dal KaempÎ in sostegno della sua lezione e traduzione),. non. l’ha più, dove si tratti di gente allogatavi in loro vece. — Che sc è vero che i facoltosi ben difficilmente sì sarebbero indotti a trasmigrare e stanziarsi altrove (6), è vero altresì che sotto governi dispotici non suolsi la- sciare a’ cittadini quella scelta che loro è sancita ne’ reg- gimenti liberi; che inoltre fra miseri e facoltosi tramezza (1) Kaempf, a.a.0., S. 31. (2) Hitzig }:a12.!02, (8138. (3) Da N», caput, prinseps, ed in generale quod summum est , el supremum ; scritto però senza IN e col suffisso ®° invece di Y; 23 o adunque invece di MUNI:; ; proprio, come già osservammo più e più volte, giusta lo stile de’ Moabiti; secondo il quale sta qui pure JONIO per l'ebraico DNNM. (4) Schlottmann, a.a.0., S.12. (5) IL Reg. XXV. 12. ie LO pa i è ì "n o (al Sato gt fg a AZZ i Cia: + d a un’altra classe di artefici, di agricoltori, di nai n i quali, stando pur bene, non avrebbero tuttavia sdegnato di star meglio, occupando o case o beni e pascoli altrui; che infine prima di mandar poveraglia ad abitareuna città invece altrui, sarebbe stato mestieri prendere anzitutto questa città e spazzarla de’ suoi abitatori primieri; il che è appunto il rovescio di quanto narra qui Mesa. Il perchè non è certamente a stupire, se il Kaempf, dopo proposta ed illustrata questa sua lezione e traduzione (1), l’abbia poscia abbandonata (2); il solo Hitzig le rimase fedele (3). In INUNI, l’3 finale è suffisso mascolino collettivo, proprio come la 3} in 9, tutt'esso (4), ed ha anzi un bellissimo riscontro nella (e n°9, adoperata per so da vari degli antichi Veggenti di Jehova (5). Quanto poi al NWN, prima persona singolare, futuro converso del verbo NWI, dove si consideri come di coniugazione Kal, si punteggi NUR, suona: portai, lanciai, gittai i mede- simi; in latino: immisi, inieci eos (6); se poi considerasi come di coniugazione Hiphnil e punteggiasi NERO (nel qual caso la 7, jod, caratteristica dell’Hiphnii, scomparirebbe secondo lo stile e il gusto de’ Moabiti), allora, a detta del Noldecke, suonerebbe lo stesso che norm, gli feci salire. Lo Schlottmann (partendo da ciò che i Moabiti da Ge- remia son chiamati NW e (7), e da Balaàm molto (1) Kaempf, a. a. 0., 5.31. va (2) Kaempf, a. a. 0., $.41.43. (3) Hitzig, a.a.0., S 16.38. (4) Jes. I. 23; IX. 8; Jerem. VI. 13; Gen. XXV. 25; Exod. IV. Ii Num. XXIII. 13. DA (5) Jes. CVI. 7; Jerem. II. 21; VIII. 6; XV. 10; XX. 7; Hos. XII 2; Habacuc, I. 9, bai © E in tal caso accennerebbe proprio ad un sùbito e rapido è sw. salto, tale appunto, quale noi lo supponemmo e up E (7) 'Terem: a. 45, ni % ‘prima. Nu 93 (1); uomini del tumulto, diresti: virî clamorem in bello edere soliti, o, come si esprime il Keil, « Manner wilden Kriegstùmmels (2) », (womini dal grido selvaggio di guerra), legge GXWRIY, del verbo MX, stre- pitum (3), clamorem edere (4), donde derivano appunto tanto il 7INÙ di Geremia, quanto il MW. di Balaàdm, e traduce « ich stimmerdas Kriegsgeschrei an, d. h\ ich liess » das Kriegsgeschrei anstimmen gegen Jahatz »:0« io levai » ed anche feci levare il grido di guerra contra Jahaz »; o, ciò che al medesimo ritorna; «ich gabe das'Signal zum Angriff gegen Jahaz (5) »: classicum cecini adversus Jahaz. Dallo Schlottmann non si discostano guari il Derenbourg e lo Schrader; quegli traducendo : «je tombai ‘avecota- multe sur Jahatz (6) »; questi: « ich riickte unter Hurrah- ruf wider Jahaz (7) »: fra alte grida di guerra piombai su Jdhatz. Entrambi leggono, a quanto sembra; INONI; e fondano questa loro lezione , vuoi sul significato che ha il verbo NW al Niphnal presso Isaia, là dove dice: « guai alla turba de’ sran popoli, i quali tumaul- tuano a mo’ de’ flutti del mare, e rumoreggiano a guisa. di.acque grosse (3) »; e vuoi sul significato di stormo, fracasso, grida, romore d’ armi e d’ armati, cui ha bene spesso nel testo ebraico (9) la parola NU, che quinci (1) Num. XXIV. 17. 2) Keil, Comment. 7. Num. XXIV. 17. (3) Gesenius, Lericon, ad h.v. | (4) Gesenius, Lezicon, ad h.v. dl } (5) Schlottmianni, Additimenta, a.a.0., Po 455-456. ‘(6) Derenbourg, La Stele de Meschan, apud schlottmann, a. a. 0., S. 455. (7) Schrader, Theolog. ir a I.Jun. 1870, apud Schlottmann, a.a. 0. (8) Jes. XVII. 12.13. SAR LPSIARE UL SC (9Y Amos, Il 2; Hos.X.14; Jes. XIII.-4. 1! Vili 38 tO tT) deriva. — Or qualunque di queste interpretazioni si voglia. preferire, il senso dell’iscrizione rimane sostanzialmente lo stesso, e ciò ne basla. Yi?3, contro Jdhals, significazione cui la preposizione beth, 2, ha bene spesso in ebraico ; ad esempio là dove si vaticina d’Ismaele, che sarebbesi levata la mano sua contr’a tutti, e la man di tutti contra lui (1), mo) 555 3” bal 55; e là dove Iddio, per bocca d’ Isaia, predice , ch' egli farà venire alla mischia DMI DIM, Egizi contr'ad Egizi, MYYI WR) PMNITUWR manbay, e combat teranno ciascuno contr’al fratello suo e ciascuno contr’ al pros- simo suo : pehin}eb! Nietae}e) v>I3 »}, città contr’a città, regno contra regno (2 MON, e la presi (3). Or questo verbo ne mostra che a torto l’Hitzig (4), leggendo nell’inciso antecedente vm MRWNI, vuole tradurre « und pflanzte sie in Jahaz an»v,eli trapiantai, cioè li feci abitare in Jahats (5), « und ich nahm sie (mir)» e (me) la presi. Imperocchè (per tacere che in tal caso, a detta stessa dell’Hitzig (6), avrebbe dovuto dire AMIN), et transtuli (7), oppure MINI), et (1) Gen. XVI. 12. (2) Jes. XIX. 2. — C£.II. Sam. XXIV. 17; Deut. VII. 20; Levit. XVII. 10; Num. XXI. 7; Psalm.CII.9; Ezr. X. 2. (3) V.sopra, pag. 703. (4) Hitzig, a.a.0., S. 16. u. 88. (5) Quasi come presidio della medesima; giacchè a pag. 38 ‘dra duce: « und warf sie hinein als Besatzung ». — E certo non man- cano esempi di colonie mandate in contrade straniere a presidiarne le fortezze. Così Antioco il Grande trasportava da Babilonia colonie di Ebrei nella Frigia che ne stessero a guardia (Joseph. Flav., Antigg., X1I.3.4); e Abdia (v.20) predice alcunchè di simile agli Ebrei stati condotti in Assiria e in Babilonia. Hitzig, a. a. 0., S. 39. tao (6) Hitzig, ad. d. (OE S. 38. DI 8) A (7) C£. II. Reg. XVIII 11. - e e) i Sea 7 Sa Lf sedere feci eos (1) in Jahaz), certo è che prima doveva im- padronirsi della città forte, poi trapiantarvi una colonia che ne stèsse a guardia (2}. Arroge che dugento meschini sarebbero certo stati troppo pochi sì a popolare, e sì a | presidiare una città nimica, stata pur dianzi la piazza d’arme d’un esercito nimico. 797 Sy nai , per aggiungerla a Dibòn, a pro cioè, 0, se vuolsi, a difesa e potenza maggiore di Dibon (3). Nella frase nDDs (frase, che da prima il Ganneau (4) non leggeva sul suo stampone ad impronte saglienti, ma che poi lesse distin- tamente sur uno de’ frammenti di questa lapide, cui gli venne dato procacciarsi più tardi), vorrebbe egli ravvisare il nome verbale di NDD, aggiungere, aumentare, accre- scere (9), retto dalla preposizione 5, e quindi traduce: in aggiunta a Dibon. — Noi però preferiamo di conside- rarla come infinito Kal dello stesso verbo, e ne troviamo un bellissimo riscontro nel libro de’ Numeri, là dove (4) Ivi, XVII. 6. (2) Egregiamente all'uopo nostro lo Schlottmann: « Von einer vorgegangenen Riumung durch den Feind ist ja nicht die Rede. 3MN bezeichnet wie das Hebr. 355 das Einnehmen, Erobern eines Platz. Dem kann die Beselzung nicht vorangehen, sonia nur folgen ». Schlottmann, Addilamenta, a. a.0.; S.456.1. (3) Il can. Fabiani (1.c., p. 22) vorrebbe distaccare quest’ inciso dal precedente e congiungerlo col periodo che segue. Certo si a- vrebbe così una bellissima introduzione ai lavori che Mesa narra aver fatti relativamente alla Korhhàh; giacchè con quest’inciso in- dicherebbe che tutti gli edifizi, di cui favella, furono fatti per accre- scimento di Dihòn. Ma ciò ne è al tutto vietato dal trovarsi, tra quest’inciso e il periodo seguente, quella linea verticale, con cui in cotesta iscrizione l’un periodo è separato dall’altro. N'è dunque forza connetterlo coll’ inciso o col quale si affà DES egregiamente. (4) Ganneau, l.c., p. 370. (5) Cf. Jes. XXX. 1. Ì Sa IERI ALII i) x x T] _ ga STATA ae + n ARA I PI beta + “e \ cesti! " $ s: < "g conta che Mosè (avendo presa in cattivo senso la doman fattagli dalle due tribù di Ruben e di Gad e dalla mezza. tribù di Manasse, perchè loro assegnassesi la contrada stata acquistata pur allora e stendentesi dall’Arnòn al Jabbòk, nè si dèsse loro altra porzione oltre al Giordano, e credendo che e’ volessero così starsene a loro agio in quella che i loro fratelli duravano armati in campo), «voi, diceva loro, siete surti in luogo de’ vostri padri, schiatta di uomini peccatori, nima 750 Sy vir NED? Spar PRI per accrescere ancora l'ira del Signore contra ad Israele (1) ». hE La ragione poi, per cui a Mesa stèsse così a cuore di impossessarsi di Jàhats e, impossessatosene, aggiungerla al territorio di Dibòn, si è, come notammo più sopra (2), manifesta. Jàhats nelle mani degli Israeliti era un posto avanzato ed una città forte, donde era minacciata come tutta la sponda destra dell'Arnòn, così ancora, e più in ispecie, la sua prediletta Dibòn, cui egli aveva in animo di costituire, e sembra avere diffatto costituita ca- pitale di Moàb, non appena scosse il giogo straniero (3). Oltracciò, unita al territorio di Dibòn, e formante oramai uno de’suoi castelli (4), avrebbe essa fatto parte di una catena di fortezze, le quali servivano di difesa validissima contro ad un nimico che, traendo da tramontana e scen- dendo lunghesso la manca del Giordano, movesse a danno di Moàb e della nuova sua capitale. Ed è appunto questo (1) Num. XXXII. 14. lina (2) V. Atti, vol. VII, p. 864-865; vol. IX, p. 836- 837. LIL) (3) Egregiamente il Kaempf: « Das befestigte Jahaz war eine Zwingburg fiùr Dibon, und mittelbar eine Drohung filr das cani rechte Arnon-Ufer »; a. a. 0., S.32. (4) Diresti con frase siii n NIDI DIOR, una ex filiabus eius. Cf. Num. XXI. 25. 32; XXXII. 42; "Jos. XVII. 11; Jud) XTI26.e80.10) 18) 7 74 teli Re ) 3 3° 1728 | sistema di fortezze, spalleggiantisi ed attenentisi l'una. coll’ altra, quello che, come osservammo, più sopra (I), ci dà la ragione per cui Joràm (lorchè collegatosi con Giosafatte re di Giuda e col re di Idumea, trasse a do- mare e castigare il vassallo ribellatosi), anzichè varcare il Giordano ed assalire Moab da settentrione, circuì l’Asfal- tide, e, messosi con grave. disagio e pericolo attra- | verso il deserto di Edòm, l’assali da ostro, dove s’ avea minori difese, e donde gli fu più agevole assai, dopo datagli una prima rotta, ridurlo in breve nella più grave distretta. Ed ecco in questa iscrizione di Mesa una nuova e bella conferma ai dettati storici della Bibbia. Ea un altro bellissimo riscontro ce lo porgerebbe co- testa frase tel Sy n5D? , ripetuta pure a gran vanto nella linea 29?, ove (richiamando al pensiero quanto 0s- servammo più sopra rispetto ad allusioni a cotesta iscri- zione ricorrenti, a quanto pare, incontestabilmente e ma- nifestamente nelle profetazioni di Isaia contra Moàb),in quelle parole del divino responso : «io porrò su Dimòn (2) » aggiunte di mali a mali; aggiungerò cioè mali sopra » mali a danno e punizione di Dibòn (3) », ravvisare si voglia un’ironica allusione al fastoso vanto, con. che Mesa ricorda di aver aggiunto questa o quell’altra città a Dibòn, al paese cioè ed al territorio di Dibòn. Checchè però ne sia, e’ sembra incontestabile che con questo inciso si chiude la prima parte della Stela. Fin qui Mesa ha parlato della sua guerra e ribellione contro Israele, e de’ lavori e modi con che cercò fortificarsi — (1) Atti, vol. VIII, p.860. (2) Vedi la nota (1) a pag.835 del vol. VIII degli Atti. (3) Jes. XV. 9. — Cf. Schlottmann, Additamenta, a.a.0., S. 440. An, 1. i 724 use © 223-00157 VESANEIRUMRO Vi contro ad ogni futura aggressione dell’offesone e provo- catone Sire. A questi tennero dietro la infermità da ‘prima, poi la morte di Ochozìa, il quale, caduto dal cancello nel cenacol suo di Samarìa, non potè più far armi per domare l’insolente ribelle. Succedettero poscia gli arma- menti di Joràm, con cui s’apprestava a continuare la difficile impresa del morto predecessore e fratello (1); l’al- leanza da lui stretta a questo fine coi re di Giuda e di. Edòm (2); il disegno di entrare nella Moabitide per la via del deserto dell’ Idumea (3): la rotta toccata dai Moabiti, lorchè, creduto che i tre eserciti nimici sì fossero distrutti fra loro, corsero disordinati e fidenti sopra ìl campo col- legato per raccorne le spoglie (4); invasione e il deva- stamento del loro paese (5); l'assedio sostenuto da Mesa. in Kir-Hharéseth ; la sortita contro il re di Edòm tentata da esso lui invano; l’ olocausto del suo primogenito da lui ucciso e sacrificato per disperazione a Chemòsc in vista di tutta l’oste nimica (6); l’irritazione contro gli Israeliti, che fu la cagione improvvisa per cui, ritraen- dosi ciascun alleato nel suo paese, fu sciolto inaspetta- tamente quel terribile assedio (7), e Mesa fu salvo dalla mano de’ suoi assalitori e nimici (8). Allora pensò egli ad abbellire e fortificare la sua Dibòn, a rendere grazie al suo Chemòsc, a perpetuare la memoria delle sue gesta. Fabbricò sulla Korhhah il tempio di Chemòsc; provvide (1) II. Reg. III 4. NT; (2) Ivi, 7-9. (3) Ivi, 9 (4) Ivi, 21-24. (5) Ivi, 24-25. (6) Ivi, 25-26. dvi 27. i (8) Iscrizione dì Mesa, lin. 4. if, Pe e pda 725 di agi e di munizioni la città; aprì e fece la via per al- l'’Arnòn; rifabbricò , ol almeno rafforzò Aroér, Beth-Ba- mòth, Bétser, Bikràn, Beth-Diblathàim, Beth-Bàal-Meòn ; - poi voltosi al mezzodì del suo paese, ove credesi fosse Hhoronàim, la ritolse agli Idumei, che nella loro irru- zione nel mezzodi della Moabitide dovevano averla con- DE quistata (I). E queste cose e varie altre ancora, che non c'è più dato di leggervi, ricorda egli e vanta nell’ultima parte della sua Stela. — Ma gli è oramai tempo di ritor- nare al essa, e vedervi i lavori con che Mesa, dopo conquistati alla sua patria gli allori sanguinosi delle bat- taglie, cercò allietarla coi lavori e coi benefizi della pace, accrescendone al tempo stesso le fortificazioni e le difese, e premunendola contro i non improbabili pericoli di fu- ture guerre. | SE: XXIV. spin nom Din nDi mIp onda Dix ATATO MII DIN) PU ONI3 Dis Io fabbricai la Korhhàh, le mura de’ boschi e le mura della collina, ed io fabbricai le sue porte, ed io fabbricai le sue torri. (lin. 21, 22). Narrate le sue gesta militari, e ricordato com’ egli abbia aggiunto Jàhats alle città forti che dovevano servire, direi quasi, di antemurale alla diletta sua Dibòn, ritorna là donde avea preso le mosse, vo’ dire alla Korhhàh, dove aveva drizzato quel suo Santuario in riconoscenza e (1) Fabiani, l.c., p. 22. ringraziamento a Chemòsc. — Nota dunque. ch’ egli’ sfabio È De bricò la Korhh&h: AMP Jalla! SIN sio fabbricai la Korhhdh, 9, sia che con questo vocabolo denotasse la spianata da lui: Bo fatta sul poggio che portava questo nome, e su cui edificò ia pòscia ‘quel‘suo tempio; sia che col medesimo indicasse. — s* tutt'insieme la spianata e il Santuario costruttovi sopra. î ASssiunge ch’egli , insieme colla Korhhah, fabbricd È DIP NOM, le mura dei boschi, Sprm nom), e le mura È della collina; vale a ‘dire le mura che sostenevano e cin- ) | gevano ‘i sacri boschi, i quali, giusta il costume di quella 3 età ‘e di quelle genti, ne circondavano i templi, come di pure le mura che d’ogni parte attorniavano e chiudevano — Fi il poggio su cui s'adergeva il Santuario di Chemòsc. E, È ciò notato, soggiunge, ch’egli ne fabbricò le porte, 298) SR merwò "N32, ed io fabbricai le sue porte, e ne: fabbricò F pure le torri : Moammo » fabe! DIN), ed io fabbricai le sue 3 n torri m:. Or quanto alla parte filologica non ci occorrono qui DE molte osservazioni: -Parlammo già altra volta (1) sì del- l'ortografia. ecsì della punteggiatura dell’ 93% moabita corrispondente all’ebraico "9987; il Ganneau lo traduce: clest:moi qui etc. (2); e questa sua traduzione come s’atta- o gliarall'indole della lingua ebraica (3); così s'avviene al fare : delle iscrizioni orientali, sì egizie, e sì assire e babilonesi. NI, scritto giusta lo stile e il gusto de’ Moabiti, cor- risponde all’ebraico ?9'93, proprio come il precedente << DIN ‘corrisponde all’ebraico I95N: Questo verbo poi si- 0 gnifica. Lips costrurre, ristorare, rafforzare, loi: i tia {oli i cip IstLto | r] SA ._. (1).V-sopra, pag. 18505 SL fobia, Rat la (2) Ganneau, l.c., pag. 188.371. = ME ce. s < (8) CE Tes ALV. 125 XLVI. 9; 1° Sam: DX, 195 AXîi, 994 Jon Vii ne 20; Exod. II. 6, etc. os Mura SR e DÀ (B A E, DI rin d | »—’Anche del vocabolo IMP e del significato da attri- buirglisi dicemmo già altrove (1). nom è plurale di nelal scritti entrambi difettivamente giusta il costume moabita, ed equivalenti, quello al non, questo al mwM degli Ebrei. La radice ne è il ® verbo mon, circumdedit; donde il sostantivo femminino nexlaf murus. NOM suona dunque muraglioni, o mura di cinta (<). Ned il senso cangierebbe per fermo, ove si vo- È lesse puntesgiare NOM, singolare costrutto di MON, an- È zichè Nim al plurale. x In PN , toltane Ja ©, articolo, rimane cinb corri- spondente aeniitto DIY, plurale di 5}?, bosco. Deri- | verebbe, secondo il Fiirst, dalla radice inusata ib ao germinavit , e significherebbe perciò virgultum, sylva , ne- ud mus (3); secondo il Gesenius (4), originerebbe dal verbo RT esso pure inusitato 9}, redundavit, lururiavit, e suo- ORE nerebbe densa arborum, « a plantarum fruticumque lu- o xurie dicta (5); inde sylva quaelibet (6) ». — Qui però E ne corre obbligo avvertire, che nella copia ad impronte saglienti, che sventuratamente è tutto quanto ci ri- mane della massima parte del lato destro di questa lapide, non si scorge bene se l’ ultima lettera di questa parola sia una MI, od una W, vale a dire una.}, oppure una D; LI e che il Ganneau medesimo , il quale nel fac-simile di STR ra de AS O tti quest’iscrizione vi pose una W, cioè una mem dubbia (7), a dl i (1) V. sopra, cap. VII, $ 7. i Sez Te (2) Gesenius, Zezicon, ad hh. vv. - SA (3) First, Concordantiae etce., p.504, coll. 863. (4) Gesenius, Zericon, ad hh. vv. È (5) Ezech. XVI.2-3, coll. 4. n i (6) Deut. XIX. 5; Jos. XVII. 15. 18; I. Reg. VII.2; IL Reg. I1.24; NS ; XIX. 23: Ezech. XXXIX. 10. GA > REA A (7) Ganneat, lc., PI. VIII Mn | 2a SE e! t nella copia che ce ne. diede in caratteri. Sarafeti stampò — my colla nun invece della mem (1). Noi, scostandoci in ciò dallo Schlottmann (2) e dall’Hitzig (3) che lessero e scrissero senz'altro DI\N, preferiamo col Kaempf (4) di leggervi e scrivervi in quella vece MY, così per- suadendone l’uso costante della 7 - invece della © — ebraica nella terminazione moabita dei plurali mascolini (5). Più incerta ancora si è la lettura della parola Spyn %, in cui, tolta la iniziale n che ne è l’articolo, il boy d che ci rimane e che deriva dalla radice Spy, tumuit, suonerebbe tumulus, clivus (6). E di vero, a detta del De Vogùé, fondantesi in ciò sur un attento esame della copia ad impronte saglienti statagli gentilmente trasmessa dal Ganneau (7), delle quattro lettere onde questa parola si compone, solo le due prime, la he cioè e la main; sono certe; la terza è incerta, parendo sì essere una 4, phé, ma potendo benissimo essere una VI, nun, di cui apparisca solo un frammento; la quarta poi è assai incerta. Tut- tavia il contesto e l’uso de’ Moabiti di fabbricare i loro Santuari su alture, di cui spianavano a tal uopo la vetta, cd almeno una parte della pendice, la rendono. probabile al tutto. (1) Ganneau, l.c., p.186. (2) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S. 51; Additamenta, a. a. 0., S. 254. (3) Hitzig, a.a.0., S.13.u. 39. (4) Kaempf, a. a. 0. , S.32. u. 40. (5) Il Noldecke, nella sua trascrizione ebraica di questa. ‘Stela, attenendosi al /uc-simile pubblicatone dal Ganneau (1. c., PI, VII), adottò la mem, ma vi appose un segno che la indicasse al tutto dubbia. Noldecke, a. a. O0., S. 5. y Ri” (6) II. Reg. V. 24 Jos, XXXII. 14; Mich. IV.8, ia Sti (7) De Vogié spua Ganneau, Î c., pag. 371, nota I, REESE pg 3 729 | E lo Schlottmann stesso, che pur supplisce e legge porno in vece di Spyn, e traduce conseguentemente la frase pom nio, die Mauer nach dem Thale zu, vale a dire « le mura verso alla valle (1) », riconosce candidamente che, dove non ostasse la difficoltà di scambiare i ruderi di una nun moabita con una phé del medesimo alfabeto, wire das Wort SDY hier wohl denkbar, « sarebbe qui la parola nophel supponibile al tutto (2) ». Ma, con buona venia del dotto e schietto Archeologo tedesco (del quale quanto più meditiamo gli scritti, tanto più ammiriamo l'ingegno e la dottrina), un semplice sguardo alle tre lettere dell’alfabeto moabita M, M, 4, mem, nun, phé, mostra come la possibilità, così la probabilità che una 1 non ben distinta possa scambiarsi coi ruderi di una M ; lad- dove sarebbe più difficile assai che la linea ripiegantesi all’ingiù da destra a sinistra, der von rechts nach links un- terwiris gebogene Strich (3), cui ne’ tratti non ben distinti de’ suoi stamponi desumeva pure il capitano Warren (4), più che una 4 o una M moabita, ne rappresentasse la W, cui egli trova e legge nella parola poyn da lui raf- fazzonata e supplita. Più grave per fermo, anzi decisiva affatto contro questa nostra lezione, parrebbe a prima vista l’obbiezione tratta da ciò, che, a detta del Bruston, « M. Clermont Ganneau croit pouvoir lire jDY et traduire par ciseaur ou fevil- lages (5)».- Ma anzi tutto il valente e coscienzioso drago- manno francese non ci dà per certa questa sua lezione. (1) Schiottmann, Additamenta, a. a. 0, S. 254-255. (2) Schlottmann, a.a.0., S. 440-441; vgl. 258, (3) Schlottmann, a. a.0., S. 258. (4) Cf. Schlottmann, a.a. 0., $.257-258. (5) Bruston, L’Znscription de Dibin dans le Journal Asiatique; Paris 1873, VIII Série, T.,I, p.335. 43 {| e 0 1 Pep PE v - e vu RETTA ic) Pipe) ini ala 730 ei «< . -d Dal ur Oltre a ciò, « ces deux interpétations, scrive il ‘citato. Ebraista orleanese (1), sont également inadmissibles;-la première, parce que le mot qui signifi ‘vistau en hé- breu est un collectif qui n’a pas de pluriel; la seconde, parce qu'il faudrait dans le texte ]7NDY ou PDY (2) » — Sendo pertanto, non che incerta, inammessibile cotesta lezione del Ganneau, non crediamo di dover recedere da quella del De Vogiié, che abbiamo adottata e parita iti nella traduzione del testo. Li Dove però il quarto carattere di questo gruppo di let- tere fosse realmente, come sembra'al Ganneau, una M, nun, allora, poichè ne sarebbe mestieri rinunziare onni- namente alla lezione proposta dal De Vogùé, noi, par- tendo da quanto egli medesimo osserva, che la terza let- tera di questa parola « est un noun, si ce n’est pas un phé (3)», adotteremo ben volentieri quella che già sin dal 1872 ci balenava alla mente, e leggeremo MMO4A XML cioè }IXn nom, equivalente all’ebraico Dyyn non , e mura delle due fontane. E di vero, come osserva il Ge- senius (4), « D»YM pro DIN}, duo fontes (d), contracta dualis forma (6) », ricorre nel libro di Giosuè (7); e tanto la soppressione della jod dopo la nain, cioè a dire il cambio della lectio plena nella defectiva, quanto la terminazione del duale mascolino in ]}--, invece dell’ ©>— ebraico, sono, secondo che notammo già ‘altre volte, affatto conformi . (1) Bruston, l.c. rotti i) V. Gesenius, Thesaurus, ad hh. vv. (3) De Vogié, Lc. Reato YA d tig (4) Gesenius, Scholia in Jos., XV. 34. è freni cai boa (5) Genes. XXXVIII. 21. saniolase (6) Cf. Gesenius, Geschichte der hebraischen Sprache und | sami, Leipzig 1815. S.49. 51; Lehrgedbaude, S. 536. sii adatte ( (7) Jos. XV. 34. | T° bito DIVA fe TA Po de si è va Di PR | allo stile de’ Moabiti. — Per altra parte poi era necessario provvedere con mura alla difesa ed al riparo de’ boschi non meno che delle fontane della Korhhàh. Nel che siam lieti di vederci (nella sostanza almeno, e, ciò che più monta, per le ragioni medesime) d’accordo con quel dotto Ebraista che è il Bruston, il quale, dimostrata inammessibile la lezione sospettata dal Ganneau, soggiunge tosto: « La lettre qu'on a prise pour 4(©) ne serait-elle pas un M ia et ne pourrait-on pas traduire: le rempari des fontaines? On comprend quil n’était pas moins im- portant de protéger les sources que les bois, qui entou- raient Qorkha. Il est vrai qu'en hébreu, quand pY si- gnifie sowrce, il fait an pluriel MY}; mais il pouvait en ètre autrement en moabite (1)». — Or questa difficoltà scansasi del tutto, ove in vece del plurale semplice si adotti 11 duale scritto giusta il vezzo de’ Moabiti. Certa per contro e determinata si è come la lezione; così ancora la significazione delle due frasi di questo periodo, che, da noi non ispiegate ancora, ne rimangono a spiegare, MW vo’ dire, e momo. Nella prima, FW è il costrutto di DDYW , plurale di 5ywW, porta (2); la © è suffisso della terza persona femminina, e si rife- risce a MM, che in ebraico è appunto femminino. Nella seconda, la m- finale è essa pure suffisso femminino ri- ferentesi a Korhhàh, e la parola letabio , che la precede, è il plurale femminino costrutto di 2329, il quale ha due terminazioni plurali, l'una mascolina in © - , l’altra femminina in N}; qui però termina in N°, perchè scritto difettivamente alla moabitica. Questo nome poi, a detta È (1) Bruston, l.c. (2) Gesenius, l.c., ad h.v. 732 CSI BNIB E del Gesenius (1), usasi principalmente « de turribus me bium munitarum et castellorum (2), et de ipsis castellis (3); alias de speculis (4), de specula vineae (5), alibi 5330 est altum suggestum (6), vel areola in horto eaque in medio assurgens et elatior (7). a Queste cose premesse, a farci un’ idea chiara delle cose cui Mesa accenna in questo suo periodo, e della connes- sione loro coi periodi antecedenti, e’ vuolsi richiamare al pensiero le cose da noi dette nella dissertazione intorno alle parti principali dei templi degli antichi Orientali. Imperocchè queste ne spiegano innanzi tratto perchè Mesa, ritornando oramai al Santuario di Chemòsc da lui fab- bricato sulla Korhhàh, si distenda ad accennare ai suoi lavori intorno a quest’ ultima, e ne ricordi le mura dei boschi, quelle della collina, le porte e le torri 0, se vuolsi, le torricelle. — Oltracciò ci risparmiamo la inve- stigazione se le DET , di cui parla il re moabita, si- gnifichino solo ballatoi o specole, od invece torri mas- sicce ed anche fortezze; come pure se il verbo mIa, usato sì spesso in questi periodi, s'abbia a tradurre fab- bricare, oppure fortificare, giacchè tutte queste costru- zioni riescivano appunto altrettante fortificazioni sì della ‘città, e sì del tempio di Dibòn. — Da ultimo ne mostrano come il passaggio dai periodi antecedenti al presente non sia così brusco, come a prima fronte parrebbe, giacchè gli abbellimenti da lui fatti alla sua città natìa, e, a quanto (1) Ivi, ad v. DITO. (2) Cf. Jud. VIII 9; IX. 46 sq.; Il. Chron. XIV. 6. (3) I. Chron. XIV. 6; Prov. XVIII. 10; alibi. (4) II. Reg., 1X.17.; "XVII. Di i ME SA 735 l’Hitzig (1), il gruppo di lettere PM N23, cioè a dire él palazzo del re (come lo indica il contesto (2), e lo persuade lo stile dei re orientali), abbiasi a punteggiare e leggere be) M2, e ad interpretare col Ganneau (3), d'una città, forse la « Kuffr el Malek » del Seetzen (4), la quale s’a-. vesse il nome di Beth-Molok, perchè avente un Santuario di questo Dio nazionale degli Ammoniti (5); oppure d’un tempio di questo medesimo Iddio, come il Kaempf (6) dubita, ed afferma ricisamente il nostro Fabiani (7), il quale per ciò appunto traduce la parola dell’inciso se- guente, î chiusi del fuoco, « del fuoco cioè sacro di Mò- (1) Hitzig, a.a.0., S. 16. (2) « Le contexte indique qu'il s’agit...ici de la maison du roi, du palais bàti par Mesa à Qarha [Korhhah], ainsi que les murs, les tours, les citernes, etc.», De Vogilé, l.c. ‘ (3) Ganneau, l.c., p.372. (4) Seetzen, Reisen, 1.394. — Cf. Nòldecke, a. a. 0. (5) « ba ubique cum articulo Sion (rex), Molochus, idolum [fuit] Ammonitarum, cui Hebraei quoque in valle Hinnom variis temporibus hostiis humanis litabant, Lev. XVIII 21, XX. 21, sqq.: I. Reg. XI. 7; II. Reg. XXIII. 10... . Eius statua aenea, auctoribus Rab- binis, membris humanis, capite bovino, intus concava ab imo ca- lefiebat, inque brachia eius liberi immolandi coniiciebantur..... Similiter Saturni statuam apud Carthaginenses describit Diodorus XX. 14; Gf. Miinter, Religion der Carthager , p.19, et nostram De Religione Poenorum commentationem in Gruberi Encyclop., T. XXI. 99. Repraesentabat autem tam Molochus Ammonitaram quam Saturnus Carthaginensium Saturnum planelam ; quem tamquam zaxodaipova hostiis humanis placabant Semitae; Cf. Comment. ad Jes. 11.343, cf. 327, sqq. ». Gesenius, Zericon, ad h.v. — Veggansi pure, riguardo a queste Divinità, Winer, Realworterbuch, II. S. 100, ff.; Movers, Die Phonizier, 1.324, ff.; Keil, Commentar iiber die Biicher der Kinige, Moskau 1846, $. 168, ff.; Smith, A dictionary of the Bible, II. 402-404. (6) Kaempf, a.a O., $.43. (7) Fabiani, lL.c., p.29. ig francese s° gna gia ad una pura e ara congettura, epperciò egli stesso finisce coll’ abbando- narla (2); quella poi del valente Archeologo italiano, ha contro di sè il non accennarsi mai in tutta la Bibbia. a Mòloch ,, come ad un Dio, o, se vuolsi, ad una forma, una manifestazione, una denominazione del Dio adorato dai figliuoli di Moàb (3). Nell’inciso, il quale ora s’appresenta ai nostri sind v ‘ha una lacuna, che è propria del sasso: al quale, secondochè risulta dalla copia del Ganneau (4) stata presa col recente metodo di caleamento, mancava una scheggia dopo le pa- role RR REI NnwY DINI. Il vuoto cui essa lasciava, a giudicarne ad occhio, era capace di tre lettere e non più. Dopo il medesimo seguivano due lettere, una jod ed una nun, che sembrano costituire la sillaba } — , terminazione caratteristica del plurale mascolino moabita, cui noi sap- piamo diffatto uscire appunto in simile guisa. — Naturale cosa era che dai vari Interpreti si proponessero diverse inaniere di supplirla. In generale considerano essi UPE come il costrutto di abb, plurale di N59, che, derivante. da NpJo , clausit, conclusit, cohibuit, continuit (9), ed anche più specialmente continuit claudendo (6), accenna, per valor di radice, ad un luogo chiuso (7); senonchè , sendo varie (1).Ivi. (2) Ganneau, l.c., p. 385. (3) Cf. Hitzig, a. a.0., 5.40. (4) Ganneau, l:c., p.372. i (5) Gesenius, Lericon, ad h.v. i “ig Ù (6) First, Consordaniica ad h. v. me: < ARI (7) E i appunto il derivato Nieto) ,. Ico significato. Fi 7 CN caula, ovile... (Cf. Gesenius, l. c., e Thesaurus, ad h. Volgi eil. cui plu- rale IRPI ricorre ne’ Salmi ( Psalm. L.:9; LXXVII, TONI A —_» le specie di un siffatto luogo, varie ne furono le interpre- “AA 137 tazioni egualmente che i supplementi proposti. Il Fabiani vici innanzi alla sillaba superstite v= il participio pi ), e, leggendo Uan Ds niy 258) PIP traduce: ed io feci i chiusi ddeniti del fuoco (2). Ma questa sua traduzione e questo suo supplemento, seb- bene abbiano un fondamento in ciò che la parola WN si- gnifica veramente fuoco (3), e nità lo) TP, che si voglia, (donde appunto il plurale moabita mp. equivalente all’ebraico DPR), è veramente participio maschile del verbo Tp ebraico, e Tp) caldaico, arsit, exarsit (4); tuttavia non possono trarre il nostro assenso, siccome ‘quelli che non hanno nessun fondamento, nè se contesto dell'iscrizione di Mesa, nè nelle pagine della storia rife- rentisi a Moàb; giacchè non consta, nè da quella nè da queste, che i Moabiti fossero dediti ai riti e ai sacrifizi orribili del culto di Mdloch. Il Noldecke inclinerebbe a leggere come ultima parola di cotesto inciso })*3 od anche 7, e considererebbe al frase ]"M md, come significante magazzini di vino, e quindi traduce: « und ich habe angelegt die Vorraths- hauser (5) », ed io stabiliù canove da mangiare, da bere e indica appunto i chiusi delle pecorelle. Nel qual senso il Dante scrivea: Come le pecorelle escon dal chiuso Ad una ad una, a due, a tre, e l’altre stanno Timidette atterrando l’occhio e ’1 muso. Purgatorio, III 75-81. | (1) Cf. Dan. III. 20, e Reineccius, Janua Hebraicae linguae V. T., “in Dan. III. 6. ” (2) Fabiani, I.c., p.29. i w (3) Gesenius, Lericon, ad h.v.; Fiirst, Concordantiae, ad h. v. (1) Gesenius, Lericon, ad h.v.; Fiirst, Concordantiae, ad h. v. (5) Noldecke, a. a. 0., $.14-15, # da ardere. Il che s’avverrebbe per fermo , e lavora egregiamente a chi, pur fra gli ozii della pace, correva. col pensiero ai formidabili eventi della guerra sostenuta pur dianzi, e bramava premunire contr’ a’ medesimi Ja sua diletta capitale. — Ma non dicendone il Noldecke come s’abbia a puntare e leggere il gruppo di lettere WxM trovantesi fra il ito) , magazzini, canova, e il PN vino, e per altra parte non trovando noi parola, o com- piuta o incompiuta, a cui quel gruppo di leltere s’av- venga, ed a cui appiccicare si possa il significato di grasce, legname e simili, non ci possiamo acconciare alla le- zione ed alla traduzione del valente filologo ed archeo- logo tedesco. L’ Hitzig (1), dal quale non discorda il Ganneau (2), e verso cui inclinano l’Oppert (3) e il Renan (4), conside- rando come le due idee di carcere e di delinquenti s’av- vengano egregiamente e naturalmente fra loro, e come a Ge- rusalemme si trovasse pure accanto al palazzo del re la pri- gione dei malfattori (5 (5), supplisce e legge TVWNS mod, le prigioni dei delinquenti, dei colpevoli. La quale. lezione e traduzione è certo probabile in se stessa; giacchè tanto la parola N59, del cui plurale 59 è costrutto il vo- cabolo nb, quanto la parola DWN, di cui è plurale DMUWN identico ad PRUN, scritto Sr moabitica, ri- corrono spesso nella Bibbia ebraica, quello in senso di (1) Hitzig, a.a.0., S.14.16. 40-41. È 1 È (2) Ganneau, l.c. — | (3) Oppert, /nscription de Mésa, dans le Journal Asiatique, Paris 1870, T.15, p.523; dans l@s Annales.de Philos: Chrét., T.8, Mars 1870, pag. ‘225. Série, XXV vol., p. 334. (5) Renan, l.c.. — Cf. Jerem. XXXII. 2. (4) Renan, /nscriplion de Mescha, dans la Revue ATRIA Nouv.. ; “carcere {1), questo in significato di colpevole (2), di de- 3 A | linquente (3). Per altra parte noi sappiamo che è parte e uffizio di buon principe procacciare che i delinquenti - siano gittati e sostenuti in carcere secondo i meriti loro; e il fatto di Alì, che una nuova prigione volle per ciò i pri appunto fabbricata, perchè dall’ antica riusciti erano a — 23 fuggire i carcerati (4), prova abbastanza come gli Orien- io tali si pregiassero di avere pe’ colpevoli salde ed osservate fi prigioni. Senonchè v'ha un'osservazione che ci vieta al da tutto di aderire a questa lezione e interpretazione del dol 24 Di dottore tedesco e del dragomanno francese, e questa sì è che la mem, unica lettera supplita da esso loro nella lacuna ricorrente sulla copia, anzi e nell’originale stesso di quest’iscrizione, non è tanta a colmarne il vuoto; giacchè basta un sol colpo d’occhio a scorgere come la medesima sia capace, non che di una sola, ma di due o tre lettere. Per la qual cosa noi preferiamo la lezione e la tradu- zione del dottissimo Schlottmann, il quale supplisce e legge pos TON it) « Hemmungén ( Sperrungen ) der Ergiessung fur das Wasser (5) », italianamente: impe- dimenti di effusione alle acque, o (come traducendo a senso, anzichè alla lettera, diceva in altro luogo) Behdltnisse fur Re die Bergwasser (6), d. h. grosse Reservoirs zu Sammlung der- i selben (7), ricettacoli delle acque, vuoi discendenti natural: fa (1) Jes. XLII. 7.22; Jer. XXXVII. 15.18; LII.33; I Reg. XXII.27; Il * Reg. XVII. 4; XXV. 97, 29; II. Chron. XVII 26. £ a (2) Habacuc, I. 11; Ezr. X. 19; Levit. IV. 22. 27; V. 2, 3,4. 17.23; A (Hebr.). — VI. 4. (rule. Ì È (8) I Gen. XLII. 24; IL Sam. XIV. 13. ne (4) Maràc, 3.59. 131. af: È (5) $chiottmanmi Addilamenia, a. a.0., S.445. Ming — . (6) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa’s, S.13. i Rate mic Schlottmann, a. a.0., 8.45. bal b 740 i J TI SRI o pi mente dalla Korhhàh e da altre circostanze di Dibòn, vuoi derivate artifizialmente mercè canali da esso lui “SR costrutti (1). E noi di fatto (oltre al sapere che x59 1) n custodiendo dictus (2) suona di per sè chiuso, custodia, D. epperciò anche fossa e ricettacolo, in che una qualche cosa — # o persona sì guardi e sostenga), troviamo pure le parole “a N°3 (3) e “2 (4), usate entrambe ad esprimere del è pari il concetto di carcere, di luogo di custodia; al che, i per vero dire, servivano nell’antico Oriente (5) le cisterne, a le fosse, lorchè prive di acqua. E quindi possiamo non AL senza ragione inferire, che come questa, così ancora pe quella venisse all'uopo usata eziandio ad indicare luoghi, br che servissero d’incarceramento alle acque e che, muniti ) sa di cateratte, ossia aperture con imposte di legno e simili 2 fatte per pigliar l’acqua e mandarla via a propria posta, ne è raccogliessero o distribuissero, secondochè fosse mestieri, È Mi .:5 (1) Il menare poi Vanto di tal fatta opere idrauliche era uso degli Sd antichi re orientali, come dimostrammo più sopra (cap. VII, $ 16) con varii esempli. A questi si aggiungano le lodi date dagli Egiziani a Meneptah I per ciò appunto, che « à l’exemple de Séti I et de Ramsès II, ses devanciers, il avait fait construire des citernes ou puits dans le désert, sur les voies de communication entre l’Égypte, la Syrie, et le Sinai (Chabas, Recherches pour servir à l'histoire de la XIXme Dynastie, p.106); e le parole con cui, fra gli altri vanti ch’ei mena di sè, « dans...le grand papyrus Harris, le plus long i et le plus beau de ce genre aujourd’hui connus,... Ramsès III nous x dit...au $ 8: ye construisis un très-grand reservoir dans le pays d’Ayîna (Chabas, l.c., p.b et 56)». i (2) Gesenius, Zezicon, ad h.v. me. (3) Jerem. LII. 33; IL Reg. XXV. 29, coll. II. Reg., XVII. 4; XXV. mi Be. Jes. XLII. 22. mu (4) Jes. XXIV. 22, coll. Jerem. XXXVII. 13; Exod. VII. 29. N: (5) Jahn, Biblische Archdologie, Wien, 1796-1805, I. Bi s 318; Winer, Biblische Realworterbuch, 1.3, $. 402. fe: fa é ® do sgioti miss ampee © nimaion ma 5a) niva2 N2 Wa ha A E non eravi cisterna entro la città nella Korhhàah, È e dissi a tutto il popolo, fatevi ciascuno una cisterna bici nella propria casa, ed io feci il cisternone in sulla Pa ; ROM RR i ca gi Korhhàh mercè l’opera de’ prigionieri israeliti. 19 A + ® 9 (lin. 24-26). e Tai È TAO, i So Rifornire di agi la sua città natia, divenuta oramai la. Si regale sua residenza, e premunirla ad un atto contro i Mi pericoli d’un assalto improvviso e i mali d’una diuturna i. ossidione era, a quanto pare, il doppio scopo cui Mesa 0, volgeva costantemente il pensiero in tutte le opere da Leo ‘lui fatte a pro della medesima. Poichè dunque a tal dop- vo pio fine giovava senz’altro il provvederla copiosamente i Ù a RE fc (1) Lin. 24. Si us” (2) Ganneau, l.c., p.382. i UD TASTE (2) Levy, a. a. O. LR (4) Lin. 11.12,24.29. Cf. le cose dette più Vo a Diari DU de ‘ Ganneau, l. c. (5) Od anche NOI, se le fosse. di acqua, non istetto pago il Sire moabita de’ ricettacoli ‘da lui fabbricati per raccogliervi e distribuirvi quella, che venisse dal di fuori della città portatavi dai diversi rivi lorchè pioveva, o derivatavi mercè canali da fonti perenni più o meno vicine ; ma volle ancora che provveduta fosse di altre sorgenti, od almeno di altre conserve di acque. Poichè dunque, da quel principe accorto ch'egli era, ben prevedeva che i vasti ricettacoli da lui stabiliti dentro la città ed alimentati mercè le acque condottevi dai vicini rivi o derivatevi da fonti più o meno lontane, a poco o nulla giovato avrebbero, dove il nimico, spintosi fin sotto a Dibòn e postovisi a campo contro la medesima, ne ta- gliasse gli acquedotti e ne deviasse i rivi; poichè inoltre «sapeva egli, come « e’ non v'era cisterna alcuna nell’in- terno della città e sulla Korhhàh », od almeno, « in quella parte della città, che su per la Korhhàh si distendea », impa Spa pa 7° 52 — forse perchè ai bisogni co- muni della vita sopperivano in parte i pozzi d’acqua viva scavati entro il ricinto delle case private, od almeno della ‘ città (1), in parte qualche fonte perenne, cui isolato aves- sero da questa, vuoi i muraglioni costrutti per cingere e ‘ sostenere i sacri boschi, la spianata, le scalee, le ter- razze del tempio da esso lui edificato a Chemòsc, vuoi le torri e gli altri baloardi, con che egli rafforzava quei muraglioni, e il poggio di Korhhàh chiudeva da ogni lato - e in gagliarda e formidabile fortezza tramutava (2) — co- (1) E di vero, a Dibén, secondo che scrive il Ganneau: « l'exi- stence de nombreur puits tailléis dans le roc a ète constatée par . MM. Palmer et Drake ». Ganneau, Un plan de"la ville de Dibòn. —_ © Revue Archéologique, Septembre 1870, p. 160. (2) Fonti rimaste per simili cagioni fuor del recinto delle mura, mandò egli al popolo tutto: « fatevi ciascuno una Gusti nella propria casa »; wr DIS NWI Dyn595 ON) mmo3 02: chè così appunto suonano i due primi in- cisi del periodo dell’ iscrizione di Mesa, ch’ ora stiamo illustrando. i Chiarito così il nesso tra le linee precedenti e i due primi incisi di cotesto periodo dell’ iscrizione di Moàb, ne è mestieri dir qualche cosa della parte critica e filo- logica dei medesimi. Nel primo adunque giova osservare collo Stanley e con altri dotti Orientalisti (1), che la pa- rola ebraica 93; (equivalente alla moabitica 93, in cui fu soppressa, come pressochè sempre in simili casi, la scriptio plena), distinguesi come dalla parola 7?Y, così ancora dalla sua affine mRI, in ciò che pr significa fontana, sorgente d'acqua viva, « a natural burst of living water (2); « e INI, pozzo,» luogo cioè scavato bensì arti- fizialmente, ma in cui si raccoglie acqua viva, “sgorgante cioè da sotterranee sorgenti » ; laddove 3 è cisterna x ossia « ricetto, per lo più scavato esso pure artifizialmente, ma in cui si raccoglie e si conserva acqua piovana (3) » Laonde le parole ‘pa NPp= 7 527 suonano: € icon non eravi entro la città. td La frase poi, che segue immediatamente, suonerebbe | in » sembrano essere state quelle di Betulia ricordate più sop (Judith. VII 7), e quella che si trovava in sulla porta di Betlemn (II. Sam. XXIII 15-16), ed a cui tre campioni fortissimi di Davidde, dato di piglio alle armi e passando per mezzo l’oste nemica, cani darono ad attingere l’acqua, di cui il loro principe, forte assetato. in quel punto, aveva mostrato desiderio, e gliela po (ivi, vv.16. — Cf. I. Chr. XI.16-18). be Daiav » (1) Stanley, Sinai and Palestine, pag. 509. - gino A Lavicon, ad h.v (2) Stanley, l. c. i STURA E, 108 (8) Ivi; p. 512-514. | (1 PRA E08 Ù O Va ) : 745 © Korhhdh se si punteggia Mpa; in sulla Korhhdh (in sul poggio cioè che s’ avea il nome di Korhhàh), ove si punteggi IMPI. Quindi il senso potrebbe essere benis- simo questo: « e’ non v'era su la Korhhàh cisterna che fosse chiusa entro i valli che circondavano e serra- vano d’ogni parte la città (1) ». — E poichè nelle lingue semitiche, e in ispecie nell’ebraica (2), si omette talora la particella congiuntiva 3 là dove noi la metteremmo (3), potrebbe benissimo, ove d’uopo, interpretarsi il testo di Mesa, quasi fossevi scritto: MPANNPI NPI; e perciò tradurre: « non v'era cisterna alcuna nell'interno della città e nella Korhhàh ». In qualunque modo però si legga ed interpreti, il senso sarà sempre lo stesso: Dibòn, cioè il suo tempio su la Korhhàh, e le circostanze del me- desimo cui oramai un muro ed una fossa serrava , di- fettavano di cisterne. (1) Con che accennerebbe forse all’ esistenza di siffatte cisterne fuori della città; quali erano ad esempio presso gli Ebrei quelle di Sechù (I. Sam. XIX. 22), di Hassiràh (II. Sam. III. 26), di Bethléhem (II. Sam. XXIII.15, 1. Chron. XI. 17), di Mitspàh (Jerem. XLI. 7. 9, coll. II. Reg XXV. 25), di Bezéth (I. Mace. VII. 19). nie Così, ad es., Gen. XXVII. 33: PITT NI NIDROI NIN « chi, e dove è colui, che prese della cacciagione e me È recò? » cda XV.5: DI DI MOR" UTI IY2N:; « ed arse le biade ch’ erano in bica e quelle ch’'erano ancora in piè, e le vigne, e gli ulivi ». — II Reg. XI. 13: S9pen8 miny yowm mm m3 DIDEN NM DIM PMI: « ed udì Atalia il romore di que "che correvano e del popolo; e se ne venne al popolo nella casa del Signore ». — Jes. LXII. 11: D3;y sm) )) (tadta) )) DIN mr nwa; « e il Signore si ricordò dei” giorni antichi di Mosè e del popolo suo ». — Hab. III. {1 : mpaI my nr vv: — « il sole e la luna si fermarono nel loro abitacolo ». (3) Cf., oltre la nota seguente, Exod. XXI. 28; Jos. VI 2; Jud. X. 18; I. Sam. IV. 8; II. Sam. XIV. 21; I. Reg.L. 1; VII. 50; IX. 6; XI, dia av. 30; II. Reg. X. 30; XII.4; XVII. 13; XXIII 15; ecc; (Re VERBO 4 "Provvide egli dunque a siffatto inconveniente, e ila, corda colle parole seguenti : Dyn-e55 PRI, e. dissi a tutto il popolo: 522 3 Ur va Nr : fatevi ciascuno una cisterna nella propria casa. Nel quale inciso giova no- tare che della parola DI, a voi, la 4, preposizione, fu supplita giusta il suggerimento dello Schlottmann (4), e il DI pronome personale della seconda persona ma- scolina plurale, già subodorato da quel valente Orienta- lista (2), fu poscia letto distintamente dal Ganneau (3) in quel frammento notevole di cotesta iscrizione che gli fu dato acquistare, e che ora fa parte della ricca colle- zione archeologica del Museo del Louvre. In nm, che ultima ricorre in quest’inciso, la M2, casa, scritta colla >» ne prova che, sebbene la scriptio de- fectiva fosse adoperata la maggior parte delle volte dai Moabiti, tuttavia la piena non era sempre evitata. Che se altri facesse le meraviglie al vedere annesso alla frase n°223 il suffisso della terza persona singolare, mentre sì il verbo e sì il soggetto che lo regge, ed a cui si riferisce la casa di cui si parla, sono alla seconda per- sona, noi gli ricorderemo anzitutto che tal fatta costru- zione era onninamente conforme al gusto ed all'uso degli Ebrei, e a farnelo capace senz'altro gli richiameremo al pensiero quella solenne sentenza di Cristo, con cui ter- minava la parabola del servo immisericordioso verso il fratello. Imperocchè, narrata la pena perdonatagli da prima, ma poscia, diresti quasi giusta la legge del taglione, inflittagli dal padrone in tutto il suo rigore, il Divin (1) Schlottmann, Die Siegessàule Hesa'e, Sea A sr (2) Schlottmann, a.a. 0. (3) Ganneau, 1. c., p. 385. . | —Salvatore conchiudeva questa sua parabola colle parole: HA “i « Sic et Pater meus caelestis faciet vobis: gay un &pîre S Si Exaotos TG dde”pio avtoù drò Tv xapdiòy vuòbyv: si non re- i va miseritis unusquisque fratri suo de cordibus vestris(1) »; DINI, fu letto, supplito e tradotto diversamente dai vari Interpreti. E certo il non ricorrere in nessuna parte del Codice Sacro ‘e del Talmud la paròla NOI, e soprattutto la lacuna che poco stante s'incontra, ed in cui è sparita una suli delle parole più importanti pel contesto, ne rende in- x certa sì la lettura e sì la significazione. — Si cominciò alunque col dissentire intorno alla radice, onde abbiasi si « —‘‘«@ derivare vuoi quell’ignoto vocabolo NNIDION, e vuoi x il verbo >M92 che lo precede: credendo gli uni che sia 7 MI, fodit, effodit (?); altri che sia invece M793, secuit, i 3 cecîdit, occidit, excidit, foedus iecit, sanzit (3). Perciò il Fa- È g:; E; | (4) Matth. XVIII. 35. _ (2) Gesenius, Lezicon, ad h.v. ao. — (8) Gesenius, Zezicon, ad h.v. > La “I Re ate ito | «e WIOGI dla TI 4 oa i UR RIA n'e fa vi DIO, SI \ pi * P I è (o 7A ” delta da bi v. = US si Ra + ae ©. à i La CEN È Mer A biani (1) spiega, come spiegava dapprima il Ganneau (2)f offri l’olocausto ; lo Schlottmann, decretai la proibizione di convivenza degl’Israeliti co’ Moabiti nella stessa città (3); l’Hitzig, dissodai il suolo ingombro, « ich habe die Rodungen gerodet »; abbattei cioè, com’egli poscia commenta, ab- battei le piante e gli sterpi ch’erano d’ingombro (4): lad- dove il'Noldecke (5), il Deutsch (6), il Kaempf (7), il De- renboursg (8), il Neubauer (9), lo Schrader (10), l’Oppert (14), il Levy (12), ed ultimamente il Ganneau (43) e il Bruston (14), veggono lo scavamento di fosse, di canali, o di cisterne, e leggonvi conseguentemente NNIDAN *D “9 al plurale (15), » (1) Fabiani, l.c., p. 30. (2) Ganneau, l.c., p. 188. (3) Schlottmann, Die Siegessiiule Mesa’s, S.13. 45.46: vgl. 22; Die Inschrift Mesa’s, a.a.0., S.255, u. 458-460. (4) Hitzig, a.a.0., S.16, u. 41-42. (5) Néldecke, a. a.0., S.6, n. 15. (6) Deutsch, in the Times, 3 march, 1872. (7) Kaempf, a.a.0., S.40-43. (8) Derenbourg, l.c. (9) Neubauer, Veber die so-genannte Mohabitische-Inschrifl i in Fran- kel’s Monalschrift, April-Heft 1870. (10) Schrader, Theol. Literaturbl., 1 Jun. 1870. (11) Oppert, l.c., p.225. i (12) Levy, a.a.0., S.10. (13) Ganneau, l.c., p.372-373. (14) Bruston, l.c., P. 337-338. (15) Tra questi annoverasi il Renan (/nscription de Mescha, de È p.-334-335), di cui ecco le parole: « Ligne 25. NNIIDON ne peut » guère étre que les conduites d’eau. 11 a déjà été question de » citernes et mème de fossés (inséparables des MON ). Ce qui » concerne les fortifications de Qorha est fini depuis longtemps. »— ampi prouve que le travail en question a été fait en » faveur de Qorha. — La suite, d’ailleurs, exige ce sens. Les ha- » bitants font leurs citernes (le travail individuel), et le roi fait » Ja conduite pour l'eau (le travail général, Lu les particuliers © I oppure III NI9 al singolare. E AUTO opi- nione ci sembra la più probabile, siccome quella che , accettabile filologicamente, s’attaglia egregiamente al con- testo, e s’addice perfettamente alla natura del luogo re- ligioso ad un tempo e fortificato, di cui qui si parla, e che è designato da Mesa col nome di Korhhàh. Anzi tratto essa è filologicamente accettabile, sì perchè accellata diffatto da que’ valenti Ebraisti cui citammo più sopra, e sì perchè 99 nel senso di scavare, è radice perfettamente ebraica, e per altra parte come da “N99 plerit, texwit, si fece presso gli Ebrei WIN, rete venato- rium (1) e poi NIDIV, rete piscatorium (2), — designando così con uno stesso nome , ma terminante in maniera diversa, due sorta di reti formate e destinate ad uso diffe- rente — non si vede ragione per cui presso a’ Moabiti non siasi potuto dalla radice 92, fodere, formare quinci la parola MIN fovea, fosso, e per ciò stesso e in senso più ristretto , cisterna, € quinci la parola NNIDN a desi- gnare così una fossa d’un genere un po’ diverso, ad es., una fossa più grande, un fossone, e, più determinatamente » ne pouvaient faire). Cela justifie la mention que fait Mescha de l’édit qu'il a porté relativement aux citernes. La mention de cet » édit, qui n’avait rien de particulièrement glorieux, ne se justifie pas, si cette mention ne devait expliquer un de ces travaux d’utilité publique dont Mescha est si fier. Les conduites d’eau » des villes de Syrie sont bien des NNNDY, des coupes dans le » roc, contournant les pentes pour maintenir le niveau ». — Sin qui egli: alla cui interpretazione noi non ci periteremmo punto accostarci, ove quella che noi proponiamo, ed in cui questa del Renan è implicitamente contenuta, non potesse ammettersi e do- vesse rigettarsi. (1) V. Gesenius, Zezicon, ad hh. vv. — Cf. Jes. LI. 20. | - (2) Gesenius, l.c., ad h.v. — Cf. Jes. XIX. 8. 0. x dd a RA ie ae î 750 ORSINI un cisternone (1); oppure da prima la parola mo. (o) NNISO, fossa (2), la quale poi al plurale uscisse in nm. fisse (sieno queste sotterranee od aperte), proprio diresti come presso gli Ebrei da MNDY audire, esaudire, si fece NIY, auditio, prex rata, al singolare (3), e Nin» 7 preces ratae, al plurale (4). S’attaglia poi egregiamente al contesto; imperocchè in tulto questo brano dell’esposizione di Mesa parlandosi di fortificazioni ed altri apparecchi di difesa, e nell’emistichio precedente menzionandosi il difetto di cisterne nell’ in- terno della città e su la Korhhàh (o, se vuolsi nell’in- terno della città verso la Korhhàh), gli è al tutto naturale, che eziandio in quest’ultimo si parli pure di simili mu- nizioni da guerra e da bocca; naturale che fra le prime si annoverassero fosse, vuoi sotterranee, vuoi aperte, che vieppiù ne assicurassero i difensori e le difese; na- turalissimo poi, che si accenni a cisterne, od almeno ad un cisternone grandissimo, costrutto in sulla Korhhàh a cessare il lamentato difetto. Per la qual cosa corre spon-. taneo, bello, compiuto il senso dell’iscrizione di che ci stiamo occupando, ove con noi si traduca: « E' non v'era cisterna nell'interno della città e sulla Korhhàh (oppure, nell'interno di quella parte della città che si stende sulla Rorhhàh): il perchè dissi a tutto il popolo: fatevi cia- (1) Un riscontro cel porgerebbe all’uopo il Cisternone di Livorno. (2) Così dalla radice 209 si fece INN e DAD, scriplura, scriptum. Del resto i nomi ‘appunto di fossa , fossaccia , fossarella , fossetta, fossicella, fossicina, fosso, fossone in italiano bastano a dimostrare quante forme e terminazioni diverse possa assumere una stessa radice, quando usata ad esprimere forme e sati diverse di una stessa cosa. REI (3) Jud. III. 31; V.6. — Cf. Gesenius, Lericon, ad h.v. (4) Jos. XXI. 18. 15 erat I n — scuno una cisterna nella propria casa ed io scavai le cisterne, o, se vuolsi, il cisternone che v’ha sulla Korhhàh ». S’ avviene in fine egregiamente alla natura del luogo onde si tratta, il quale, tempio e fortezza ad un atto, abbisognava evidentemente, come di sotterranei, di mu- raglioni, di fosse, così ancora di acqua e di cisterne. E ne è prova irrefragabile il tempio di Gerosolima con le sue sostruzioni, i suoi muraglioni, il suo cisternone, e tutto il suo doppio aspetto di fortezza insieme e di tempio (1). i Rimane più solo a colmare in una maniera soddisfa- cente la lacuna che tosto ricorre: Nap. Or ci sembra che questa si colmi egregiamente, ponendo e leggendo Sani maa, mercé i prigioni d’ Israele, fa- cendovi cioè lavorare i prigionieri israeliti. La quale ver- sione ha saldissimo fondamento come nella filologia e- braica, così ancora negli usi de’ vari popoli e in ispecie degli Orientali. — Ha saldissimo fondamento nella filo- logia ebraica; giacchè nel Codice Sacro assai volte ricorre la preposizione 2 nel senso di mediante, mercé, e vi è usata bene spesso ad indicare appunto che una data cosa venne fatta coll’opera, o, se vuolsi, mercé l’opera di questo o di quello (2). — DIMAX poi, di cui MX è costrutto, siccome plurale di uns , usato anche nel Codice Sacro (3) invece di MOR, participio passivo Kal del verbo 3NMX, cepit, prehendit, apprehendit, prehensum, captum tenuit (4), (1) C£. Tacitus, Historiarum , V. 12. — V. pure più sopra, Alti, vol. IX, p. 790-791. (2) Cf. Exod. XIV. 2; Lev. VIII.32; Num. XXXV. 2; I Sam.II. 1; Psalm. BO*XVHI. 30; XXI.8; XLIII. 6; Jes. X.1; XLV. 17, etc. — V. Noldius, Con- cordantiae Particularuî Erase: Obaldaicatinti , ad h. v., n.19, p.150. — (8) Cf. Num. XXXI. 30. 47; Esther, I. 6; I. Chron. XXIV. 6. — (4) Gesenius, Zericon, “ h.v. — First, loc. cit., ad h.v. - è _ Be: di. " sta benissimo per prigioni, prigionieri , cattivi (1). a tie sare poi della costoro opera in lavori manovali, e spe- cialmente di strade, di fòsse e simili, com'è presente-. mente uso de’ moderni, così il fu pure de’ popoli antichi, e in ispecie, come vedemmo altrove (2), degli Orientali. Cadono pertanto le obbiezioni mosse dallo Schlottmann. contro questa nostra opinione. Imperocchè egli stesso. confessa che queste parole si possono intendere di for- tificazioni (3); or fortificazioni e altri apparecchi di difesa, epperciò non solo mura, torri, porte, torricelle, ma e. anditi sotterranei e fòsse a piè de’ vari muri e de’ varii ricinti, e cisterne e pozzi, e vasche s’'avvengono egregia- mente a Santuario, che sia ad un atto e acropoli e tempio. Egli stesso, parlando della versione del Neubauer, che, supplendo SRIU) "Wan, traduceva: And i made a ditch se (1) E qui nuovamente ne allieta il trovarci d'accordo col Bruston, di cui ecco le parole: « Nous avions pensé d’abord à lire simple-; » ment [w ]N2 , par les hommes d’Israél. Mais comme la lacune » paraît supposer plus d’une lettre, nous préférons maintenant restituer SN°U Dima, les prisonniers d’Israél, ce qui Ungne » aussi un sens bien plus satisfaisant (cp. Ps. LVII.1; Nomb. xx » 30 ete., et l’éthiopien A4-H [prononcez ekhoîùz] caplif).» di Bruston, l.c., p.338. — Consente pure, se non nella parola, certo nel concetto il Renan, il quale pensa che abbiasi a leggere, « à la » fin de la ligne 26: SNO” MONI cu Siam rie DIOR avec des captifs d’Israel» (Renan, 1. c., p. 335). (2) V. sopra, capo VII, $17.--- Di simil cosa vantasi pure Ramses ul, = nel gran papiro di Harris, dove, al $ 5 della sua iscrizione, Vifiti > Zak nous dit qu'il employa les prisonniers de la confédération des | Libyens, Sardiniens, Sicules et Etrusques à fabriquer ‘d’ètoffes pour les temples et produire du blé pour les greniers publics ». di Ghabas, — Recherches pour servir ù l'histoire de la XIXme Dynastie, p. 190 Ver: a Addit., a.a.0., S.458, (3) Schlottmann > Siegessîiule Mesa's, S.45. f.; Die Insehrift Mese; | si - - n" = LI MA SE dI - pias Mg =. e I A round Korhah with the men Israel (1), « ed io feci una fossa attorno alla Korhhih mercè uomini di Israele », è co- stretto a confessare che questo « angefangene Israe- liten als Arbeiter denken », questo correre cioè col pensiero a prigionieri israeliti come lavoratori in quest'opera, la è per fermo «eine nicht ible Combination », una combinazione non cattiva (2). Egli stesso infine non saprebbe obbiettare cosa alcuna alla medesima, tranne l’impossibilità di espri- mere questo concetto servendosi a tal fine della pura e pretta preposizione beth »: « Das kann doch unmiglich durch das blosse 2 ausgedriickt werden (3) ». Se non che l’autorità de’ Lessicografi, e, che più è, i molti esempli da esso loro recati in mezzo, e que’ più numerosi ancora pro- dotti dal Glassius (4) e i moltissimi citati dal Noldius (5), provano appunto tutto il contrario. Laddove il volervi supplire e leggere, com’egli fa: PRI) DI NINNI MIMPa NONDANNNI DIN) «und ich verhingte das Verbot fur Korcha gegen ‘die Genossenschaft mit dem Volk Israels (6) » : ed io divietai in Korhhah ogni fratellanza (ossia pacifica coabitazione) con gente israelitica : non ha per fermo nessun fondamento nè nel contesto, nè in quel parallelismo che è così proprio de’ Semiti, ch’egli stesso pone così bene in rilievo (7), e che favorisce co- tanto la nostra lezione e versione. — Il perchè, dato pure che questa sua non sia priva di fondamento filo- (1) Neubauer in the Times, 29 March 1870. (2) Schlottmann, Die Inscrifi Mesa's, a.a.0., S. 459-460. (2) Schlottmann, a. a. 0., S. 459. (4) Glassius, Phi/ologia Suore. D: 41072741731 (5) Noldius, 1. c. (6) Schlottmann, a.a.0., 5.254. f. (7) Schlottmann, a.a. 0., S. 452-459. ne ee è te at, Ad N e: al : La POI I 754 a ii ce logico (1); dato pure ch’essa trovi un appoggio e nell’an- tica (divietata sì, ma tuttavia pacifica ) coabitazione ‘degli Ebrei e de’ Cananei in varie ville e contrade della Terra Promessa (?), e nel recente patto di mutua tolleranza e coesistenza de’ Maomettani e de’ Cristiani, vuoi a Kerék, = conosciuto colà sotto il nome arabo di Hudr (3), e vuoi nell’Albania, designatovi col nome albanese di Bessa (4); dato pure che un tal divieto sarebbe stato opportunissimo in chi temeva o prevedeva non che probabile, ma forse vicino un nuovo assalto da parte dell’ antico oppressore e nimico sfidato di Moàb (5), non ha esso in suo favore nient'altro che-una pura e pretta possibilità. Tant'è che a niun altro venne in mente tranne che a lui, e, da lui proposta, non fu da nessuno accettata. Del resto quanto Mesa afferma aver fatto a Dibòn e al Santuario da lui eretto a Chemòsc là sulla Korhhàh. è, come vedemmo più sopra (6), ciò appunto che Ta storia conta aver fatto in parte od in tutto, in non dissimili contingenze e per lo stesso fine, prima della cattività ba- bilonica, Davide (7), Salomone (8), Roboamo (9), Asà (10), Ozìa (11), Ezechia (12) fra gli antichi Reali di Giauan ®; (1) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S.45- 46. (2) Uf. Jos. XVI. 10; XVII 13; ‘Jud. 1 21, pu 29. 30; III. Sì tig XIX. 16. sqq. (3) Schlottmann, a.a.0., $.22. (4) Schlottmann, Die Inschrift Mesa's, a. a. 0. , S. 460, È (5) Schlottmann, a.a.0., $. 429. (6) V.sopra, cap. VII, $$ 7.14..15..16. (7) II. Sam. V.9. segg., coll. I. Chron. XIV. 1., (8) I. Reg. VII. 1. segg. (9) IL. Chron. XI. 5-12: cat (10) IL. Chron. XIV. 6.7; et Jerem. XLI.9. coll. 1. Reg. NI 16, segg. TA Chron. XVI. 1. segg. MEET E 0 aa ‘ (11) II. Chron. XXV.10. , fpnnaniiita + bo; GA (12) II. Chron. XXXII. 5; Jes, XXII. 9. segg. ibi ice TT niga log % La dopo questa, vuoi Erode il Grande a Macheronte (1), a Gerosolima (2), ed altrove (3) : e vuoi gli Ebrei rispetto alla loro metropoli (4) e al loro tempio, a detta medesima di Tacito (5), f (1) Josephus Flavius, De Bello Juduico , VII.6.2. (2) Josephus Flavius, Antigg., XVIII. 7.2, coll. XV, 11. 3 segg., 8.5; Xx, 93. (3) Josephus Flavius, Anligg., XV. 9. 4; XV.9.6.. (4) Josephus Flavius, De Bello Judaico, V.4. (5) Tacitus, Historiarum, V.12. (Continua). L’Accademico Segretario GaspaRE GORRESIO. DONI FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO paL 1° aL 31 marzo 1875 | Rad Iugoslavenske Akademije Znanosti i Umjetnosti; Knjiga XXV, Ace. di Sc. ed Arti degli Slavi merid. (Agram) XXVI. U Zagrebu, 1873-74; 8°. Programma certaminis poétici ab Academia Regia disciplinarum Neer- landica, ex legato Hoéufftiano , indicti in annum mpcecceLxxvy. Monatsberichte der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften R. Accademia delle Scienze di Berlino. zu Berlin; December 1874 und Januar 1875. Berlin, 1875; 8°. Mémoires de la Société des Sciences physiques et naturelles de Bor- deaux; 2 série, tome I, 1 cahier. Bordeaux, 1875; 8°. Annales de l’Observatoire Royal de Bruxelles (qui ne nous parvien- nent pas régulièrement); Mars 1875 (pag. 17-24); 4°. Journal of the Asiatic Society of Bengal, etc. new series, 1874, vol. XLIII, part I, and II, n. 1-3. Calcutta, 1874; 8°. Proceedings of the Asiatic Society of Bengal, etc., n. I-IX, January- August, and November 1874. Calcutta, 1874; 8°. On the Osteology and Peculiarities of the Tasmanians, a race of man Società Olandese delle Scienze di Harlem, — recently become extinct; by Joseph Bernard Davis, Harlem, 1874; 4°. bi: Révision des espèces insulindiennes. de la famille des Synanceoides ; -li sù par P. BLEEKER. Harlem, 1874; 4°, Bonatori R. Accademia di Amsterdam, Società — elle Scienze, fisiche e naturali di Bordeaux, R. Osservatorio di Bruxelles, Seciétà asiatica — del Bengala (Calcutta). Id. Id, x Ru Società Olandese delle Scienze di Harlem. Soc. Geologica di Londra, Id. Società Chimica di Londra. R, Istituto Lomb, (Milano). Società Italiana di Sc. naturali (Milano). >» R. Osservatorio Ù di Brera SI (Milano). RR. Deputazioni de. di Storia patria AR (Modena). Accademia di Sc. e Lettere di Mompellieri, a Società Reale di Napoli. Be Amministrazione . delle min. di Fr. (Parigi). — Soc, Geologica | di Franeia pa (Rarigi). va POR Imp, Botanico | (Pietroborgo). Soc.di ‘360 fig ‘Bulletin de la Société de Géographie ele.; Janvier SEO 1875; "> i Archives néerlandaises des Sciences exactes et naturelles, pabiigae: par la Société Hollandaise des Sciences à tome IX, 000 Harlem ; livr. 4 et 5. La-Haye, 1874; 8°. | The Quarterly Journal of the Geological Society, etc; vol. XXX, n. 120, part 4. London, 1874; 8°. - List of the Geological Society of London. November, Ist, 1874; 8°. Journal of the Chemical Society, etc. November, December 1874, and January 1875. London, 1874-75; 8°, Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; serie se- conda; vol. VII, fasc. 5-7. Milano, 1875; 8°. Atti della Società Italiana di Scienze naturali; vol. XVII, fase. 4, fogli 22 a 30. Milano, 1875; 8°. Pubblicazioni del R. Osservatorio di Brera in Milano; n. IV-VI, IX. Milano, 1874-75; 4°. 3 Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia patria per le pro- vincie Modenesi e Parmensi. Vol. VI, fasc. 6, ed ultimo. Modena, 1875; 4°. Mémoires de l’Académie des Sciences et Lettres de Montpellier; - Sec- tion des Sciences, tome VIII, 2 fasc., année 1872; - Section de Médecine, tome IV, 6 fasc., années 1870-71; - Section des Lettres, tome V, 4 fasc., année 1872. Montpellier, 1872-73; 4°. tr: i Ce. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di Scienze mo- rali e politiche di Napoli; Aprile- Dicembre 1874. Napoli, 1874; 8°, Annales des Mines etc., septiòme série; t. VI; 4ème et 5ème livr. de 1874. Paris, 1874; 8°. i a EE. Bulletin de la Société Géologique de France, 3me série, ‘tomi ui, x n. 3. Paris, 1875; 8°. E MRO pstyi 8 5; #. SPRAI 128 (in ia russa). S. Pietroborgo, 1874; 8°. $ si . L È x RI OCIREO STATISTICA DEL REGNO D’ITALIA, Annali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio; - anno 1874, n. 70, Statistica. Roma, 1874; 1 vol, 8°, Movimento dello stato civile; anno 1872. Roma, 1875; 1 vol. 8° gr. > Bollettino meteorologico mensile; sii 1874 (pag. 141-160); Marzo 1875 (77-112); 8° gr. Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia, pubblicate a cura del R. Comitato Geologico del Regno; vol. I, e parte 1 e 2 del vol. II. Firenze, 1871-74; 4°, Annuario della R. Università di Siena; anno accademico 1874-75. Siena, 1875; 8°. i Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; n. 6-11. To- rino, 1875; 8°. Annali della R. Accademia d’Agricoltura di Torino; vol. XVII. To- rino, 1874; 8°. Bollettino medico-statistico della città di Torino; dal 31 Gennaio al 24 Marzo 1875; 4°, L’Alpinista; Periodico mensile del Club Alpino italiano; Febbraio e Marzo 1875; 8°. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; tomo dice serie Li Fap 4 e 5. Venezia, 1874- 75; 8°. Denkschriften der K. Akademie der Wissenschaften; Philosophisch- historische Classe; XXIMl Band. Wien, 1874; 4°. Sitzungsberichte der I. Akademie der Wissenschaften; Mathem.- Naturw. Classe; erste Abth., LXIX Band, 4 und 5 Heft.; - LXX Band, 1 und 2 Heft; - zweite Abth., LXIX Band, 4 und 5 Heft; | _- LXX Band, i und 2 Heft.; Heft. ; - LXX Band, 1 und 2 Heft, Wien, 1874-73; 8°. Ministero di Agr., - dritte Abth., LXIX Band, #40: bi ci ag Ind. e Comm. (Roma). Id. cr 5 Do v Id. Dai « PILE n at R. Comitato 60] Geologicod’Italia o È (Roma). DA R, Università 8 di Siena, RL R. Acc. di Medie. di Torino. R. Accademia. d’Agricoltura ta di Torino. > Il Municipio gi di Torino. Il Club alpino Italiano (Torino = + a R, Istit. Ma * (Venezia). — —& | A sci | delle Scien ur, 3 Accademia Imp, ni. delle Scienze a di Vienna. Sa È SA Ex Sig. Principe È B. BONCOMPAGNI. pe: Id. be” A i L'Autore. x) w : MS ri. 4 TS e Mo - Sil] î ‘I STI ug: = L’A. tanti E. a » ee a “a dA LA. F; rà. Ni; TA ae CH a Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften; -Phitunopli Maio historische Classe; LXXVII Band, 1-4 Heft; - LXXVII Band, 1 Heft. Wien, 1874; 8°. Register zu den Bénden I-LXX der Sit- zungsberichte der Philosophisch-historischen Classe etc. Wien, 1874; 8°. Archiv fiir ésterreichische Geschichte, etc. LIT Band, 1 Hàaifte. Wien, 1874; 8°. Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche, pubblicato da B. Boncompagni; tomo VII, Novembre e Dicembre 1874. Roma, 1874; 4°. n Intorno alla vita ed ai lavori di Monsignore D. Barnaba TORTOLINI, Cenni del Prof. Vincenzo DrorIo. Roma, 1875; 4°. La sterilità in rapporto alla moderna terapia; Relazione del Dottore Giuseppe BeRRUTI. Torino, 1875; 8°. La Meteorologia e l'Osservatorio di Camerino; Discorso pronunziato nell’inaugurazione di detto Osservatorio dal Direttore Professore G. BertI. Camerino, 1875; 8°. Osservazioni della declinazione magnetica, fatte ad Aosta, Moncalieri e Firenze, in occasione dell’eclisse di sole del 26 maggio 1873; Nota del P. Francesco DenzAa, Barnabita. Roma, 1873; 4°. Sulla distribuzione della pioggia in Italia nell’anno meteorico 1871-72; Memoria del P. F. DENZA, Direttore dell’Osservatorio del R. Collegio CarLo ALBERTO in Moncalieri. Torino, 1874; 8°. Riassunto delle osservazioni meteoriche , eseguite nelle Stazioni presso alle Alpi italiane nell’anno 1872-73, raccolte sotto la direzione del P. F. DENZA, ecc. Torino, 1874; 8°, Il Congresso internazionale de’ Meteorologisti, riunito a Vienna dal 2 al 16 Settembre 1873; Relazione del P. F. DENZA, ecc. Torino, 1874; 16°. RELLI ed il P. F. DENZA. Anno Y, 16°, + NE n i 38 3 di. "3 Osservazioni delle meteore luminose nel 1874-75; per G. V. Scniapa- — E: iii Ballettino di Archeologia Cristiana, del Commendatore Giovanni Bat- ni tista DE-Rossi; anno VI, serie seconda, n. 1. Roma, 1875; 8° gr. Le Industrie, l’Agricoltura e il Commercio; Periodico settimanale diretto da’ Professori ELIA e PANIZZARDI; anno IV, n. 13-16. To- rino, 1875; 4°. Bollettino legale di Macerata; n. 23 e 24. Macerata, Proposta di una Sperienza che può risolvere in modo decisivo la questione : se l’etere nell’interno dei corpi sia con questi collegato e li segua ne’ loro movimenti totalmente, parzialmente o punto; per Giovanni Luvini. Torino, 1875; 8°. Equazione d’equilibrio di una massa gassosa sotto l’azione della sua elasticità e della forza centrifuga; di Giovanni Luvini. To- rino, 1875; 8°. Osservazioni meteorologiche fatte in Alessandria alla Specola del Seminario dal Prof. P. PARNISETTI, 1874.. Alessandria , 1875; 8°. Note sur la température de l’hiver de 1874-75; par M. Ern. QUETELET. Bruxelles, 1875; 8°. Sulle burrasche del 19 e del 25 febbraio 1875; Lettere del Dottore 1875; 8° gr. F. Minà PaLumpo e del Prof. D. RaGoNA. Modena, 1875; 24°. Esercitazione geometrica; per P. Riccarpi. Modena , 1875; 4°. 18755 16°. Biblioteca civica di Torino; Relazione del Direttore Daniele Sassi. Torino, 1875; 8° gr. SILORATA; disp. 218 e 22°. Roma, 1874; 8°, Sulle attuali condizioni degli Osservatorii Astronomici in Italia; Re- lazione del Prof. P, TACCHINI, Palermo, 1875; 4°, La Georgica di Virgilio; versione poetica di Giuseppe Sapio. Palermo, La Sacra Bibbia tradotta in versi italiani dal Comm. Pietro Bernabò L’Autore. i Direttori. Sig. Dott. R. FOGLIETTI. L’Autore, id. L'A. 6 de Glì Autori, — > Il Traduttore, fue a Ne; n Ricco CA Il Traduttore. | ee, riso Ueber die Wasserabnahme in he; Quellen, Hi bei gleichzeitiger Steigerung der Mochwàsser in den Culturlè nt von Gustay Wex. Wien, 1873; 4°, ORI Ta ves 40 PREV EE Bs: di Melato ) > x alli x artigo - ” . - ren Mk s AR P à : % LUIS SIE A (7 2008 i sin ara e pere alatttcany (91° th Di Ò dai Mer 7 : ° Sl i it 0 : Ea CÒ ‘ s riti UT:-HP? IOEROI Eldar ‘w Ae A P LL 1514 FOO DIARIO A ag j | ati ERRO: f ) di i squaARI ft P veli ri li “aglio erge “a ud *a.] 3 i Maia SIO0 da is . PIA O, avo t0 rt > LAI ; ‘ si “VARE NR TIREN ATA Le Ali CRIIO LAND À SI EE: utt RLARI DAUMbA AI O SCROI fi; LIGA sun MTA È ata Lib nr Par rioni di z ‘ CLASSE DI = SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Aprile 1875. Ra! AZUA : du CELSO ZAR | —‘’ DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE de: - = Adunanza dell’11 Aprile 1875, PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Cav. Prof. B. Gastratpi comunica alla Classe ; "î la seguente lettera a lui diretta dal sig. Prof. A. IsseL: Pregiatissimo Signore, ma 3 Dopo aver letto col più vivo interesse la sua preziosa Memoria sulla geologia delle Alpi occidentali, nella quale ella avvalora di nuovi argomenti e considerazioni l’opi- 9 nione che le pietre verdi sieno antichissime roccie d’ori- ‘gine sedimentare, mi sentii invogliato di ricercare, per ; «mia istruzione, se in Liguria si verificassero i rapporti i stratigrafici, che ella segnalava in varie località delle Alpi, fra le serpentine e le formazioni paleozoiche. Pertanto, SA «non appena potei disporre d’una giornata libera, cioè il so | 20 gennaio scorso, mi recai a visitare i monti e i colli Hp “a che sorgono a settentrione di Sestri Ponente, tra i quali Bs. Be emergono potenti masse ofiolitiche. In questa gita, che s | feci in compagnia del mio discepolo signor Ferdinando DeAMEZAGA , ebbi occasione di osservare un fatto che mi sembra nuovo per la storia delle serpentine, e che perciò non deve esser privo d'interesse per la S.V. ES OSza Ea) É x ‘ NEI FAR sulla riva sinistra del torrente Chiaravagna, nel punto denominato Cabianca, m’imbattei in una gran massa ser- pentinosa, la quale per tratti assai estesi sè converte in una roccia bollosa e cellulosa, che conserva d’altronde ie caratteri esterni della serpentina. In tutta quella formazione ofiolitica vha come un in- dizio di stratificazione, il quale si presenta assai più ma- nifesto poco lungi da Cabianca , sul rivo di Borzoli, un po’ più innanzi della Villa Doria. Ivi i supposti strati sono diretti dal S. 0. al N.E. magnetico , ed inclinati di circa 80 gradi con immersione a mezzogiorno. L'Ofiolite vacuolare (mi valgo di questa denominazione generale, non essendo ancora ben definita la natura della roccia) è di color verde-bigio traente ora all’azzurro, ora al bruno sulle fratture fresche; di color bruno-verdastro con macchie rubiginose sulle superficie da lungo tempo esposte agli agenti atmosferici. Essa è tutta sparsa di cellette e bollicine, distribuite con una certa regolarità Nella via che conduce. dal bbrEO di Parigi a Horioli A mella massa, le quali variano assai per forma e dimen- ‘sioni. Queste cellette sono più o meno fitte nelle diverse parti dell’affioramento, e, al massimo se ne contano, nei saggi raccolti, circa 20 per centimetro quadrato; la loro forma è qualche volta sferoidale, più comunemente ovale, elittica, od anche assai allungata e ridotta a sottil fessura. In ogni caso quelle che sono allungate presentano un’o- sa rientazione costante, e quasi sempre l’estremità più as- sottigliata del vacuo è rivolta dalla stessa parte, precisa- mente come si osserva nelle cellule generate in seno ad di: “una corrente di lava in movimento. Sopra una faccia di naturale di uno dei campioni da me raccolti si ‘vedot inoltre i margini delle cellette un po’ rialzati, come LA » vi bi » Li de » zi, » 1 . nie £ MT Sd - RR i a 767 = Ù ani , * » | sero residui di vescichette scoppiate alla superficie di un CA corpo semiliquido o pastoso mentre si rapprende. M 3 più piccole. Uno dei saggi raccolti è pur coperto super- | pareti interne delle cellette, e riempie anche talune delle Le bolle e i vacui hanno generalmente pochi millimetri di lunghezza, nè vi mancano forellini assai minuti, anzi decisamente microscopici. Talvolta le cavità essendo più ampie ed irregolari, la roccia assume, secondo i casi, un aspetto cavernoso o cariato. Nei pezzi più cellulosi ebbi ad avvertire sottili fenditure rettilinee, parallele fra loro, che mi sembrano fratture di ritiro. i La tessitura del minerale apparisce sotto la lente fina- mente granosa o fibrosa, con qualche oscuro indizio di struttura cristallina; la frattura si effettua per ischegge irregolari e scabre. La sua tenacità è mediocre, la durezza intermedia tra quelle dell’Apatite e dell’ Ortose ; il suo peso specifico è presso a poco 2,50; dico presso a poco, giacchè il gabinetto mineralogico dell’ Università di Ge- nova, in cui eseguii questa determinazione, non possiede ssi che una bilancina appena buona a pesar le lettere. i La superficie della roccia, ove fu lungamente esposta È all’azione dell’aria e dell’ umidità, si mostra coperta da ui una sorta di ruggine titanifera attirabile dalla calamita; a la sostanza medesima riveste di un intonaco bruno le x ficialmente di un tenuissimo velo di microscopiche squam- mette verdi, lucenti che mi sembrano Clorite. i I L'Ofiolite vacuolare cimentata alla fiamma avvivata del i _ cannello ferruminatorio, si fonde agevolmente in ismalto. | nero, mentre a pari condizioni la serpentina ordinaria È non si altera visibilmente. Essa apparisce poco solubile i > @ negli acidi minerali, sì a caldo che a freddo, e non pro- . muove effervescenza. L’acido cloridrico in cui si è fatta *. ie 5 RARE O gui 2 VS; Ki TAC DIR f digerire dopo averla ridotta in polvere, somministra coi reattivi segni evidentissimi di protossido di ferro e di cromo. À questi si riducono i saggi eseguiti fin qui sulla roccia sopra descritta; e comunque sieno insufficienti, se ne può tuttavia inferire che la composizione dell’Ofiolite cellulosa non sia quella della Serpentina tipica. Io sospetto infatti che vi intervenga, in piccola proporzione, un ele- mento pirossenico, forse epidotico. Per mia disgrazia, la R. Università di Genova, in cui per ragione d’ufficio at- tendo ai miei studii mineralogici, non mi somministra i mezzi di eseguire più complete indagini. Le reiterate do- mande che io feci (da nove anni che ho l'onore di pro- fessare in questa Università) per ottenere alcuni utensili ed un piccolo assegno a vantaggio del gabinetto minera- logico, riuscirono sempre senza effetto. I tratti nei quali si presenta l’ Ofiolite vacuolare non furono ancora misurati; ma è certo che la loro spessezza complessiva non è inferiore ad un centinaio di metri. Da questi si passa per insensibile transizione alla Serpentina compatta verde-scura, varietà comunissima nella Liguria occidentale. La massa serpentinosa che comprende la roccia di Borzoli si estende dalla Polcevera al Chiaravagna, e ad essa appartiene la piccola propaggine che sotto il nome di scoglio di S.Andrea divide la spiaggia di po da quella di Cornigliano. Lungo il torrente Chiaravagna la medesima formazione si continua in una brecciola ofiolitica di bellissimo aspetto, la quale in un punto situato a poche centinaia di passi a valle di Panigà, sulla sinistra del torrente, si vede ada- giata, con reale o simulata concordanza, sugli strati più recenti del calcare magnesiaco del monte Gazo , ascritto dal Pareto al periodo cretaceo. Ivi il calcare, contorto, PENSO pe Ce-S 7 ICE, ET OE n Pe Ai | silicee, è appena riconoscibile. Ma, poco lunge, sulla destra del torrente, si aderge in regolari e potenti stratifica- zioni quasi verticali, in cui sono aperte le note cave di | pietra da calce del Gazo. Da quanto venni esponendo credo di poter concludere una eosa sola; ed è che la massa serpentinosa di Borzoli, «nei punti in cui offre la struttura vacuolare, si trovò molle o pastosa, sotto l’influenza di un’alta temperatura, mentre si sviluppavano in essa abbondanti vapori. Non saprei spiegare altrimenti i vacui allungati, le bolle a margini rialzati, e le fratture di ritiro che impartono alla roccia un aspetto così caratteristico. Con queste poche osservazioni, limitate ad un caso spe- ciale, anzi locale, non intendo intervenire nella discus- sione che ferve tra i geologi circa l’ origine delle Ser- pentine e delle roccie analoghe, ma mi propongo soltanto di richiamare la sua attenzione sopra un fatto che non fu ancora avvertito dagli studiosi della nostra litologia. i I caratteri dell’ Ofiolite cellulosa le saranno dimostrati con maggior efficacia di quanto io non abbia saputo fare colla mia descrizione, dall'esame di alcuni saggi che mi permetto di indirizzarle. Le sarò grato se, dopo averli « veduti, ella si compiacerà di comunicarmi il suo auto- revole parere in proposito. Qualunque giudizio ella sia per formarne, dovesse anche riuscir contrario alle mie conclusioni, mi applaudirò , nell’interesse della scienza, d’ averlo provocato. ; Mi creda di lei, signor Professore, | Affezionatissimo collega ed amico Pale Arturo IssEL. «_ »—’ Genova, il 3 marzo 1873. WES, GS 769. indurito, compenetrato di vene e reticolature spatiche e i ; à è E, s cal 57 n A d VE sep SP È, Terminata questa lettura , il Socio Gasrarpi fa in pro- posito le seguenti osservazioni : : L’esame dei due esemplari inviatimi dal Collega IsseL non mi convincono punto che la roccia in questione stasi trovata allo stato molle e pastoso, sotto l'influenza di u®' alta temperatura, mentre si sviluppavano in essa abbondanti vapori. Sono dispostissimo a credere con lui che le pietre verdi, come tante altre rocce, si sono trovate per un tempo allo stato pastoso, ma non posso adattarmi a vedervi rocce la cui struttura sia dovuta all’ azione di elevata tempe- ratura. La roccia è probabilmente una Anfibolite ; essa fonde facilmente al cannello in ismalto nero. 3 Uno dei due esemplari presenta sulla faccia di fresca frattura una massa cellulosa terminata da due lati da uno straterello di roccia perfettamente compatta, e l'ispezione dell'esemplare lascia supporre che quella massa dovesse, prima di venir staccata dalla madre roccia, essere allun- gata ed in tutto il suo ambito circondata dalla suaccennata zona di roccia compatta. Esternamente alle due zone com- patte si vedono porzioni di altre masse cellulose, per cuì si deve conchiudere che, in grande, la roccia consta di un’alternanza di masse cellulose e di zone compatte; al- ternanza che non si confà guari colla supposizione che nella roccia siansi sviluppati abbondanti vapori. | Kees Le cellule hanno forma sferoidale più o meno nt tita. Nell’esemplare che descrivo la massa cellulosa ha 6 centimetri di lunghezza, tre circa di grossezza, e le due > zone compatte hanno da sei a sette millimetri di gros — sezza. Tre soluzioni di continuità rettilinee, una continua, A - - _ edita n a eroe ester “meo AA A san 771 I | 1 i ; l’altra interrotta, la terza guasta dalla frattura, si esten- dono con perfetto parallelismo dall’una all’altra delle zone compatte tagliando obliquamente la massa cellulosa. Traccie di identiche soluzioni di continuità trovansi su altri punti dell'esemplare sempre taglianti le masse cellulose. La forma rettilinea di questi vani non va punto d’ac- cordo con quella sferoidale degli altri; ed anche per questo lato non si confà coll’idea emessa dal Professore IsseL, che dalla roccia si sviluppassero abbondanti vapori durante lo stato di mollezza per alta temperatura nel quale essa si trovava. Per supporre che quelle soluzioni rettilinee di continuità raffigurino fessure prodotte dal ristringimento della massa, converrebbe che, almeno in generale, quella massa fosse compatta e non cellulosa. In quei vani adunque, in quelle cavernosità, in quelle soluzioni rettilinee di continuità io non posso vedere altro ‘ fuorchè lo spazio una volta occupato da qualche sostanza minerale, ora in tutto od in parte scomparsa per decom- posizione. Avendo del resto rimesso al signor Professore G. Spezia i due esemplari di roccia, con preghiera di esaminarli, egli ne ruppe uno che offre evidenti segni di scistosità, e trovò che sulla faccia di frattura sono disseminati piccoli noduli di un minerale verde che pare essere Clorite. Quei noduli hanno tutto l’aspetto di essersi formati contem- poraneamente alla roccia, e non per trasudazione della roccia stessa, o per filtrazione, entro a vani lasciati dal- l'espandersi di vapori. A Il sig. Cav. Prof. Alessandro Dorna, Direttore del Regio Fi "i Osservatorio astronomico di Torino, nel presentare alla. n «e Classe alcuni lavori dell’ Osservatorio "astronomico , pro- “i — nuncia le parole seguenti : i "; Presento alla Classe le Osservazioni meteorologiche ordi- i De, narie dell’anno 1874, state fatte in questo Osservatorio È: i di Torino dai Professori Donato Levi, Giuseppe Mazzota, veg Angelo CÒarRIER e dal custode Giacomo Custino. Le 0s- "20 servazioni sono state redatte dal sig. CHARRIER, @ SONO illustrate da diagrammi e riassunti mensili, e dal rias- IS sunto annuale. Le presento acciocchè vengano annesse ai nostri Atti, come quelle degli anni precedenti. aaa a di Hathi OOO 23 CIAO AO » ingr i Palo SPIRI sortite SI A è E 1 VO ESTR soir. Cata bi si vi sata piri 160 CLS N i i | > di e TE Ra clip d; a3grisan tata, ti ‘ RAI 7 E n MIU n x POINSTTO mg «—— do RE n Di; 5; Adunanza del 25 Aprile 1875. a «di PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS ; È Il signor Comm. Prof. P. RicneLmy, Vice-Presidente, —_—’legge alla Classe il seguente scritto : i IMPRESSIONI "I PRODOTTE DALL’ ESAME DELLA MEMORIA DEL COLONNELLO CONTI SS zi w g s INTORNO ALL'ATTRITO. 3a ; Avendo io da alcuni giorni a questa parte avuto occa- SA : sione di fare un esame della importante Memoria che il de È chiarissimo signor Pierro Conti, Colonnello nel Genio mili- AR tare, scrisse intorno all’attrito e pubblicò negli Atti della “a Accademia dei Lincei, questo studio mi fece ritornare sovra — —‘—’—un’idea che da lungo tempo ha preso stanza nella mia 6 testa e che, siccome quella che può parere altrui sin- . —’golare, mi peritai finora di emettere. pi $ La comunico, egregi Colleghi, a questa Accademia non | ‘come una nuova dottrina, ma come una proposizione che mi pare vaglia la pena di essere ponderata e discussa. Il primo sentimento che destò in me la lettura della Memoria del Colonnello Conti intorno all’attrito, fu di Sila ammirazione per la sagacia e la cura con cui vennero La dall'autore condotte le esperienze che instituì, avendo anzi letta eziandio la relazione che sulla Memoria e sulle ‘esperienze fece all’ Accademia dei Lincei il chiarissimo Professore CrEMoNa, non potei convenire con quest’ultimo 247 SA nno Pa laddove trova meno che esatto il modo col quale l'attore È Ugl: stabilisce la inclinazione all’orizzonte della trave sulla i quale faceva scorrere i corpi. Pare a me che se sia stata esattamente soddisfatta la condizione che l’asse del can- nocchiale con cui mirava alle stadie passasse per il punto da di rotazione della trave, e se le due stadie sulle quali puntavasi siano state ben fatte e collocate a distanza esat- tissima da quest’ultimo punto, la indicazione della tangente dell'angolo potea ben riguardarsi come rigorosa. Premesse, ora queste parole di giusto e ben meritato encomio al chiarissimo autore delle esperienze, siami lecito di esporre nudamente e senza ambagi il mio pensiero. Emetterò qui sul bel principio la mia principale propo- sizione che potrà, come già dissi, parere strana a più di un fisico, ma che tuttavia intesa, come verrò in seguito indicando , parmi l’espressione di una verità. La proposi- zione è la seguente: | Nella ricerca delle leggi con cui sì compiono i fenomeni naturali, e delle espressioni con cui possono queste leggi. venire formulate, uno scrupolo eccessivo a fine di distin- guere le minori differenze è quasi sempre inutile, soventi.. volte dannoso. Le varie dimostrazioni che verrò esponendo del teorema. varranno a convincere della sua verità, ed a dichiarare com’io lo intenda. Ed in prima dirò: che nei fenomeni. ° della natura quasi sempre concorrono a, variare caso dal ei caso molte cagioni delle quali è fortunato colui il quale | giunge a conoscere, o se non a conoscere, almeno ‘a for- DS Si mulare la principale o le principali; disgraziato invece quell'altro il quale vorrebbe tutte copulativamente .con- templarle, tutte tenere a calcolo nelle espressioni alge- EE briche con cui il fenomeno viene formulato. La confusione ici NI a DI che ne nasce produce due danni assai seguir; i | SE v 775 dr — l’uno è che sovente la legge che io dirò grandiosa e più sea «_—‘generale non si scopre più; l’altro che la formula o Je «formule diventano così complicate, così moltiformi che a R non sono più di pratica applicazione; ciò che per altra | ‘parte è lo scopo essenziale di questo genere di ricerche. E°. E quanto al primo non fu egli detto, forse con un po’ di ragione, che se Newton fosse nato un ducento e anni dopo, quando cioè i progressi della fisica e della i astronomia avevano già insegnato molti fatti da lui tut- fe tavia ignorati, la legge dell’attrazione universale sarebbe i ancora fra le incognite? E, per venire a cose di mecca- nica più terrestre, nell’idraulica, quanti fatti non sappiamo noi. almeno grossolanamente calcolare appunto perchè i 4 nostri maggiori li riguardarono sotto l’aspetto più vasto Lo ‘della approssimazione senza discendere alle minime diffe- renze? La formula generale della foronomia per cui la ‘portata di una luce è espressa col prodotto dell’area di questa per la velocità dovuta all'altezza di carico e per un coefficiente che non a caso si disse di contrazione; Bi. quella che esprime la pressione sotferta da un corpo “di immerso in una corrente e la dice grossolanamente pro- |’ porzionale all’area battuta ed al quadrato della velocità; la antica formula di CHezy per mezzo della quale la resi- | ‘’‘stenzadi attrito cagionata dalla scabrosità delle pareti si Gi ritiene proporzionale al quadrato della velocità media, ed È. all'area della parete bagnata, forse non sì sarebbero sco- Rs perte dai nostri moderni fisici, quando questi avessero SI . voluto immediatamente racchiudere in esse tutte le ca- ‘ot FR gioni per cui ora si viene variando dall’un caso all’altro fe. il valore del coefficiente o dei coefficienti. A questo mio È i ragionamento altri potrà rispondere che almeno adesso, “a poichè la forma della espressione è accetiata dai fisici, ner LZ dé x ra cima ni » ge x FOR RIN pi e non si tratta più che di correggere il coefficiente pe rendere cotesta formula il più che possibile conforme ai fenomeni naturali e capace di rappresentare tutte le va- rietà di casi, almeno adesso torna se non necessario cer- tamente utile il farlo, mettendo a calcolo tutti gli argo- menti di variazione nei coefficienti medesimi. Ma qui, mentre volentieri concedo che sono utili e talvolta ne- cessarie molte correzioni successive, e che è utile sosti- tuire ad un coefficiente unico una serie di coefficienti da adottarsi gli uni o gli altri secondo i varii casì, più altre ragioni subentrano tuttavia per non permettermi di conceder troppo. Se le cause per cui le correzioni devono farsi ci fossero tutte esattamente conosciute e noi sapes- simo di ognuna calcolare esattamente l’effetto, potrebbe fino a un certo punto ammettersi l’utilità di tutte intro- Aurle nelle nostre formule, ma da cotesta conoscenza noi siamo ben lungi. Valgami ad esempio la citata for- mula di Cnezy. Nella sua semplicità essa si riduce alla Ri=aV?, in cui per R si intende il raggio medio della sezione trasversale del canale, è è la pendenza, V la velocità media, a il coefficiente. Or questo coefficiente, il quale certo non può ritenersi come costante, sarà evidentemente per di- pendere da tutti i seguenti argomenti: 1° La stessa ve- locità media; così Prony ed ErreLweIn lo cambiarono in +8; poi la pendenza, che venne introdotta da GauxLeR, Huwxpnrey e Appor e da altri; in seguito il raggio medio ed implicitamente la lunghezza del perimetro. della sezione trasversale, in funzione di questo ima rono il coefficiente fra gli altri Darcy e Bazin; poi la lar- È i . ghezza della linea di contatto fra la corrente e l’aria atmo- - sferica come stabilirono gli stessi già citati HuwPunEY e _ ABBOT; poi il grado di scabrosità della parete come adotta- rono i suddetti Darcy e Bazin, non che i signori GANGUILLET e Kurrer nella formula da questi ultimi proposta. Che = se mi si chieda quale sia l'influenza di ciascuna delle b: suddette cagioni, e come rappresentarla, io devo confes- 1 sare e con me devono pur confessarlo tutti gli idraulici, È: che nessuno esattamente lo sa, e che tutte le formule p proposte dai diversi che ho fin qui nominati sono ap- | ‘—’@prossimazioni che servono in un esempio, in un altro no. Dirò ancora di più: che quand’ anche si conoscesse per r bene l’influenza di ciascuna cagione, nei casi pratici non sì saprebbe quasi mai applicarla opportunamente. Se noi . DE prendiamo infatti ad esempio la lunghezza del perimetro d ‘bagnato, la quale è per certo uno degli arsomenti di È i maggiore importanza, si può egli dire che essa si conosca i b con qualche esattezza in molti canali naturali ovvero nei fe fiumi? Allorchè il canale o fiume è soggetto a mantenere | ao) |. erbe palustri ovvero a trascinare sabbie o pietre, non è i ella questa lunghezza variabile di giorno in giorno e | ‘starei per dire di momento in momento ? Fingiamo È che in quella data sezione di cui si calcolò la larghezza delperimetro, aggiungendo alla larghezza superficiale quel picciol numero di metri che si credè essere contenuto nelle sponde, vengano ad arrestarsi alcune pietre. La lor sezione trasversale abbia un dato perimetro p, mentre non tocca l’antico fondo che per una parte l del medesimo; Ù ecco un numero p — che effettivamente dovrebbe essere s compreso nel perimetro della sezione trasversale bagnata, i ae del quale tuttavia non si sarà tenuto conto. E notisi che E se le pietre siano molte ovvero grosse il numero p — / À SY #R ù, può diventare assai considerevole anche a. fronte. di i quello; — » che si giudicò essere il perimetro bagnato. Quindi. è che. a mio giudizio non si giungerà giammai a comprendere in una sola formula la legge di movimento dell’acqua. in tutti gli alvei, e sotto un certo aspetto parmi che chi in questa bisogna mostrò di meglio intendere il fenomeno, furono gli illustri LowBarDINI e Turazza, i quali ripresero. l'antica semplicissima espressione di CaEzy e solo. propo-. sero di dovere a seconda dei diversi casi e talvolta anche per tentativi stabilire il valore del coefficiente, adattan-. dolo a quel dato fiume o tronco di fiume sul quale si vogliano portare ì nostri studi. Che se a comprendere in una sola espressione alquanti più casi particolari, si voglia adottare una formula un po’ meno semplice, fer- miamoci almeno a quelle composte’ di ‘pochi termini e non irte di radicali su radicali, e parimente non discen- diamo a dividere e suddividere i canali in tante cate-. sorie, delle quali in ogni caso pratico non sapremo più . quale prescegliere. Taluno potrebbe qui tacciare queste. mie considerazioni di scetticismo e di sconforto , io tut- . tavia le credo vere, e godo notare che in quasi tutti . i casi pratici l’approssimazione grossolana che si ricava. dalle formule più semplici è ancora sufficiente per lo scopo che più sovente l'ingegnere si sarà proposto. Prendo un secondo esempio nel calcolo degli attriti fra i solidi. Per questi la formula semplice che è gene-. ralmente adottata consiste nel dire che la loro forza ri-.. tardatrice è data dalla pressione moltiplicata per un. coefficiente. Il valore poi di quest’ultimo varia, secondo > CouLows e Morin, in funzione della natura dei corpi che. Di si io della rt ca delle iso fibre, del logan: lege % yi LA e della'durata preventiva di questo contatto, e finalmente di- pende dalla maniera di movimento relativo dell’un corpo rispetto all’altro. I due citati sperimentatori, e soprattutto il secondo, diedero perciò una assai estesa tabella dei valori medii del coefficiente da adottarsi in ogni sepa- rato caso particolare. Pare qui a me facile il sentire che vale assai meglio questa maniera di procedere anzichè quella per cui si sarebbe adottata una formula più com- plessa, e che dipendendo nei molti suoi termini da tutte _ le accennate cause avesse i coefficienti assolutamente co- stanti; eppure conviene confessare che questa e non la adottata esprimerebbe la vera legge della natura. Ritornando ora alla formula premenzionata soggiungerò che intanto il CouLomB, almeno per approssimazione, il Morin, in modo definitivo, dissero cotesti coefficienti medii indipendenti dalla estensione delle superficie venute a contatto , dalla loro mutua pressione e dalla velocità. Contro questa asserzione mossero dubbi, forse fondati, parecchi fisici, fra i quali il Colonnello Conti, ed istituite nuove seri&di ben condotte esperienze crederono po- tere stabilire come legge assai generale che sì la velocità quanto la pressione specifica influiscono sul valore del coefficiente d’attrito. Il Conti, in ispecie, condannando l’uso di contentarsi nelle ricerche fisiche di coefficienti medii, siccome quelli che valgono a mascherare le vere leggi della natura, trova molti difetti nel modo di proce- dere del Moris, e sostituendo i risultati proprii a quelli del Generale francese, crede poter stabilire che il coeffi- ciente d’attrito: 1° Cresce col diminuire della pressione unitaria; 2° Aumenta fino a un certo punto colla velo- s »; cità; giunge ad un valor massimo, poi diminuisce mentre la velocità continua a Baldo Aggiunge a queste due una 51 terza legge con cui asserisce che l'aumento e la diminu- zione del coefficiente segnati nella seconda sono meno sensibili al crescere della pressione assoluta. Ebbene a malgrado che io non voglia negare i risultati del ConTI nè disconoscerne l’importanza, tuttavia non oso proscri- vere, come pare che egli vorrebbe venisse fatto, l’im- piego dei coefficienti medii del Morin o di quegli altri che nei casi soprattutto di grandissima velocità verrebbero forse sostituiti ai medesimi. È Noto qui in passando che le leggi enunciate dal Conti, ammesse pure per vere, non potranno essere sostituite ai coefficienti medii di Morin fino a tanto che non siano formulate in guisa da ricavarne numeri; ed in secondo luogo non siano accompagnate da criteri giusti per mezzo dei quali il pratico possa con sicurezza dire: in questo caso, che or mi tocca risolvere, a trovare il vero, coeffi- ciente, devo procedere in questo od in quel modo. Sog- giungo poi che anche quando la teoria sarà ridotta a simile punto, lascierà tuttavia luogo a dubitare se con- venga farne sempre yso o pur no. È da avvegtirsi infatti che assai sovente nei meccanismi il lavoro consumato: per causa degli attriti non è fortunatamente che una picciola. parte di quello disponibile: per esempio i 10.0. 12 centesimi, ed in simili casi se, prendendo un valore approssimato, si venga a pur fare un errore di, calcolo, ma si possa essere quasi certi che l’errore commes sso è inferiore al 10 o 12 per cento del vero valore; è ‘200 dente che l’influenza del medesimo sul risultato finale, siccome quello che diventa inferiore all’uno, uno e, mezzo, — o due per cento, sta nei limiti delle approssimazioni, Li alle quali è inutile la speranza di spingere . slarRoptito conoscenza. sirsigoti Aid ist pina! » dr dé i i 781 Or bene, se col citato modo di procedere posto a con- fronto del metodo più esatto che, suppongo, si sarebbe potuto seguire, siasi risparmiato anche una sola mezz'ora di tempo, non dovrassi essa, cotesta mezz’ora, ascrivere a vero guadagno? Che non aggiungerò poi se spingo le mie riflessioni al caso non infrequente in cui la introduzione di un valor medio per la forza e per il coefficiente d’at- trito rende possibile un calcolo, il quale, ritenendo la formula generale di quella forza o di quel coefficiente, forse supererebbe la nostra scienza? Qui io accenno a quel secondo danno cui ho enumerato nel principio di questo scritto siccome conseguenza di formule troppo complicate. A far concepire tutta la mia idea mi è necessaria una breve considerazione sul modo di procedere del calcolo. La formula generale per cui si deduce l’effetto di una mac- - china in moto si enuncia nel modo seguente: L'effetto utile della macchina è uguale al lavoro mo- tore svoltosi nello stesso tempo, meno la somma di quelli consumati dalle resistenze passive, e meno l’aumento di forza viva che possa essere successo dal principio al fine del tempo considerato (Se la forza viva siasi diminuita, il termine da negativo diventa positivo e viene ad ‘aggiun- gersi al lavoro motore, cioè la macchina durante quel tempo ha anche lavorato un po’ a spese della forza viva. Se questa poi sia la stessa al principio ed al fine del tempo, il termine si annulla ed indica un movimento uni- forme o periodico. Non è però qui. il caso di fermarci sovra queste considerazioni). Le resistenze passive ridu- consi sovente agli attriti, od almeno questi sono sempre | compresi fra le resistenze passive. Sia L, il lavoro consumato da uno degli attriti, E la forza d’attrito, ds lo spazio descritto nella direzione della medesima durante l'elemento di tempo dt, sarà da in- trodursi nella citata equazione fra gli altri il termine Li=[K ds. Ora se F, si ritenga per approssimazione co- stante ed uguale al suo valor medio, l’integrazione potrà probabilmente eseguirsi, ed il termine L, venir calcolato; se si voglia ritenere F, come funzione della velocità, la quale varia da istante ad istante e di cui non si conosce ancora l’espressione in funzione degli spazi, l'integrazione immediata non si eseguisce più; converrà ricorrere ad una differenziazione e cadere sovra una equazione sovente non integrabile; se poi invece della velocità l’attrito fosse anche dato soltanto in funzione dello spazio, forse diven- terebbe ancora difficile per non dire impossibile al grado della odierna scienza l’ integrazione del termine | Fi ds. È questo a mio avviso uno dei più ragguardevoli van- taggi che si ha nella pratica dall'uso dei valori medii, ed è in vista soprattutto del medesimo che stimo utile il ridurre a forme semplici le espressioni delle forze che avranno ad introdursi nella equazione del lavoro. Si ottiene così una approssimazione anche un po’ lontana dal vero se vuolsi, ma che pur è capace di darci un'idea del modo di esistere del fenomeno, e dell’ effetto che possiamo riprometterci da quel dato meccanismo, impie- gando quel dato motore, disponendo gli apparecchi in quella data maniera; si introdurrebbero a vece le for- - - = mule più esatte che rappresentano le resistenze passive colle loro rispettive vere leggi supposte scoperte, conse- guenza è di non potere più procedere ad integrazioni, e di trovarci per conseguenza arrestati fin dal principio del calcolo. Egli è ben vero che io suppongo che la appros- È Cd ui n= 3 183 simazione che si ottiene col primo metodo stia nel limite del due per cento a un di presso, o meglio nel limite degli errori inevitabili in questo genere di ricerche, e che tutto il mio ragionamento cadrebbe se cotesto limite venisse superato. Ma a dimostrare che il primo caso è il più frequente, e che il secondo non sì avvera quasi mai, posso prevalermi degli stessi risultati ottenuti dal signor Colonnello ContI, citando così un testimonio non sospetto. Nel ricordare, che qui farò, la sua Memoria, e nel citarne le diverse parti, mi si permetterà intanto che io vi scorra lungamente sopra, e che faccia avvertiti quei molti ragio- namenti che se ne ricavano per sempre meglio confortare la mia tesi. Fra questi uno mi pare degno di nota fin dal bel principio; di 2000 esperienze che dice avere isti- tuite, le leggi che credè di potere stabilire non sono appoggiate che a sole 139. Cioè egli abbandona 13 espe- rienze ogni 14 (1). Del qual fatto la cagione credo con- sista in ciò, che a modificare il coefficiente dell’attrito concorre gran numero di argomenti dei quali probabil- mente alcuni distruggono l’effetto di altri, per modo che il poter sceverare le vere leggi della natura riesce assai di rado. Fra cotesti argomenti ne nominerò semplicemente (1) Parmi di essere autorizzato alla conclusione che ho sfiorata nel testo supponendo che Ie esperienze taciute non valgono a confermare le leggi stabilite dal Colonnello ContI, perciocchè egli fin dal principio notò che si credeva obbligato a fornire larghe | prove delle proprie asserzioni. Forse in ciò sono troppo severo; in cima alla pagina 28 sta scritto che tutte le striscie spogliate confermano le leggi concluse. Ma, oh quanto il Colonnello Conti avrebbe fatto meglio a registrare molte più esperienze! Avrebbe con ciò assicurato il lettore contro il sospetto, che ha sempre, che l’autore di una data proposizione, | —per quantunque conscienzioso, trovi una conferma della medesima laddove altri non trova che probabilità. i T84 VS AIRONE Ù fe, alcuni notati dal medesimo signor Conti o da altri. Ciò N sono la grandezza delle superficie che si toccano sovente e diversa da quello che si crede, lo intaccarsi più o meno apparente delle superficie medesime, la durata del con- “ia tatto preventivo, il succedersi di una esperienza all’altra. Di quest’ultima cagione di mutamento nel coefficiente di 4 attrito, l’autore ha lungamente cercata e discussa l’im- AI portanza ed i suoi risultati, che più sotto citerò, gli danno o È in questa parte compiutamente ragione, ma appunto h perciò scemano la credibilità delle altre sue leggi. Non V: ho fatta menzione del grado di untura, poichè l’autore 3 dice di averlo sempre ottenuto talmente uniforme che E anche dopo parecchi giorni cogli stessi zoccoli si rica- A ‘17 deva sui medesimi coefficienti. Parmi tuttavia che anche P di questo grado di untura siavi qualche ragione di du- È: + bitare che si conservi identico per le stesse esperienze. 9 consecutive. Aggiungasi finalmente agli altri motivi di DA variazione nei coefficienti, il più importante forse di tutti, a così giustamente rilevato dal CREMONA, la alterazione cioè. ; che succede nella elasticità dei corpi per la loro suc- pa, cessiva confricazione e per causa del peso sostenuto. A Ecco ora molti risultati che ricavo dalle esperienze del tal Colonnello Conti, e dal loro confronto con i numeri otte- sd nuti dal Morin. Comincio dalle superficie sgrassate e per Da ogni esperienza ricerco nelle tabelle numeriche del Conti il massimo, il medio, ed il minimo coefficiente dell'at- trito. I quadri che qui registro sono tutti disposti col. | medesimo ordine , la pressione unitaria va sempre cre- SR scendo da una esperienza alla seguente: , -— è. Pret NUMERO [PRESSIONE CORFFICIENTI della | pe meio | eee TT esperienza 1344 1347 1350 1345 1349 1346 1348 1041 1040 1035 1036 1037 1038 1042 Osservazione. — Il coefficiente medio ‘di MorIN è 1150 1149 1128 1133. 1134 1129 1131 quadrato 8349,8 8349,8 83498 | 15674 22999 30323 30323 Massimo Medio Ghisa su Ghisa 0,1702(V= 1,4) 0,1712(7=14) 0;1723(V =1,4) 0,1675(V=1,4) 0,1666(V=1,4) 0,1640(7= 1,4) 0,1640(Z=1,4) 0,1563 0,1593 0,1588 0,1547 0,1555 0,1528 0,1504 Coefficiente medio generale ‘0,1561 Osservazione. — Il coefficiente medio dato da Morin è 0,152. 28610 30882 36029 36029 36029 36029 86338 3960,8 1951 6864 7812;1 10105 13020 15199 Acciajo su Ghisa 0,2224(V=1) 0,2288(V=1) 0,1873(V=1) 0,1989 (V=1) 0,2079 (V=1) 0,2195(V=1) 0,2203 (Y=1) 0,2113 0,2152 0,1807 0,1911 0,1969 0,2083 0,2116 Medio generale 0,2026 Ferro su Ghisa 0,1889 (V=3,4) 0,2083 (V= 3,6) 0,1993(V=1,8) 0,1735(V=1,8) 0,1790(V=1,8) 0,2026(V= 1,6) 0,1717(Y=1,8) 0,1731 0,1753 0,1952 0,1714 0,1761 0,1995 0,1691 Medio generale 0,1800 Osservazione. — Il coefficiente medio di Morin è 0,194. Minimo 0,1451(VY=2,4) 0,1511(7V=0,4) 0,1477 (P=2,4) 0,1433(V=2,4) 0,1447 (V=2,4) 0,1417(V=2,4) 0,1481(V=2 ) 0,1893(V=0,4) 0,1922(Y=0,4) 0,1727(V=1,6) 0,1806(V=0,4) 0,1838 (7=0,4) 0,1946(7=1,6) 0,2070(7=1,6) 0,202. 0,1624(VY=1) 0,1561 (V=1) 0,1928 (Y=1,2) 0,1696 (V=1) 0,1734 (7Y=1) 0,1975(V=1) 0,1671(V=1) ' NUMERO [PRESSIONE della esperienza e e «| ——T_—_—_—_—_—_—_—_—____—_T———T—_T_— 1189 1190 1190bis 1191 1192 1193 1194 ! 1195 “i 1188 E # 1774 ag 1783 fo 1785 7 Sg 1780 Mc, 1784 SE 1786 per metro quadrato 1254,3 6032,9 10811 13200 9933,4 9933,4 9933,4 9933,4 9933,4 9933,4 9933,4 9933,4 18590 10441 10441 10441 34863 41074,7 47074,7 COEFFICIENTI... |l Massimo nn Bronzo su Ghisa 0,2296(YV=1,2) 0,2536 (V=1) 0,2022 (V=1,2) 0,2172 (V=1,2) 0,2209 0,2336 0,1916 Medio generale 0,2138 Osservazione. — Il coefficiente medio di Morin è 0,217. 0,1848(V=12) 0,1904(Y=1,4) 0,1967(V=1,4) 0,198 (V=1,4) 0,2073 (V=1,4) 0,2084(V=1,2) 0,2095 (V=1,2) 0,2105(V=1,2) 0,1819(7V=1,2) Ottone sovra Ghisa 0,1821 0,1867 0,1926 0,1910 0,2010 0,2040 0,2054 0,2069 0,1777 Medio generale 0,1933 Quercia su Ghisa 0,832 (V=1) 0,3961 (V=1.) 0,3994 (V=1) 0,3587(V=1,2) 0,3610(V=1) 0,3621 (V=1) Medio generale 0,3723 Osservazione, — Il coefficiente medio di M. 0,3774 0,3892 0,3976 0;3523 0,3574 0,3599 0,2092 0,2102 (V=0,8) 0,2088 (V=2 ) 0,1792(V=08) 0,1967 (V=1,8) 0,1776(V=0,6) 0,1817(V=1,8) 0,1876(Y=0,8) 0,1819(Y= 0,4) 0,1955(7=0,8) 0,1997 (V= 0,8) 0,2012(V=0;8) 0,2028 (V= 0,8) 5,1732(P=0,4) Osservazione. — Il coefficiente medio di Morin è 0,189. | La direzione delle fibre della quercia essendo normale a quella del moto, 0,3642 (P=1,6) [fl 0,3743 (V=1,8) 0,3941(P=1,4) 0,3452(V= 1,6) 0,3484 (V=1,6) 0,3565 (Ve 0,6). Pi ORIN è 0,372, — te | vuntero [pressione] — COEFFICIENTI della | per metro ; n ‘esperienza | quadrato | — Massimo Minimo Ghisa sovra Bronzo 808° | 52559] O,1411(7=1,8) | 0,1405]| 0,1399{v=2) 804 | 12082 0,1348(V=41,8) | 0,1342| 0,1337(V7=2) 805 | 18907 0,1311(V=41,8) | 0,1305| 0,1300(7V=2) Medio generale 0,1351 Osservazioni. — Il coefficiente medio di Morin è 0,147. Ogni esperienza del Conti è formata di due sole velocità. Da questi quadri più conseguenze importanti possono de- dursi. In primo luogo il mirabile accordo in tutte le materie esplorate fra i coefficienti medii che si ricavano dalle espe- rienze del Conti e quelli che il Morin dedusse dalle proprie fa l'elogio di entrambi, e concorre con altre ragioni cui accennerò in seguito a dimostrare che il Colonnello Conti fu assai severo nel giudicare le esperienze ed i procedi- menti del Morin. In secondo luogo può vedersi che le massime discrepanze fra i coefficienti medii calcolati ed i più grossi, ovvero i più piccoli su cui cadde il Conti, sono per ognuna sostanza piuttosto piccole che grandi ; "A la maggiore di tutte ha luogo nel caso del bronzo cor- i rente sovra la ghisa, ma è essa stessa inferiore al. 20 p. °/,- n Vuolsi adunque conchiudere che almeno per i contatti no. di superficie senza unto si può generalmente far uso, senza Pigi: | tema di errori troppo grandi, dei coefficienti medii. Nella ge i qual conclusione sta la proposizione che mi tocca di di- È: mostrare. Infine oso, abrepta occasione, aggiungere ancora È la seguente osservazione che si ricava dai quadri medesimi, (Se REATI ah che cioè la prima delle tre leggi annunciate dal Colonne Conti, se appare probabile dall’ andamento generale di queste esperienze, non può tuttavia dirsi colle medesime. ad esuberanza dimostrata. Nelle esperienze di ghisa sopra ghisa abbiamo la 1345 in cui colla pressione unitaria di 15674 chilogrammi troviamo il coefficiente medio 0,1547, mentre nella esperienza 1348 colla pressione quasi doppia di 30323 chilogrammi il coefficiente è maggiore, cioè 1554 (1). In quelle dell’acciaio sulla ghisa vedesi il massimo fra î coefficienti medii quasi essere quello che corrisponde alla. massima fra le pressioni unitarie. Conseguenza analoga deve ricavarsi dalle esperienze fatte col ferro scorrente sulla ghisa, per le quali il più grande fra i coefficienti medii corrisponde alla pressione unitaria di 13020 chilo- grammi, mentre per pressioni unitarie, sia minori sia maggiori, veggonsi i coefficienti medii tutti più piccoli. Per le esperienze del bronzo sulla ghisa il coefficiente cresce passando dalla pressione di 1200 chilogrammi a. quella di 6000, poi cresce di nuovo passando da quella di 10800 a quella di 13200, infine per la quercia sulla ghisa appare di nuovo contrario alla legge del Conmi il paragone fra le esperienze n° 1780, 1784 e 1786. Onde è forza conchiudere che dei sette quadri più sopra riferiti. (1) A chi mi chiedesse perchè nello esaminare le esperienze del. Conti io abbia cercato valori medii ed abbia ragionato sopra di essi, mentre l’autore protesta contro la ricerca dei medesimi, è ovvia la risposta. Volendo paragonare una tabella con un altra, dio avrei dovuto fare il paragone di ciascun coefficiente della prima. con quello della seconda corrispondente alla medesima velocità ii ma la cosa sarebbe diventata lunghissima e sovente poco possibile, perchè le tabelle non hanno tutte la medesima estensione. Mon- tuttociò lo avrei fatto, se i risultati dell'esame avessero potuto di- i ventare diversi. Ma le conseguenze che qui registro sarebbero ‘state LI le stesse. Quindi cosa superflua. + + nare pes RR TE 789 — due soli non sono per niente in contraddizione colla legge, ed ancora questi due sono quelli che provano meno, per- ciocchè in uno (ottone su ghisa) non si variò il peso premente che una sola volta; per formar l’altro (ghisa su bronzo) le esperienze impiegate ebbero estensione mi- nore di quelle che si impiegarono nella formazione di tutti gli altri quadri. Vengo alle superficie untuose, a quelle cioè per cui il Colonnello Conti dice che è soprattutto necessario sco- starsi dai risultati del Morin. Anche per queste recherò dapprima quadri, limitandomi tuttavia a soli tre, perchè per le altre sostanze o mancaronmi i mezzi di fare il pa- ragone fra le esperienze del Conti e quelle del Morin, ovvero le prime furono in troppo picciol numero (sovente una sola esperienza che non dà luogo a quadro). NUMERO {PRESSIONE COEFFICIENTI della. | pormelto | ————————_—_—_____— = esperienza | quadrato Massimo Medio Minimo Lr n [eee Tn Ghisa su Ghisa 1361 | 85283] 0,0742(7v=08) | 0,0691| 0,0640(V7=0,6) 1364 | 85283| 00742(7=0,8) | 0,0691 | 0,0640(Y=0,6) 1359 |16009 0,1160(Y=1,8) | 0,1045| 0,0477(7=0,6) 1363 |23490 0,0908 (V=2) | 0,0717| 0,0417(7=0,6) 1360 |30971 0,0806(v=2) | 0,0654 | 0,0386(Y=0,6) 1362 |30971 0,0776(V=2) | 0,0633| 0,0376(7=0,6) Coefficiente medio generale 0,0733 Osservazione. — Il coefficiente medio del Morin per le su- perficie che egli dice semplicemente unte fu 0,144, ma del resto reca varii coefficienti, giusta la diversa materia lubrificante. della —__T _ __y—r—_—-_=__._F—FF—F.—._F—.—F—_+_+_+_—+—+_—; P_r_________ esperienza NUMERO |PRESSIONE per metro quadrato Massimo 1305 1304 10979 13405 Ferro su Ghisa COEFFICIENTI Medio Medio generale 0,0554 0,1804(V=2) 0,1774(V=1,8) Bronzo su Ghisa 0,1509 0,0974 Medio generale 0,1496 è 1244 | 78944| 0,0684(V=1,8) | 0,0664| 0,0628(Y7=1) 1245 | 78944 0,0690(V=24) | 0,0655 | 0,0587(/=1) 1246 | 78944| 0,0548(V=1,4) | 00543 | 0,0540(7=1) 1248 | 78944| 0,0617(V=1,8) | 0,0553 | 0,0544(Y=1) 1251 | 78944| 0,0656(7=2 0,0617 | 0,0569(VY=1) 1253 | 78944| 0,0635(7=1,8) | 0,0565| 0,0494V=1) 1247 |14975 0,0517(V=1) |0,0511 | 0,0507(7=14) 1254 |14975 0,0467(Y=1,2) | 0,0463| 0,0459(7V=1) 1249 |22055 0,0529(Y=1,8) | 0,0508 | 0,0496(P=1,2) || 1252 |22055 ‘| 0,0522(F=1,8) | 0,0498| 0,0478(P=1) 1250 |29135 0,0532/7=1,8) | 0,0516 | 0,0509(7=1;2) Osservazione. — Il coefficiente del Morin per le superficie semplicemente unte fu 0,118. 0,1039(VP=1) 0,0974(P=1) Osservazione. — Il coefficiente medio del MorIN nello stato, Il delle superficie semplicemente unte fu 0,107. Per questi stati untuosi delle superficie che si confri- cano i coefficienti dell’ attrito avuti dal signor Conmi sio trovano assai diversi da quelli dati dal Morin, ma la dif e si spiega. anzio ferenza non ha nulla di sorprendente , benissimo solo che si rifletta che il modo di ugnere le superficie era probabilmente diverso dall’uno sperimen- tatore all’altro, e che lo stesso Morix nelle osservazioni che ha inserte dopo il suo quadro 375° dice fra le altre cose, che egli trovava assai difficile ottenere la stessa un- tura in tutte le esperienze (1). Quindi attribuisce a questo diverso grado di untura la differenza che trova nei coef- ficienti, i quali anche per lui variano notevolmente, non già nel rapporto dall! al 3 come pel ContI, ma più che di un terzo del loro rispettivo valore. Veggasi il quadro suin- dicato con superficie semplicemente unte, ove trovasi un coefficiente 0,094 corrispondente alla velocità di 0”,96 per ogni minuto secondo, ed il coefficiente 0,125 per la ve- locità di 1",50. Forse questa differenza, che Morin attri- buisce al diverso grado di unto, è in parte almeno anche dovuta al diverso grado di velocità; e così i risultati dello sperimentatore francese coincidono anche sotto un certo aspetto con quelli dello sperimentatore italiano nel fatto che questi asserisce della variazione del coefficiente, mas- sime per le superficie untuose in funzione della velocità. Ma qui, prima di mostrare come con qualche lieve mo- dificazione possono tuttavia convenire ancora coefficienti medii d’attrito anche per le -superficie untuose, io devo continuare nelle osservazioni critiche a cui per mio avviso sì prestano persino le deduzioni che il Conti ha ricavate dalle sue diligentissime esperienze. Comincierò col notare anche per i quadri ultimi rife- riti come non ne risulti troppo evidentemente dimostrata (1) Le esperienze e le osservazioni di Morin qui citate devono ricercarsi nelle sue Memorie inserite nel vol. IV des Mémoires | présentés par plusieurs Savants SITA a l’Académie des Sciences de l’Inslitut de France. 3 la prima delle presentate leggi; paragonando infatti fra i loro i coefficienti dello attrito di ghisa su ghisa trovo il massimo coefficiente corrispondere alla pressione di 16,000 chilogrammi per ogni metro quadrato, mentre per quella minore di chilogrammi 8528,3 il coefficiente è più piccolo. Qualche eccezione alla legge presentano pure le espe- rienze fatte col ferro scorrente sulla ghisa, laonde non rimangono che le due esperienze fatte col bronzo sulla ghisa per le quali non si possa fare eccezione. In secondo luogo, parlando delle esperienze con superficie untuose, mi è giuocoforza notare che nemmeno la seconda delle leggi del Conti non può dirsi dalle medesime dimostrata a tutta evidenza. Infatti delle sei esperienze di ghisa scor- rente su ghisa piglio quelle n° 1359, 1360, 1362 e 1363, ed abbandono solo la 1361 e 1a1364, le quali, essendo ciascuna formata da due sole velocità, non provano nulla; ebbene in tutte invece di trovare il coefficiente crescente colla velocità fino ad un certo punto, poi diminuente, lo vedo sempre crescere dalla velocità minima 0,6 alla massima "di 2 metri, e lo stesso succede per tutte le undici espe- rienze citate fra ferro e ghisa; poi per le tre 1401, 1402, 1403 di rame sovra ghisa, nelle quali la velocità si ri- tenne variante da 0,4 fino a 2,2; poi finalmente per tutte quelle che si trovano registrate nella Memoria del signor Colonnello Conti, e nei limiti in cui sono riferite, del cuoio e della gomma elastica più o meno untuose scorrenti sopra la ghisa. Che se dalle superficie untuose si faccia passaggio a quelle unte e spruzzate, parimente eseguite dal Conti e che si possono vedere nella sua Memoria, vediam succedere il contrario , il coefficiente diminuisce sempre al crescere della velocità; tali le esperienze 1369, x 1370, 1371 con ghisa scorrente sovra ghisa; tali le 1321. Ri. e 1322 con bronzo sovra ghisa; tale anche la 1218 di CI | acciaio sovra ghisa semplicemente bagnata; tali potreb- "a bero ancora dirsi alcune altre, se il picciol numero di È velocità registrate non proibisse di derivarne qualsivoglia conclusione. Intanto da queste osservazioni ricavo che per le superficie untuose o bagnate non paiono i coeffi- cienti crescere fino ad un certo limite della velocità, poi di nuovo diminuire; ma si vedono invece nelle une sempre crescere, nelle altre sempre calare, e conchiudo che chi voglia restar convinto che le leggi del Conti sono effetti- vamente quali egli le enuncia, avrà probabilmente bisogno ‘i visitare le striscie che egli conserva, pronto a mostrarle E | a chiunque ne faccia richiesta; imperciocchè, per quanto È a me sembra, i risultati di quelle che ha raccolto nella Memoria pubblicata lasciano tuttavia molti dubbi. Chiedo Da scusa al signor Colonnello Conti delle osservazioni cri- LI tiche che venni qui radunando, ma in primo luogo val- gono tutte a dimostrare la mia tesi; in secondo luogo parmi necessario. prima di abbattere i risultati del MoRIN, che vennero pur ritenuti come accettabili e commende- Shi voli dai pratici di tutti i paesi, camminare proprio con SI piede di piombo. Or bene, infilzati i pesanti calzari, io a - devo confessare che mi diffido assai dei metodi grafici sd e perciò anche di quelli seguìti dal nostro esperimentatore. L'A i Questi metodi infatti, per quanta diligenza si usi, ri- “o duconsi.sempre a segnare in iscala i punti che dovreb- A è bero appartenere ad una data curva, poi a dare a questa hi I ML a un andamento che meglio appaghi l'occhio, scostandosi 5 di poco quando in più quando in meno dai punti segnati, ‘ pot i Ù “e facendo il meglio che si può in guisa che le differenze Ron | si,compensino; ma appunto per ciò hanno sempre del- ; co l’arbitrario. Il Colonnello Conti ha molto giudiziosamente .— ‘ f 794 | to avvertito due cose: l'una, che le velocità corrispondenti all'istante di mezzo fra i due che si seguono in una serie di momenti presi ad eguale e breve intervallo, sono con grandissima approssimazione rappresentate dalle differenze finite degli spazi percorsi in quei due tempi; l’altra, che invece di condurre tangenti a vista, è sempre meglio nelle costruzioni grafiche già dette riguardare la tangente come paralella alla corda che passa per i due punti della curva prossimi al punto di tangenza, e le cui ascisse siano una superiore, l’altra inferiore di una stessa quan- tità all’ ascissa del punto medesimo. Tali due osserva- zioni lo hanno condotto a sostituire la curva delle ve- locità a quella degli spazi, e ad un metodo più razionale per ricavare il valore della accelerazione; ciò non distrugge tuttavia il difetto di arbitrarietà sempre inerente alle co- struzioni grafiche. Per dimostrare la verità e l’importanza della mia osser- vazione noto come allo stesso modo che le differenze finite degli spazi danno un valore approssimato delle ve- locità per i tempi intermedi, così parimente avviene delle differenze finite delle velocità per esprimere le accelera- zioni. Quindi a vece di costruire graficamente la curva delle velocità, possono le accelerazioni dedursi nel se- guente modo, che io applico alla esperienza 1360. Ho steso nel quadro seguente i valori del tempo della ve- locità e della accelerazione , ossia della differenza finita tra due velocità consecutive. Nello scrivere i valori delle velocità dati dall’autore nella seconda colonna della sua tabella numerica li ho accresciuti nel rapporto di uno a dieci, e i valori delle accelerazioni li ho aumentati nel rap-. porto di uno a cento. Ciò per tener calcolo che il tempo registrato nella prima colonna del quadro è espresso in » > rei di secondo, e le velocità e le accelerazioni si vo- gliono. in corrispondenza al minuto secondo preso per unità (1). Accelerazione Tempo Velocità Accelerazione Tempo Velocità © do) =>) eni > —) (1) A chi non avesse presente il motivo di questo aumento riì- corderò l’equazione : Val A(s i So) = 5 BERE ga che collega fra loro gli spazi e le velocità percorse dopo un tempo n, non che la accelerazione supposta costante, dalla quale si ricava tosto che se invece delle velocità V si introducano i loro decimi, cioè si scriva invece di V 10, si avrà: Va — Vo AZIO La stessa equazione (poichè la ho ricordata) dimostra pure la ve- rità della formola A=104YV. Infatti si ha: F sé 52 i # sl e n) MST SE SESIA SORRISI 0 FIORINO SIA Stesa cotesta tavola a fin di determinare i varii valori | della accelerazione A in corrispondenza colla V, conviene: 1° interpolare nella medesima i valori delle velocità cor- rispondenti ai tempi uno, due, tre ecc.; poi costruire per punti la curva avente per ascisse le velocità, e per or- dinate le accelerazioni, infine cercare in questa curva le ordinate corrispondenti alle velocità 0,2, 0,4, 0,6 ece. È evidente che la costruzione condurrà a valori delle _ accelerazioni diversi da quelli registrati dal Coni nelle sue tabelle, e parmi da alcuni esempi fatti poter con- chiudere che le medesime si mantengono assai più so- vente oscillanti fra certi limiti, i quali diminuiscono forse alquanto di valore (parlo delle superficie untuose). dal principio al fine della esperienza, ma diminuiscono generalmente meno di quello che risulti dalle curve del- l'Atlante del Conti. 7 ° Altra osservazione che mi pare potersi fare alle formule riferite nella Memoria è contro quella che esprime la re- nu mp" eee 7 ò nei ec CR Sex De ; 797 i sistenza dell’ aria. Questa formula dovuta a Dipion, che la concluse da alcune proprie esperienze, è tutt'altro che l’ultima parola in fatto di cotesta forza, e l’adottarla che fa il Conti senza controllo mi pare un po’ arrischiato. Credo che avrebbe fatto meglio diminuendo l’ ampiezza della superficie urtata il più che fosse possibile, poi tra- scurando la pressione atmosferica. Ma per procedere in tal modo certo conveniva avere il coraggio di trascurare qualche cosa. È Potrei qui aggiungere qualche parola per dimostrare che alcune delle accuse fatte dal Conti al modo di pro- cedere del Morin sono forse un po’ troppo severe, come ad esempio quella mossa contro l’impiego del dinamo- metro, il quale assai sovente servì solo per controllo di ciò che si calcolava togliendo dal peso motore la parte assorbita dall’attrito sulla prima puleggia, e dalla rigidezza della fune; ma ne prescindo, e vengo immediatamente ad un'ultima osservazione. Il Colonnello ContI tendeva ad ottenere leggi, e sotto questo aspetto fece benissimo a procurare di avere le sue superficie sempre unte allo stesso modo e lavorate con somma cura; ma se si fosse trattato di somministrare coefficienti per la pratica da sostituirsi a quelli di Morin, che si dicevano molte inesatti, perchè questi non tiene conto della variazion loro colla velocità e colla pressione (e se tale inesattezza verrà con- fermata, converrà pur pensarvi), parmi che, anzichè un genere di untura così raffinato, e sempre fatto in modo che nelle manifatture difficilmente verrà seguìto, sarebbe stato assai meglio ugnere con diverse materie, olio, lardo, sevo, strutto, composizioni diverse, ugnere un po’ più all'ingrosso, usare insomma quei mezzi con cui ordina- riamente si ungono i pezzi confricantisi nei diversi mec- NR RE CUS ag I 179 PP darla RS. Ce Ca specie di grassume che siasi impiegata. Così credo si sa- rebbe dovuto fare per essere utile ai pratici, e così infatti fece il Morin, nelle tavole del quale, anzichè doversi rias- sumere i coefficienti in due soli numeri per qualsiasi specie di metallo untuoso, cioè da 0,07 a 0,08 se è molto untuoso, 0,15 se lo sia leggermente, trovo invece diversi numeri per ciascuna specie di metallo, secondo la varia maniera di unto della quale questa specie sia stata fornita. Eccone esempi ricavati dalla Memoria di Morin, Quadro 82° (che è il riassunto dei precedenti): Ghisa su ghisa senza Unto.........n i MARRA E) Superficie semplicemente bagnate... 0,314 » fregate di sapone........ 0,197 » unte di SEYo, seat I RINO » ». di strutto, ali) » » d'olio d’olivo....... 0,064 . » strutto e piombaggine 0,055 » semplicemente unte?.... 0,144 Ottone su ghisasenza unto.......... e. vene ae 0199 Superficie unte con sevo .......:. 0,072 » », con strutto ..-.,..0 e. 0,068 » » con olio d’oliva.... 0,066 » » con grasso da carro (cambouis) ........ 0,134 » semplicemente unte? .... 0,115. , DE Potrei moltiplicarli, ma è inutile; le Memorie del Morin essendo state stampate e consultabili a piacimento. Lic Che se sui prontuari, compreso quello stesso del Morin, RO, invece di essere riportati tutti i numeri che egli conchiuse — dalle proprie esperienze, si trovano solo pochi valori medii; ciò deve ascriversi. sempre ad una sola cagione, che cioè per gli usi della pratica si credette che questi pochi soli numeri possano riguardarsi come sufficienti , imperciocchè la differenza, che nascerebbe nelle formule impiegando numeri più esatti, si riteneva contenuta nel limite degli errori inevitabili in questo genere di ricerche. Dopo le esperienze eseguite dal Colonnello Conti io non oso più dire tanto; mi sono proposto: però di dimostrare che, anche ammesse le differenze provenienti dalla ve- locità e dalla pressione stabilite da lui, sonvi casi pratici «nei quali esse non producono nell’ ultimo risultato una variazione che possa dirsi grave, e che per quegli altri casi pei quali converrà portare qualche modificazione ai coefficienti dell’ attrito non sarà necessario andare tanto pel sottile. Potrei sbrigarmi da ogni dimostrazione colla sola avvertenza che il coefficiente d’attrito divenendo colle superficie untuose assai piccolo, piccola è pure l’impor- tanza dei termini che rappresentano i lavori consumati dagli attriti stessi. Ma per essere un po’ più rigorosi cer- chiamo meglio l'entità di quei termini. Il lavoro consu- mato da ciascun attrito è, come ho già notato più sopra, esprimibile per | F,ds, ossia mettendo per F, il suo valore espresso colla pressione moltiplicata per il coefficiente di attrito sarà: i ofras nella quale espressione Q fu detta la pressione, / il coef- ficiente d'attrito. Notiamo ora, che trattandosi di attrito di scorrimento (poichè a questo solo limitò le. sue indagini il Colonnello Conti), e pertanto. non potendo attribuire alle superficie che si confricano un movimento di rota» sas ,) DI Wo, Ò La, ) at VIT O hi i UR al Ù SR sa, 799 zione, la specie di moto che piglierà l’una di quelle ri- spetto all'altra sarà probabilmente di andivieni certamente non uniforme. Quindi la velocità, e perciò anche il coef- ficiente f saranno variabili. Dividiamo lo spazio totale / percorso dalla superficie mobile in un numero qualunque di parti uguali, e diciamo vo, %,, v, ece., fo» fi» fa ecc. i valori delle velocità e dei coefficienti di attrito corri- spondenti ai punti di divisione; potremo esprimere con approssimazione sufficiente il lavoro consumato dall’ at- trito con la nota formula (0) 3a (+22 fat Ret fa)» In questa dovremo sostituire per f i diversi valori nu- merici quali si ricavano dalle esperienze del Conti. Prima però di farlo fermiamoci un momento sullo spazio / per- corso dalla superficie che soffre attrito. Generalmente par- lando, quando si tratta di un meccanismo, abbiamo sempre un organo appartenente al medesimo, un volante, od un altro corpo speciale qualunque al cui movimento si ri- feriscono quelli di tutti gli altri organi; immaginando ciò avvenire anche per la macchina qui considerata, sarà lo | spazio / congiunto collo spazio A, che suppongo essere quello percorso dal volante principale nello stesso tempo, per mezzo di un’ equazione : PI l=@Ày ] ed il rapporto « sarà tanto più piccolo quanto più lenta la velocità della superficie che soffre attrito. Quindi. conchiudo, che il lavoro da calcolarsi colla formula su- periormente citata sarà meno importante per le piccole velocità, più per le grandi. Ciò premesso, distinguiamo. Il corpo in moto, del cui attrito qui si tratta, nel per= È - » - - ; - Ì " È ì 1 correre la lunghezza / può passare per una estesa serie di velocità, per esempio per tutte quelle registrate in ciascuna esperienza del ConTI, ovvero per una serie più ristretta, e questa, o cadere nelle velocità minori, per esempio quelle inferiori ad un metro, o nelle velocità medie comprese fra mezzo metro ed un metro e mezzo, o nelle maggiori comprese fra uno e due metri. Se i coeffi- cienti d’attrito corrano tutta la serie dei valori compresi nelle tabelle del Conti; ovvero se ne corrano solamente una parte , la quale tuttavia si avvicini al valor medio, adottando questo valor medio costante invece dei valori variabili, si troverà prossimamente compenso fra gli errori in più e gli errori in meno. Se le velocità stiano fra le minori si commetterà un errore probabile in più (parlo. delle superficie untuose), si calcola cioè un lavoro con- sumato per attrito più grosso del vero, ma questo errore in più cade sovra un termine di minore grandezza, come si è superiormente dimostrato parlando di /; sarà dunque principalmente nel caso delle velocità maggiori e dei va- lori di f anche conseguentemente maggiori, che converrà badare all’entità dell'errore che si commette, ed al modo di correggerlo. Per simili casi adunque facciamo qualche esempio. Piglio la esperienza 1363, e suppongo che la velocità venga variando fra 1”,2 e 2", calcolando il va- lore consumato per attrito col coefficiente medio trovo La=0,0733/0. Colla formola delle quadrature , nell’ ipo- tesi non lontana dal vero, che dividendo / in quattro parti, ad ognuno dei punti di divisione corrisponda uno dei cinque ultimi coefficienti di attrito registrati nella tabella apposita del ContI, trovo: 10, La= BI 0,0725 + 2(0,0817 + 0,0868 + 0,0899) + 0,0908 }, La=0,0850 10 . La differenza fra il valor precedente e quest’ultimo è irta) ro ridi questo. Secondo esempio. Esperienza n° 1251 tra ferro e ghisa. — Faccio la stessa ipotesi circa la variazione della velocità e procedo allo stesso modo, trovo col coefficiente medio 0,0554 La=0,0554/0, colla formula di BazouT La=0,0631/0 la differenza è i ‘*/,,o di quest'ultimo lavoro. Prendo per terzo esempio l’esperienza 1402, nella quale suppongo la velocità aver anche variato fra 1,2 e 2. In questa se piglio il coefficiente medio d’attrito conchiuso combinando la medesima con la 1401 e la 1405, trovo: La ==0,1016.10. Pigliando il metodo delle quadrature, trovo: La=0,126410. La differenza fra i due risultati è i ‘°/,o0 di questo ultimo. Per tutte tre le esperienze poi, e probabilmente per tutte: le altre dello stesso ordine, può conchiudersi che. il ri- sultato col coefficiente medio è sufficientemente appros». simato, e rappresenta a sufficienza i risultati delle espe- rienze fatte dal Conti con le superficie untuose, a condi» zione che, quando le velocità sono comprese fra uno ‘metro e due metri si aumenti il coefficiente medesimo di un. Me quinto circa del suo valore. Per tal modo la differenza fra il lavoro d’attrito calcolato con il detto coefficiente medio, e quello che si otterrebbe pigliando i coefficienti variabili LR a ci la “5 808 è appena il cinque per cento di quest’ ultimo, e nella ipotesi anche che in quella data macchina si consumi il quinto del lavoro motore in attriti, supposto che per tutti questi attriti l’ errore sia nello stesso senso, e per tutti salga all’istessa quantità, la differenza si troverà tuttavia ridotta all’1 centesimo del lavoro totale , cioè nei limiti oltre i quali è impossibile spingere in pratica l’ appros- simazione. Io abbandono qui l'esempio ricavato dalla teoria del- l’attrito e ritorno alla mia proposizione generale, della quale riassumo in poche parole le varie recate dimo- strazioni, di Nelle ricerche teorico-sperimentali, per cui mezzo vo- glionsi scoprire la legge secondo la quale si compie un dato fenomeno naturale, e l’espressione algebrica con cui conviene rappresentarlo, uno scrupolo eccessivo, per tutte comprendere le fasi del fenomeno, e gli argomenti da cui dipende, è spesse volte, anzichè conveniente, dannoso: 1° Perchè gli argomenti da cui dipendono la legge del fenomeno, e la forma algebrica con cui lo=si esprime, sono quasi sempre molti e tali che si complicano gli uni cogli altri. È importante distinguere il più, ovvero i più influenti, e dai medesimi ricavare la formula; se si voglia con questa abbracciarli tutti, e mostrare la variazione del, fenomeno al variare di ciascuno, sovente la legge non sì scopre più. Nè la formula si può più stabilire. 2° Sonovi sempre cagioni di variazione nel fenomeno, le quali sfug- gono alle ricerche più delicate e meglio condotte; coll’ec- cessivo scrupolo si rischia di attribuire agli argomenti contemplati ciò che è conseguenza di queste cagioni che, rimangono nascoste, e dato anche che ciò non sia, si | perde tempo a spingere l’approssimazione sotto un aspetto, ul dl e” Ò Lace "E ite Ue te ne CEREA. (Rd VAT #4 eo i tà mentre sotto altri si deve per forza stare ia lontana: = 3° Quando si viene alle applicazioni pratiche di una legge I che siasi voluto stabilire per mezzo di una serie di espe- rienze, siccome quasi sempre saranno occorse distinzioni per le quali, giusta le diverse condizioni in cui il feno- meno si compie, mutasi in parte la formula o per lo meno un dato parametro piglia valori diversi, così sarà difficile, e spesse volte impossibile il precisare quale sia la condizione di quel dato caso pratico, e per conseguenza quale la formula da impiegarsi, oppure quale il valore del parametro da preferirsi, se si fosse adottato un'unica formula con un sol valor medio, ovvero con pochi valori medii e distinzioni dei diversi casi ben recise, l'ambiguità non sarebbe sorta. 4° Per eseguire le. esperienze colla voluta delicatezza e diligenza altri si mette in condizioni che nelle applicazioni pratiche non si incontrano mai più; onde è che nel trasportare le conclusioni sperimentali ai grossolani fenomeni come succedono nelle applicazioni giornaliere ci troviamo poi assolutamente spostati. 5° E per ultimo, le formule colle quali si vogliono abbracciare tutte le cagioni di variazione del fenomeno, diventano tanto complicate, che le integrazioni ed i diversi calcoli © che occorrono superano le forze dei calcolatori, e non si possono più eseguire. Le formule invece più semplici da- ranno solamente un’approssimazione grossolana, ma som- ministrano qualche cosa di possibile, con cui alla distanza di qualche centesimo si | perle il fenomeno e le sue conseguenze. Mg e Non vorrei tuttavia che altri si desse a. pretore di piste nello esperimentare io non voglia mantenute quella cura ; e quella delicatezza che generano poi la confidenza di + coloro i quali dovranno giovarsi delle nostre ricerche e : # i o SO Br Di delle nostre conclusioni; questo no davvero, da simile te proposta io rifuggo , l'eccesso solo è quello che mi par A Ù riprovevole. Ogni eccesso è vizioso , perfino quello della A diligenza. Bisogna tuttavia confessare che il voler essere Fr . diligente all’ eccesso , fra tutte le cose degne di biasimo CA è la meno condannevole. A Il sig. Cav. Prof. Alessandro Dorna, Direttore del Regio = Se Osservatorio Astronomico di Torino, presenta il 1° se- ee mestre 1874 delle Osservazioni eseguite col termografo "derit elettromagnetico dal Prof. D. Levi, le quali verranno pub- 3 blicate, come per lo passato, in apposito fascicolo da bi unirsi agli Att accademici. L’Accademico Segretario A. SoBRERO. CLASSE DI pa SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Aprile 1875. È » tuta dd È 1 Ù fi ; là pra È = (OS 3 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 4 Aprile 1875. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Cav. Prof. Tancredi Canonico legge alla Classe, e la Classe discute un suo lavoro intitolato: IL DELITTO E LA LIBERTÀ DEL VOLERE. Serpeggia a’ dì nostri nelle menti, nelle scuole, nei libri un'idea, la quale, se fosse vera, cambierebbe interamente la base e il carattere del diritto penale; per conseguenza di tutto il magistero punitivo e delle istituzioni in cui il medesimo si viene esplicando. Quest’ idea è che le azioni chiamate comunemente delittià non sieno in nessun caso il frutto di una determinazione libera del loro autore, ma siano sempre il portato necessario, inevitabile, fatale delle condizioni fisiche e morali dell’agente, non che delle circostanze in cui questi vive ed agisce. — Non tutti coloro però che giungono a questa conclu- sione partono dal medesimo punto di vista. — Gli uni constatano il fatto che, fra i delinquenti, molti sono po- sitivamente pazzi: che molti, benchè non riconosciuti officialmente come tali, presentano tuttavia in massima | parte i sintomi dell’alienazione mentale; e, in presenza di ciò, sono proclivi a- considerare tutti i delilti come il prodotto di RA specie di pazzia, sebbene non sempre essa si manifesti con tutti i caratteri esterni, per cui sì. suole più universalmente riconoscere. — Altri, ritenendo la pazzia come cosa secondaria ed accidentale, trovano la causa della delinquenza nella conformazione dell’or- ganismo e nelle sue affezioni morbose; sieno esse con- tratte direttamente dall’agente stesso , sieno ricevute dai genitori e costituiscano così una degenerazione eredita- ria: condizioni queste che possono talora svilupparsi in una vera pazzia secondo il grado dell’intensità loro, delle modificazioni ch’esse recano nell’indole di ciascun indi- viduo, e secondo la diversità delle circostanze in mezzo a cui si svolge la vita di ciascuno, — ma che ad ogni modo influiscono irresistibilmente sulla natura delle azioni dell’uomo in cui esse concorrono. — Altri infine, stu- diando nei fatti psicologici i moventi delle azioni umane e l’influenza che essi esercitano sui nostri moti interni e sul nostro sistema nervoso e muscolare, negano per altra via il libero arbitrio dèll’uomo: e così, da vari punti di partenza, giungono tutti a riconoscere negli atti umani il risultato necessario dell’azione delle leggi fisiche nella materia organizzata e ad escludere quindi, nelle azioni che la coscienza dell'umanità intera chiama delitti, ogni imputabilità morale. Veramente, io non so se finora si sia stampato un. sie bro in cui questo concetto sia stato svolto ed applicato in tutte le sue conseguenze pratiche alla scienza ed. al magistero penale: ma questo so che esso è apertamente formolato e propugnato da molti. i, In siffatto concetto, il delitto non sesti se non ill prodotto fatale o delle leggi normali della natura. del- l’uomo, sempre quando esso si trovi in determinate cir- costanze, oppure di uno stato morboso la cui forma più - - - “x lidia intensa è spesse volte l’alienazione mentale, — i malati, i mentecatti, i delinquenti non differirebbero tra loro se non per le manifestazioni e le conseguenze esterne del loro stato: e quindi gli spedali, i manicomii, le carceri, non diversificandosi che pel nome, sarebbero in realtà altrettanti mezzi curativi di uno stesso male, vario di forma, identico nella sostanza. Se questo concetto è vero, riesce facile il vedere che nessun’ azione può più con giustizia chiamarsi delitto, e che quindi la punizione e il diritto penale non hanno più ragione di esistere. Rimarrà sempre, senza dubbio, il bisogno di riparare al disordine sociale cagionato dal- l’atto dannoso: ma ciò che finora chiamossi pena non sarà più se non un mezzo di difesa che il potere sociale ‘impiegherà in egual modo contro un ladro, un assassino, un falsario — come contro un mentecatto, una belva, una tegola che minaccia di cadere sul capo .ai passanti; e non sarà neppure più possibile il dubbio espresso da quel magistrato inglese, il quale, dopo aver condannato a morte un accusato che risultò poi esser pazzo, sclamò: «io non sono ben certo se sia più necessario far appic- care un ribaldo od un mentecatto ». Sono, come ognun vede, conseguenze gravi, —, Val quindi la pena, prima che esse vengano rigorosamente x dedotte ed applicate, di esaminare se è vero il principio da cui per logica conseguenza inevitabilmente derive- rebbero. So bene che, in cospetto di siffatte conclusioni; molti scrollano disdegnosi le spalle, reputando inutile occuparsi di ciò che urta il senso comune, la coscienza universale. Ma so altresì che, se una scrollata di spalle è mezzo assai facile per isfuggir la fatica di sciogliere le difficoltà, » 53 dd, ro non basta certamente nè per arrestare il diffondersi e il fruttificare di troppo comode idee, nè per far mutare pensiero a coloro le cui convinzioni si sono formate in seguito a lunghe e pazienti ricerche, a risultati uniformi e costanti di molti innegabili fatti accuratamente studiati, analizzati e confrontati fra loro. All’attutirsi del senso morale e della morale energia nelle generazioni che crescono, qual uomo di cuore può restare indifferente? Ma negare i fatti positivi intorno a cui si travagliano con retto desiderio intere esistenze è una ingiustizia manifesta, la quale non può esser dettata che da codardo timore o da colpevole pigrizia. Noi assi- stiamo ad una ‘grande trasformazione nell’ ordine delle idee non meno che nell’ordine sociale. Sono momenti di cozzi, di scosse violente nelle regioni dello spirito non meno che in quelle degli eventi politici e sociali. Lo spi- rito umano, avido di abbracciare in un baleno l’orizzonte più vasto di cui ha il bisogno ed il presentimento, ma nel quale non ha ancora trovato la stella che ve lo guidi per la via retta e sicura, — sbalestrato in varie parti, non può subito afferrare il vero nella sua pienezza; e nel suo anelito febbrile corre spesso troppo precipitoso a spiegare. il tutto colla luce di alcuni punti parziali che più viva- mente lo colpirono. Ma l’essere troppo affrettate le dedu- zioni non vuol dire che siano falsi i fatti da cui si trag- gono: l'ampiezza soverchia delle conseguenze non implica per sè l’erroneità delle premesse. Le contraddizioni, e quindi i dissensi, sono talvolta più apparenti che reali: - i Lara da e>% È ed i reciproci anatèmi provengono il più spesso da che, ciascuna parte, guardando il tutto da un punto di viata esclusivo, non vede che una parte sola della verità. © hi TR Chiunque ha una convinzione profonda ed. illuminata Ta Vi Ir nd pa SSA 813 LI sovra qualsiasi materia, è sicuro che nessun altr’ ordine di fatti o dileggi può sovvertirla: ma non isdegna di studiare anche quei fatti e quelle leggi che vi paiono a prima giunta contrari. Senza rinnegare ciò che è già per lui evidente, egli è pronto ad accettare ciò che in siffatto studio può rie- scirgli evidente del pari. A misura che si avanza, scopre il nesso che congiunge i due ordini di veri; nel nesso ne afferra lo spirito; nell'unità dello spirito che.li armo- nizza, le contraddizioni si dileguano, ciò che è falso od inesatto scompare, e tutto ciò che è vero resta acquistato alla scienza, al patrimonio intellettuale e morale dell’u- manità. È in questo modo soltanto che si può progredire con sicurezza in mezzo al turbine ed al cozzo delle opposte opinioni. — L’esclamazione od il silenzio dispettoso, ben- chè messi a servigio della causa giusta ed ammantati col velo della dignità, inaspriscono gli animi, ma non li con- vincono; e, nella scienza come nella politica, creano ed alimentano lo spirito di partito. Lo studio spassionato di tutti i punti di vista e la franca esposizione del proprio sentire, mettendo in disparte tutto ciò che è. personale e lasciando il posto alla verità sola, ne agevolano l’irradia- zione e il trionfo. i È in queste disposizioni ed a questo scopo che, rias- sunti brevemente, mercè alcuni esempi, i fatti principali su cui si appoggiano i fautori della fatalità del delitto , desidero vedere se , e fino a qual punto, siano fondate le deduzioni ch’ essi ne traggono. i Che fra i delinquenti si trovi un numero abbastanza _— considerevole’ di alienati di mente, è cosa che non si può negare. Il sig. Glover, medico del carcere di Millbank, in una sua relazione ufficiale del 1868, osserva che, sopra una media di 943 condannati, 34 erano i casi di pazzia ac- certata, 218 si trovavano compresi nella categoria intito- lata varie forme di aberrazione, senza contare gli epilettici. Il sig. Bruce Thompson, chirurgo nello stabilimento di Perth, asserisce che, su nove prigionieri, se ne trova sem- pre uno più o meno pazzo. Il sig. Gordon, già Lord Avvocato di Scozia, afferma che una lunga esperienza gli fece riconoscere costantemente una scarsissima intelligenza nella maggior parte dei con- dannati dai tribunali scozzesi. Il sig. Guglielmo Tallack, segretario della Società Ho- ward, deplora di aver trovato a Millbank più ventine di prigionieri epilettici ed imbecilli. Il sig. Fitzroy Kell, giudice della Corona, dice che pas! 1864 furono appiccati in Inghilterra 60 alienati di mente (1). La proporzione dei pazzi sul numero dei delinquenti sarebbe, a dir vero, assai minore in Italia, per quanto al risulta dalle statistiche ufficiali con molta cura compilate | dalla Direzione generale delle carceri del regno. Poichè, fù 3% Rari . *» vi E (1) V. un Memorandum della Società Howard, del 1870 sulla — necessità di una riforma delle leggi relative alla pazzia crimi w inserito nella Rivista delie discipline carcerarie del 1871. i Im ph nel quinquennio del 1868 a tutto il 1872, si avrebbero, quanto alle malattie mentali verificatesi nelle carceri, i. risultati seguenti : Nei bagni penali Nelle case di pena (uomini) (donne) 1868 su 14954, pazzi 10. su 12534, pazzi 11 pazze 0 1869 » 15667 » 15 » 12782 » 26 su 790 » _ 2 1870 » 15815 » 17 » 13266 =» 15 » » 0 1871 » 15309 » 14 » 10146 =» 33 »n 664 » 1 1872 » 15813 » 21 » 11067 » 43 » »_0 In queste cifre però non sarebbero compresi i casi di pazzia verificatisi nelle carceri giudiziarie, che, nei due anni in cui ne abbiamo statistiche regolari, ci darebbero queste risultanze: 1871 - su 43663 uomini, 42 pazzi su 2714 donne, 5 pazze; 1872 - su 41849 uomini, 69 pazzi su 2954 donne, 10 pazze. Ma questo minor numero di pazzi che si verificherebbe fra i carcerati nella nostra Italia in confronto di altre nazioni, oltre alle condizioni diverse del clima e di altre circostanze, deve ripetersi molto verisimilmente dal modo diverso di valutare le malattie mentali. Il professore Lumbroso non esita ad affermare che nelle nostre pri- . gioni sono riguardati come feroci, indomiti, ineducabili, molti infelici che in realtà sono pazzi e che come tali sarebbero altrove considerati. Ed, in una interessante sua memoria Sull istituzione di manicomii criminali letta nel 1872 al R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, cita a sostegno di questo asserto parecchi fatti che osservò nelle case di pena da lui visitate. Egli racconta, tà Lar altri, di un tale che, stando a (., accusava i carcerieri di Brin- disi di magnetizzarlo e togliergli il fiato: d’ un camorrista napoletano, che diceva avere frequenti rivelazioni dal proprio padre , di tenere un diavolo dentro al berretto: d’un terzo, pellagroso e discendente da pellagrosi, con- dannato a quattordici mesi di carcere per furto di cipolle, che invece egli aveva divelto dal campo in un accesso di scelotirbe, durante il quale correva per giorni interi in linea retta, senza coscienza di sè, a guisa di sonnam- bulo, strappando e disperdendo quanto gli capitasse fra mani. Un altro, che con un ferro aguzzo feriva chiunque gli si parasse dinanzi, posto tra ferri in una segreta, can- tava allegramente: « Non è ver che sia la morte » Il peggier di tutti i mali ». A. P. G., oste condannato per furto, si fregiava il ber- retto di striscie di carta, si-proclamava colonnello, scri- veva al re, dichiarandosi suo intimo amico, lettere piene di stranezze, e si asserragliava formidabile nella sua cella col letto e colle panche, ogni volta che alcuno si atten- tasse di avvicinarsegli. Ora tutti costoro; e parecchi aliri di cui il Lumbroso narra la storia, erano rinchiusi, non nei manicomii, ma nelle carceri di pena. n È però giustizia il riconoscere che, anche lasciando i in disparte i casi non tanto infrequenti di simulazione, se-_ gnare con precisione i confini che separano i pazzi dai sani di mente è cosa tutt’ altro che facile. ri L’osservazione di ciascun giorno dimostra che i iù n soggiaciono alle stesse passioni e si muovono il più spesso ad agire per gli stessi motivi che i sani di mente, Diffe- morboso negli affetti, nei sentimenti, nelle tendenze, nella riscono solo in ciò che, oltre a certi limiti, i motivi or- dinari non hanno più su di essi influenza sufficiente per deciderli ad agire o per trattenerli; e quindi il loro modo d’agire esce allora dalle condizioni ordinarie. Le varie facoltà umane, benchè distinte fra loro ed esplicanti ciascuna la propria azione per mezzo di organi diversi, unificandosi però tutte nell’individuità dell'anima umana, influiscono vicendevolmente le une sulle altre e quindi sugli organi rispettivi, siccome questi a rincontro esercitano un'influenza su quelle. Di qui viene che, se talora il disordine mentale produce il disordine degli af- fetti e della volontà, talora invece è il disordine degli affetti che trae seco il disordine dell'intelletto: talvolta è il vizio dello spirito che imprime una tendenza viziosa all'organismo, tal altra è il vizio dell'organismo che si comunica allo spirito. Ed è perciò che i primi sintomi della pazzia, diversificandosi assai da quelli che compa- riscono solo più tardi, vengono difficilmente avvertiti. Più d’uno fra coloro che caddero in aperta pazzia sarà stato, p. es., gran tempo innanzi svogliato nell’adempiere le sue occupazioni ordinarie, a lui già care, e vi si sarà creduto incapace, sebbene continuasse a disimpegnarle ottima- mente. A ciò nessuno poneva allora attenzione. Ma quello stato però era già uno dei primi prodotti dell’ affezione mentale medesima che sviluppossi apertamente di poi. Fra l’uno e l’altro periodo si poterono percorrere molti gradi: ma chi potrà dire a quali di questi gradi ha co- minciato in verità la pazzia? V'ha di più. Si può avere tutta la lucidezza della mente; si può avere piena co- scienza dell’immoralità di un atto, e ciò non di meno commetterlo senza volerlo, per esservi un pervertimento 818 21 OSSEA PR volontà, nel carattere, nei costumi, nella condotta. Testi- monio quella signora che uccise nell’accesso della pazzia il bambino da lei teneramente amato: testimonio quella fantesca, la quale si congedò per non soccombere alla tentazione pressochè irresistibile di strozzare la fanciul- letta affidatale, che provava ogni sera nel coricarla. Tal fiata l’impulso morboso è preceduto da una sensazione che sale al cervello del paziente come all’appressarsi di un assalto epilettico, e per questo appunto siffatta sen- sazione vien detta dai medici aura epilettica: — allora il paziente stesso avverte i presenti di porsi in salvo dai propri eccessi che prevede imminenti. Il sig. Chatelain, in una nota alla recentissima tradu- zione francese che fece del bel libro Sulla responsabilità criminale e sulla capacità civile nei turbamenti intellettuali , scritto dal dottor Kraff-Ebing (medico primario del mani- comio della Stiria e professore di psichiatria nell’ Univer- sità di Gràtz) narra d’un ottimo signore da lui conosciuto che si pose più volte in agguato per uccidere il proprio inedico, e sempre, al momento decisivo, vinto dalla co- scienza di far male, lasciò cadere l’arma. Ma quell’ infe- lice finì per uccidere se stesso , lasciando scritte queste parole: « mi fo suicida per non diventare assassino n. A quel modo che siffatti impulsi maniaci si svolgono. non di rado sotto l'impero di certe circostanze, dietro altre circostanze vengono molte volte a cessare. Un’egregia signora, che conservò mai sempre la lucidità dell’intel- letto e la pienezza del senso morale, in seguito a scon- certi puerperali venne assalita da mania suicida; e, dopo avere più volte, pur gemendo di questo irresistibile im- pulso, tentato in vano di darsi la morte, gettatasi in fine, a questo medesimo scopo, in un gran serbatoio d’acqua, È i | / 819 trovò in ciò stesso il rimedio al suo male; poichè, estrat- tane illesa, rientrò indi in poi nella perfetta signoria di sè. Altre volte, senza che manchi la conoscenza di ciò che si fa, il senso morale resta attutito. Prova ne sia quel- l'assassino di Alton (Hampsire), che, uscito dall’ufficio ov’era scritturale, e viste, nel passeggiare per la campagna, alcune fanciulline che giocavan sull’erba, ne conduce una seco in un campo di luppoli; escitone poco dopo soletto, fu veduto lavarsi le mani intrise di sangue e tornare tran- quillamente all’ufficio. Nel suo taccuino, sotto la data di quel giorno, si trovarono notate queste ciniche parole: « Ucciso una ragazza; buona e calda ». Quell’infelice difatti fu rinvenuta nel campo di luppoli morta ed in pezzi (1). Esteriormente pertanto può avvenire che il pazzo punto non differisca dal ribaldo. I sintomi esterni sono identici: la differenza si trova soltanto ne’ precedenti e nelle condi- zioni fisiologiche dell’uno e dell’altro. — Il medesimo indi- viduo potè fors’anche in addietro non aver presentato in sè nulla di disordinato; ed il cambiamento ha potuto veri- ficarsi in seguito ad una profonda scossa morale, ad una paralisi, ad un assalto di epilessia congiunto ad una pre- disposizione ereditaria all’alienazione mentale, che lo po- sero in uno stato affatto opposto al suo stato di prima. Quindi è che Esquirol asserisce l'alienazione morale (e non il delirio) essere il carattere essenziale della pazzia. Il dottore Pritchard riconosce, fra i primi sintomi dell’a- lienazione, il pervertimento del senso morale. — E per verità, la sola cessazione del delirio non viene ritenuta qual segno sicuro di guarigione se non sia accompagnata dal ritorno del senso morale, (1) Veggasi l'interessante libro del Maupsiev, Le crime el la folie, Una tale incertezza in ordine ai precisi confini: ( Bian © i pazzia ci dà la ragione di un fatto risultante dalle stati- "Co stiche giudiziarie inglesi; che cioè su 1244 pazzi esistenti. nel 4867-68 nelle carceri d’ Inghilterra e del paese di. Galles, 799, cioè il 64 per cento, siansi riconosciuti pazzi — o siano divenuti tali dopo la sentenza. È poi da notare come, senza che siasi in ciò proceduto dietro verun sistema preconcetto, si sia naturalmente vero nuto, per la forza stessa delle cose. ad adottare un me- tolo pedagogico analogo, ed in molte parti identico, nelle ; prigioni e nei manicomil. Questa difficoltà di discernere i pazzi dai sani di mente si palesa ancor maggiore, ove si consideri l’influenza che | esercitano sulle tendenze, sullo sviluppe delle facoltà e quindi sulle azioni dell’uomo la costituzione del suo or- ganismo e le affezioni o predisposizioni morbose di esso, ricevute colla generazione od acquisite di poi. Senza ripetere ciò che fu scritto in centinaia di volumi intorno alla relazione del temperamento, della costitu- zione dei vari organi e segnatamente del cervello, col carattere e cogli atti umani (e che, per quanto riguarda le tendenze e gli atti criminosi, ho cercato di riassumere — e vagliare in altro mio lavoro (1)), mi limiterò ad ac- x cennare qui, a mo’ d’esempio, alcuni fatti relativi all'in Da: fluenza delle tendenze ereditarie e delle condizioni esterne @ 3 in cui l'agente può trovarsi. | GA GMES ci i 4 Il dottore Virgilio, medico primario del manicomio i: d'Aversa, incaricato del servizio chirurgico e dell’ ufficio — pae d’igiene di quella città, il quale fece e fa continnamente — = ) (1) Del reato e della pena in genere; 2° edizione; Torino, 1872, Libreria Brero. » ‘molti studi sui pazzi e sui prigionieri, afferma in una recente sua memoria di aver constatato che, su 287 alie- nati di mente, in 115 l’alienazione era ereditaria, e che in molti casi la medesima cosa deve dirsi delle tendenze ‘criminose; sicchè in ordine a certi delinquenti il delitto sì può considerare come una professione di famiglia. Talora le tendenze si trasformano colla generazione: l’alcoolismo, per esempio, del padre diventa tendenza cri- minosa nel figlio. Non è raro trovare assenza completa di senso morale nel figlio di un pazzo; e spesso il me- desimo principio anormale serpeggiante in una determi- nata stirpe produce nei vari individui frutti diversi: co- sicchè nella stessa famiglia l’uno è pazzo, l’altro è delin- quente. Il dottore Pritchard, citato poc'anzi, dice d’aver cono- sciuto una famiglia assai numerosa, i cui membri, giunti ad una certa età diventavano tutti pazzi. Uno solo sfuggì alla legge generale: ma divenne malfattore. Tutti sanno che a Londra v'ha una popolazione ribalda, la quale forma classe da sè, abita in quartieri separati, e vi stringe unioni anormali danti origine ad esseri in- felici, difformi sì nel fisico, sì nel morale, che, come dice il Maudsley, costituiscono una varietà morbosa della specie umana. Discendenti in gran parte da genitori di tendenze vesaniche, epilettiche, scrofolose, muoiono il più spesso di tubercolosi o di malattie del sistema nervoso. Qualche cosa di analogo, sebbene in proporzioni minori, si veri- fica nei così detti fondaci di Napoli, ne’ quali immondi tuguri l’egregio prof. Pasquale Villari vede la fonte na- turale e l'alimento precipuo della camorra. È noto che i ribaldi di professione hanno per lo più un tipo loro proprio, per cui gli agenti di polizia giudi» Di L'uso di fotografare i condannati all’entrare nei luoghi di pena ed all’uscirne, che si è con savio consiglio in- trodotto, specialmente in Inghilterra ed in America, som- ministra dati preziosi per istudi comparati, confermanti appieno codesto fatto. Le osservazioni arftrafigaanità poi s sui condannati, le quali in questi ultimi tempi vengono prendendo ogni giorno maggiore estensione, constatano questo fatto sin- golare: che, per ciascuna specie di reati, si riscontrano sempre approssimativamente nei rispettivi autori la mede- sima statura, le medesime misure del capo, il medesimo grado di forza muscolare, e perfino il medesimo peso del corpo, a quanto affermano coloro che si occupano di quesle sperienze. i Vhanno temperamenti, fra quelli che i medici chia- mano temperamenti pazzi, i quali, convenientemente colti- vati, possono dare risultati meravigliosi. i I doni più elevati dell’ingegno, la profondità dell’intui- zione, un'attività prodigiosa si possono trovar congiunti ad un primo grado di alienazione mentale, ed esserne benanco il risultamento, come avviene talvolta in coloro che hanno il sistema nervoso eccezionalmente impressio- nabile e sureccitato. © Molti uomini superiori ebbero siffatto temperamento. In essi, le circostanze favorevoli, la coscienza del proprio valore, un nobile anelito ad un grande scopo e l'impero che seppero esercitare sopra se stessi, li preservarono dai traviamenti, li tennero e li spinsero innanzi sulla via retta. Sotto l’azione di circostanze diverse, i medesimi uomini N avrebbero potuto piombare in suna vera pazzia, 0 for n s'anco diventare grandi ribaldi. Ond’è che, anche per suo ’ = riguardo, vha una profonda sapienza nel detto di Napo- .. leone I: Du sublime à la folie îl n'y a quun pas. In molti il delitto è una sciagurata valvola di sicurezza che li preserva da un’altra sciagura: la pazzia. Delitto o pazzia : ecco, secondo le osservazioni di molti medici, il terribile dilemma in cui si risolverebbe spesso, per un dato individuo, il prodotto accumulato delle tendenze vi- ‘“ziose e morbose di più generazioni. Ora, ponete un pugno d’uomini aventi siffatte tendenze in circostanze adatte a favorirne lo sviluppo e la frutti- ficazione; per esempio, nell’ebbrezza delle passioni poli- tiche portate all’apogeo dell’ eccitazione da gravi sciagure pubbliche e dallo sconvolgimento di tutti gli ordini so- ciali: e poi dite che cosa ne potrà avvenire! Il sig. Laborde, in un libro interessante ove studia le orribili scene della Comune di Parigi nèlle loro cause patologiche, ebbe a constatare che molte fra le persone le quali vi presero parte attivissima (ed alcune altresì principale) avevano, in se medesime o ne’ loro consan- guinei, precedenti di alienazione mentale o quanto meno di eccezionali disordini; e trova in quegli orrori il pro- dotto di una mania collettiva, comunicatasi come per contagio a tutti coloro che vi portavano qualche predi- sposizione (1). D'altra parte, è altresì un fatto incontestabile che varia di poco in ciascuna specie il numero annuale dei reati, che varia di poco il numero delle recidive; che la reci- diva è pur troppo la regola generale pei condannati non ‘appena si trovano in libertà, nè suol essere minore del (1) LABORDE, Les hommes el les actes de l’insurrection de cl au _ point de vue de la paichologie morbide (Paris 1872). % - sessanta o settanta per cento; senza tener conto dei casi non pochi in cui non si calcola il nuovo delitto per ciò solo che o rimane ignorato o non se ne poterono avere prove sufficienti. Mi sovviene a questo proposito d’aver letto, non è molto, d’un tale che, uscito dal carcere dov'era stato punito per un furto di venti lire commesso sur un com- pagno di letto mentre questi dormiva, nella prima notte dopo la sua liberazione e nella città stessa in cui finiva pur allora di scontare la pena, rubò settanta lire ad un passeggero che capitò la sera nella camera in cui egli al- loggiava. È constatato che i delitti contro le persone sono più frequenti nei mesi caldi; e se interrogate i direttori dei manicomii e delle case di pena vi diranno che il massimo numero delle infrazioni, e per conseguenza delle puni- zioni disciplinari, si verifica presso ai primi quarti delle lune e poco prima che scoppino i temporali. Tutti questi fatti (di cui non ho qui accennato che al- cuni, a modo d’esempio) ed altri moltissimi che si veri- ficano ogni giorno, non possono a meno di destare serie riflessioni, specialmente in coloro che fanno di tali ma- ferie l'oggetto esclusivo, o quanto meno principale, de’ loro studi. Ned è a stupire che più d’uno tra questi si trovi indotto a conchiudere che le azioni umane sono il prodotto combinato ed inevitabile dell'organismo di cia- scuno, de’suoi antecedenti gentilizi, delle disposizioni mor- bose e delle tendenze che ne conseguono, delle circo- stanze è delle influenze esterne in mezzo a cui si venne esplicando la sua vita: per guisa che, secondo la varietà dei casi, il medesimo germe, sviluppandosi in circostanze — | favorevoli, si può venir correggendo e può spinger indie, ad alti e nobili atti; oppure, sotto l’azione di circostanze | fa x " AO 32 | NU “contrarie, può degenerare in malattia, condurre all’ alie- nazione mentale o produrre il delitto. Tale è oggidì la tendenza manifesta di gran parte dei più riputati medici alienisti. Dell’ardore con cui vengono in Italia coltivati x siffatti studi è una novella prova la recente pubblicazione che si fa a Reggio-Emilia di una Nuova Rivista sperimen- tale di freniatria e medicina legale, in cui sono raccolti molti dati di fatto interessantissimi e molto accurati studi di fisiologia cerebrale e materie affini. Egli è ben vero però che, malgrado tutto queste, il senso comune e la coscienza universale ripugnano a porre sulla medesima linea il malato, il pazzo, il ribaldo, negando così negli atti umani ogni libertà di elezione. Ma qui si fanno avanti coloro che non riconoscono nell’uomo al- cuna attività avente esistenza sua propria, indipendente dalla materia organizzata; e ci dicono che questa moda- lità del nostro organismo la quale ci presenta i fenomeni psichici, questa forza inerente a certe condizioni orga- niche, appunto per l’indivisibilità sua dalla materia e per la necessaria dipendenza in cui si trova da essa, opera fatalmente a seconda degl’impulsi che riceve : che quindi gli studi delle leggi psicologiche, confermando a capello i risultati degli studi fisiologici di cui sono parte e com- plemento, concorrono coi medesimi a mostrare che la libertà del volere umano è un assurdo; e che il testi- monio del senso comune, della coscienza dell'intera uma- nità, la quale ha sempre distinto il malfattore dal pazzo ed ha sempre imputato al primo di essi il delitto come a causa libera, è un grave errore prodotto dall’ignoranza, perpetuato dalla falsa educazione, sanzionato dalla super- stizione. PRA ii Secondo essi, ciò che chiamasi vita è l'equilibrio fra il duplice processo di composizione e decamporianna orga: nica. Quest’equilibrio è senza posa oscillante; quando si spezza e l’opera della decomposizione supera quella della composizione, avviene la morle. La manifestazione mate- riale del nostro essere dicesi corpo: la manifestazione di- namica dicesi anima. Cessando la prima, cessa necessaria- mente la seconda che n’è inseparabile. — A quella guisa che gli elementi della materia onde si compone il nostro organismo gli vengono tutti dal di fuori, tutti gli atti della parte dinamica dell’ esser nostro sono il prodotto delle impressioni esterne, che producono le idee, da cui le volizioni, Gli organi dei sensi ricevono le impressioni e le trasformano in attività, che operano poi per mezzo dei muscoli. Impressione, sensazione, movimento: ecco il processo dinamico degli atti umani. Il complesso delle impressioni ricevute costituisce la nostra coscienza. La forza delle nostre determinazioni è proporzionata alla forza dei motivi. Quando le impressioni sono rapide e molteplici, riesce malagevole il discernere in ciascun’ a- zione esteriore la parte che vi ebbe ciascuno di questi moventi: ma ogni atto esterno è indubitatamente la risul- tante di queste varie forze: e chi potesse esattamente tener conto di tutte le impressioni che l’uomo riceve, valutare la forza di ciascuna di esse, tanto in se stessa quanto in relazione col grado d’impressionabilità del sog- getto, conoscere tutte le circostanze in cui si svolge e si svolgerà la sua vita, potrebbe con sicurezza matema- tica affermare a priori quale sarà nei singoli casi la de- | terminazione e l’atto di ciascuno. La libertà d'elezione è — un assurdo; perchè un atto libero sarebbe un effetto | i senza causa. Ogni atto che voi credete libero, non è ne Voi credete di esser libero di gettarvi o non ERMORN dal "i ei SO. - - e d 5 Mec PIA E sd 827 finestra? Non è vero. Se siete libero, perchè non vi get- tate? — Perchè io voglio vivere. — Dunque, non è la libertà d’elezione, è l’amor della vita che ve ne distoglie. — Ma non vi sono tanti che si gettano dalla finestra? Come potrebbero farlo se non fossero liberi? — Allora, si risponde, è il fastidio della vita che è sì potente da superare l’istinto della conservazione: e qui pure l’atto è fatale (1). Non credo necessario addentrarmi nei particolari di questa dottrina. In ogni materia si possono scriver vo- lumi: ma quando se n’è afferrato il punto centrale, l’idea madre, che è come la sintesi, il germe, l’unità del tutto, se ne può scorgere facilmente da quel punto di vista ogni svolgimento ed ogni applicazione. Ora, da quanto venni finora sommariamente accen- nando, se veri sono i fatti a mo’ d’esempio indicati e vere le conseguenze che se ne vogliono dedurre, già si scorge a sufficienza come, a difesa di qualunque impu- tato di un misfatto, si potrebbe, anzi si dovrebbe dire: x « quest'individuo è pazzo — ©, se non è tale, egli è co- » stituito in modo che, nelle circostanze in cui trovavasi, » non gli era possibile agire altrimenti da quel che fece; » — o se infine pur lo credete (cosa difficilissima) in » istato fisiologico normale, la sua azione è il risul- » tato inevitabile della somma dei motivi, avvertiti o no, » che lo spinsero ad operare. Come dunque potrete voi » ragionevolmente imputargli quest’ azione a delitto? » Prima di accettare cosiffatte conclusioni, è lecito esa- minare se i fatti su cui si fondano siano veramente tali da autorizzarle, ed (ove no) è dovere accertare quali ne (1) V., p.es., Herzen, Analisi fisiologica del libero arbitrio umano. Se 54 - spiegarsi, in presenza di tali fatti, la libertà dell’uomo. II. Senza entrare a discutere l’esattezza assoluta d’ogmi par- ticolare, tutto ciò che è un fatto reale io lo accelto com- pletamente. Convengo che grande è il numero dei pazzi, e forse maggiore (almeno quanto a pazzia incipiente) di quanto si creda dai più: che non è cosa agevole in molti casi lo scernere chi è pazzo da chi non è: che forte è l'influenza delle passioni, dell'organismo, degli esterni e degl’interni moventi (bene spesso non avvertiti) sulla pro- duzione degli atti umani. Nè mi stupirei che da ulteriori ricerche emergessero altri fatti oggidì per anco non co- nosciuti, dai quali l'influenza di siffatti elementi risultasse ancor maggiore. — Ma non credo che, a motivo di ciò, l’azione umana debba dirsi fatale: la conseguenza sarebbe più ampia delle premesse. Non v’ ha dubbio che quando vogliamo addentrarci a rintracciare il preciso confine che separa l’alienazione da quello stato più comune che suole chiamarsi sanità di mente, ci troviamo (eziandio se profani alle scienze’ me- diche) in cospetto di fenomeni psicologici che fanno tre- mare. Nè, fra coloro i quali ebbero una vita alquanto be; 1 tempestosa, o travagliata da forti angoscie morali e dal certe terribili scosse e lotte di spirito, v’ ha forse alcuno — sa di quale in dati momenti non abbia seriamente. one finite gradazioni che corrono fra il bianco ed il nero, finchè si tratta di quella zona di cui si può dire. » Che non è nero ancora e’1 bianco muore », ci sarà impossibile determinare con precisione ciò che in quella tinta media vi ha dell’uno e dell’altro: ma se poniamo costa a costa il bianco ed il nero (mettete pure che non si tratti di bianchezza assoluta) nessuno potrà dispensarsi dal riconoscere fra l’uno e l’altro una diffe- renza spiccata e ricisa, la quale non consente in verun modo di confonderli insieme. Ugual cosa si dica delle passioni. Io non credo far oltraggio alla dignità della nostra stirpe affermando che poche sono forse le azioni umane di qualche rilievo in cui la passione (benchè altri per avventura non ne abbia coscienza) non s'insinui pure in qualche modo: mentre argomento appunto di virtù e di lode è non tanto il non sentire le passioni quanto il superarle. I vocaboli stessi di pazzia e di passione indicano entrambi uno stato passivo, quindi l’azione di una forza straniera sull’animo del pa- ziente. Ma, se talora vi può esser dubbio sul limite che divide uno stato dall’altro, sull’ intrinseca differenza fra i due stati il dubbio non può esistere. L’universale co- scienza riconosce nel grado di passività in cui il pazzo si trova una tal sagliardia della forza che lo soggioga, da escludere in lui ogni signoria di sè; mentre invece riconosce la possibilità di frenare le passioni, di affievo- lirne la potenza, di respingerne gli assalti, e per ciò stesso, suol dare a questa forza, a questa vis reattiva, il nome di virtù. «_Ond’è che l’azione commessa sotto l’impero della pas- | sione si distingue del pari e dall'azione del pazzo e da 830 PRA Pon T- SERRA quella dell’uomo in istato normale; dell’uomo vale a dire che, se non è scevro affatto da ogni influenza delle pas- sioni, si trova però nella possibilità di resistervi. Innegabile altresì è l'influenza delle condizioni dell’orga- nismo sulle nostre tendenze e sulle nostre determinazioni. Senz’ accettare come dogmi inconcussi tutte le conclu- sioni della frenologia, della chiromanzia e quante altre si deducono dalla misura comparata delle varie parti del corpo, dallo studio dei segni plastici, fisionomici e mi- mici, — ciascuno di noi però può facilmente rilevare sopra se stesso l'influenza che esercitano sulle sue ten- denze e determinazioni il proprio temperamento, le ma- lattie a cui soggiacque, le predisposizioni ereditarie; può studiare quotidianamente nella cerchia delle persone da lui conosciute l’azione di codesti elementi, la correlazione della costituzione fisica, delle linee del volto, delle mo- venze, del portamento, e simili, colle qualità e colle ten- denze morali. Nè mancano osservatori sì acuti ed esperti che, quasi in un libro, leggono in questi segni esteriori la storia morale di molti. In più d’un volume, e segna- tamente in un lavoro assai pregevole del Moreau-Chri- stophe, intitolato Le monde des coquins, ho letto a questo riguardo esempi singolarissimi tratti da fonti irrecusabili e degni di tutta l’attenzione. att E l'influenza delle impressioni d’ogni giorno, così mol- teplici e così svariate, — delle considerazioni e degl’im- pulsi che esse destano in noi e che diventano (spesso senza che ce ne avvediamo) altrettanti intrecciati e segreti. moventi delle nostre determinazioni, — chi vorrà disco- noscerla ? Chi oserà affermare di esserne interamente scevr'o? UE ‘oe iu ato: vot LASA] Tutto questo è verissimo. Ma non è men vero del pari. sa ® 6: Le te fue È - pi, od. A >| eee A mo: 201 che contro queste influenze fisiche e morali si può rea- gire e da molti si reagisce tuttodì, e che in vari modi se ne può render minore l’energia. Dagli esercizi ginnastici che si prescrivono ai ragazzi, al regime igienico consi- gliato dal medico a ciascun individuo, ai mezzi terapeu- tici adoperati per ciascun malato, ai metodi di cura che simpiegano ne’ manicomii per ciascun mentecatto, —& tutto mira a combattere questa lamentata tirannia del- l'organismo; ed il fatto prova che è possibile modificarne l’azione: come, col sostituire man mano moventi più elevati a moventi inferiori e col creare abitudini di re- sistenza ai moti istintivi ed irriflessi, viensi poco a poco a scemar l’ efficacia delle impressioni giornaliere ed a costituire la saldezza e l’energia del carattere. Il sig. Maudsley, che ho citato più sopra, parlando dei mentecatti, osserva con molta verità che pochi impazzi- rebbero se conoscessero tutte le risorse della nostra na- tura e sapessero trarne profitto. Egli nota che il sodo carattere dipende dal retto sviluppo della volontà nelle varie circostanze della vita, mentre per contro le cause più frequenti di pazzia sono una sensibilità morbosa e la debolezza della volontà, Ila quale conduce poco a poco alla perdita della facoltà di coordinare le idee ed i sen- timenti: e che il principio della guarigione d’ un pazzo è sempre un risvegliarsi della potenza della volontà; potenza la quale, se non è affatto estinta nel pazzo, esiste a fortiori nel sano di mente. Quindi conchiude che il più efficace preservativo contro la pazzia sarà il savio governo della volontà ed il sindacato di essa sulle idee e sui sentimenti : sarà un nobile scopo agognato con ardore, con isforzi continui, accompagnati da sobrietà e temperanza, da continua abnegazione e continua disciplina sopra di sè, ai Ciò che questo scrittore consiglia qual mezzo. preven=. tivo contro la pazzia può applicarsi del pari alla lotta contro qualsiasi delle difficoltà e delle influenze testè accen- nate che, ponendo l’uomo in uno stato anormale , pos- sono spingerlo, secondo le circostanze, come alla pazzia, così alla passione, al vizio, al misfatto. s Io so bene che questi riflessi non ismuovono punto gli avversari della libertà umana. In codesta reazione contro le influenze patologiche, fisiologiche e psicologiche essi ravvisano unicamente una lotta di forze che produce oscillazione ed il cui risultato definitivo sarà in ciascun caso la prevalenza della forza più intensa e più potente: ma questo risultato non può escire, dicon essi, dal cer= chio insuperabile della fatalità, e quindi, sia pure a to- tale beneficio del bene, non giova nulla a stabilire nel- l’uomo il libero arbitrio. È Comprendo un siffatto punto di vista e la sua logica: ma da questo solo punto di vista la questione non può essere sciolta; poichè non è possibile accertare se sia li- bera o no l’attività umana ove si considerino soltanto, in qualunque senso si voglia, i fatti che si presentano come contrari a questa libertà, e non si ponga mente nello stesso tempo all’ altro principalissimo termine del pro- blema: vale a dire all’indole intrinseca dell’attività umana medesima, alle sue potenze, alle sue facoltà , alle forze + che la sussidiano, alle leggi che la governano. Per poco che altri rifletta, si convincerà di leggeri che è anzi dal conoscimento sempre più esatto di tutto ciò che si po- Ha trà apprezzare con sempre maggiore esattezza il reale valore dei fatti che sembrano contrastare alla libertà dell l’attività umana; valore che non è altrimenti apprezzabile | se non quando sia posto a fronte dei mezzi e delia ps i di cui quest’ attività può disporre. - . di + i Quadi ig NIN Consideriamo pertanto , con breve ma vigorosa atten- zione, quest'attività umana in relazione col suo orga- nismo, da cui e per mezzo di cui le vengono tanti ecci- tamenti e tanti ostacoli; non ispeculando astrattamente, «ma constatando i fatti che cadono ogni giorno. sotto la nostra esperienza. Non ho neppure mestieri di arrestarmi a mostrar qui l'indole spirituale dell'anima umana, come principio per sua natura distinto dal corpo, benchè ad esso stretta- mente collegato. A me basta por mente all’intima corre- lazione che intercede fra la materia organizzata onde consta il nostro corpo e la forza invisibile che lo anima, lo sostiene e lo muove. L’esperienza d’ ogni momento ci fa sentire un’ azione ed una reazione vicendevole ed incessante di questi due termini della nostra esistenza, o (se meglio vi piace) di questi due lembi estremi dell’esser nostro. A quella guisa che l’albero attinge un duplice alimento ed eccitamento alla sua vita, dalla terra per mezzo delle radici, per mezzo de’ rami e delle foglie» dal cielo, così noi col lembo ma- teriale e visibile dell’esser nostro attingiamo per mezzo dei sensi alimento e stimolo dal mondo esterno e dalle forze ad esso inerenti, e col lembo opposto invisibile, per mezzo di altri organi e di altre facoltà , attingiamo alimento e stimoio dal mondo immateriale, intelligibile, e dalle forze imponderabili che da esso, come raggio da sole, direttamente a quell’intima parte dell’esser nostro derivano. Di qui un duplice ordine d’impressioni, di sen- sazioni, di sentimenti, di moti, di reazioni, che, correndo e ricorrendo come elettrica scintilla da un capo all’altro di un filo telegrafico, tengono in movimento continuo l’esser nostro, eccitandone senza posa l’attività e la vita, 893. Lo stato dell’anima viene ad essere così bai gran e dif il risultato delle condizioni del corpo; e viceversa le con-. dizioni dell'organismo vengono ad essere in gran parte l’espressione dello stato dell'anima. Il corpo nostro è egli sano, e governato secondo le _ È; leggi di sua natura? L’anima, la parte consciente di noi, > se ne risente e se ne trova bene. La sanità, la vigoria, | il retto governo del corpo, offrendo all'anima un organo 4 vivente e pronto all’azione, eccitano la sua attività e l’in- E. vitano a servirsene. » D'altro lato, se l’anima nostra è governata anch’ essa rettamente, si trova in armonia con quel mondo e con Mi quelle forze invisibili che, anche astrazione fatta dalle i 7 impressioni ricevute per mezzo dei sensi esterni, le dànno Br: luce, gioia, energia, calore. Questo produce in lei uno stato di benessere e di pace, che le rende più facile ni elaborare e raccogliere ad unità ciò che dai due mondi riceve; e, nel reagire sull’organismo per estrinsecarsi nell'azione, essa v imprime naturalmente un moto ordi- nato ed armonico, che lo compenetra di sè, lo vivifica, lo rende espressione fedele del suo modo di essere, e ad un tempo ne favorisce la sanità. È l'igiene morale. Ciò che pel lembo invisibile dell’esser nostro è virtù, pel lembo Da materiale e visibile è sanità. Si può dire allora veramente | che l’anima porta il corpo, che lo impronta del suo si- — -gillo, e gli dà la propria forma, elevando la materia. ond’ esso è composto ad esprimere visibilmente le recon- | dite armonie di un mondo invisibile. grigi sa Supponiamo il caso inverso. L'organismo, per vizio co- PASS stituzionale, ereditario o contratto di poi, è imperfetto, difettoso; di più è mal governato, e si sviluppa se CIsha circostanze le più sfavorevoli. Le IRR esterne | MR 835 giungeranno all’anima in modo corrispondente all’imper- fezione “dei veicoli che le trasmettono: 1’ attività interna sarà eccitata in modo anormale, disordinato, morboso. Per altra parte, nell’imperfezione del corpo essa non trova gli organi adatti a formolare ed estrinsecare i risvegli e gli stimoli che direttamente riceve dal mondo interiore, a quel modo che altri si trova impacciato nei movimenti delle membra da un abito mal fatto. L'anima verrà così ad essere facilmente sviata; ed il risultato naturale di questa condizione di cose. sarà un’ azione imperfetta an- ch’'essa e difettosa come l’ agente che la produsse. Per contro, anche supponendo un organismo perfettamente costituito, ove l’anima sia disordinata, agitata dall’azione dei moventi molteplici che in varie parti la sospingono e non retta a dovere, non potrà nè far tesoro delle im- pressioni che riceve, nè imprimere al corpo un moto re- golare, armonico, normale; e la conseguenza necessaria sarà un disordine, un’alterazione, una degradazione nel- l'organismo, che potrà precisamente condurre (secondo i casi) alla malattia, all’alienazione mentale, al delitto. Questi sono fatti i quali, mentre mostrano l’intima, vi- cendevole e continua correlazione fra il polo esterno ed il polo interno dell’essere nostro, ci convincono in pari tempo che l’attuale libertà delle nostre determinazioni è ristretta entro confini forse più angusti di quel che co- munemente si crede. Ma basteranno essi a farci conchiu- dere che ogni libertà è esclusa? Proseguiamo nell'osser- vazione dei fatti. Noi ci moviamo ad operare sotto l’a- zione moltiforme dei vari moventi che s’accentrano in noi e ci spingono ad agire in questo o quel modo: sia pure. Ma è un fatto incontestabile che più d’ una volta ci troviamo impegnati in un’azione a cui ripugna la parte interna di noi. Ora A (fatto non ione cei [ mentre facciamo una cosa, pur ne vogliamo un ‘altra? uti vi DI è neppure infrequente il caso che, anche facendo cosa da noi voluta, ne sentiamo tuttavia interno rimprovero. Or come questo interno fenomeno si produrrebbe, se non avessimo la coscienza che potevamo far altra cosa? Non si dica che ciò prova solamente il concorso contempo- raneo di due moventi (si presentino essi sotto la forma di piacere o di dovere) di cui il più forte ci trascinò all’a- zione e l’altro, troppo debole per diventare esternamente efficace, si fa sentire soltanto alla parte interna di noi. Non si dica che il rimorso è cosa meramente soggettiva, che non tutti lo sentono, che può esser frutto dell’ abi- tudine, dell’educazione, d’idee erronee. Io potrei doman- dare anzi tutto in qual modo questo sentimento del ri- morso, contrastante alle naturali tendenze, avrebbe potuto sorgere, e tanto più in qual modo avrebbe potuto pene- trare ed attecchire (mettiamo pure anche in una parte sola dell'umanità), se non fosse appoggiato alla verità delle cose. Ma, poniamo per un momento che il ri- morso sia un errore ed una illusione: resta pur sempre che questo sentimento non può nè prodursi nè compren- dersi senza la coscienza della libertà che avevamo di far altrimenti da quello che facciamo. E similmente, per quanto la ripugnanza che proviamo talvolta nel fare ciò che facciamo si dica prodotta dall'azione (benchè più de bole) d’ un movente diverso, resta però sempre il fatto che vogliamo in tal caso (sia pure più debolmente) una cosa diversa da quella che stiamo facendo. — Sì; ma frattanto voi fate quell’azione che vi ripu- gna o che la vostra coscienza vi dice cattiva; e la fate perchè la forza che vi spinge è più forte di voi. Dunque. iii ie A volontà, la vostra libertà è un’ astrazione, una potenzialità ideale, incapace di tradursi in atto. Libero in teoria, in realtà siete schiavo. Comprendo che, una volta postici sotto l’azione di una corrente, ci sia difficile, talora fors’ anco impossibile, il A sottrarcene. Ma non potevamo noi metterci da principio i sotto l’azione d’una corrente diversa? Certo è difficile “di sottrarci all’azione del vapore condensato in una locomo- ‘dI tiva quando il convoglio in movimento ci porta in una ui determinata direzione : ma quanto non era egli facile nella "% 3 stazione della ferrovia porre il piede in un altro convo- Bi glio! È difficile a chi s'è abbandonato al giuoco, allo 2-00 stravizzo, sottrarsi a quel fascino, arrestarsi per via e vi. non scivolare, all’occasione, sul lubrico sentiero del de- * vi «._litto: ma perchè costui si mise egli da principio sotto ‘3-0 l’azione ammaliatrice che ora lo tiranneggia? a — Egli è, si risponde, che nè il viaggiatore nella sta- “ zione era libero di salire in altro convoglio, nè libero 3 3 era lo scialacquatore di scegliere un’altra via: l’uno e Se l’ altro era spinto da motivi preesistenti, i quali lo con- ; dussero alla determinazione che prese e non potevano x condurlo ad un’altra. “# Supponiamo ancora che sia così. Non si potrà però disconoscere che la spinta di siffatti motivi esercitava b, sull’agente (0, se meglio si vuole, sul paziente) un'influenza Sal meno gagliarda nella stazione che non nel convoglio in } corsa, al momento in cui fece il primo passo srego- - lato, che non quando si trovò tuffato nell’ebbrezza del Ss j giuoco e dei disordini. Per altra parte, l'impulso che spinse l’uno e l’altro a porsi sotto l’azione più possente Sail della forza del vapore e del fascino dei piaceri (per pai ; quanto occasionato da predisposizioni organiche e dalle ; DI Cie er” al MOTTO, si venne formando però mercè il successivo d E b moltiplicarsi d’impressioni e di reazioni in un determinato ;e va senso: e niun dubbio del pari che, al cominciare di co- e deste impressioni e reazioni, la forza di siffatto impulso A fosse minore. Non si può quindi a meno di riconoscere che in co- desta schiavitù alle spinte impulsive ed alle forze traenti ; vi è una progressione di gradi; la quale per conseguenza, se da un lato guida alla schiavitù completa, accenna al- È | l'estremo opposto la pienezza della libertà. Si faccia pur È qui la parte la più larga all’influenza dell’organismo, del ti temperamento, delle affezioni morbide, delle predisposi- zioni ereditarie: se non avremo libertà attuale perfetta, o avremo quanto meno una libertà imperfetta, una qualche possibilità di resistenza contro l’azione di quelle molteplici cause: per tenere il paragone accennato più sopra, se non abbiamo ancora il bianco della libertà attuale asso- luta, non avremo più tuttavia il nero dell’assoluta schia- vitù, ma avremo almeno un grigio che, quanto più si va risalendo verso la fonte, si viene sempre più avvicinando alla bianchezza. Si Riesce dunque evidente che vi può essere un punto in cui, in mezzo all'influenza di più d’un movente, uno c moto solo dell'animo può collocar l’uomo sotto l’azione | | ae «dell'uno o dell'altro di essi. E ciò, non solo quando le ni SM ue. influenze che cercano guadagnare a sè quell’interno mo- È ii vimento siano eguali in intensità, ma anche quando Lat È si, sieno fino ad un certo punto disuguali; perchè conden- ‘SI, sando gli sforzi, l’uomo può, entro certi limiti, iste colla maggior vigoria dell’attività propria a quanto SG9AE E cherebbe di forza nel movente più debole. GG . In codesto moto dell’animo, in codesto sforzo iniziale | . fluenza si manifesta la prima espressione della nostra libertà di eleggere. Questa possibilità di moto e di sforzo esiste; poichè la ripugnanza od il rimprovero interno che proviamo nel seguitare una direzione da noi non amata o creduta cat- tiva sono già per se stessi un moto ed uno sforzo ini- ziale contro la direzione che seguitiamo. Se non vi fosse questo moto, non sarebbe possibile il menomo malcon- tento, la menoma reazione ; ma tutto intero l’esser nostro si acqueterebbe alla direzione in cui è trascinato, come vi si acquetano i gravi nella loro caduta, le piante nel loro germogliare, gli astri nel percorrere le loro orbite. Finchè v'ha una parte in noi che reagisce, v'è un moto, vè una forza che lotta. Da questi fatti, che ciascuno può sperimentare ogni giorno nell’intima sua coscienza, parmi pertanto già ri- sultare che, se è vero non esservi azione umana senza un movente; se è vero che, ove il movente fosse uno solo, la volontà si piegherebbe da quella parte, è vero altresì che, quando i moventi sono molteplici, viene ad' es- sere eccitata nella nostra attività senziente la facoltà di eleggere, cioè la facoltà di giudicare che una cosa è (in se stessa o relativamente a noi) migliore delle altre; nel che è già un primo moto dell’ animo il quale ad essa si unisce, un iniziale eccitamento della volontà a volerla, e di tutte le nostre facoltà ad adoperarsi per attuarla e conseguirla. In ciò si manifesta la libertà d'elezione. L’azione liberamente scelta non è dunque un effetto senza causa. La causa dell’azione eletta sta nel libero giudizio che guidò l’elezione, e nella volontà che mise in moto i muscoli necessari ad attuare la scelta liberamente fatta. ; | È 839 che ci mette sotto l’azione di questa o di quell'altra in- 840 Ì Bia VILLE ASTE ai de- ra ‘Può avvenire che, ciò malgrado, la forza prepon rante di un movente sugli altri determini di fatto la vo- lontà in un senso diverso che quello che avevamo scelto e che col sommo dell’animo continuiamo a scegliere. Ma questo che prova? Questo prova che, a fronte della gagliardia degli ostacoli (come osserva a questo proposito acutamente il Rosmini (1)) manca.all’attività umana la vigorìa sufficiente per attuare l’elezione che fece; ed, in questa sproporzione di forze, la più potente trionfa. Ma ciò non distrugge la libertà dell’elezione; la quale non cessa di sussistere malgrado che l’azione sia in qualche parte coatta. La volontà è la forza che, posta a servizio della libertà, deve dar corpo al suo atto elettivo, e che, sotto V’in- fluenza di forze prevalenti, può farci difetto, senza che resti distrutta quella prima scelta: a quel modo che ponno far difetto le armi e le munizioni da guerra ad un popolo il quale insorga per la propria indipendenza, senza che per questo ne venga distrutto il proposito di spezzare le proprie catene e conquistare la propria libertà. È debole, imperfetta, viziata la volontà: ma esiste la libertà d'elezione. Forsechè non esiste potenza vitale nel- l’infermo perchè la malattia gl’impedisce di manifestarla nel suo modo normale? Si tratta, nell’infermo, non di negare la potenza vitale, ma di restituirla a sanità. Si- milmente si tratta qui, non di sconoscere la libertà umana, ma di vincere gli ostacoli che ne impediscono. il normale esercizio. E veramente, chi ben guardi, la 0° parola stessa e quindi il concetto pratico di libertà non . . . . . . PRIVI Aa e esclude gli ostacoli, ma li suppone, ed inchiude il con- Pr PM 4 (1) Rosmini, Antropologia, libro III, sez. 2°. è & ci f STAR pa | cetlo della liberazione dai medesimi, mercè la vittoria sovr’essi ottenuta coll’uso adeguato dell’attività operante. Libertà non è vocabolo nè idea avente ragione di essere per sè: è un concetto che ha valore solamente in quanto si contrappone a schiavitù, o non incorsa, o superata. Pertanto: esistono ostacoli; esiste nell'uomo interiore possibilità di moto, di reazione, di lotta; perchè, malgrado la debolezza, l’imperfezione, il vizio della volontà, esiste la libertà d’elezione. La possibilità di scegliere e di lot- tare è la libertà virtuale: il frutto della lotta felicemente superata mercè gli sforzi della volontà attivata, corretta, ringagliardita, sarà la libertà attuale. .0r, come correggere e ringagliardire la volontà? Come sottrarre l’attività umana all’azione dei molteplici osta- coli che contrastano l'attuazione della sua libertà, e ri- porla in pieno possesso della medesima? Col porre a profitto ed accrescere, mediante l’esercizio, la facoltà che abbiamo di eleggere, di reagire, di com- battere: col sostituire forze a forze, moventi a moventi: col reagire e lottare continuamente contro le difficoltà del corpo e dell’ animo, come continuamente lottiamo contro le fiere e i torrenti, contro le gramigne e le or- _ tiche, contro le rupi ed i mari, contro gli assalti dei ladri e le invasioni dei nemici. Questo è ciò che si fa in sostanza dai medici e dagli educatori. Se, coll’azione di una cura conveniente, voi giungete p. es. a superare l’affezione morbosa del fegato che vi spinge alla melanconia, vi renderete più facile il dar accesso a pensieri sereni. Se offrile al ragazzo un confetto od un balocco, lo indurrete ad abbandonare il al movente del trastullo il movente più nobile di render suo capriccio e seguitare il dovere. Più tardi, sostituirete lieti i genitori. Ed infine potrete sostituire’ a questo | pe movente ancora più elevato di rendere omaggio col pensiero, cogli affetti, colle azioni a ciò che in ciascuna circostanza è la verità, per guisa che l’intera esistenza sia della verità un culto vivente e continuo. = E sarà quando l’uomo comincerà a lottare per tenersi senza posa sotto l’azione di questo solo movente e per contrapporlo sempre all’azione ammaliatrice di moventi diversi, che comincerà ad entrare veramente in possesso della nobiltà di sua natura. Poichè, in mezzo a tante e sì possenti forze contrarie da cui siamo circondati, il buon uso della nostra libertà consiste appunto principal- mente nel sottrarci, mediante la nostra scelta ed il moto dell'animo in cui essa si concreta, all’azione delle in- fluenze che ci degradano, e nel collocarci sotto l’azione di quelle che ci elevano. Ma qui parmi udire: « Voi dite che, per conquistare » la libertà attuale, ci dobbiamo sforzare di sottrarci al- » l’azione dei moventi inferiori per sottoporci a quella » dei moventi superiori. Ora, non è questo sostituire » una schiavitù ad un’altra, senza potere liberarcene » mai? » Vi sono qui due cose a cui bisogna bene por mente. ‘ Prima di tutto, la possibilità di metterci sotto l’azione | d’un movente piuttosto chè sotto quella ‘di un altro è o già, per se stessa, un frutto di libertà. | LR In secondo luogo, conviene avvertire quanto sia di- versa l’influenza che esercitano sopra di noi le ig anormali, disordinate, e le forze ordinate, normali : moventi inferiori o falsi, ed i moventi superiori, i cib ii retti, i moventi veri. PALA, Lo se Le forze disordinate, anormali, e o falsi, i attirando ed assorbendo esclusivamente la no- stra attività in un punto solo, la rendono incapace di portarsi sugli altri; esercitano su di lei una vera tiran- nide, e possono giungere a tale da distruggerla intera- mente, mutandola in passività; la quale, secondo i casi, può essere una violenta passione, o può ben anco di- ventare pazzia. La paralisi p. es. di una gamba c’impe- dirà di camminare; un forte dolore c'impedirà di occu- parci; un violento desiderio c’ impedirà di pensare a qualsivoglia altra cosa: e l’intensità di questo desiderio, divenuto esclusivo e prepotente, può alterare siffatta» mente la nostra volontà, le nostre affezioni, il nostro giudizio, la compagine del nostro cervello, da convertirsi i in vera alienazione di mente. Ma, se è la vitalità normale che ripiglia il soprav- vento, animando essa in egual modo tutte le nostre membra, noi potremo, e muovere il corpo, ed esercitare a nostro talento tutte le nostre facoltà. Similmente, se non è più uno scopo esclusivo e parziale che move il nostro desiderio e il nostro amore, ma la verità sola, i siccome questa ci mostra ogni essere nel suo valore «reale (col che stesso c’impone il dovere di così ricono- i scerlo), ameremo ciascun essere secondo ciò che vera- È mente esso è; nè venendo tratti ad amarne alcuno in modo esclusivo e parziale, saremo liberi dall’influenza prepotente di tutti. E quindi, allorchè, in questa nobile ; lotta per la libertà, noi saremo giunti a sostituire nel- l'animo nostro. ad ogni altro movente il movente solo della verità, cominceremo a diventare veramente liberi, | non pure în potenza, ma în atto. Sarà allora la verità, — l'adempimento del dovere, che ci avrà liberati; e si ve- alba 4 Vi e; 3 BE? L ct ERI 28) | rificherà per noi, riguardo alla verità assoluta (a questa nti > » Su SPINTA ta >, i Mist s he dA fr, do DA pe. ro nes e Circe a ii Li è». 844 79 CROIRORI legge eterna d’ogni essere intelligente e libero) ciò che Cicerone aveva detto riguardo alle leggi positive fatte dagli uomini: ideo legum servi sumus ut liberi esse possimus. Che se ad altri anche questa nobilissima servitù al vero paresse pur sempre, non una libertà, ma una schia- vitù, in quanto che l’attività nostra sarebbe pur sempre mossa dall’attrattiva dell’ intrinseca bellezza del vero, e non potrebbe nè amare, nè scegliere le cose altrimenti da quel che si meritano di essere amate ‘ed elette, al- lora io confesso di non comprendere più che cosa s'in- tenda per libertà. Comprendo la libertà dagli ostacoli che impediscono di vedere, riconoscere, sentire, amare e praticare il vero: non comprendo la libertà dalla verità, mentre è dessa lo scopo della nostra esistenza, l’anelito intimo dell’anima, la legge e la vita della libertà, come quella che precisamente ci mostra ciò che dobbiamo sce-. gliere, e senza cui per conseguenza la libertà della scelta cesserebbe di esistere per dar luogo alla confusione e al caso. La verità, coll’intrinseca sua eccellenza e colla virtù attiva che da lei dimana, muove la nostra attività a sce- gliere le cose secondo il loro pregio reale, ad attivare, a perfezionare in questo senso la nostra volontà, il no- stro amore, i nostri conati, le nostre azioni, e quindi a renderci liberi da ogni straniera influenza. Or bene, è egli questo un distruggere, o non piuttosto un acere- scere la nostra libertà? Chi più libero di colui il quale, amando e volendo ogni cosa secondo verità, non attirato nè assorbito esclusivamente da veruna cosa parziale, può in realtà fare tutto ciò ch'egli vuole? Veramente una conformità sì piena della volontà nostra e del nostro. amore col vero, da renderci impossibile lo sceglier chec- ven hessia in modo ad esso contrario è, pur troppo, nelle «condizioni presenti dell’uomo una mera ipotesi. Ma ce «_ quand’anche ciò potesse avverarsi, la libertà umana ri- n° .—marrebb’ella, per questo, esclusa e distrutta? Ciò mostre- i dr rebbe invece che la volontà sarebbe divenuta perfetta, E d perchè vorrebbe unicamente il vero, e che la libertà x E avrebbe raggiunto il suo scopo, il quale non è se non di SE ì: portar l’uomo alla verità collo sceglierla liberamente , e bi col porre in moto la volontà, gli sforzi e l’azione in « » modo conforme alla fatta elezione. È Con ciò non sarebbe annientata la libertà virtuale di ‘» eleggere, ma resterebbe tolta soltanto la ragione di escire x all’attuazione di questa potenza: perchè, colla retta elezione & E. e col retto esercizio di tutte le facoltà, l’attività umana is: A sarebbe già pervenuta a tale, che un movente solo l’atti- RI a rerebbe: la verità, la legge, il sommo bene. E l’obbedire, sas $ in seguito a libera scelta ed all’abituale rettitudine d’ope- fe. rare, a quest'unico movente, non è schiavitù, ma pace, Se) armonia e letizia. Se | Altro è dire che l’azione feconda del vero sia efficace a muovere la volonià; altro è dire che la muova necessaria- mente. L'azione avvivatrice del vero è un aiuto alla de- bolezza della volontà umana, che giova a rinfrancarla ir quando la scelta dell’uomo l’abbia collocata sotto quella x possente influenza; ma è indipendente affatto dalla li- _ —bertà d’elezione, in virtù della quale, collo scegliere un È | —’ene parziale (tale soltanto nell’opinione o nell’affetto di Mi: chi fa la scelta) l’attività umana avrebbe potuto porre la È volontà sotto l’azione di un movente ‘diverso. L'azione | — —d’ogni movente (e quindi della verità, che è il più nobile dei moventi) riesce attualmente efficace in quanto solo vi si aggiunge l’attività del soggetto che è mosso. Di qui avviene (com’ebbi occasione di toccare alla sfuggita più sopra) che, mentre nell’ ordine meramente fisico la quantità del moto è la risultante esatta della quantità della forza impulsiva e della resistenza opposta dal corpo ricevente l'impulso, senza che mai il moto possa es- ser maggiore dellimpulso ricevuto, qui invece il moto può talvolta esser maggiore dell’ impulso, sia per agire nel senso di esso, sia per resistervi e seguirne un altro. E ciò avviene sempre quando la gagliardia dell’ attività nostra, eccitata alla scelta, si travagli e si adoperi per unirsi ad. uno di. quegli impulsi, e per aumentare la pro- pria forza. nel modo detto di sopra; perchè nell’ordine morale, ov’entra in azione l’attività intelligente e libera, il movimento è la risultante della quantità di forza im- pulsiva e del. grado di vigoria dell'attività messa in moto. E perciò, mentre una sola è la legge che mantiene l'ordine e la bellezza nell'universo , la forza impulsiva, centrifuga, impressa alla materia dal primo Motore, e la forza centripeta dell’attrazione universale: nell’universo fisico, questa forza si esercita in modo fatale sulle fra- zioni per sè inerti della massa cosmica che si movono nell’immensità dello spazio, mentre invece, per l’in- dole attiva e libera del soggetto, si esercita, nel mondo degli. esseri morali, in guisa che la libertà di ciascuno sia rispettata, ma che ciò nullameno quella forza su- prema d’attrazione che esercita il vero ad ogni modo trionfi. Poichè, amata ed eletta, avvalora ed eleva tutte le facoltà e rende il volere efficace della propria efficacia: negletta e respinta, pur sospinge e tormenta il libero riluttante, che non trova pace in nessuna scelta diversa. E chi, spingendo ancora più addentro lo sguardo, vo- lesse vedere, per quanto ci è possibile nelle nostre con 7 si ein A dizioni presenti, quale sia l'indole di quel primo atto impulsivo onde il moto e l'armonia del presente universo discendono, non potrebbe in verità conchiudere altri- menti se non che quell’atto fu libero e non necessario, non fatale. Poichè, se è cosa necessaria ‘che due e due facciano quattro, per guisa che non potrebb’essere altrimenti, non è per nulla necessario e fatale nè che l’universo presente esista, nè che esista nel modo in cui lo vediamo or- dinato. Se non che, per tornare al nostro proposito, ben lungi che nelle condizioni attuali l’uomo sia talmente tratto dalla forza della verità da non poter volere altra cosa se non ciò che la verità gli addita, non è al con- trario se non a patto di sforzi continui e di lotte instan- cabili che può giungere appena a far questo in picco- lissima parte. Oh quante volte in mezzo a codesti nobili travagli non si sente l’uomo svigorire il coraggio e ca- dere le braccia dinanzi alla moltiplicità degli ostacoli, alla prepotenza degl’impulsi, all’affascinante attrattiva dei moventi contrarii, alla coscienza della propria debolezza! Egli è in quei momenti angosciosi che erompe talora da’ più intimi tabernacoli dell’anima un grido istintivo, come di naufrago, verso un soccorso più valido dell’umano ‘volere; e che una forza improvvisa discende talvolta a vivificare di sè tutte le potenze dell’uomo. Ove a questa nuova irradiazione egli aderisca ed imprima all’ attività sua un movimento conforme, l’atto che ne sgorga non sarà che sublime: sia esso l’indomita perduranza di Co- lombo nel suo nobile scopo, malgrado le ripulse dei prin- cipi, i contrasti degl’ invidiosi e le opposizioni d’ogni maniera; o sia la virtù, meno splendida ma non meno mirabile, della povera derelitta vincente coi lunghi sacri. «a sa se Po i Ce 848 det fici la brutalità del marito, o dell’ignorata fanciulla che consacra il fiore d’un’ardente giovinezza a confortare gl’infermi ed i moribondi ed a medicarne le piaghe fetenti. Ma non oltrepassiamo i confini della ricerca scientifica. Molte cose, in questi abbozzi, ho dovuto intralasciare ; molte ho potuto appena toccare di volo; più che l’espo- sizione del mio sentimento e del mio pensiero, questi rapidi cenni non fecero che additare un vastissimo oriz- zonte. Tale è la nostra limitazione, che di molte tempo abbisogniamo per colorire da tutte le sue parti anche una sola idea; tale è la povertà della nostra parola, che appena a sbalzi essa può riflettere qua e là qualche raggio di quella luce e di quel calore che rallegra e riscalda e. feconda l’intime latebre dell'animo in quella segretis- sima camera dell’essere nostro ove si fa, come in propria sede, sentire. Parmi tuttavia che, «ove altri s'inoltri a ri- flettere più addentro per la via di cui ho qui imperfet- tamente segnato qualche punto, potrà convincersi che la nostra libertà o facoltà di eleggere, latente finchè la vo- lontà si trova sotto l’azione d’un movente solo, d’un solo impulso, si manifesta non appena si viene a trovare sotto l’azione, benchè d’intensità diversa, di due o più mo- venti; e che, secondo il suo moto elettivo, può accrescere o diminuire, quanto a sè, l’azione dell'uno o dell’altra. Se essa aderisce fin da principio al movente più forte; oppure se, dopo aver aderito ad uno più debole, non for- tifica coi mezzi che sono in sua mano quel primo suo «moto elettivo e la lotta iniziale che n’ è la conseguenza, sarà più o meno celeremente trascinata nel senso della forza più gagliarda. E, se falsa è l’immagine di bene che ; segue, il suo stato sarà una passione , che può tramutarsi in vizio. e ben. anco in pazzia; il frutto di questi stati potrà essere il delitto, benchè variamente imputabile se- condo il grado di libertà del volere. Qualora invece fortifichi l’adesione data al movente più debole col ripetere spesso la fatta elezione, collo sforzo per conformarvi il volere e le altre facoltà, per non ces- sare la lotta (ancorchè apparentemente inefficace) contro gli ostacoli, in ragion diretta dell’aumentare di questi sforzi diminuirà il vigore degli stimoli e dei moventi con- trari. Se il movente, dapprima più debole e reso per tal modo più gagliardo, era cattivo, l’uomo ne diverrà schiavo: e se per contro, come suole, il movente che eserci- tava su di lui un’influenza più debole era la. forza del vero, quanto più l’uomo procederà nella lotta ora detta, tanto più verrà acquistando in libertà, perchè non più assorbito da nulla in modo esclusivo. Qualora poi l’uomo potesse giungere a tale da non più volere che il bene, la sua libertà ritornerebbe allo stato latente; non perchè estinta, ma perchè le mancherebbe il motivo di esercitarsi e tradursi in atto. «È in quest'ardua lotta che l’attività umana si trova a fronte, ed acquista coscienza degli ostacoli, non pure in- terni, ma di quegli altri eziandio, molteplici anch’essi, che toccammo più sopra, inerenti all'organismo. Ma siffatti ‘ostacoli possono restar affievoliti ed anche vinti, sì co- gl’interni conati, sì col retto impiego dei mezzi e delle forze naturali che si vengono ogni dì conoscendo più a fondo. Per chi si pose su questa via le difficoltà che l’or- ganismo presenta, anzichè un ostacolo, diventano poco a poco uno stimolo di più a sviluppare maggiore intensità d'energia: a quel modo che lo strato di terreno ond'è co- perta la semente è stimolo a risvegliarne la virtù vege- Ela replicata esperienza finisce per indurre la persuasione che è dalla direzione degl’interni moti dell’animo, e dal conseguente governo che l’animo fa di sè e dal suo in- volucro materiale, che dipende in ultima analisi lo stato dell'organismo ; e che quindi il modificarsi in meglio od in peggio della direzione abituale di quell’interno lavoro viené poco a poco modificando altresì le condizioni del corpo; siccome vediamo ogni giorno che una viva e re- pentina impressione, quantunque fugace, modifica istan- taneamente l’espressione del volto e la movenza di tutta quanta la persona (1). Ben è vero che certe condizioni del corpo, certe ten- denze dell’animo, ciascun uomo le porta fin dalla nascita; e gli ostacoli provenienti da siffatta sorgente esser ponno. talora sì forti, che i conati d’un’intera esistenza non ba- stino, da soli, a portarne vittoria. Ciò si connette per una parte colle leggi della generazione; e tocca per altro lato gli ardui problemi riflettenti la vita dello spirito; pro- blemi, che l’osservazione e il lavoro scientifico sono, di per sè, iusufficienti a risolvere, benchè sì vivamente in- teressino chiunque non stia pago alla corteccia delle cose. Ma non si può far a meno di riconoscere che una stretta solidarietà intercede fra le umane generazioni, fra 2 ol’individui oggidì esistenti e quelli che li precedettero: per cui la generazione presentè partecipa alle colpe ed alla risponsabilità di quelle di cui prese il posto, come parte- cipa ai benefizi della civiltà, ai tesori materiali e morali da esse accumulati. Debbe quindi recarci non lieve con- forto il pensiero tant in virtù della medesima AO Di x da Rie da tativa, che si rimarrebbe altrimenti uma mera potenzialità Ai È ‘851 | _—»’‘glisforzi che avremo fatto verso il meglio, ancorchè spesso Ù. senza frutto visibile per ora, non mancheranno di pro- durre tosto o tardi i loro frutti nelle generazioni avvenire. 77 Ar Ad ogni modo però (e questo solo è ciò che importa sn qui stabilire) la lotta contro codesti ostacoli, sebbene in parte apparentemente infeconda, tranne casi eccezionalis- simi, è sempre possibile; ed è per se stessa uno splen- dido testimonio della nostra libertà e della nobiltà di no- stra natura. Il moto libero dell'animo verso il vero ed il bene e lo sforzo per renderlo efficace, il nostro amore, NE . in una parola, ed il nostro sacrificio sono l’unica forza dipendente da noi, la quale, se non sempre può spezzare Da: subito i nostri ceppi, sempre può conservarci almeno un. filo d’aria respirabile in mezzo alle pressure che ci si ac- calcano soffocanti d’intorno. Per conseguenza ben si può dire che, se talvolta l’im- putabilità del delitto può essere esclusa per mancanza assoluta di libera volontà nell’agente (fra le cause d’ un quale fenomeno sono senza dubbio da annoverarsi la pazzia ed altre affezioni morbose, non che l’impeto attuale AI d’una repentina e prepotente commozione dell’ animo), nei casi normali però il delitto è frutto della libertà mo- na n | | rale: o perchè l’uomo lo volle direttamente, o perchè li- < 370 beramente si mise in condizioni tali da potervi essere ‘e k spinto, anche malgrado un suo primo diverso volere. In 3 questi casi, benchè varia nel grado, non si può discono- È scere la libertà dell’ agente: nè da ciò solo che esistono _ talora cause escludenti o minoranti siffatta imputabilità . (SOR | si può trarre un generale argomento per escludere in tutti sE i casì indistintamente la punizione. Re | Se non che da più d’uno si osserva: — tutte queste TS cose sono belle e buone; ma v'ha di coloro che le sen- tono, e vha di coloro che non le sentono: dun que asse hanno soltanto un valore soggettivo, e non hanno un valore assoluto. Io pregherei costoro di por mente a due cose, Prima di tutto, per accertare nell'uomo l’esistenza della libertà d’elezione, si tratta di constatare ciò che avviene nell’intima coscienza. Or dove si potrà avere la sperienza d’un fatto di questa natura se non là dove esso si pro- duce, cioè nell’intima coscienza medesima, val quanto dire nel soggetto? Perchè vorremo noi dare maggior impor- tanza ai fatti percepiti coi sensi» esteriori, col polo ma- teriale dell'essere nostro, che non ai fatti percepiti colle facoltà interiori, col nostro polo spirituale? Da qualunque di questi due lati ci venga la conoscenza di un fatto, non è ella sempre la medesima unica attività nostra che li percepisce, li apprezza e li giudica? In secondo luogo, quando si vuole accertare se sia pos- sibile o no lo aumentare, in seguito all’elezione fatta col sommo dell’animo, la vigoria della volontà e delle altre facoltà nostre nel senso di quell’elezione, non si tratta più di constatare la realtà d’un’idea, ma si tratta di ,con- statare la realtà di una forza. Ora, se a percepire un'idea basta l’intelletto: se ad acquistare un sentimento basta la coscienza: per esperimentare la realtà, l’azione effettiva d’una forza capace di modificare la nostra attività, è stieri porre l’attività nostra in un movimento corrispon- dente all’azione di quella forza. Operiamo, e sentiremo. ‘ La volontà s’'acquista volendo: la forza, sforzandoci ; la libertà, liberandoci. Se ben si guarda, si dovrà ricono- _ scere che il persistere nella nuda obbiezione E Sa 19 segreta. Ed a più dina [ofehue cogli il rimprovero a di Virgilio a Dante per le interminabili difficoltà con cui Ss: > questi si andava schermendo dal grande viaggio : i o ; È A "a 4° « Se io ho ben la tua parola intesa, , 2? det - » Rispose del magnanimo quell’ombra , # » L’anima tua è da viltate offesa; pi » La qual molte fiate l’uomo ingombra 4 = » Sì, che d’onrata impresa lo rivolve, ge. » Come falso veder bestia, quand’ombra (1) ». La discussione sulla possibilità di muoverci e camminare diventa superflua non appena ci saremo mossi ed avremo camminato. $ Si comincia d’ordinario a dubitare dell’esistenza della ug dal momento che si comincia a non più eserci- i tarla. E si comincia a non più esercitarla quando comincia a ad attutirsi nel cuore dell’uomo il sacro palpito d'amore ro . pel bene e d’abborrimento pel male, questo primo ela- terio d’ogni morale esistenza. Qual meraviglia se più non » E si sente un'attività per lunga inerzia sfibrata ed ottusa? ; sa È. & Pi, o ® % di pate n È Tai dA. È E se, tolto colla libertà dell'atto, ogni carattere odioso Ma ed immorale al delitto, omai più non lo si vuol riguar- A A dare, quanto all’agente, che come un fenomeno morboso? "2 Rn Proviamoci a far atti di libertà; e ci accorgeremo che er | ‘essa esiste. Proviamoci a lottare contro gli ostacoli; e ci «| ‘‘persuaderemo che non sempre sono insuperabili, ma Ù | che a ragione cantava il poeta: DA « Lo maggior don che Dio, per sua larghezza, Ù » Fesse creando, ed alla sua bontate Vi 3 ; CSO pie “ » Più conformato, e quel ch’ei più faDrazza, >> * Siano » Fu della volontà la libertate , i À h » Di che le créature intelligenti » E tutte, e sole, furo e son dotate (2) », ( Inferno, Canto Il. (2) Paradiso, Canto V. A misura. poi Gik acri ‘erescendo la (co 3 la libertà che abbiamo di eleggere, e della. possibilità di operare nella direzione eletta, crescerà altresì in noi la convinzione che l’anima nostra nou è solo la risultante dinamica del congegno del nostro organismo, la quale svanirà con esso come il movimento d’un orologio, ma che, per quanto strettamente collegata colle leggi della materia a cui è avvinta, ha però esistenza e leggi sue proprie: che, da questo mondo sensibile ov'è pellegrina, ad altri mondi è rivolto il suo anelito e da altri. mondi più elevati e sereni ella sugge l'alimento e la vita. ) Ill. Io non voglio abusare della bontà di coloro che eb- bero la pazienza di seguirmi fin qui: ma, a compimento del mio concetto, è pur mestieri ch'io mi soffermi an- cora per qualche istante ad una duplice difficoltà che. mi si potrebbe muovere da due parti diverse, Da un lato mi si potrebbe dire: « tutti i fatti fisiolo- » gici e patologici, che voi avete appena con qualche » esempio sfiorato, ma che noi abbiamo approfondito col » lavoro dell’intera nostra esistenza e riconosciuto incon-. » cussì, saranno dunque un nulla? E dovranno essi dirsi » vani tutti i nostri studi? » —- D'altro lato ‘per contro, di fronte all’incontestabile importanza di questi fatti, parmi È udire un grido di raccapriccio e di spavento, e veder, non pure torcerne pauroso lo sguardo, ma quasi scagliare un anatèma preventivo contro ogni possibile scoperta ulteriore, a quel modo che don Abbondio, sorpreso dai mal capitati sposi mentre si torturava il cervello per sa- aida. giungere a cdi pisAta, le paoli della povera Lucia. Lo dico francamente: non mi par giusto nè il rimpro- vere degli uni, nè il timore degli altri. Una verità, di qualunque ordine ella sia, non contrad- dice mai ad un’altra verità. - Tutti i fatti realmente constatati in ordine alle condi- zioni organiche (ereditarie od acquisite), alle circostanze in cui visse l'agente, ai moventi delle sue azioni ed al- l'influenza di tutto ciò sulla tendenza morbosa, criminosa o vesanica, sono fatti altrettanto utili quanto incontesta- bili; perchè aprono al moralista, all'uomo di stato, al legislatore, al giudice, al giurisperito un nuovo ed ampis- simo orizzonte. Quando si tratta di apprezzare gli atti morali dell’uomo, essi c'insegnano a dare alle condizioni ed alle modalità È del corpo un’importanza che prima forse non s’avvertiva. i Essi ci somministrano così importantissimi dati per poter combattere alla radice, e prima della loro fruttificazione, i germi stessi ed i reconditi fattori del misfatto; per ren- dere così più efficace la prevenzione del delitto, che è uno dei punti più essenziali verso cui debbe convergere | mon meno una savia amministrazione che un buon si- | stema punitivo. — Essi c’insegnano a tener conto di co- . desti elementi nel fare le leggi penali e nel valutare il i grado d’imputabilità politica dei reati. — Essi ci mostrano, ri . nei casi di condanna, il dovere di continuare quest’ in- 0 _» dagine e questa vigilanza anche nei luoghi di punizione, sia per non confondere i malfattori coi pazzi, sia per è possibile la pena all’emendazione e I VT Vr e, © indirizzare, quanto è del colpevole, nella quale (ove si potesse ottenere) si troverebbe senza dubbio la più salda guarentigia sociale sicurezza. — Essi infine ci fanno sentire la ne- cessità d’istituti speciali, intermedii fra le. prigioni ed i manicomii, per que’ sciagurati aborti morali, cui la co- scienza de’ propri atti e la malizia della volontà non con- sentono di annoverare ricisamente fra i pazzi, ma nelle cui determinazioni però l’influenza delle condizioni or- ganiche anormali e d’istinti morbosi è così prepotente, che non si possono senza ingiustizia ritenere e trattare come i delinquenti ordinari. Ed a questo riguardo non sarà fuor di luogo ricordar qui le assennate parole che il Rosmini pubblicava in questo senso fin dal 1838: « Troppi ve n’hanno (diceva » egli) di coloro che, senz’ avere il nome e la riputazione » di pazzi, sono ne’ loro giudizi ingannati dalla violenza » delle passioni, dalla mobilità della fantasia... Conviene » confessare che i delitti stessi puniti dalle pubbliche leggi » non procedono sempre e preitamente dalla malizia, ma » se ne dee ripetere in buona parte l’origine da erronei » giudizi, da false opinioni, dal traviar della mente stra- » namente affascinata e confusa. La giustizia criminale » adunque non toccherà la sua perfezione fino a tanto » che non dia il suo peso anche a questa considerazione » nell’applicazione delle pene; fino a tanto che non cessi » dal considerare i convinti di qualche misfatto sotto un » solo punto di vista, quello di delinquenti, e non co- » minci a considerarli altresì sotto l’altro punto di uo- » mini sciaguratamente ingannati ed illusi; fino a tanto » finalmente che non tolga a considerar 16 pene nè men » ramente come wvendicative della giustizia, nè meramente » come repressive della spinta criminosa ; ma ben anco. }; Seri come medicatrici del disordine intellettuale, a cui spesso de soa "a i N 4 857. ‘in preda colui che viene condannato come colpe- » vole (1) ». i : Ad un quale proposito mi è caro il sapere che, mentre finora l’Amministrazione delle carceri sì limita presso di noi a far passare ne’ manicomii quei detenuti che abbiano dato segno di pazzia (la qual cosa non toglie che, in fatto, si veggan talora ne’ manicomii veri ribaldi trattati come infermi e si trovino nelle carceri veri pazzi puniti come malfattori), l’egregio e solerte direttore generale delle car- ceri del regno, il comm. Cardon, siccome egli stesso mi scrive, ha già in pronto tutti gli studi per fondare anche in Italia manicomii criminali, che. a buon diritto egli reputa una delle più gravi necessità d'un buon sistema peni- tenziario. Ora, non sono questi altrettanti benefizi arrecati dallo studio dei fatti di cui abbiamo discorso? Il male non è dunque nei fatti per se stessi e nelle le- gittime loro applicazioni. Il male comincia soltanto quando se ne.vogliono trarre conseguenze troppo precipitate e troppo ampie, come se abbracciassero essi soli la verità intiera; e quando non si vuole tener conto di altri fatti egualmente inconcussi, per ciò solo che sono di un or- dine diverso. —_Nonssi paventi quindi neppure d’altro lato, come una minaccia ed un pericolo pei principii morali, questo in- domabile anelito dell’uomo a sempre nuove osservazioni, nuovi studi, nuove scoperte. Un siffatto timore accusa una fede poco salda, e (diciamolo pure) molta indolenza. Le facoltà umane sono limitate, immenso è il desiderio di conoscere, breve la vita, e l’uomo è orgoglioso d’ogni rà | (1) Roswini, An/ropologia. Libro INI, Sezione II Capitolo XI > suo trovato: non è ,. quindi meraviglia. tali im Ir vivamente da ciò che studiò più da vicino, ‘egli "prende. troppo spesso la parte pel tutto e trascura il rimanente, Lee giudicando con sicurezza di ogni cosa colla breve misura di quel pochissimo che imperfettamente conosce. Ma quell’anelito insaziabile e quell’agitarsi continuo in traccia del vero è, di per sè, uno de’ più nobili sigilli della: nostra grandezza; ed il progresso precipitoso in un ordine di cognizioni non è se non uno stimolo di più a sne-. ghittirsi e lavorare per mantener l'equilibrio col giungere ad un progresso corrispondente in tutti gli altri ordini di fatti, portando viva la fede che da questo. armonico. cospirare di sforzi su tutta l'estensione del campo dischiuso: all’attività umana sorgerà limpida e piena la conoscenza del vero, ed ogni cosa troverà il naturale suo posto. Vi fu un tempo nel quale, badando solamente alle gra- vità delle offese esteriori, la base del diritto penale era il talione: occhio per occhio, dente per dente. Era questo l’unico freno che il principio di giustizia ponesse all'e-. nergia sconfinata del privato risentimento. . A misura per contro che, col penetrare sempre più ad- dentro del concetto morale nelle coscienze, cominciò a considerarsi il delitto in relazione cogl’interni suoi fattori, nell’apprezzare la quantità dei reati si trascurò talvolta di soverchio l'elemento esteriore, e troppo spesso il de- litto si confuse col peccato : donde la parificazione del reato tentato al reato consumato; donde le penalità ec- cessive contro i reati così detti di religione, contro lo spergiuro e simili. A’ dì nostri la preoccupazione preponderante, e talora esclusiva, di molti fatti fisiologici e patologici recente- mente studiati spinge più d’uno a trascurare ogni altro TU | punto di vista ed a considerare il delitto come il prodotto ; "I ica esclusivo e fatale di quei fatti: cosicchè, progredendo per «questa via, si potrebbe arrivare ad un punto, certamente non voluto da nessuno, in cui gli articoli dei vari titoli ia «del codice penale, che fissano ora gli estremi delle sin- i gole specie di reati, diverrebbero la descrizione di altret- tante specie di malattie e dei loro fenomeni : la san- si, zione penale consisterebbe nell’indicazione dei sistemi ni terapeutici che i direttori degli spedali e dei manicomii | dovrebbero poi applicare in seguito, non già di una sen- | _°‘’tenza, ma di una perizia medica, a cui spetterebbe deci- 5 dere neì singoli casi concreti, di quale specie di malattia (PR si tratti. E si dovrebbe, in tale ipotesi, dar ragione al signor Girardin quando dice che, se il furto e l’assassinio più non si punissero, la società si adatterebbe a viver con essi, a quel modo che vive ora colla guerra e colla conquista (1). Or bene, per quanto sieno esorbitanti le conseguenze estreme di ciascuno dei tre punti di vista testè accennati, chi non vede però che ciascuno di essi non è erroneo se non in quanto trascura tutti gli altri, e riesce perciò esclusivo? ® La preoccupazione esclusiva dell’offesa alla verità ed o alla giustizia assoluta, e quindi a Dio, esclude in realtà i il concetto del delitto, perchè non considera l’ingiustizia ; dell'agente in relazione cogli altri uomini viventi in so- È cietà; ed esagera naturalmente la penalità, non potendosi mai trovare punizione così grave che valga a soddisfare r ‘all’offesa dell’Ente infinito. ; La preoccupazione esclusiva poi, sia della malvagità del i n —Ù 4 È } i à | (1) EmiLe DE GiRARDIN, Le droit de punir. Paris, 1871, Plon. R. ) 56 i È. A i Rao» n “delifiquente, sia del suo stato morboso, gi ouida 7 gica conseguenza a preoccuparsi soltanto dell’emendazione = o della cura medica, ‘distruggono entrambe il: concetto di pena; perchè escludono per un altro verso il concetto di delitto, come quelle che non veggono ‘in sua'vecé se non un difetto da correggere, od una! deter mor- 7 bosa da guarire. ROD Tengasi conto delle condizioni del GPatmon delle cause che poterono accrescere l'impulso al delitto; ma non si tralasci dal riconoscere, come causa ordinaria e principale diesso, la determinazione criminosa dell’agente, perchè d’ordinario capace di reagire contro quegl’impulsi colla facoltà dell'anima: ed avremo la vera misura dell’im- putabilità morale. Tengasi conto ‘delle ‘esigenze assolute. della verità, che, come legge suprema per se stessa intrin- secamente buona, reclama obbedienza da ogni ‘attività sen-- ziente, intelligente e libera; ma non si perdano di.vista i confini entro cui solamente la podestà umana può con giu- stizia farsi interprete ed organo di questa suprema esigenza : ed avremo il vero criterio per distinguere il delitto dal peccato e misurarne in concreto la quantità criminosa. Dal tener conto poi di tutti questi elementi’ scenderà più esatto altresì il concetto della pena sociale. Poichè, mentre si riconosce ch’essa non dee trascurare, nel modo del suo attuarsi, l’emendazione del colpevole, sia correg- gendone le malvagie tendenze, sia curandone {ovè d’uopo) le deviazioni morbose, — si vedrà però chiaramente come la pena si radichi in ultima analisi sul reclamo della ve- rità offesa che si fa sentire nella ‘coscienza ‘di tutti ‘gli — onesti, benchè tuttavia non si possa dal‘ potere’ umano dn applicare se non in quanto essa sia Lacie penez ab alla: tutela dei diritti. BARR) 0) guri) i " questi abbozzi, oramai ‘troppo lunghi. Chi ben guardi la storia del pensiero e delle tendenze ‘dell’uomo, troverà di leggeri due grandi correnti, che eb- bero or l’una or l’altra il predominio, e si scagliarono il più spesso vicendevoli anatèmi, senza mai sentire abba- stanza il nesso che per natura le avvince, e che è desti- nato a stringerle tosto o tardi nell’armonia d’una mede- sima vita. La tendenza esclusivamente spiritualistica, disdegnando il corpo, non trova che un impedimento nella materia e nelle necessità della vita quotidiana. Questa tendenza, che, spinta all’estremo limite, ci porterebbe con Malebranche a dubitare perfino dell’esistenza dei corpi (per credere - alla quale quell’ingegno, d’altronde maraviglioso, ricorreva all'autorità della Bibbia), può condurre nella pratica ad affievolire talmente il corpo, da sottrargli ben anco il necessario; a trascurare la vita attiva sociale per la con- templazione, la vita presente per quella avvenire: e, non vedendo altra sede alla giustizia fuorchè nel cielo, a lasciare che il male regni intanto tranquillamente sopra la terra. La tendenza opposta invece, concentrando esclusiva- mente gli studi sulla materia, sulle sue forze, sui feno- meni che ne risultano, e non trovando quivi (com’è naturale) cogli organi dei sensi nessun principio sovra- sensibile, sospinge a negar l’esistenza dell'anima quale attività distinta dalle forze organiche. E la conseguenza pratica di questa tendenza sarà, quanto all'individuo, di porre ogui cura nel conservare, correggere e coltivare il corpo: e quanto alla vita sociale, di attendere in prima linea agl’interessi economici e materiali, non curando POI PE nie Le K SERIETA RI sia : a » SLI nella are intima dell’uomo se non lo” pic, ppo o dell'in N telletto, onde far progredire le indagini, gli studi, le ‘800-. perte nel senso testè indicato. Le passioni, ormai rese legittime, troveranno qui larghissimo campo al loro svi- luppo. Ed ogni più dura tirannide, straniera o domestica, potrà viver sicura; poichè qualunque reazione efficace contro l’ingiustizia inchiude la lotta di un’ attività, libera ella stessa da ogni ingiustizia: ora questa libertà e questa lotta riescono, nel sistema di cui discorriamo, impos- sibili. Ebbene, malgrado l’assurdo delle conseguenze, dov? è sostanzialmente il vizio dell'una e dell’altra di queste due tendenze, se non nell’esagerazione di un principio vero in se stesso? i E l’esistenza medesima di queste due correnti non è dessa una prova che v’ha del vero in entrambe? Non è dessa una prova (quantunque indiretta) che l’anima ed il corpo sono così strettamente collegati nell’uomo e sif- fattamente influenti a vicenda l’una sull’altro colle potenze e colle forze rispettive, che in verità non è facile affer- mare dove l’uno finisca e l’altra cominci? — Perchè dunque quest’osteggiarsi reciproco? Non è egli più vero unire gli sforzi, coltivare e perfezionare egualmente lo studio delle idee e dei fatti, delle forze morali e delle fisiche, la parte spirituale e la materiale dell’uomo e della vita? La conseguenza pratica ne sarà questa: che, soa l’anima potrà esser governata rettamente e rinvigorita coi sussidii di quel mondo onde tragge alimento, non sarà trascurata la cura del corpo, affinchè, equilibrando le proprie forze sulla linea segnata dalle isue leggi iorga- DI niche, possa più facilmente armonizzarsi-coll’anima, vi- * vifi Bi, ar si cui suo ‘vigore, diventar l’espressione e l'organo fedele de’ suoi moti. Il lavoro nella materia non sarà uno scopo esclusivo: ma non si dimenticherà neppure che è altresì per conoscere .il globo terrestre e coordinare al bene comune le forze ad esso inerenti, che ci è data la vita su questo gloho e ci è dato l’uso di facoltà superiori _ a quelle della materia e dei bruti. — Se a conforto dei dolori del povero gli si additerà il cielo, non si tralascierà neppure di procurare che egli possa avere intanto ogni giorno il suo pane quaggiù, non solo dalle larghezze della carità, ma principalmente dal Suo onesto lavoro. Imperocchè, se la verità e la giustizia debbono regnare anzi tutto nella vita dell'individuo, la società e le nazioni non sono però condannate ad agitarsi ciecamente nel caos degl’'istinti e delle passioni; e non vha campo della vita, privata o pubblica, in cui l’uomo non debba sacrificarsi per fare sventolar vittorioso il divino vessillo del vero, del giusto, del santo. L’ordine fisico ed il morale, armonizzati così nell’unità d’uno stesso principio, ridiverranno il naturale veicolo per incarnare e manifestare sulla terra tutto ciò che è superiore, e per elevare tutto ciò che è inferiore. Il tempo di adoperarsi a questa sintesi teorica e pra- tica è venuto. Ad essa è già rivolto il segreto sospiro di molti: gl’ingegni più eletti, mentre cercano colla convinta loro parola di porre un argine al materialismo invadente, si commovono a questo cozzo di tendenze che non do- vrebbero esser discordi, e non cessano dal lavorare a raccoglierle cd equilibrarle entrambe nella loro unità na- turale. Fra i mille esempi che potrei addurre, mi sia permesso di riferir qui sul finire alcune nobili parole che il sig. Dumas, segretario perpetuo dell’ Accademia delle i, Mes Metis vat ’ PN PP tn b° ch a ARA dai tr l'illustre Consesso, nel tare Teoà funebre del sima De be, la Rive. ...« Le matérialisme moderne (egli dice), se conten- tant de rajeunir les formules d’Épicure et de Lucrèce, considère le monde comme le produit fortuit de l’ar- rangement des atomes; l'homme, comme le terme supé- rieur de l’évolution naturelle des formes organiques; la vie, comme une modification spontanée de la force; la naissance, comme le début d’un phénomène; la mort, comme sa fin. Lorsque, en conséquence de cette philosophie laméentable, la justice n’est plus qu’'une convention sociale; la conscience, un fruit de l’éduca- tion, la charité, l’amitié, l'amour, des formes variées de l’égoisme, quiconque a charge d’àmes ne peut plus passer à còté de la science en détournant la tète et ne peut plus dire: — que m’importe ces doctrines? Ces émotions de l’esprit humain considérables, per- sistantes, dérivent de notions conformes à nos connais- sances touchant la matière et la force, et des consé- quences fausses qu'on en tire, comme si elles repré- sentaient la vérité absolue... Ampère, Faraday, Auguste de la Rive ont fait de. l’électricité l’objet des études de toute leur vie et l’in- strument de leurs grandes découvertes: ils étaient tous les trois profondément religieux. Ils aimaient à méditer des sujets qui confinent à la métaphysique;... tous les trois cherchant à défendre, contre l’invasion des partisans des forces physiques, le terrain:reservé à l’esprit, à cette chose qui pense, qui affirme, qui nie, qui veut, qui ne vent pas, qui imagine, qui sent, et qui, libre, doit rendre compte de l’usage qu’elle aura fait Palla LI fr cfg Reg — » delsa liberté. I » deltelles méditations, c’était s’élever vers la Volonté » Suprème, dont l’intervention directe apparaît toujours comme le premier et le dernier mot de la création... : È » L’esprit de tolérance (egli soggiunge), si naturel và notre confrère, lui faisait une loi d’éviter tout ce qui e» pouvait blesser. la conviction d’autrui; mais il arrive De» un moment cependant, où se taire serait renier sa foi: «—» et il ne voulait pas laisser croire au monde que ceux » qui prèéchent le matérialisme au nom de la science sont ì » sùrs de l’approbation ou de la complicité de tous les Pato _ » savants. Cela in’est pas, disait-il avec fermeté, et > » notre devoir est de le proclamer ». Fn È Noi ci troviamo, per vero, in uno di codesti momenti. Ma non per gettare lo spregio e l’anatèma contro gli av- versari; bensì per attestar loro la nostra gratitudine dei dati preziosi che hanno fornito alla scienza coi pazienti loro studi, e risvegliarli ad un tempo a riconoscere che quei fatti non sono i soli reali e degni di essere studiati: — non per eternare una lotta che suscita le passioni, accresce la separazione e finirebbe per falsare in ambe le parti i concetti ele applicazioni coll’esclusivismo osti- «nato in un solo punto di vista; sibbene per sacrificarci > 08 insieme alla scoperta ed al trionfo del vero, cercandolo da ambe le parti con piena coscienza, con animo largo e con illimitata fiducia; per giungere così a ristabilire nel fatto, fra il mondo materiale e lo spirituale, quell’armo- nico nesso con cui per loro natura si unificano nel pen- siero di Dio. È ma # Li : EOS Adunanza del 18 Aprile 1875. x; PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE Fi SCLOPIS. B s: Vien presentata alla Classe la seguente E I NOTA A i % vi DI f PALEOETNOLOGIA MODENESE af j DEL PROFESSORE Su FRANCESCO COPPI. ul e: "Tra ruderi certi, per la presenza di monete ed altri eo monumenti del periodo romano nella colonia modenese, È: i nell’anno ultimo decorso si venne trovando un piccolo io ammasso di oggetti forse preistorici, o meglio anistorici, > DA almeno per la qualità delle stoviglie che poco differenziano sù da quelle delle altre Terremare sia nella forma dell’ansa ba (fis. 7) e del vaso, non che nell’impasto; ma sono poi È queste stoviglie quasi tutte prive sì all’interno che al- e l'esterno di ornato, salvo qualche croce formata coi soliti E solchi impressi nella base esterna delle ciotole, come ho si potuto osservarla in due soltanto; ad onta che dimostrino. È Si in generale un aspetto più elegante e sembrino di una î o: ARI maggior perfezione benchè semplici. Anche le fusaiuole È, (fis. 8), delle quali ho raccolto circa venfi esemplari, È. sono del tutto liscie e delle forme le più semplici e rozze. A Un frammento di puntone, o stile secondo il DesoR, Fig 1? et ast 867 d’osso (1); una piccola porzione di branca: di corno di cervo segata ad'ambo gli estremi (fig. 9) (2), e coll’asse perforato da ampio foro; ed un pezzo di selce piromaca ad ineguale forma di piramide quadrangolare sì ridotta per scagliature fatte ad arte. Questi sono i pochi oggetti più importanti della messe anistorica. Le cose rappresentate nella unita tavola A(salvole'fig. 5-9) debbonsi giudicare tutte del periodo romano. La fusaiuola della figura 3 a naturale grandezza è di piombo. L’op- posto oggetto della figura 4, pure a naturale grandezza, è costituito da' una sottilissima lamina, piana da ambe le parti, d'osso con appendice alquanto più grossa sporgente da un solo lato e munita di esile trasversale foro, indicante per ciò che veniva appeso, quale forse ornamento, sic- come una fusaiuola. Il più importante degli oggetti di ferro raccolti in questo scavo e che costituisce lo scopo principale di tale mia nota è il rappresentato a metà della propria grandezza nella figura 1. Forma che, al dire di vari archeologi i quali l’ hanno veduta, è del tutto nuova ed inosservata pel modenese. Chi l’ha giudicato istrumento campestre, chi arma per supplizio e chi mac- china da guerra, ed anzi l’erudito sig. Luigi BesInI ritiene che possa essere l’Arpagone o Corvo usato dai Romani come dagli Ateniesi per demolire i valli e le trincee ed assalire l’inimico. Di questo istrumento, qualunqne si voglia ne sia l’uso, ne ho trovati due esemplari, l’uno poco mi- nore dell’altro, al quale venne troncata una branca nel- l’atto di escavazione; giaceano ambedue in senso contrario (1) Corrisponde al n° 143, vol. ]l, pag. 30, tav. 43, f.15 della mia Monografia della Terramara di Gorsano. (2) Simile al' n° 229; tav. 46, f.2, op:cit., pag: 55. »” CARI pi Lul Je di Agi 5 ne ra tte si $ È Ù De } i 4 | si “ il ar = por ‘ 4\ 5 n 7: 4 CA , pv È » p + LN È 3 Paci i 5 p°- yi acuti; | ) non corrispondendo le due branche per essere quelle del minore alquanto più ristrette di quelle dell’altro figurato, ne viene per questo fatto la necessità di dover rinun-. ciare a tale idea. Ha l'aspetto, come si vede dalla figura, di una forca a due rami, o rebbii, lunghi 226", larghi 25mm in tutta la loro lunghezza, e grossi solo alla base 40®®, perchè la grossezza diminuisce andando verso l’apice ove si rendono taglienti. Il corpo od asse, che unisce il ramo destro ‘al sinistro per la base, ha la larghezza e grossezza massima dei due rami, porta al centro .un ampio foro; il x cui margine da ambo le parti è rilevato in due eminenze triangolari, diretto quasi normalmente alla direzione dei rami, ma tendente più da quel lato ove questi sono alquanto incurvati, cioè da quello che si vede nella figura; per la quale inclinazione, l’asta infissa in detto foro, che ha una larghezza di 35%», forma con la direzione . dei rami da questo lato un angolo di.80° vale a dire 10° minore del retto. Perla qual cosa arguire se ne può, che l’istrumento — dovea servire ad. attrarre gli oggetti. verso. la persona. che lo adoperava. Il peso abbastanza significante è di 8 libbre e di 8 once modenesi, pari a 2950 grammi, vuolsi; però osservare che tutta ta superficie è rivestita da crosta. di intensa ossidazione, per cui tale peso. può essere alquanto variato dalla sua primiera natura. Unisco nella figura 2 un’ ascia pure di ferro ridotta a metà grandezza perchè trovata col predetto istrumento, onde può fornire un dato agli archeologi per meglio determinarlo. Se poi fosse già noto ad alcuno) sarei a pregarlo di volermi comunicare la sua determinazione. cui erasi pure imaginato che potessero formare una. cosa È sola, qualora fossero stati saldati assieme in origine; ma. ho Si ae rt LA e 1 ID CI para venne ai piro ponti una bella chiave ‘comunemente detta romana di ferro, e varii puntoni più o meno incompleti (1). Le monete raccolte, per le quali ho dida tale . deposito romano, sono l’una dell’ Imperatore Domiziano, l’altra di Gordiano 3°, più una terza pure di bronzo come le due precedenti, ma in cattivissimo stato di con- servazione e fin d’ora non la ho determinata. Pochissimi sono gli avanzi della fauna, cioè alcune ossa di bue e pecora e due frammenti di corno di cervo. Ecco riassunto in brevi parole tutto quanto mi apparve di più interessante, sia poi per rendere una pietra di co- struzione od una forza di distruzione, secondo altri, all’e- difizio della paleoetnologia modenese; perchè anche questo deposito, come non pochi altri, presenta oggetti d’epoca certa e non tanto lontana a noi, frammisti ad altri che forse sono alquanto incerti. La tenue potenza di questo deposito, che varia dai 10 ai 30°", non lasciò travedermi per nulla distinzione di strati, come forse qualche altro erudito avrebbe più facilmente trovato. Per ora basti l’avere riferito il fatto; lascio ai predetti eruditi e conoscitori dell’universo il formare quelle ipotesi che crederanno più o meno opportune. Modena, 4 maggio 1874. (1) Un’ altra simile chiave, ma più piccola, si rinvenne alcuni mesi dopo. RIO E a U - . i iii IAA E Zad et Van o” ri lun gra mr 0 ; bo $ TI È &i ha ‘ dell Prof; Vittore © Continuazione e fine della Memoria. ip: Testa sulla iscrizione di Mesa. XXVII. piuma rifon inioy DSi) ary vnsa Six Nm DIN 02 Dis na np SSN] CHAT AL Ed io fortificai ‘Aroîier e feci le vie per all’Arnòn, e rifabbricai Beth-Bamòth, perchè essa era stata distrutta. È A to Ei ea L% ga e k LA A n Ù o“ - (lin. 26-27). nai DSi; » _ n) Desideroso di rendere più sicura la diletta sua Dibòn, e tuttora, diresti, sotto l'impressione de’ pericoli corsi, lorchè gli eserciti alleati invasero la Moabitide traendo non già dal Giordano e dalla parte orientale della Pale- stina, sì circuendo l’Asfaltide ed attraversando il deserto di Edòm, Mesa non istette pago d’aver cinto di formidabili munizioni e rifornito ampiamente di opportuni presidii la sua capitale, e di averla, colle fortezze da lui conquistate o ristorate, assicurata a tramontana contro ogni invasione nimica, ma pensò ancora di crescerla ad ostro di forti- ficazioni e difese. Il che ne conta egli colle parole: 29 IND3 228, i0 edificai, o, meglio, fortificai ‘Aroner. Imperocchè , sebbene il proprio e natio significato del verbo 53 sia quello di edificare, fabbricare , costrurre; tuttavia è propria altresì e comune al medesimo la signi- ficazione di ristorare , fortificare , rafforzare. — In questo senso leggiamo di Ozìa, re di Giuda, che, salito al trono i e, compiuta la sottomessione degli Idumei iniziata, anzi Bi portata già a buon segno dal padre e predecessore suo i ir Amasìa, nPR N° N93, ristorò, o meglio, “ tI n A St, ir 1 rafforzò in tiva al Mar Rosso Elath (1); la quale, conquistata da Da- vide (2), era stata sotto Salomone il posto onde le costui flotte salpavano per alla volta di Ophîr (3), e, perduta poscia da Joràm insieme con tutto ‘il resto dell’Idumea ribellatasegli contro (4), fu da lui ricollocata' sotto la si- gnoria di Giuda (5). E Nabucco: «non è questa, diceva nella sua alterezza (6), la gran'Babilonia, ch'io ho edificata [moss MINT] per istanza reale e per gloria della mia magnificenza, con:la forza della mia potenza? » OrBabi- ‘lonia esisteva assai prima, vasta, forte, fiorente, e ‘da lui non s’ebbe che abbellimenti e fortificazioni novelle. Mede- simamente, nel libro secondo delle Cronache, narrandosi come Roboamo, a premunirsi contro ogni assalto nimico, alzato avesse piazze forti pel regno, dicesi rotondamente che: MMI NINO DMY 72, «edificò delle città per for- tezze in Giuda » ; 73°) ed edificò Beth-lehem, ed Etàm, e Thekòa, e Beth-tsùr, e Sochò, e ‘Adullàm, e Gath, e Maresàh, e Zif, e Adoràim, e Lachîs, e ‘Azecàh, e Tsornàh, ed Aialòn, ed Hebròn, ch’erano in Giuda ed in Beniamin città forti (7) ». Or di tutte queste città, toltane la sola Adoràim, ricordata qui la prima ed unica volta in tutta la Bibbia, non havvene pur una, la quale non esistesse già prima assai (8); prova manifesta, che la parola 92 (4) IL. Reg. XIV. 22. (2Y II. Sam. VII. 14. (3) I. Reg. IX. 26; II. Chron. VII. 17 sgg. (4) II. Reg. VIII. 20, segg. (5) II. Reg. XIV. 22; II. Chron. XXVI 2. (6) Daniel IV. 27. (7) II. Chron. XI. 5-10. (8) Gf. Jud. XVII 7.9; XIX. 1; I. Sam. XVII. 12; — Jos!XV-59; — II. =“ 33 e it: pa DA i hd hi ug pere Pisi, Bisi % è de +4 ki st a tea ® ion VV LISI Ad : TY z di tificarle grandemente, intorniarle di mura, e di origlti e a porte, e di sbarre; espressioni appunto e frasi 2d0po0RG in ORE paralleli (4). 999, ‘Aronier. Così leggono con unanime accordo i dotti che si occuparono di quest'iscrizione. Da principio se ne diede mancante la prima sillaba 9Y, probabilmente perchè + non appariva sulla copia ad impronte saglienti, cui il Ganneau si aveva procacciata da prima. E’ pare che ul- teriori esami abbiano reso, se non certa, probabile per lo meno la prima ©, giacchè in tutti i fac simili, pubbli- catine dal Ganneau, dal Noldecke, dal Fabiani, vi fu posta, segnata però con puntini indicantine non certa la lettura. Gli è pertanto a dolere, che il Ganneau, al quale venne pur dato di acquistare i due più grossi frammenti di siffatta iscrizione, sul secondo de’ quali ricorre appunto cotesta frase, non ci abbia accennato, se in esso la dubbia e la sospettatavi %, ricorrano diffatto e vi si leggano chiaramente e distintamente. Tuttavia il suo affermarne ricisamente ch’ egli crede , sabbia a colmare l’annunziata lacuna, leggendovi 299% (2), equivalente alla 3YMY di un brano del testo ebraico di Giosuè (3), ne dà ragione ad inferire che lo studio dell’ acquistato fram- mento ne abbia o scacciati i dubbi primieri, od almeno Sam. XIV.2; — Jos.XV.58; — Jos. XV.35; — Jos. XIIL 3; — IT. Sam. V.8; VI. 17; XXI. 10; XXVII. 2; — Jos. XV. 44; — Jos. XV..55; II. Sam. XXIII. 14.15; — Jos. XV.39; — Jos. X.10; XV. 35; I.Sam. XVII. 1; — Jos. XV. 33; XIX. 4; Jud. XIIL 2; — Jos. XXI. 24; — Jos. XXI. 11; II. Sam.IL.1; V.5. (1) II. Chron. XI, 11.12; XIV. 6.7. (2) Ganneau, 1. c., p.373. Cf. Num. XXXII. 34; Deut. 1I.36; III. 12; IV. 48; Jos. XII.2; Jes. XVII. 2; Jerem. XLVIII. 19. (3) Jos. XIII.9. 16. i vvalorata: e Jaliirza te; vieppiù l opinione. Vene l’intera ile sapdi a sia. appunto quella da lui proposta e dagli Mili > “tutti unanimemente accolta molto prima. È: SA TINI TERNI mwy 558), « ed io feci le spad per porte i allb&mndu'»; —onvry, scritto alla foggia moabita, colla sop- pressione vo’ dire della jod, equivale all’ebraico ww. + 7 In: ‘Meben poi; tolta la %, ‘articolo, onde comincia la frase ‘rimane N°D9, equivalente affatto all’ ebraico + Nifbn, plurale di 500, di cui fu qui pure, giusta lo LA È Sg zioni tremende. Il non darne carico agli Israeliti lascia =; so FERA) supporre che forse in una di siffatte sommosse, od ino rs. t una delle loro incursioni sul territorio di Ruben l’abbiano i, distrutta i Moabiti stessi. Ma questa non è, nè può esser A altro che una pura e pretta congettura. Sg XXVII. i. uom 31 Vr ma Sly 05 Oxa onda DR Me DIPWO 791 2502 # È s i » E È . E; Se Io fortificai Bètser, perchè ivi fosse acquartierata la milizia di Dibòn, giacchè tutta Dibòn mi era soggetta. (lin. 27-28). ny3 0NI3 3; io fortificai Bétser. Era questa, come vedemmo altrove (1), una città sita nel deserto del Miscòr, ossia della pianura, che è appunto il nome della regione, Tanat in cui sorgevano tutte pressochè le città nominate da | — Mesa in questa sua iscrizione. L’emistichio , che or séguita, a cagione d’una lacuna Mc. contenentene il verbo, ritorna di lezione ed interpretazione — À Re d difficilissima. Vi si legge: ‘x? 05 7won j9T we i Or che innanzi alla w, che prima ricorre al fine di co-. RAG i testa lacuna, debba supplirsi un x, sicchè ne sorga la (1) V.sopra, cap. VIII, $ 9 ‘riti «Ru Ae n= Sa TI A pdl parola © _ di questa iscrizione, il concedono ed insegnano. La diffi- , gente, uomini, tutti coloro, che si occuparono coltà e l’incertezza ne riguarda il verbo. Di questo sussistono tuttavia le due prime lettere Y, delle quali la prima si lesge interamente e distintamente nella copia ad impronte rilevate posseduta dal Ganneau; la seconda vi apparisce solo in parte, nettamente però e tale da non potersi con- fondere con un’altra qualsiasi dell’ alfabeto moabita. Or dei verbi, che comincino con una Y seguìta da x, tre soli possono avvenirsi al contesto di questo periodo ; il verbo cioè 9xY, praevaluit (1) e, seguito da 2, coercwit imperio, subacium, subiectum tenvit (2); il verbo DI}, fortis, potens fuit (3); e il verbo 25Y, laboravit, effinnit, efformavit (4). - i Lo Schlottmann adottò il primo di questi verbi e, leg- .gendovi QUON 79T UR mo Mxy 759, tradusse, perchè cinquanta uomini di Dibon l’avevano soggiogata (5). Seguen- done le orme, ma, in vece di quon, leggendovi col Kaempf (6) e coll’Hitzig (7) qUOn, si potrebbe leggere : TUDN ppoT UN Mov EILO :‘ e tradurre, « poichè aveanla soggiogata uomini valenti (prodi guerrieri cioè ) di Dibòn ». E questa interpretazione avrebbe anzitutto il suo fondamento in ciò che il verbo Sx}, seguito dalla preposiziorie DY, ha, tra gli altri, incontestatamente il (1) IL Chron. XIV. 10. (2) Gesenius, Zezicon, ad h.v. — C£LI.Sam.IX.17. (3) Gesenius, LZericon, ad h. v. — Cf. Psalm. XXXVIII. 20; Gen. XXVI. 16; Exod.I.7.20; Dan. VIII. 8.24; XI. 23. (4) Gesenius, Lezicon, ad h. v. — Cf. Jerem. XLIV. 19; Job. X.8. (5) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa’s, S.13. u. 51. (6) Kaempf, a.a.0., $.34. (7) Hitzig, Die Inschrift des Mesha, S.17. 07. : Ag n BART SR ‘ i Si Si ra riff: à | e z | 879 i DI ' o ne: VUE AR * "dl dia pre TAR A no a Se EROI Ana MIX SERA0E È J 14 ERE UST sai ù, * AT gie td, AA = Pi Pa ao vd se #4 % Rea. i e Cr: va a r si Pe n R%,: significato di praevalere; come apparisce chiaramente El parole di Asà, che, presso ad ingaggiar battaglia contro. Sérahh l’Etiope nella valle di Zephàt, vicino a Maresah, invocando l’ aiuto di Jehova: « tu se’, dicea, il Signore Iddio nostro ; WII TOY dspria: non lasciare che l’uomo prevalga contro di te (1) ». — Un secondo fonda- mento l'avrebbe in ciò che von , di cui DN è participio passivo plurale, suona acer, strenuus fuit in praelio, fortis, bellicosus (2); e DOWN nel Sacro Testo si adopera veramente, e, fui per dire , costantemente in senso di acres, strenui, alacres ad pugnandum (3). Consente ia voce araba affine Ahamis, prece , vir fortis, donde il $22- titolo di hhamdsa, &.\&£, Libro degli Eroi (« Heldenbuch », in tedesco), dato dal celebre poeta Abu Temam ad una collezione di poemi arabi da lui fatta e stimatissima fra i suoi connazionali (4). — Avrebbe finalmente un terzo fon-* damento nelle parole seguenti DIVWO veli pio La: sia che alla particella *5 si dia il significato di perchè, affinchè, do cosicchè (significato che ha pure, a quando a quando (5) nel Sacro Testo); sia che le si voglia conservare quello di pe- rocchè, giacchè, avvegnachè, cui essa ha nell’emistichio prece- dente. E di vero: dando alla particella *5 il senso di perché, affinchè, e traducendo perchè tutto Dibén (tutto cioè il territorio di Dibòn) fosse ridotto ad obbedienza, si avrebbe il motivo e lo scopo finale dell’ assalto e della presa di Bétser, ardito colpo di mano di pro’ guerrieri di Dibòn. a (1) IL. Chron. XIV. 10. (2) Gesenius, Lezicon, ad h.v. — First, Concordantiae, p. 413. (3) CÉ Exod. XIII, 18; Jos. 1.14; IV.12; Jud. VIL11. (4) First, lc. (5) Gesenius, Lericon, ad h. v. (B. 2); Noldius, op.cit., p.375. --4% ® Se ne avrebbe per contro notato l’effetto, dove, dando alla particella *5 il significato di cosicchè, si traduca: « Sicchè tutto il paese di Dibòn rimase soggetto », avendo qui il nome astratto NYWWN , come già in Isaia (4), il significato del, concreto obediens. Se ne avrebbe infine l'occasione, lo stimolo , la spinta, dove, conservandosi il suo significato di avvegnachè , si traducesse: « avve- gnachè tutto Dibòn era soggetto ». E di vero, come nota egregiamente lo Schlottmann, l’ essere oramai tutto il resto del territorio già soggetto al Sire moabita non po- ‘feva per fermo non essere occasione, stimolo, spinta a non voler tollerare più oltre l’independenza di una città israelitica non guari distante, ed a muovere perciò a danno ed offesa della medesima, nè prima deporre le armi che vinta non fosse, assoggettata, occupata (2). Ma a tutti questi vantaggi di siffatta interpretazione si è oppone lo spirito, che anima e detta cotest’iscrizione e che traluce, diresti quasi, da ogni linea della medesima, vo’ dire, l’alterezza, la millanteria, la boria del vanaglo- rioso Principe moabita, il quale, tutto attribuendo a sè ed al suo Dio, non avrebbe certo voluto eternare la me- moria di un'impresa e d’ una vittoria non sua in una Stela, che tutta risuona de’ suoi vanti. Imperocchè non gli poteva certamente sfuggire, come in questa sua ri- cordazione d’una città, da lui fortificata sì, ma però con- quistatagli e cedutagli da altri, la! parte più bella e la gloria più splendida spettasse non già a lui, sibbene a (1) Jes., XI.14. (2) Eccone le parole: « Weil ganz Dibon bereits dem Moabiter- Konige gehorchtete, wollte man die Unabhiingigkeit einer Israéli- tischen Stadt in der Nàhe langer nicht dulden, sondern nòthigte sie fiir Unterwerfung ». Schlottmann, a. a. 0., S. 24, # Pò, \ - 3 % DO rie cen a perni ti . tut - +‘ di n I PA I PRIORE O GIRO i = 7 E CIR ARA n questi. In tal caso avo ‘egli contata senz altro la sua impresa, tacendo al tempo stesso l’altrui, che a lui rion i tornava per nulla in lode. i Il Ganneau, a quanto sembra, inchina a leggervi: 9 M9YY Nî, 0, fors'anche semplicemente MIxY ’9, giacchè inchina a tradurre: qui est puissante (1). Sventuratamente non colma il resto della lacuna, nè dice come le parole. seguenti, quOn 797 WR, sì rattacchino alle precedenti. Adottando il verbo Sv, si potrebbe leggere 725% 75 TON telà) UR ma (2): poichè vi affaticarono intorno i più robusti di Dibòn: NIVWN 797 59 99, dvvegnachè tutto Dibon m'era soggetto. E questa lezione ed interpreta- zione avrebbe il vantaggio di darne spiegazione soddisfa- cente del ricorrervi due volte la particella ?5 (perciocché, avvegnachè ); dandone il primo inciso la ragione per cui Bétser sia stata cinta di nuovi e formidabili baloardi; il, secondo, perchè a tale e faticosa opera lavorato abbiano i più robusti di Dibòn ; e questa era appunto la sogge- zione e devozione de’ Dibboniti verso di lui Che più? S'avrebbe un riscontro nell'ordine, già dato ai medesimi e.da esso loro prontamente eseguito, di fabbricarsi ci- sterne dentro la città; chè, a dir vero, la ragione sì del doppio ordine, come della doppia esecuzione, sarebbero stati quinci il desiderio di mettere al sicuro da ogni ro- vescio la diletta patria, e quindi la calda devozione e l’obbedienza volonterosa de’ sudditi e conterranei. — Da ultimo s’avrebbe al-tutto un senso conciliabile colla boria (1) Ganneau, l. c., p. 373. (2) Da ON, « verbum inusitatum intransitivum, sicuti VON, DOM, valentem, robustum, lacertosum esse » Fiirst, Concor- dantiae, p. 413. | questa iscrizione dimostra. Costretti a scegliere fra queste tre lezioni ed interpre- tazioni, noi non ci periteremmo dall’adottare quest’ultima. Senonchè crediamo se ne possa proporre una quarta, la ‘ quale ci sembra assai più naturale e soddisfacente. Consisterebbe questa nell’adottare collo Schlottmann il verbo %xY, dandogli però la sua significazione primitiva di chiudere, rinchiudere; e, punteggiatolo da participio passivo, XY, leggervi invece così: SY 79 va N33 I pic)aln) PI WR ma: Jo fortificai Bétser, perchè ivi (fosse) chiusa (vale a dire: acquartierata) la milizia di Dibon, es- sendomi il paese intiero soggetto. La quale lezione s’avviene ad un tempo e coi dati della filologia ebraica, e con quelli cui ci porge cotesta iscrizione di Mesa. In ogni caso però non è altro che una pura e pretta conghiettura. XXIX. TIsa SronbD! tia pp nix[Som ne onN]a5 398) Ed io terminai le fortificazioni di Bikràn, che aggiunsi al paese. (lin. 28-29). La notevole lacuna ricorrente in questo comma ne rende problematica sì la lezione e sì la traduzione. E quindi appunto la ricisa diversità de’ supplementi fattivi dai dotti, che s° occuparono di quest’iscrizione di Mesa. Di vero: il Ganneau (a giudicarne dalla traduzione da lui proposta, non però senza molta dubitanza), non moabita: {INI 97 nad WS pa DvD pot. S% wet jai atteint (rempli) (le nombre) cent avec les villes que _Jai ajoultées à la terre (1) ». — Lo Schlottmann invece supplisce e legge SW PP3 Na Daw omo Im — In Sy MED; « ed io riempii di abitatori Bikràn, ‘cui aggiunsi al paese », al territorio cioè di Dibòn; 0, se vuolsi, di Moàb (2). — Il Noldecke, partendo da ciò che Mesa era ricco di armenti e di greggie, pas lasciando indeterminato il verbo, leggerebbe: N ..... Sn 298 YI SP MEDN ITIN pa; < ed io how... i buoi chè raccolsi nel paese (3) ».— Il Kaempf (4), premendo le orme del Neubauer (5), in ciò approvato dallo stesso Noldecke (6), supplisee e punteggia : nxSono DR Mehta) TINA Sy MED TON DEI: « ed io compili il ripieno {il muro) nelle città, cui aggiunsi al paese (7)». — Il Fabiani nota che questa lacuna, già supplita in sì diverse guise, «si potrebbe, così per giuoco, supplire ancora: ANDU ‘I, tolsi via le sozzure (nelle città che aggiunsi al paese), ‘intendendo che ne sbandì gli Ebrei (7). — Taccio quella singolarissima dell’Hitzig (8): 9x3 20 SIN) - van Sr omaDI OWN pa Dini 2W, ed io mi stan ziai di fronte a Bètser, a guardare il corno (non di of- — (1) Ganneau, l.c., p. 385. . " (2) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa’s, S.13. 24. 5A ; Die Inschrift Mesa's, a. a. O., S, 254-255. (3) Noldecke, a.a.0., S.C. 15-16. (4) Kaempf, a. a. 0., SÌ 41.43, vgl. 34. (5) Neubauer, Veber die so denari Moabe Ins chapae in Frankel®s se Monatschrift, April Heft; 1870. E, (6) Nòldecke, in dem Gotting. Gelehrt. Anzi; a. a.0. - —. (7) Fabiam, 1. c., p.39. SA (8) Hitzig, a. a, 0, S. 14.17. vgl. 45. 46. | {a, no, ma di difesa (1), lo scudo cioè, la ròcca, la fortezza), che aggiunsi al paese (2). ? di dat Questo noterò piuttosto, che, giusta la saggia osserva- zione del Fabiani (3), il supplire lacune di questa fatta non è che un indovinello. — Ciò premesso, soggiungerò | * "A ‘ collo Schlottmann (4), che questo comma è strettamente Fa È connesso col precedente e col susseguente mercè la con- ta» È giunzione vau, e, con cui ed esso ed il susseguente co- A x LI 3 minciano, e che per conseguenza, come in quest'ultimo SET | ed in quel primo si seguita a parlare di costruzioni e o; fortificazioni, così nell’intermedio pare abbiasi a credere So si parli pure di tal fatta opere. Laonde nè i buoi del 185 «SR Noldecke (5), nè le sozzure, o meglio, gli abborriti sozzi a; Ebrei del Fabiani, nè la nuova popolazione di Bikràn , LS imaginata dallo Schlottmann, ned infine lo stanziarsi di ; a Mesa in Bétser a guardar questa nuova difesa di Moàb, Le DI voluto dall’Hitzig, non sembrano dover essere i concetti i contenuti ed espressi in questo brano dell'iscrizione della Stela moabita; epperciò le lezioni e sostituzioni da essi loro più o meno seriamente recate in mezzo non appa- dali gini % di € / PI: pr se 3 pepate, apr pè de = zugefigt habe ». Hitzig, a.a.0., S.17., vgl. 46. (3) Fabiani, l.c., p.39. (4) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa's, S. 23. (5) S'arroge che il Noldecke è costretto a leggere nell’inciso che segue immediatamente , ’MDDN ; mèntre; a detta del Ganneau (l.c., p.386), sul suo stampone ad impronte saglienti, e sul pezzo di lapide tuttavia esistente, si legge chiaramente e distintamente NDD' , aggiunsi. Pr : riscono guari probabili. È | "hi i A i (1) Gf. Psalm. XLVII. 2. Pe i (2) Eccone le parole: « Und ich siedete, gegeniber von Betzer, Re zu schauen auf das Horn [nicht zum Stosse, sondern zur Ver- Re Ò theidigung, vgl. Psalm. XVIII. 2.] welches ich zu dem Lande hin- a) tag gia cap WD SEE è re RCA ‘ ni ha sempre la terminazione femminile in NI, I°P (3); e che IMP, urbds, oppidum, è femminino, e, quando vien usato al plurale come nome proprio di qualche città (perchè urbs gemina, come Athenae, v.gr., è Thebae in latino), è o al duale come in DINMP (urbs gemina), rubenita dapprima (4), poscia moabita (5), oppure esce in NI, terminazione caratteristica del plurale femminino, come in NMP, urbes, nome di due città, luna di Giuda (6), l’altra di Moàb (7); ma però non ha mai ter- minazione plurale mascolina. Laonde la lezione MP. nelle città, proposta e mantenuta dubitativamente dal Kaempf e dal Levy (8), e ricisamente dal Ganneau' e dall’Oppert (9), è tutto al più possibile, ma non guari probabile. Per la qual cosa più probabile per fermo ci sembra. l'opinione di chi collo Schlottmann tenendo Bikràn come nome proprio di una città, modificando la lezione pro- posta dal Neubauer, adottata dal Kaempf, ed approvata dal Noldecke, supplisce: TOP ANSINIZNN MRS: «compii le fortificazioni di Bikràn »: città questa ignota sì, ma che, conglobata con Dibòn, Aronér, Bétser, Betli-Dibla- (1) Kaempf, a.a.0., S. 34. (2) Cf. Gesenius, Leticoh! ad h. v. (3) Cf. Exod. XXX. 3; XXXVII. 26 ; Lev, XIV. 37. 39; I. Reg. VI. 5.6. 15.16.29; I. Chron. XXIX. 4%-IL Chron: IIl.7; Teremi IV. 19; Ezech. XXX.3; XXXIIL 30; XXXVIL 28; XLI. 13:25. (4) Num. XXXII. 37; Jos. XII 19. (5) Jerem. XLVIII. 1.2.3; Ezech. XXV.9. (6) Jos: XV. 25. (7) Jer. XLVIII. 24. 41; Amos, II. 2. Confrontisi quest Iscrizione stessa, lin.13. (8) Levy, a.a. 0. (9) Oppert, l.c. Osserverò inoltre col dottissimo Rag (n, ‘che me ile Ae Sacro Testo Y?P, arr, locus muro munitus (2), al urto ks, i ius, si pi TRE per e ciò sisi posta, si pari di queste, a tramontana dell’Arnòn nella « contrada della pianura », nionan YX di Geremia (1), o, ciò che al medesimo ritorna, nelle campagne di Moàb, INTO DINMY3, come chiamava Mosè (2) que’ luoghi in tempi di gran lunga più antichi (3). Nè a questa lezione o traduzione si potrebbero muo- vere altre obbiezioni, se non queste due: 1° che .N350 vallum, ager (4), è mascolino; 2° che, a detta del Gan- neau (5), innanzi alla sillaba NN, che seguita immedia- tamente alla lacuna di cui si tratta, v ha sulla pietra i resti.di una mem, M, sicchè non puossi leggere nxDan. — Ma tanto l'una, quanto l’altra di queste obbiezioni sono di poco peso. E di vero, quanto alla prima, niuno ignora che in ebraico v'ha non pochi nomi mascolini, i quali al plurale, pur conservando il loro genere, escono in NI, oppure N° (6); ad es., 28, padre, al plurale DIR, e DW, nome, al plurale NOW. Or in tutta la Bibbia non | ricorrendovi mai il plurale di NPA; non puossi in guisa veruna impugnare, non dico solo la possibilità, ma la probabilità, che il medesimo fosse proprio quello sup- posto dal Neubauer e dal Kaempf e approvato dal Nol- decke, vo’ dire Dix. — Quanto poi alla seconda ogge- zione, e’ vuolsi osservare, che il Ganneau dà sì per certo che sul frammento di pietra da lui acquistato non vha traccia di punto finale innanzi alle due parole NN; che (1) Jerem. XLVIII:24. Gf.ibi, v:22. (2) Num. XXI. 1; XXVI. 3.63; XXXVI. 13. Deut. XXXIV. 1.8. (3) C£. Sabdotimalioi Die Siegessiule Mesa’s, S.23. (4) Gesenius, Lezicon, ad h.v. (5) Ganneau ; l.c., p. 385. (6) Gesenius, Mebraische Grammatik, S.157-158. x Nessi RATTO © 2 ù peru Se he 7 a 0° ti * ERIN SIERRA e dediani ie La Ù A; Aaa 4 tti e 1 RR RES bi; A - e » x - x RSI Ae I) ut perciò sembrano « ètre la fin d'un mot Go », ( 14 che sarebbe appunto conforme alla lezione supplita dal Neubauer e dal Kaempf); ma l’esistenza dell’ obbiettato mem, la dà al tutto per incerta, scrivendo: «j’aî cru dis- tinguer sur la pierre, immédiatement avant, les restes d’un W sans trace du point final (1) ». Or non ha molta forza un’obbiezione fondata sur un puro e pretto dubbio. Se non che, proponendo e adottando cotesta lezione , confessiamo candidamente di ciò fare, solo perchè non ne troviamo altra migliore; nè la diamo se non come una mera congettura. E sventuratamente lo stato presente di questa iscrizione non ci lascia quinc’ innanzi, il più delle volte, che indizi incertissimi, fondamento perciò e occasione a congetture al tutto vaghe alla lor volta e dub- biose (2). Rimangono ora ad esaminarsi le parole dell’inciso, che seguita subito dopo: tgpl> Ja) Sy ND VR, che aggiunsi al paese, di Moàb cioè, e meglio forse di Dibòon. — Or qui fa uopo anzi tutto porre in rilievo col Ganneau (3), come quinci ap- parisca manifestamente che i Moabiti ritenevano la forma ebraica WX del pronome relativo, anzichè la fenicia Wa, wx (4). — In secondo luogo e’ vuolsi notare collo (1) Ganneau, 1. c. (2) Non è però congettura, ma cosa certa, quanto il Ganneau, a proposito del pronome relativo WR, ricorrente in questo comma, poneva in rilievo, che cioè «le moabite posséde le relatif hebreu NN et non la forme phénicienne WN ». Ganneau, 1. c., p. 374. Uf. Schroder, Die phonizische Sprache, S.162. V. Alti; T.VII, pag. 766, not. 3. (3) Ganneau, 1. c., p.374. (4) C£. Schroder, Die phonizische Sprache, a. a. 0. — Schl Hininsi n ne la fuso an or mod) ‘è sì per SR iii, e sì per la costruzione ; eguale a quella Lat ge Lal Sa Ù Ò sita A PES RR TE ONVONA 3 Ab dd * tl HI (he ma TOR RA v di - usata da Eschmunazar nella sua iscrizione là dove si vanta di avere aggiunto ai confini, vale a dire, al territorio del paese Dor e Joppe, due città sul mare d'un’ impor- tanza incomparabilmente maggiore per Sidone, che nol fosse Bikràn per Dibòn (2). — Da ultimo giova richiamare al pensiero che esempi e vanti di tal fatta annessioni di città-o provincie ricorrono, come vedemmo altrove (3), nelle iscrizioni cuneiformi assire. XXX. 39 2723 Na) 70953 DI Dna 55 TRO 2 DX DU NDN) Ed io fortificai e Beth Bàal Meòn. E vi posi Î la terra. (lin. 29-30). e Beth Diblathàim Prosegue Mesa a contare i provvedimenti da lui presi affine di premunire se stesso, la sua capitale, il suo regno da ogni invasione nimica. Senonchè una nuova lacuna qui subito ci arresta. Imperocchè dopo il pronome personale, preceduto dalla vau congiuntiva NI, ed io, (1) Schlottmann, Die Siegessiule Mesa’s, S. 24.u.46. (2) Schlottmann, Die Inschrift Eschmunazar?s, Konigs der Sidonier. 2.146, fl., vgl. z. 2.19.20. (3) V. sopra, Cap, VII, $ 18. J PRAGA Vba RE nic aka” n sd, RR ce TESE vin IE, ZA, L'esig è Mi dn rr "a \ + Aa at eli 1a al we "SP x Ù 5 , È hi y , 4° 4 de , on” La bé Da. ) Ù SII de 5 PU Dar n È , pi A è ri ‘ ì È 3° ale di F ; 093 DINI Si fs jobavn> «und ich baute den Tempel von Diblathàim (6) »: 2S ed io fabbricai il tempio di Diblaihdim; quasichè Beih, domus, 7 casa, non fosse un nome solito a combinarsi con qualche vai ‘ altro per formare il nome proprio di qualche città o vil- ; an laggio (7); o vi fosse qualche ragione, la quale ne strin- 9 io gesse a credere che qui Mesa cessi di parlare delle forti- DI a ficazioni da lui costrutte, e vanti per contro l’erezione di sa altri templi, od. altri Santuari. — Lo stesso, e per le stesse +31 (1) Oppert, 1. e. e È (2) Ganneau, l.c., p.188. si (3) Fabiani, l.c., p. 39. “Gi 4 (4) V. sopra, pag. 461-462. PRC, (5) Num. XXI. 24, segg. ui; (6) Schlottmann, aa. aa. 00. ua - (7) Vedine una lunga filza in Gesenius, Lericon, ad vocem 2; SP 2 e in Smith, Dictionary of the Bible, vol.I, pag. 194-208. — In simil 4 3 maniera noi formammo molti nomi di città, o villaggi, combinandoli ca coi nomi di Casale, Castello, Villa, ecc. — Che più? I nomi ita- liani di Casanova, di Domo-d’ Ossola, ecc.; i tedeschi di Nord- "a AL 4 d hausen, Miihlhausen, e simili, mostrano come anche in Occidente, Lf è . E È riectà e : : de“ nomi corrispondenti al M°2 dei Semiti si adoperino in combina- Re: zione con altri a formare nomi proprii di città o villaggi. LT, 98 «Sha Pigi an SEA si PPM: cui parlammo già altrove (1), e che, i corta da ne ce R È come terra in su quel di Ruben (2), potè sì trarre questo. | suo nome da qualche tempio colà sacro a Bàal, ma però vien usata a dinotare una città della pianura chiusa tra — l’Arnòn e il Jabbòk, e non un tempio sacro a dual i divinità orientale. "x Tanto sullo stampone del (ranneau, quanto sulla Stela, séguita tosto un’altra lacuna; YIXN INNDWU NOS), in cui, se è certo, che il verbo, onde comincia 1 emi- stichio è futuro converso del verbo NU), coniugazione Kal, gli è per contro incerto affatto quale dei molti si- gnificati, di cui esso è suscettivo (3), abbiasegli ad attri- buire; e ciò a cagione dell’ esserne al tutto La coma la frase (4). L’ Hitzig supplisce e legge: 029DO NR DW NUNI TONI n51-55 2XÎ , e traduce: « und ich verpflanzie ‘ dorthin die Bettler Moabs, alle Diirftigen des Landes (d) »: e vi trapiantai i meschini di Moab, tutta poveraglia del paese. — Nel che egli a giusta ragione s’appoggia anzitutto sul signi- ficato delle parole ?99DN e nî3, di cui il primo è plu- rale costrutto di 7309, tapino, povero, misero (6); e corrisponde all’arabo e siro, meskin, meskino (da cui sem- brano aver tratta la loro origine il meschino, meschinello | degli Italiani: il mesquinho de’ Portoghesi; il mesquin. de’ > mir Francesi); il secondo è costrutto singolare di 87. tenuitas, 9 de (1) V.sopra, cap.VIII, $ 3. ) Jos. XIII 17, coll.16.18.21. 0A (3) Cf. Gesenius, Zericon, ad h.v.; First, Mebraisches und Chal- — “ diisches Handwéorterbuch, za d. W. i Tre (4) Ganneau, l.c., p.375. i at di (5) Hitzig, a.a. O.; S.14.17. 48. a (6) Gesenius, gal. ad h. v. Uf. Eeclesiastes IV. 13; IX. 15. 16, ue ile SALI ticino eni ; ic Pete, 3 IA f manasar (2) e di Assarhaddon (3) che mandarono gente di Babilonia ed altri paesi ad abitare le città di Samaria, i cui cittadini erano stati condotti in cattività nell’Assiria; vuoi di Nabucco re di Babilonia, e di Nebuzardàn suo generale, de’ quali il primo trasportò di Gerosolima i principali del popolo e dell’esercito insieme co’ migliori artefici, lasciativi stare solo i poveri del paese (4); l’altro, distrutta Gerosolima, menò cattivi in Babilonia quanti cittadini erano avanzati alla spada, lasciando su per le campagne solo i più miseri fra i contadini (5). Ma poichè non dice Mesa nella sua iscrizione ch’ egli abbia spopolate le città, di cui qui parla; poichè inoltre egli vanta i provvedimenti fatti per la difesa del paese; poichè era costume degli Orientali non meno che degli Occidentali, degli antichi egualmente che de’ moderni, porre nelle vinte ed occupate città forti presidii (6); poichè dove eravi maggior bisogno di forza militare, si manda- vano i più eletti fra i prodi (7); parrebbe assai più ovvio premere in parte le orme del Kaempf, che legge. NN) INN [e wi] lp Lsh3 TONDO DN DU; e traduce: « und fihrte dorthin jene zweihundert Mann (die in Jahaz (1) Gesenius, Lezicon , ad h.v. — Cf. II. Reg. XXIV. 14; XXV. 12; Jerem. LII. 15.16. i (2) II. Reg. XVII. 24. coll. so (3) Ezr.IV.2. (4) II. Reg. XXIV. 14. (5) II. Reg. XV. 9-12. coll. Jerem. LII. 13. 16. (6) V., ex caus., II. Sam. VIII. 6; I. Chron. XVIII. 6; I. Sam. X. 5; XIII. 3. Cf. Keil, Biblischer Commentar ib. A. Prophetischen Geschichtsbiicher des A.T., II.B., S.261. (7) Cf.II Sam. X. 7-9; I. Chron. XIX. 8. 10. 7 ‘g | : i DA È ATE ed a) mne, > adoperando ‘l’astratto pel - concreto (1). — S’a ‘appoggia inoltre al fatto, vuoi di Sal- i (N Ha ra d “- AA, DES RO E sen a € (FIRE APE SA Paste ta in capo ed una vav in mezzo alla medesima, ci toglie di sapere di certo chi sia cotesto suo abitatore. Comin- cieremo adunque col cercare dove si trovasse questa città; investigheremo poscia chi ne fosse probabilmente in pos- sesso e contro chi per conseguenza la riconquistasse Mesa. DIS9P è duale di 99M, equivalente a “99M caverna (4), e quindi etimologicamente suona doppia caverna, o, se vuolsi, due caverne (2). Isaia (3) e Geremia (4) ne fanno menzione, e l’annoverano fra. le città Moabite; anzi la collegano con Tsòar e Luhhîth (5). — A stabilirne per- tanto con qualche probabilità il sito, uopo è determinare anzitutto quello cui queste due città occupassero. Or Luhhîth, in ebraico le akr, , etabulis facta (6), a detta di Eusebio da Cesarea (7) e di San Jeronimo (8) era sita tra Areopoli e Tsòar, e ai loro dì portava tuttavia il nome di Luitha (9). — Tsòàr poi, in ebraico WYY e WI, par (1) Job. XXX, 6; I. Sam. XIV. 11. (2) Gesenius, Lezicon, ad h. v. (3) Jes. XV. 5. (4) Jerem. XLVIIT. 3. 5.34. (5) Jes. XV.5; Jerem, XLVIII. 5. 34. (6) E quindi appunto il ricorrere di questo mome proprio sì in Isaia e sì in Geremia, congiunto coll’articolo (min) , quasi dicesse Za città fabbricala di assi (Gesenius, Commentar diber den Jesaia, I. Th., I. Abth., S.528); significazione questa, ch’or fa due lustri pareva al Grove (in Smith?s, Dictionary of the Bible, vol. II, p.150) improbabile affatto, parendogli inverosimile che una città Moabi- tica s'avesse un nome ebraico: significazione per contro, cui questa iscrizione di Mesa ci mostra, non che verosimile, ma naturalissima, sendochè la lingua parlata dai Moabiti era appunto l’ebraica, con poche e leggiere modificazioni. A x (7) Eusebius, Onomasticon, ad v. AovziS. (8) Hieronymus, Onomasticum', ad h. v. (9) « Est usque hodie vicus inter Areopolim et Zoaram, nomine Luitha ». Hieronym,, I. c. e Sa de) vitas, poca cosa, è una delle città più antiche di Modb (1). "A detta di Giuseppe Flavio (2) si trovava all’ultima parte dell’Asfaltide nell’Arabia, col qual nome designava esso _ _——» il paese che sta a scirocco di questo lago, e di cui era a’suoi tempi città capitale Petra (3). Consentono a siffatto e, S riguardo i dati geografici pòrtici da Eusebio da Cesarea, i È il quale notava come il mar Morto si stendesse da Gerico a Tsòar (4), e come questa si trovasse poco distante dalle sponde di quello: portasse tuttavia l’antico suo nome: s’avesse un presidio di soldati romani, e fosse ricca di palme e di balsami: argomento ed indizio della fertilità È sua antica (5). San Jeronimo conferma queste medesime P cose (6); e nota altrove, che « Sesor (così vien chiamata F Tsòdar ne'LXX e nella Volgata) in finibus Moabitarum sita est Daft t 4 dividens ab iis Philisthiim » (7), cioè i Palestinesi. Anche gli scrittori, che ci narrano le gesta de’ Crociati, ne fanno menzione sotto il nome di Segòr; la collocano all’estre- ti mità meridionale dell’Asfaltide (8); soggiungono che di 6 là si comincia a salire su per le montagne dell’Arabia (9), e notano che il suo territorio è sì ricco di palme (10), da essere cagione per cui essa venisse chiamata Villa Palma- (1) Gf. Gen. XIX. 22. 23. 30, coll. XIV.2. 8. ef (2) Josephus Flavius, de Bello Judaico, IV, 8. Per (3) Josephus Flavius, lc. — CÉ£ Antiquit., XIX.1.4. (4) Eusebius, Onomasticon, ad v. O&ziza A Gori. (5) Eusebius, l.c., ad v., Baàd. (6) Hieronymus, Onomastieum, ad v. Balla. (7) Hieronymus, Comment. in deg. XV. 5. TFR (8) Fulcherus Carnotensis, Gesta Dei per Francos, p.405. (E Raumer, I Palistina. S.222. £ : e del Fabiani (5), i quali ide il vuoto. sì e come a: i trova. VA N XXXII. tn 2 wr 97) ma wo n 2A Nnebp o, hw i È Chemòsc a’ miei di È rà vra i "L È È (lin. 33-34). ta d:; Sì piene di lacune sono queste due ultime linee, che È ne è mestieri astenerci da qualsivoglia supplemento, non di: potendo questo non tornar conghietturale del tutto ed ar- : bitrario. Chi però nella lacuna precedente leggesse : TINI ma DIPDINI, ed io scesi, e l’assaltai, e, se l’inciso fosse $ Did s troppo lungo, ponesse solo: ENI) MRI), od anche fo TN) MAI, ed io scesi e combattei, questi potrebbe sup- s= plire la prima di siffatte lacune, leggendovi col Kaempf: 1a MI WI MIUN , e ricuperolla Chemòse a' miei dì. Chè, i Si a dir vero, questa lezione s’' avrebbe un pieno riscontro ns]. pw. nas] pron vob. onwri 05. nom_ni [ms - pop rbt. api | op cana. DIST ARa DD. fono . éo5. nm | nonnina . >. an. vd | Frrtieg corta rici ] mi 55 iL pane ato. pa non). Dimm. non. imp cons» . DI] 391. 9. nda. NY | ritmo Lon. DIN. mar Nd. DINT. sgiol [n - pa pon I fuinn onto ont. osa) eo ha. mIa. ssi [e] méy - pn-555 coni. ampa capo. pp] >», ma. Sn - IMDON LOTINI . DIN) | rinioa na. x. DIL [5%]. 75983. ribbon Lonioy is). Sy onpa (98 | fast i e Nm. DII.059. nba. 299.5 si [asomefio sio [provo ati o ron] [ma ai] rr nd pa sbon] D.LNN. DU. NN. 770 Syd. nn | pnbam. na Des m.2.M9. WU. 79M |a Ipo. pente om. a oto Ra] OI n IT. pa. wo. AE, ) nw = : - È i n tot nre sa y° sv IRE n A cia " = =. i've Mani A PI alta AE “gr SALTA? E Ani E Da Re e ti n Miao! Li AEM [ome i 91159 2° MIPIXICE ANI | pre $i ag AN AAA A L e ASA A #) PA + pri pi L di PA A, 7 e Illustre, N 922 annee 1870. STELA DI MESA AA 5 : NE co 3]-AU499 ‘yyfloxte= 0g Ao A 1179444. UNI Di IISSLO 69. È da ASIA. CRINENIA ow\ \L vj i x Ryyo FATA eretta aJ6HAYIan||\s i XK Aq AAfy 63 PESATA xt] |} RICA A AVATI >a4:9 GAY IAA £} IWFA AGIAR?: 64 pt SCE VATIIIVAL ATA, SNA GIMAVIIXAA pf | | LV MARTA API YA AAT A] |a 31 YA aYa 6444 XFIWGIM NIEIAMMYCXZIATA n VNAVYANONA 4 AGIWKTTA PINI A 76998| (8 1C LANA GAIYZETMA IC yYACAFTYAWY] | 4 Y YAAh So AA WA OPAY AI HA OKY. a 664 6A) |ss SON n x O9VATIKNAAKTAT Ti - JYIMHPFY |ATXY4Ha.w YY. qwol. CAINE i IZAAAICA N IYASICIA 4g ragaa&o || GABIENS ARURIAZII (Ra. aJ.grarvbazri |s I artt. r ALIA FIA IS. WEI EI :I XI PA | |® \ NANI ARINAHIT.Zx79))+1] JASGNIE | | I FVAXCAVIALIIVIATA ZAIOMAGII}#Y15J08| | | ra. tra nepa NIras X4IV} ANI: VIE AKA dear) ta 107999 DA Jk I 477} = i UA SY) VACaTA ar pp DI CL (A (000 L'ISCRIZIONE DI MESA RE DI MOABO/-//-/ 0 Rari ssi, | RON di Do “AA K i ì L=" o fr i i ENFELCG.B. ti ETTI ti RS i i fr “a 3 vs Vol. VIII. de Ri a DE è a di Introduzione. ...........-...0 0 DICI UE,. UDAG N51 vs ST È Capo I. Storia della scoperta e dell’acquisto dell’iscrizione di + È Mesa — Forma e stato della lapide contenentela + RE feci: — Caratteri — Interpunzione — Lingua — Anti- Moe ta chità — Importanza della medesima...........» 754 Mit » II. Autenticità della Stela e tempo in cui fu posta ..» 774 3 6 » III. Cenni geografici e storici intorno a Moab..... vi.» 794 toe » IV. Iscrizione di Mesa, re di Modàb, trascritta in ebraico SIR; È i dalla copia più compiuta dell’originale moabita "a fe pubblicata dal Clermont-Ganneau..............» 817 fi TT V. Traduzione dell’iscrizione di Mesa re di Moàb....» 819 » VI. Illustrazioni e conferme, cui la Bibbia ritrae Salo SCrizione Ul Masa eos SIAE, Le » 822 "a $ 1. L’iscrizione di Mesa e i dettati della Bibbia intorno di: a Moàb e alle sue attinenze con Israele ....... » iv ME fo $ 2. L'iscrizione di Mesa e i dettati della Bibbia intorno Se È ‘ alla Casa di Omrî ed alle attinenze della medesima T® col popolo di Mob ....... or MDIM IE 84 # $ 3. L'iscrizione di Mesa e vari fra i dettati della Bibbia \ sa ‘ZIA . intorno a costumi, credenze, fatti sì degli Israeliti, : 1 2A se, e sì de’ popoli circonvicini ......... Fei Mania 200 a Vol. IX. A = ig . . \ ve È » VII. IMustrazioni e conferme, cui in fatto di storia e di 6 e. archeologia porgono all'iscrizione di Mesa i dettati ce i sì della Bibbia, e sì della storia e dell'archeologia \- SPA orientale ...... Sa TERE ..» 435 > 09 i “ASSE và, ii 1. Foggia d'incominciamento ice. bi see + PAG eo 2. Nome patronimico di Chemosegid . +5 SEVERE! po v 489 se 3. Titolo di re di MO4D,....1.. 000000 AEON 4. Indicazione della propria patria .......... cevcei.» 454 5. Chemòse ....... CIIEDSO lia ca ie ee era vi Epic Sa I 6... Bamdh +. 000 fl A * FESTA ..» 683 1. Kothhdh vci e ste ciale RAR 0...» 687 8. Titolo di Bamàth Mescani, dato da Mesa al Santuario da lui drizzato a Chemésc sulla Korhhàh......» 695 $ 9. Piazza d’arme stabilita da Omrî in Medabà....... » 700 $ 10. Vanto menato da Mesa delle stragi fatte in Ataròth. ed.aNebò,......:-% na gita siva PRINT Grid. LyAvidk dio Dawidifssia. epr v$ sO MOST. » 710 6:12. ‘Astòr-Chembso;.. ii i SITR 9 TTD $ 13. Vasi di Jehova tratti al cospetto di Chemòsc..... » 780 $ 14. Opere di Mesa in sulla Korhhah a Dibòn ........ » 785 $ 15. Costruzione di regio palazzo in su la Korhhàh e vanto menatone da Mesa............... REALE MIL 0) 16. Opere idrauliche di Mesa a Dibòn ...............» 796 $ 17. Opera dei prigionieri israeliti usata da Mesa nello scavamento del suo cisternone in sulla Korhhàh » 801 $ 18. Annessioni di città e terre conquistate ........... » 802 VIII Illustrazioni cui.l’iscrizione di Mesa ritrae dalla Bib- bia in fatto di cose geografiche. ............... » 803 61. Dibog gin ii pani e e SET » 804 C- 2. MEdAbAs keep pe ee a EA A » 808 $-,3- Baal-Meòn' sine Seeds pie Bet Rogi Le PA -» 816 Gii4An Kiriathdippo sn prebende RA SSL SELE » 821 GaiEro'atantgtio 1a [vee PRE RE T — » 827 G-6:*Rerijotie 0% ASTI e Ie TI RA c0000: 01829 $- 70 Nebé i... O RN si» 832 ea Ahatz........ a i vp Comm. geologica È dell'India è (Calcutta), st. Mi tl, Comm. geologica dell’ India (Calcutta). « di ; nor Id. n, 3 na x ber, R. Accad. Irland. 6 di Dublino. Sd 38 Bici e id. a *à tao "A = —_—Università Imp. ga, di Dorpat. fot» # he * | Società Reale «aa di Edimborgo. ue. Mu Id. sa n i i Tor, __—R. Soc. geologica DIE d’Irlanda AL (Edimborgo). % mei e be Soc. Zoologica eee — di Londra. «lei - a Id SI . vi | ——’Società Chimica 7 > di Londra. dà x Ò x ___R. Soc, Astron. ui di Londra. CE È Mi SÙ Società Geologica val di Manchester, gta £0E è- ibi - REI ICONE # id Memoirs of the Geological Sarde) of India; vol. X, part 21 ol. part 1. Calcutta, 1873-74; 8° gr. 34 Records of the Geological Survey of India; vol. VII, parts 1-4. Cal- cutta, 1874; 8° gr. The Transactions of the Royal lrish Academy, Science, vol. XXIV, parts 16 and 17;- vol. XXV, parts 1-9; Antiquities, vol. XXIV, part 9. Dublin, 1870-74; 4°. Proceedings of the Royal Irish Academy; vol. I, Ser. 2, n. 4-10 Dublin, 1872-74; 8°. Meteorologische Beobachtungen angestelit in Dorpat, in Jahre 1872 und 1873, redigiri und bearbeitet von Dr. Arthur yon OET- TINGEN und Dr. Karl WerHRAveH. Dorpat, 1874; 8°, Transactions of the Royal Society of Ret: i vol. XXVII, part. 2. Edinburgh, 1874; 4°. Proceedings of the Royal Society of Edinburgh; vol. VII, n. 87. Edinburgh, 1874; 8°. Journal of the Royal Geological Society of Ireland; vol. IV, part. 1. (new Series); 1873-74. Edinburg, 1874; 8°. . Transactions of the Zoological Society of London; vol. IX, part. 1. London, 1875; 8°. Proceedings of the scientific meetings of the Zoological Society of London, for the year 1873, parts 1 and 2; 1874, part 4. London, 1875; 80. » Journai of the Chemical Society, new series, vol. XII, December 1874- vol. XIII, February-April 1875. London, 1874 - 75; 8°. Memoirs of the Royal Astronomical Society; vol. XL, 1874-75, Lon- don, 1874; 4°. Transactions of the Marichester Geological Society, ete.; Vol, XHI, i parts 8 and 9. Manchester, 1875; 8°. = } diconti (hi R. Istituto L onlbarde di Stia e Lettere; vol. VIII, OR. Istituto Loro, fasc. 8-9. Milano, 1875; 8°. i | i AMARO a Memorie della Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arli in n. Accademia Ta Modena; tomo XV. Modena, 1875; 4°. i di So, Lettore sa ed Arti ST È di Modena. O Programma per concorso a premi d’onore dell’anno 1875, proposto Id,5 ) x dalla R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Modena. i Br «E Sa Annuario della Società dei Naturalisti in Modena, ecc.; serie II, anno Società f a 5 9 N . Q0 dei Naturalisti nono, fasc. 2. Modena, 1875; 8°. fap. RE a gf Sitzungsberichte der Mathematisch-physikalischen Classe der KR. Baye- Accademia Reale | si È rischen Akademie der Wissenschaften zu Miinchen, Band. IV, delle Scienze È 3, i, di, Monaco, Sana Heft 3. Munchen, 1874; 8°. RS SARA N Results of astronomical and meteorological Observations made at Osservatorio — al the Radcliffe Observatory, Oxford, in the year 1872, ete.; vol. OLI pe XXXII, Oxford, 1875; 89. 7 Da Tae _ Atti dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo; nuova serie, Accad. di Scienze ir vol. IV. Palermo, 1874; 4°. Lettere ed Arti di Palermo, VESTI Comptes-rendus hebdomadaires des Séances de l’Académie des Isiituto è Sciences, etc.; tome 80, n. 1-20. Paris, 1875; 4°. di Francia o: i (Parigi). soll Bulletin de la Société de Géographie, de Paris, ete. Mars 1875. Paris, soc, di Geografia © Res 1875: 8° di Parigi. San Lar È £® s Bulletin de la Société Géologique de France, 3me série, tome ITÎ, Soc. Geologica — SR = ». 0 di Franeia — i n. 4. Paris, 1875; 8°. (Parigi). do Observations de Poulkova, publiées par Otto STRUVE, ete.; vol. VI. Osservatorio Imp, Soa St-Petersbourg; 4°. di Pietroborgo.. fe o) «+ Lett Annales de l’Observatoire physique central de Russie; publiées par Osservatorio H. Witp; année 1869. St-Pétersbourg, 1874; 4°. fisico centrale — di Pietroborgo. : FT Pa SA LI G LI Repertorium fir Meteorologie herausgegeben von der FK. Akademie rÙ, der Wissenschaften, redigirt von Dr. Heinrich WiLp; Band IV. Heft 1. S'-Pétersbourg, 1874; 4°. x ° È. ol ORE, se e BLA 30; n X 4 "as MI Prc n det à di » RAI LI 228 sa Nas ho tar, i De La ur nia di > c I ) ps LR ita DI Plaga nie @«-ò—-àZLVSI ad Giles > x een — _—_ «i... Fila STATISTICA DEL REGNO D'ITALIA. RI Rgene ST vii Boia, Popolazione per età, sesso, stato civile ed istruzione; Censimento Ind. e Comm. . To, +. Q0 EA). i 31 Dicembre 1871; vol. II. Roma, 1874; 8° gr. È Id. Bollettino meteorologico mensile; Ottobre 1874, 1* Decade, pag. 181- 200; - Aprile 1875, 3a Decade, pag. 137-148; 8°. “ia | —R.Comitato Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Marzo e Aprile 1875; | CR va n.3e 4. Roma, 1875; 8°. «R. Accalema Atti della R. Accademia de’ Fisiocritici di Siena; serie terza, vol. I, de’ Fisiocritici fasc, 5. Siena, 1874; 40. di Siena, Si. Ia: Rivista scientifica pubblicata per cura della R. Accademia de’ Fisio- #3 critici di Siena, ecc. Gennaio e Febbraio 1875; 8°. OR Acc. di Medie, Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; Maggio 1875; ; di Torino. n. 12-14. | società d’Arch, Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la provincia di | © Belle Arti Torino; vol. I, fasc. 1. Torino, 1875; 8° gr. us 1 (Torino). ‘ln Soc. degli Ingego. Atti della Società degli Ingegneri e degli Industriali di Torino ; «e degl’Industriali Re : n 2 N SNO. anno VIII, 1874; fasc. unico. Torino, 1875; 89. R.Istit. Veneto Atti del R. istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; tomo primo, di Sc.Lett.e Arti. serie V, disp. 6. Venezia, 1875; 8°. (Venezia). Ss. M. Flora Brasiliensis; Enumeratio plantarum in Brasilia hactenus de- il Re d’Italia. teetarum, quas suis aliorumque Botanicorum studiis descriptas et methodo naturali digestas ete., ediderunt C. Frid. Ph. DE Marrius, coque defuneto, successor A. G. EICHLER, etc. fase. LXVI et LXVII. Lipsiae, 1875; f°. sig. Principe Notizie storiche sulle frazioni continue, dal secolo decimoterzo al B. Boncompiani —decimosettimo; per Antonio Favaro. Roma, 1875; 4°. id. Paragone di due metodi per la determinazione approssimativa di > quantità irrazionali, del Dott. Sigismondo GiintHER; traduzione - dal tedesco del Dott. Alfonso Sparagna. Roma, 1875; 49, L'Autore. Ricerche di Chimica agraria sopra i principali vitigni coltivati sul suolo dell'Etna, fatte dal Prof, G. BasiLe. Catania, 1875; 4% AA 4 a = hr è AH Pa - : 7 0 SE TA x \ FESTE SORE SPS Up bit ir premiò 4 P—etliat | Coleotteri tenebrioniti dell è - DS e collezioni italiane, esaminati da Flaminio BauDI (Dal Bullettino entom., anno VI. Relazione sanitaria ed amministrativa per Panno 1874 del Comitato direttivo dell’Ospizio marino Piemontese ecc.; del Dott. Giuseppe BERRUTI. Torino, 1875; 8°. Table des fonctions symétriques de poids XI, dressée par le Prof. F. FAÀ DE BRUNO. Il bardo dell’officina, ossia la famiglia del reduce artigiano; di Bon- vIcINO BonvicinI. Foligno, 1875; 8°. BoLtRI; Studi sulle turbini. Torino, 1875; 8°. La Faillite dans le droit international privé, ou du conflit des lois de différentes nations en matière de faillite, par M. Giuseppe CARLE; traduit et annoté etc. par M. Ernest Dugols. Paris, 1875; 8°. -Discursos leidos ante la Academia de la Historia en la recepcion publica del Ilmo Senor Don Francisco COELLO y QUESADA, ete. Madrid, 1874; 8° gr. Noticias sobre las vias, poblaciones y ruinas antiguas especialmente de la época romana en la provincia de A'lava; por D. Francisco CoeLLO y Quesapa ete. Madrid, 1875; 8° gr. Cosmos; Comunicazioni sui progressi più recenti e notevoli della Geografia e delle scienze affini; di Guido Cora; vol. II, n. 7-9. Torino, 1875; 8° gr. Appendice all’Arte di fabbricare, ecc., per Giovanni CorIONI; vol. 11, disp. 4. Torino, 1875; 8°. | Primi risultati delle osservazioni fatte in Rocca di Papa sulle oscil- lazioni microscopiche dei pendoli; Esperienze e ragionamenti del Cav. Prof. Michele Stefano DE Rossi. Roma, 1875; 49, Bullettino del vulcanismo italiano ; Periodico geologico ed archeolo- gico, ecc., redatto dal Cav. Prof. Michele Stefano DE Rossi; Aprile e Maggio 1875. Roma, 1875; 8°. Le Industrie, l'Agricoltura e il Commercio; Periodico settimanale diretto dai Prof. ELIA e PANIZZARDI ; n. 20 e 21. Torino, 1875; 8°. L’ Autore. BR L'A VELO CN L’A. #A Ri “ul L'A. pd sa \ 74 2 Vo L’A. vee L’A Jai S = GU > sant L’A, mit. NE x rat” Pegli Id. (Leg s Re I a | pa SA L'A. HIT RE 16 L'A. o li L'A, Ped È É $A Id { RE, La È Di . a x + 1 Direttori. 2 ee zi Sig. Dott. __ R. FOGLIETTI, p31 moimiare Remarques sur le fait de l’existence en société, à i Pétat sauvage ‘ n des espèces végétales affines, et sur d’autres faits relatifs à la question de l’espèce; par Alexis JorpAN. Lyon, 1873; 8°. L’À. La vie et les euvres de P. Chr. Asbjornsen; par Alfred LARSEN. © Christiania, 1873; 4°. L'A. Peu de chose, mais quelque chose; par F.-V. Raspart. Paris, 1875; 169, L'A. Confronto fra le macchine elettriche; Nota del Prof. Francesco Ros- i seTTI. Venezia, 1874; 8°. Ugo Foscolo; agli amici del vero; per Gaetano SanGIoRGIO. Assish, L'A. 1875; 8°. i > L'A. Elogio funebre al Prof. Ab. Cav. Francesco ZANTEDESCHI in occasione — del trasporto delle sue ceneri nel cimitero di Verona, letto dal Cav. Stefano De STEFANI. Verona, 1875; 89. i L'A. Sulla Gastaldite, nuovo minerale del gruppo dei bisilicati anidri; Nota del Prof. Giovanni STRUvER, presentata alla Reale Acca- demia dei Lincei dal Socio Q. SeLLA. Roma, 1875; 4°, muaò Bericht der zur Begutachtung der Abhandlung des Herrn Hofrathes G. Wrx ilber die Wasserabnahme in den Quellen und Strimen ° eingesetzten Commission. Wien, 1874; 8°. RA Pinacographia; — Illustrations of more than 1000 species of North- West-European Ichneumonidae sensu linneano, ete., door Mr. S. G. SNELLEN van VOLLENHOVEN. ’S Gravenhage, 1875: 49° Tn - rende "Su SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Maggio 1875. | x so silab. eg Maro ofetettp; >_.6219Q098 molino siste. ‘ITS da era Fata LIA xi Le Sult pg Def dA siro MOBASBRW"v DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE - Adunanza del 9 Maggio 1875, PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Comm. Prof. Mocescnort legge la seguente sua Memoria SULL'AZIONE DELLA BILE RSDIRIA-I:CUUNFILSU'OTTC OMR QUNFENELI N'EWWP'EP TONE Si fu nel 1855 che il BerNARD osservò il precipitarsi della soluzione di corpi albuminosi nel sugo gastrico quando vi si aggiunge un poco di bile (1). Sebbene quella | scoperta, come dice bene il KùnNnE, da principio non sia | stata meritamente apprezzata, ormai essa costituisce un fatto riconosciuto dai fisiologi. Egli è meno noto però che la bile, in grande eccedenza, ridiscioglie quel precipitato, quantunque il KònneE l’ab- bia giustamente notato (2), almeno non si trova traccia :(1) Graune BernARD, Lecons de physiologie erpérimentale, tome II, Paris, 1856, p. 422. (2) KinnE, Lehrbuch der physiologischen Chemie, Leipzig, 1868, p. 99. « Secondo tutte le apparenze, dice l’autore, la bile da solu- zioni acide precipita tutta l’albumina a condizione che le propor- | zioni di acido e di bile sieno sufficienti; una grande eccedenza di bile che renda neutro il liquido ridiscioglie il precipitato ». tri © de è 7 i TTI pa MEG NPIROB della sua asserzione presso quegli autori stessi i qual ST trattando l'argomento, menzionano pure il KònnE. Ma quel che fipora sembra del tutto ignorarsi, si è l’esser necessario un eccesso relativamente piccolo di bile per ridisciogliere il precipitato da prima formatosi, pur- _ chè si continui subito coll’aggiungere bile finchè l’intento © sia ottenuto, mentre non è condizione indispensabile della soluzione che la reazione acida della miscela si faccia neutra e tanto meno alcalina, quantunque queste rea- zioni siano favorevoli. Arrogi che anche la bile priva del muco che regolarmente contiene, la bile scolorata e la così detta bile cristallizzata, ossia una soluzione acquosa di iglicocolati. e tanrocolati, producono effetti analoghi a quei che si verificano colla bile completa e provve- duta. di muco. ©! In sulle prime sperimentai soluzioni di albumina d’uova ‘ora cotte, ora crude, in sugo gastrico artificiale, con bile bovina tolta dalla cistifellea. 2504 vwull.isugo gastrico artificiale erasi, preparato dalla mucosa i del..quaglio 10 abomaso. vitellino a. temperatura. bassa 3 (5=15%c). Dal ventricolo} primitivamente lavato; si ra- i schiava il muco, al quale si aggiungevano da 750.a 1000 grammi. di acqua e, dopo macerazione per. 4 o 5 ore, ancora. :.:0 1% di acido idroclorico della densità 4,17. Abbandonato a se stesso per altra mezz’ ora, e sempre a bassa temperatura, questo miscuglio acidulato si filtrò e si ottenne un liquido limpido ed attivo per la digestione o «di. dadi di albumina o di fiocchi di fibrina, di una den- -sità fra 1002 e 1005, più o meno denso, a seconda che ;sivera adoperato più o meno dell’acido idroclorico. | Nel maggior numero delle mie sperienze l’albumina di uova cotte, assai sminuzzata, veniva sottoposta all’azione ; di ” go urico descritto, a x temperature di 37 a 40°c., i talvolta a temperature minori (21—34°), per il tempo di _6 a 40 ore. Le soluzioni di peptoni che ne derivavano aveano un peso specifico variabile da 1003 a 1011. Esse riuscivano quasi sempre limpide dopo di essere ben fil- trate. Il precipitato che davano con poca bile in tutti i casi si scioglieva coll’aggiunta di maggior copia di bile mucosa. La più piccola proporzione di tal bile (della densità di 1027) che a ciò bastava, era 1 7 il volume della solu- zione de’ peptoni (1010). La reazione della soluzione era neutra, 1020 la sua densità. La massima quantità invece arrivava 5,5 il volume di una soluzione Arca (WR03k alla temperatura di 13°, 2 c. Nè si ottiene un effetto maggiore coll’elevare, prima di mescolarle , alla temperatura di 38 — 40°; la bile e la soluzione de’ peptoni. In una serie di sperienze istituite a questa temperatura, 1 volume di soluzione peptonica ne richiedeva 4,4 a 4,2di bile mucosa affin di far sparire l'abbondante intorbidamento da prima formato, mentre a temperatura ordimaria (15°) la proporzione di 1:4 avea ‘operato lo stesso per i medesimi liquidi. svpidoz Faccio qui seguire alcune cifre a norma di esempi: si quantità di bile richiesta per fornire una soluzione.lim- pida con 1 volume:della soluzione di peptoni, ma si noti ‘che sovente io dovea filtrare. anticipatamente la ‘bile’, perchè fosse limpida:da sè sola, chè se rimaneva ‘opa> lescente in qualche caso eccezionale, ancora dopo essere ‘stata filtrata, la stessa. opalescenza persisteva nel mi- scuglio della soluzione ape ninna colla: BRERA «di bile, rs [ontoiguro annlagiià. 18040 je ‘eivirav, tI Hi vs AT a i : 2 eli “n ù gra Piu Multipfo OT 21tt5 e EN ia . Densità. | ge} BL di bile Densità |. Reazione. — & pe ei della - che con 1 ; i : | È della del i soluzione della soluzione |. na Lic ai L dla 16 dei de’ peptoni bile | miscuglio di bile | # ; forniva un liquido s; s x peptoni limpido I adoperata | e di peptoni.. _ ni 1003 4 ese eine 1008 5,5 10307 | neutra ini e || 1008 4 peer debolmente alcalina || 1009 4 — debolmente alcalina 1080,..] 145 1a neutra. ar | gus Lesa | Media. {9 stisb 38° nn elinpilene pote [1 Se non che il rapporto di 1 per 1,5 essendo stato ec- cezionalmente favorevole, anzichè insistere nella media, vorrei inferire dalle mie sperienze clie ordinariamente 4 o 5 volumi di-bile dànno un liquido chiaro con 1 volume della soluzione di peptoni.-Sarei portato a îredere che la proporzione variabile dipendesse dalla! natura diversa della bile. Imperocehè mon si potevaraccagionare la varia den- sità delle, soluzioni. peptiche, avendo, per la più densa bastato: -laibile,nélla, più piccola (quantità: 0 sob iuNeoderivava; naturalmente, il; problema d’ indagare la. efficacia dei singoli. componenti della»bile, o almeno di; vedere, quali effetti; rimarrebbero. alla) bile. dopo soltra-. zione; di una: più delle sue sostanze; /onn cl inbio «Cominciai.il.mio, esame colta bile; priva di muco. La otteneva strattando un, volume, di|:bileh mucosa; raccolta. dalla: cistifellea» dinbue; cond 0 “con cR3.B: di acido «ddro-. clorico(£0/y)(e filtrando il liquido; il quale era giudicato: conveniente allo scopo se non subivalinuovo intorbida- "e " vere een cen a AA ° Bi Pa et x À, mento coll’ aggiunta di altra prova dell'acido predetto, | senza che io pretenda con ciò affermare che la bile fosse spoglia di ogni traccia di mucina. Quando l’acido clori- drico versato nella bile scarseggiava, allora l’intorbida- mento che cominciava a formarsi si disciogliea di nuovo. La bile priva di muco così preparata avea un peso spe- cifico da 1017 — 1019. Sperimentata , colla sua reazione acida , sulle soluzioni di peptoni, dava le seguenti pro- porzioni: Multiplo della bile senza muco i Densità Densità della soluzione | ichiesto per fornire della bile un liquido chiaro di peptoni ._ cola x senza muco soluzione peptonica 1005 1005 1008 Media... --Della bile destituita di muco, di reazione acida, si ri- chiedeva quindi fino al doppio di quel che bastava dî bile mucosa, debolmente alcalina, per ridurre le soluzioni peptoniche a limpidezza. Il terzo esempio in cui il mul- tiplo era 10, si riferisce alla medesima soluzione di pe- ptoni la quale con 4 della stessa bile ancora mucosa avea subito effetto identico; per cui, in circostanze abba- stanza analoghe, di ‘bile senza muco ma acida, faceva d’uopo 2,5 volte tanto quanto di bile mucosa ed alcalinà per ridisciogliere il precipitato che nel liquido de’ Lagiamir nasce con poca bile. pena : De PNRA bi » par, CA n) È.) nea: vb | $i Cogl U hide Pa "a AA Age TI _ 2 lil dl it ì Li TI md DI di Aol ci 4 ENI: ALA 55: x 7° — S'intende che erano acidi i inidengi sala ti NOI 4 >» eptoni bile spoglia di mucina, e ne segue che la clip re zione dell’ acido non è indispensabile per ottenere col- l’eccesso di bile, la soluzione dell’intorbidamento da prima prodotto per la miscela dei due liquidi. ro Ma non poteva per caso derivare dall’acidità della bile il fatto stesso, che senza muco questa era meno efficace che nello stato primitivo, dotata cioè non solo di muco, ma pure di reazione alcalina o per lo meno neutra? Per poter rispondere a tale quesito, paragonai l’influ- enza della bile con e senza muco Ù della stessa origine, della medesima reazione e dell’identico peso specifico. | “Una bile di bue che era debolmente alcalina, venne a tal uopo divisa in due porzioni. Ad una di queste si ag- giunse acido cloridrico 1% fino a neutralizzazione. Nel- l'istante in cui l’acido si versa nella bile, si forma l’in- torbidamento mucoso, il quale però scompare appena si agiti il liquido, perchè la bile sovrabbonda. L’altra por- zione di bile si mescolò col suo medesimo volume di acido cloridrico 1 9%, per precipitare la mucina. Il fil- trato si neutralizzò con carbonato di soda, indi, sul ba- enomaria alla temperatura di 50 — 55° e., si ridusse alla densità di 1020, che era quella della bile Wlan, «he conteneva il suo muco. tù ‘All’ vopo di mettere in confronto pure allo stesso grado di alcalinità le due bili, con e senza muco, a 100 c.c. dell’una e dell’altra sovra descritte si aggiunse 1.c. e. di soluzione satura di carbonato di soda, il che era suf- ficiente per impartire ad ambedue le prove reazione al- calina, debole sì, ma distinta. TSI ‘ Finalmente ho pure debolmente REP con acido idroclorico la bile senza muco, per istudiare. completa- l° el alinea; E reazione. Sola po rinunziare i, ino colla bile mucosa, nella quale appunto non si può avere assieme acidità e limpidezza, perchè la mu- cina si precipita appena perduri la reazione acida. Le soluzioni in tal modo ottenute vennero poi esami-. nate nel loro comportarsi con una soluzione de’ peptoni di albumina cotta, la cui densità era 1007. Segue la ras- segna delle cose osservate. MIST Ì BILE CON MUCO BILE SENZA MUCO — REAZIONE CEN Se IRON LONA fn ; della Multiplo | Multiplo À SY: richiesto Reazione richiesto Reazione bile per 1 volume per 1 volume” sa della soluzione | del miscuglio | della soluzione { del miscuglio di peptoni di peptoni di acidula.... 9, D acidula. ‘alcalina ...| neutra... 2,5. |appena aci- ISO dula. |, Matidd4 n. 10,0 acida. | Da questo specchietto risultano tre cose. In primo luogo i rapporti verificatisi dimostrano che al muco non spetta influenza nel ridisciogliere il precipitato prodotto coi peptoni , poichè, con reazione uguale, a tal uopo della bile mucosa si richiedeva una proporzione assai mag ggiore che della bile spoglia di muco. Poi s' inferisce dai fatti notati, che potrei avvalorare di molte altre sperienze, quanto sia grande l’importanza della reazione per ridi- sciogliere il precipitato di bile e peptoni coll’eccesso di bile, mucosa o priva di mucina che sia. À reazione neu- tra della bile mucosa si voleva 3} tanto che a reazione 2 alcalina, e quasi lo stesso rapporto ({) si deduce dal confronto delle reazioni corrispondenti della bile senza In terzo luogo finalmente si vede che il precipitato, tut- tochè si ridisciolga più facilmente quando pel miscuglio si raggiunge reazione neutra, tuttavia la soluzione pure. si ottiene con reazione acida. Non voglio però tacere che le soluzioni prodotte colla bile acida e priva di muco, abbandonate a se stesse, dopo poco tempo si rengaBnmini opalescenti. Surar Un’altra volta venne esaminata una soluzione di pe- ptoni della densità 1010, con quattro prove tutte prove- nienti dalla medesima bile, cioè: } 9Ì89 va) colla bile primitiva che conteneva il suo muco,. esood)ccolla bile priva di muco, resa distifitanzeme al- dilimmis rai ‘uv «c) colla medesima bile senza muco, neutralizzata con acido idroclorico, ) «Wi d) colla stessa bile spoglia di muco, appena, ma distintamente, acidulata col medesimo acido. i «in questa serie di sperienze la bile dopo di essere spo- gliata del suo muco, venne bensì alquanto concentrata coll’evaporazione, ma non avea raggiunto la primitiva. densità della bile mucosa. TOHaa «Per ‘fornire con 1 c.c. della sopraddetta soluzione di peptoni un liquido chiaro, si richiedevano i seguenti mul-. Pri: delle diverse prove di bile or ora indicate: dr 9 O. if LU DO LC n b c d x Laz) k ©-.bile mucosa alcalina neutra acidula Moti alcalina senza muco senza muco senza muco ANI 4 3, 5 8 4 15-20. dia: cifra per la bile senza muco di reazione acidula è indeterminata, perchè avendone aggiunto 15 c.c. ad 1 c.c. - 3! il LLaiago della quantità richiesta slo steso altalitdi ICE AI, G sì “cd si di “ dI à Ja Ù sE Po abicoluatone ‘peptonica , fu ottenuto un liquido ‘non: | del tutto limpido, la cui debolissima opalescenza non si. dileguò dopo l'aggiunta di altri 5 c. c. della bile medesima. - ‘Il miscuglio della soluzione di peptoni colla bile neu- 1 tra senza muco era pure neutro, quello della bile alca= , lina senza muco alcalescente, e quello della bile acidula | — senza muco naturalmente acidula, ma appena di più che | la stessa bile acidula senza muco. Il miscuglio della biléè mucosa alcalina finalmente colla soluzione dei peptoni era neutro. i 4 Abbiamo qui una risposta non equivoca al quesito, se il muco della bile cooperi a ridisciogliere il precipitato. _ dapprima formatosi; basta paragonare le cifre indicate d sotto a e b. Tanto la bile mucosa che la prova senza N muco erano alcaline; questa un po’ più fortemente Idi NE quella, il che pure risulta dalla circostanza che 3,5 vo- S “lumi della bile spoglia di muco con 1 della soluzione | peptonica davano un liquido alcalescente, della bile mu- |‘. cosa invece 4 volumi un liquido neutro... Ora. della bile 3 neutra senza muco si richiedeva più del doppio che del- 050 l'alcalina, e pure dell’acida circa due volte tanto che della. i . neutra. Sembra quindi che da reazione del liquido ado- perato ci dia ragione delle diverse proporzioni che si volevano per raggiungere lo scopo che mi era prefisso. Se poi della bile senza muco che era un poco più ,alca- lina bastava z di meno che. della. bile mucosa alcale+ scente, ne dobbiamo inferire che la presenza del muco non aumenta l’attività della bile per ridisciogliere il pre- cipitato in questione; Solo che per ora non vorrei concludere dalle sperienze istituite, che la presenza del muco rechi detrimento. allà proprietà della bile di ridisciogliere il precipitato prodotta. quantità di bilia mucosa Muta in una a; solugione di peptoni, oltre al peptono contiene eziandio della mucina. e dei sali organici della bile, per cui rimane possibile , che la bile mucosa, aggiunta in eccedenza, fra le sostanze precipitate, sciolga ultima la mucina. Riportai di sopra come la mucina, che poco acido idroclorico va separando dalla bile, si ridiscioglie quando si agita il miscuglio, a condizione però che non si abbia aggiunto tanto di acido idroclorico da produrre reazione acida (vedi pag. 924). Della bile mucosa alcalina che avea servito per le ul- time sperienze descritte, una prova fu scolorata con car- & bone di sansue animale molto attivo. Colla filtrazione si Belo ottenne un liquido grigiastro, appena giallognolo, di rea- zione neutra. Quantungue questo liquido avesse pure la facoltà di ridisciogliere il precipitato che faceva in sulle prime nascere in una soluzione di peptoni, tuttavia 1 vo-- lume di questa, della densità 1010, ne richiedeva 19 per ridursi ‘ad un miscuglio appena opalescente. La medesima Hîle allo stato neutro e priva di muco, ma munita delle materie coloranti, aveva prodotto la soluzione colla pro- porzione di 8 per 1 volume della soluzione peptonica , per cui sembra lecito attribuire alle sostanze coloranti della bile un’azione cooperativa per quel ridiscioglimento. Una bile scolorata di un altro bue, parimente neutra, la cui densità dopo lo scoloramento era 1021, bastava nel'rapporto 12:1 per fornire colla medesima soluzione peptonica (1010) or ora menzionata un liquido non più opalescente della stessa bile scolorata.. PESRICRITI. Fra i quesiti che mi proponeva, primeggiava quello; se una soluzione acquosa dei sali proprii della bile, non accompagnata dagli altri componenti organici della. se» “att trdtogttita a quei della bile cinta fa Mi. era pro- ‘curato della così detta bile cristallizzata dalla bile di bue, facendo più volte ricristallizzare la soluzione alcoolica scolorata, sperimentandola concentrata con grande abbon- danza di etere. Questa bile cristallizzata era essiccata so- pra l'acido solforico. Secondo le determinazioni di Fettz e RrrtTER, essa potrebbe constare per I 33, 74— 18,50 di glicocolati 66, 26 — 51, 50 di taurocolati, quindi per la metà maggiore fino a } di taurocolati. (Da | Giacchè la bile umana, secondo le analisi di FRERICHS e di Vox Gorup-BesANEz, contiene in media 8, 29, di tau- rocolati e glicocolati (2), si preparò una soluzione. di 8 lo della bile cristallizzata, la quale era alcalescente. n Per 1 volume della soluzione di peptoni, si richiede- vano i, multipli contrassegnati della soluzione. di bile cristallizzata, al fine di trasformare l’intorbidamento che dapprima si formava in abbondanza, in un liquido lim- pido ‘0 appena opalescente. sian | Densità della soluzione. Multipli richiesti della soluzione, di peploni. di bile cristallizzata. 1008 | 8 10090 4 1009 RI 14. VALLI . Non so spiegarmi perchè queste cifre siano cotanto di- verse. La soluzione di 8 °/, di bile cristallizzata essendo (1) Journal de V’Anatomie et de la Physiologie normales et pathoto- giques de l’homme el des animaua; publié par Charles RoBin; 1874, p. 562, 570, 573. sù (2) Vedi la mia: Physiologie der Nahrungsmillel, 2° edizione, Darm- stadt, 1859, tavola numerica III (p. 4 delle tavole). i e; stata la incssimal si asvrenibe cercare. Jac enni . diversità nelle soluzioni peptoniche di divers grepatià zione, tanto più che una volta di una soluzione che con- iteneva solo 4 %, dei sali della bile, bastavano pure 12 volumi per isciogliere il precipitato, che sul principio erasi generato colla soluzione dei peptoni. > và Se stiamo alla media dei valori registrati, farebbe d’uopo circa il doppio, e certamente una proporzione maggiore della soluzione di bile cristallizzata che non della bile mucosa completa, per ridisciogliere il precipi- tato nel liquido peptonico. La stessa soluzione dei pe- ptoni (1008) per cui si voleva l’ottuplo della soluzione di bile cristallizzata, richiedeva solo. il quadruplo della bile mucosa. i ‘La soluzione acquosa dei glicocolati e taurocolati, come già dissi, era debolmente alcalina, i miscugli colle solu- zioni dei peptoni aciduli. i JIser Tea Questi miscugli esaminati contro un fondo scuro erano appena ‘opalescenti, limpidi invece a luce trasparente. — “Anche alla soluzione di bile cristallizzata si applica la regola che la sua efficacia è molto maggiore, quando si versa prontamente. il volume opportuno nella soluzione dei peptoni. Nel caso in cui la rapida aggiunta dell’ottu- plo era sufficiente, ci voleva due volte tanto, mescolando apoco a poco i sali della bile coi peptoni. i seAvendo così verificato che un’eccedenza di bile, mu- nita o priva di muco che sia, ridiscioglie il precipitato, che poca bile faceva nascere nella soluzione dei peptoni, edsappurato il fatto che delle cause di quell’'effetto una parte deve spettare ai sali organici ed alle materie coloranti -della bile, mentre. altrettanto non può dirsi del muco, mi proponeva di esaminare come la bile si comporti col rinvengano nel precipitato prodotto da poca bile coi pe-. ptoni. Farò subito notare che mi riuscì in modo più soddi- sfacente trovare una risposta alla prima che alla seconda di queste domande. Il sugo gastrico artificiale che non era stato mescolato con albumina (il che naturalmente non esclude che po- tesse contenere alcunchè di peptoni), si precipitava con bile mucosa, con bile priva di muco e con bile cristal- lizzata, ma un eccesso di caduna di queste specie di bile ridiscioglieva il precipitato. Il multiplo che a tal uoposi | richiedeva, erasi 1164004) otm0tg EEA TELE ee debe de nie dr iai e E per la bile priva di muco con reazione acida. ..... "TOR ‘per la bile cristallizzata (8 %p) -.-...........-.0., 1, 5. od. 7 È rimarchevole che per isciogliere il precipitato soviet mel sugo gastrico, era mestieri una proporzione minore della bile cristallizzata che della bile mucosa completa, ossia l’inverso di quanto venne osservato per le soluzioni ; price slogst Qui si presenta la quistione se il precipitato. ao da poca bile nel sugo gastrico e solubile nell’eccessosdi bile contenga pepsina. Le mie sperienze non melo da- sciano affermare. Egli è vero che non ebbi. alla mia; di- sposizione che una sola prova di pepsina, ottenuta se- condo il metodo di Carlo ScHmipr (1). Questa pepsina, in acqua acidulata, era attiva per la digestione di dadi di Ti albumina, ma dalla semplice soluzione acquosa si preci TRA = 3 tà (+ vb vit dà ser ana eri e (1) Von Gorup-Besanez, Lehrbuch der physiologischen Chemie, da sant siae 1867, p. 453, 454. f19G 910 m RETI IO A: (stlienit dt rntn TO SS ; » je SA gra era pitava nè con bile mucosa, nè con bile ce - non di meno una soluzione di peptoni, precipitata con bile e poi filtrata, non era più efficace per l’albumina. cotta, e la perdita d’azione si verificò tanto per la bile mucosa che per quella priva di muco e per la cristal- lizzata. Posso dunque confermare l'osservazione del Ber- nARD, che in presenza di bile, cioè, al sugo gastrico vien meno la sua forza digestiva per l’albumina, posso aggiun- gere che ciò succede pure per il solo effetto de’ sali or- ganici della bile, ma non mi è dato, finora, di accogliere l'ipotesi del BernARD, che il sugo gastrico perda quel suo potere digestivo in presenza di bile, perchè questa pre- cipiti la pepsina (1). Mi propongo però di ripetere la spe- rienza relativa appena potrò disporre di pepsina di altra origine. _ Venendo ora al precipitato che la bile fa nascere nella soluzione dei peptoni, egli è difficile raccoglierlo sul fil tro, tanto più difficile, quanto maggiore è la quantità di bile adoperata, ossia più si avvicina al volume del liquido peptonico. Una soluzione di peptoni, della densità 1009,*fu me- scolata con $ del suo volume di bile mucosa. Si formò un precipitato finamente fioccoso , che veniva dapprima lavato sul filtro con acqua, e poi fatto bollire con alcool diluito di un volume uguale di acqua. La soluzione al- ‘coolica diè assai bella la reazione di PetTENKOrER per gli acidi biliosi. Il precipitato esaurito coll’alcool venne di nuovo lavato con acqua e poi disciolto a lene calore in potassa 2 %. Il liquido passò limpido attraverso il filtro, ma raffreddando s’'intorbidò. Neutralizzato con acido ace- Pa (1) BERNARD, l. c., p. 422, 423. iaia i sp Re x 7° ticer6 0/0 fu IO sd ebullizione. Si ebbe un liquido. # limpido, il quale al freddo s’intorbidò di nuovo, ma ri- _ i scaldato a 40° cominciava a rischiararsi ed era Ditta mente chiaro fra 55 e 60°. Il liquido caldo e limpido con acido acetico dava un forte precipitato, solubile nell’ eccesso. Questa soluzione col ferrocianuro potassico s’intorbilava. La primitiva so- luzione neutra si fece torbida col deutocloruro di mer- curio e coll’acetato di piombo neutro; coll’acido tannico dopo alcuni minuti si rendeva opalescente. L’allume pro- , 05 duceva abbondante precipitato fioccoso. Il liquido filtrato i dopo la precipitazione coll’acetato di piombo neutro, non © 5 s’intorbidava più con ulteriore aggiunta del medesimo sale, ma dava un forte precipitato col sale basico. Da queste reazioni si può inferire con probabilità che il pre- cipitato, oltre peptono, conteneva pure mucina. Alla mu- cina non è coutraria la soluzione del precipitato con acido acetico nell’eccesso del reagente, imperocchè ebbi occasione di verificare con FuBINI l’asserzione del LERMANN che i fiocchi di mucina prodotti per l’aggiunta di acido acetico diluito, si ridisciolgono in acido più forte, sovrat- tutto al caldo (1). Ed oltre a noi assente pure il Taupr- cHum al LeHMANN (2). Io non conosco alcuna reazione po- sitiva da contraddistinguere in modo assoluto il peptono, dalla mucina. Ma essendochè l’acido idroclorico allungato precipita mucina dalla bile, purchè questa non rimanga in eccesso, sembra incontrastabile la presenza di mucina nel precipitato, che poca bile determina nella soluzione “De : (1) Leumanw, Lehrbuch der physiologischen Chemie. Leipzig, 1853. | Bd.IL:S. 320. D (2) J. L. W. TuHupIcHUM, A manual of chemical LMR London, 1872, p. 154, 6. 61 dei peptoni. Che desso contiene un pr, ] dimostra la reazione positiva con acido acetico e fer ero. cianuro potassico. L’intorbidarsi del liquido al freddo, mi sembra dipendere dalla mucina, avendo raccolto os- servazioni consimili particolarmente nella £ mucina di orine catarrali. PARSTATE TRIO (E Del rimanente 7 di bile non è soia per precipi-. tare tutto quel che è precipitabile colla soluzione di. pe- ptoni. Ma io preferiva di scarseggiare colla bile, perchè altrimenti l’intorbidamento resta sospeso in fiocchi così finamente divisi, direi quasi allo stato di emulsione; che non riesce di raccogliere il precipitato sul filtro, ma passa un filtrato più o meno torbido. Nè fu facile l'operazione adoperando ; di bile. Per cui si principiò col decantare, poi si riscaldò ad ebullizione e si fece filtrare il liquido caldo, ma il filtrato non era limpido nemmanco così, nè, si rischiarava al raffreddamento. Quest'ultima osservazione. non è oziosa, perchè il miscuglio in disamina cominciava. a rischiararsi alla temperatura di 45°, si faceva limpido. . fra 55 e 60°, ed al di sopra di 70° s'intorbidava di nuovo. Si sarebbe tentati di parlare di un intorbidamento micro- e macrotermico. Il liquido chiaro fra 60 e 70° si precipi- tava coll’acido tannico, coll’acetato di piombo neutro, e, filtrato il precipitato ottenuto coll’ acetato neutro anche: col basico; riscaldato con acido nitrico e poi soprasatu- rato con ammoniaca si tingeva di giallo arancio. Coll'al- lume non s'’ intorbidava. NEPI dI L'acido acetico rischiarava il liquido alle pai a cui era torbido. Alle temperature in cui il liquido era limpido, il medesimo acido, in nessuna proporzione, scendendo dall’acido glaciale fino al diluito ! %, lo iftor- 2 bidava. Da questo fatto e dalla circostanza che l’allume: x È id bensi itnamandi e STE ma non mucina, conclusione che va d’accordo colla reazione acida del liquido limpido. Ciò viene dunque a confermare che la mucina della bile si dovea rinvenire nel precipitato, ed accresce probabilità all’ ipotesi sopra enunziata, che delle sostanze precipitate con bile mucosa nella soluzione peptonica, l’ultima a scio- gliersi nell’eccesso di bile sia la mucina, e che appunto perciò, a reazione uguale, per ridisciogliere il precipitato, si richiede più bile con, che senza muco (vedi p. 928). - Fin qui le sperienze si riferiscono tutte a soluzioni pe- ptoniche, ottenute dall’ albumina di uova cotte, che ve- nivano sperimentate con bile di bue. Ma ho cercato di estenderle ad alcuni peptoni di altra origine. ua In primo luogo esaminava i peptoni sciolti di albu- mina d’ uova crude. Della bile mucosa si volevano da 4 a 11 volumi per fornire con un volume di quelle soluzioni un liquido limpido. Undici volumi si volevano per una soluzione di peptoni densa 1009, con bile del peso specifico 1031, ed il miscuglio era neutro. Si noti però che la so luzione peptonica, cui faceva d’uopo la maggior copia di bile, s' intorbidava lesgiermente all’ebullizione, alla satu- razione con carbonato di ammoniaca, ‘e che si precipitava fatta bollire con allume, di modo che l’albumina non era che imperfettamente peptonizzata. Difatti, l’azione del sugo gastrico artificiale sull’albumina cruda, in quel caso, non durò che 6 ore alla temperatura di 37— 40°. Per la fibrina di sangue di bue io devo alcune osser- vazioni al mio discepolo, il signor Stefano Pagriani, che si dedica con predilezione alla chimica e mi fu di c0- stante e diligente aiuto nelle lunghe preparazioni, richie- ste dal maggior numero delle sperienze descritte. ©‘ ‘* 3h AL "5 Dn: SCA "a AR Ri » A Near dd Quattro grammi di fibrina si scioglievanoi meal Mpa di { fino ad 1 orain100c.c. di sugo gastrico artificiale, sile entgisratuta di 35 — 40°. Il peso specifico della so- luzione era 1006. Essa s’ intorbidava coll’ acido tannico, non invece all’ebullizione, nè con alcool, nè col carbo- nato di ammoniaca, nè riscaldata che fosse con allume fino a 100°. Bastava il quadruplo della bile mucosa per ridisciogliere il precipitato che nasceva con poca bile. Per un’altra prova de’ peptoni di fibrina era necessario il quintuplo, ed il miscuglio aveva reazione acida. Di bile acida, priva di muco, allo stesso scopo si richiede- vano 6 volumi. È molto analoga dunque la fibrina al- l’albumina cotta, per il modo di comportarsi dei suoi peptoni. ‘Una volta ebbi occasione di esaminare con bile una soluzione di peptoni provenienti dal ventricolo umano. Si trattava di una donna di 35 anni, operata per scirro della mammella, che aveva vomitato dopo un pasto di carne di bue e scorzonere. Il liquido gastrico , filtrato, avea reazione molto acida, la densità di 1015. All’ ebulli- ziohe rimaneva limpido, saturato con carbonato di am- moniaca si faceva opalescente, soprasaturato dava un forte deposito. Si precipitava parimente con acido tannico e per un grande eccesso di alcool. L’ebullizione con al- lume produceva opalescenza. Si richiedevano 3,5 volumi di bile di bue mucosa per ridurre a soluzione il preci» Sag formatosi da prima in quel liquido. “L’effetto della bile abbondante, nello sciogliere il pre- cipitato che avea prodotto, mentre scarseggiava, in solu- zioni peptoniche, si estende quindi all’albumina di uova cotte e crude, alla fibrina di sangue ed alla carne mu- scolare. Epperciò sembra lecito supporre che qui s’inton- | sostan ze albuminose. Facendo astrazione da alcuni valori eccezionalmente alti o bassi, risulta la regola che il quadruplo od il quin- tuplo della bile mucosa è sufficiente per dare soluzioni chiare con liquidi peptonici, densi da 1003 fino a 1015. La reazione di questi liquidi il più sovente era neutra, ma talvolta pure acida. Ora ci si affaccia il problema, se anche quelle specie di bile, le quali, come quella dell’uomo e quella del cane, contengono più o meno esclusivamente taurocolati, e non glicocolati, rassomiglino alla bile degli erbivori, quando agiscono sopra le soluzioni di peptoni. Per cimentarlo, pregai il signor Stefano PAGLIANI di esaminare la bile del cane in relazione ai peptoni d’ al- bumina cotta, ottenuti con sugo gastrico artificiale, pro= veniente pure dal cane. 6 Il sugo gastrico artificiale col ventricolo canino venne preparato come quello del bue, se non che si adopera- vano solo 150 c. c. di acqua. Vi era aggiunto 1 9% di acido cloridrico. La densità era 1005. La soluzione peptonica, ottenuta con questo liquido RA ed albumina di uova cotte, aveva il peso spez cifico di 1009. ie . Della bile di cane, alcalescente, che in piccola pro- porzione dava il ben noto precipitato, faceva mestieri da 6 a 7 volumi, per procurare col liquido peptonico una soluzione limpida di reazione neutra. rali PagLIANI istituì «ancora il paragone con liquidi che aveva attinti al coniglio, cogli stessi metodi. Per la mu cosa gastrica del coniglio pigliava. solo 100 e. c.-di acqua. La bile del coniglio era troppo scarsa per una determi- sta bile per ridurre allo stato di soluzione il precipitato che in sulle prime formavasi nel liquido proveniente dall’azione del sugo gastrico artificiale di coniglio sull’al- bumina cotta. La reazione della soluzione era pi til mente alcalina. - 4 Non potendo disporre che di poche sperienze compa- rative, non ci è dato precisare, se, come sembra, la bile degli erbivori (del bue e del coniglio), per ridisciogliere il precipitato mucoso-bilioso-peptonico, abbia efficacia maggiore di quella dei carnivori (del cane). Intanto possiamo conchiudere da queste ricerche: 1) che la bile mucosa di diversi animali, forma un ‘precipitato nelle soluzioni peptoniche di diversi corpi al-_ ‘buminosi, ottenuti col succo gastrico artificiale degli ani- «mali corrispondenti; e che il precipitato si scioglie nel- l'eccesso della bile; 2) che il ridiscioglimento di quel precipitato alla temperatura. di 38 a 40° c. non succede più CIOIRA AAA clie-a temperatura ordinaria (15°); 3) che la bile priva di muco spiega analoghi effetti; 4) che la bile munita delle sostanze coloranti è più attiva per isciogliere il precipitato che la bile sco- lorata n 5) che la soluzione della così detta bile cristallizzata (dei taurocolati e glicocolati cioè), in assenza degli altri componenti della bile, colle soluzioni peptoniche in sulle prime forma un precipitato-solubile nell’eccesso, ma che a tal uopo si richiede una proporzione maggiore della ‘bile cristallizzata che della bile completa; 6) che tanto la bile munita che quella priva di muco è più attiva a reazione alcalina che quando è neutra; la n “ hat (ri enza muco poi, assai più attiva allo stato neutro. che allo stato acido; 7) che il liquido limpido, che risulta dalla soluzione peptonica sperimentata con eccesso di bile, suol essere neutro e può essere alcalino, ma che non è pure esclusa la possibilità della sua reazione acida, come si vede ma- nifestamente nell’azione della bile acida, priva di muco, la quale, purchè aggiunta in quantità sufficiente, riduce i ‘peptoni allo stato di limpida soluzione. Non di rado però, ‘nello sperimentare con bile neutra od alcalina, il miscu- glio offriva reazione acida passeggera, dipendente senza dubbio da acido carbonico. ._ +8) Di fronte a liquidi variabili quanto la bile e le soluzioni peptoniche, sarebbe vano parlare di proporzioni assolute, quali si richiederebbero per la soluzione del | precipitato. Pure della bile mucosa il più delle volte a tal uopo basta il quadruplo o il quintuplo; il multiplo «più piccolo da noi osservato fu di 1,5, il massimo di 7. Se prontamente si aggiungeva la bile, se ne richiedeva sempre meno, che versandola a poco a poco nella solu- zione dei peptoni. È asso Cast Adunanza del 30 Maggio. 1875. É o) i dA us Ri 'elolella 0 Sd g.0 000.0 040 0 000 è 0000006 0 0 0 00 0008008 00 Fa; I IM n— a+2(0 fa E nt 7Pal'n O Sal fio” |. ed i rapporti fg £3 --...p, sono dati dalle relazioni S —2(1, + lg) +lapg=0 o i: $ PR AR A n f pr Pa S| suino «ivan patent ) DI Inzi 9 l ao (2 Sp n) + InPn=0 Pas i ia d'onde i i valori di p n=21 i 2 0000000900000 000584, è Riso scala tutt'altro che grande per at si “sera ai mo- 3 menti inflettenti, pure, ove da bel principio non cono- . AO scendosi il valore di A,m, si fosse scelto come valore ipotetico quello che corrisponde alla poligonale segnata a tratti e punti, si sarebbe incontrata la quasi impossi- bilità di proseguire e condurre a termine l’ operazione. 268 Vedesi inoltre come le due poligonali di falsa posizione, sE e segnate in linee piene, le quali mantengono la solu- st. zione grafica in certi limiti per rispetto al quadro, e non | darebbero luogo ad intersezioni troppo oblique, partono da valori ipotetici di m, così prossimi al vero, da dover ben e; dire che già si avrebbe da conoscere quasi quel valore per poterlo poi ottenere colla soluzione grafica. Il quale Li inconveniente si fa ben maggiore nel caso di un maggior. numero di travate. ; W. Il secondo metodo grafico proposto dal FoureT non dà più luogo nella sua pratica applicazione agli inconvenienti ora cennati. Esso è una ingegnosa: combinazione della costruzione grafica di CoLLienon colla idea stessa che ha suggerito al FoureT il su esposto metodo di falsa posi- . zione; ma qui la soluzione grafica diventa diretta in grazia dell’applicazione di un ben noto teorema di geometria proiettiva. Esporrò brevemente anche questo metodo, al quale la presente comunicazione ha per iscopo di proporre alcune modificazioni, dirette a semplificare notevolmente la co- struzione grafica, non che a permettere di operare in una più grande scala per la maggiore precisione del risultato. dle vini tendo a PT sulla tavola II e” per (57 sulle due travate consecutive 4,4, ed A 24; , risulta anzitutto dalla costruzione grafica di CoLLieNnon, che prolungando A,m, di una lunghezza eguale a se stessa in m', ed ele- vando sul mezzo delle due travate le SR B.p, è B; p; rispettivamente uguali ad {p,/,° ed 1py/,*, la retta PaPz è incontrata dalla ordinata elevata in H, siti punto pete, da rea. - L. ;: di mezzo di 4,4}, nel punto A,, il quale trovasi pure ; ì sulla retta G,G,' essendo G, e Gy'i punti in cui le rette my,my e mym, incontrano le verticali B,p, e B;p;. a In virtù della relazione lineare che lega fra loro questi ù momenti inflettenti, e del lemma ricordato dalla nota a 4 pag. 948, variando il valore di m,, le rette m,m,' ed ) m,m,' prenderanno a girare rispettivamente ‘intorno ai Ri È punti fissi e, ed f, le cui ordinate dividono la travata 4,4) © is 2 6 OTS:tIS A { $ i 9 1 i in E, ed F,, la prima nel rapporto zr, e la seconda nel mi” A } rapporto S. Ne segue che ogni triangolo, come my G,G, TÀ | varierà per modo che i suoi tre vertici rimarranno sempre su tre rette verticali, e i suoi tre lati gireranno rispetti! vamente intorno a tre punti fissi, ossia m,'"G, intorno ad e,, m;'G, intorno ad f,; e G;G;' intorno ad h,. Per con seguenza ed in virtù di un teorema ben noto i tre ini | ©» hy ed f, devono trovarsi in linea retta. ) È | Avendosi allora due di questi punti, come e, ed Aj, sarà subito trovato il terzo f;. Ma avendosi f, non sarà menò speditamente trovato il punto e,, bastando prolungare <> 0A F,fz in fy' di una lunghezza eguale a se. stessa, e ‘con 3 durre la A,f,' che incontrerà necessariamente: in'6; "a 4 Re d verticale (E,). 19ì 11% sti tx 7 Da tutte queste proprietà il signor FoureT trasse il sò 952... Mas metodo grafico, il quale è pertanto così proposto. — $ egnati in ogni travata il punto % e tracciate le perpendicolari (E) ed (F), si comincia ad unire 4,h, che incontra in f, la verticale (F,); si prolunga F,f, di una lunghezza eguale. a se stessa in f,'. Si traccia A, f,y che incontra in e, la verticale (E,). Si conduce e,h, che incontra in f, la ver- ticale (F.); si prolunga F,f; di quantità eguale a se stessa in fy'; si unisce A,f, con che si trova e;; e così si pro- segue di travata in travata finchè giungasi in un punto fa al disopra della n” travata, e che nel caso nostro è fs. Si conduce allora 4;f, che incontra la verticale (4,) in un punto m,' tale che A,m/=2m,. La me, incontra la verticale (4;) in un punto m; tale che A;3m,=m,. La m,f, incontra la verticale (4,) in un punto my' tale che A,my'=2m, e così di seguito. Si ottengono così sulle ver- ticali degli appoggi i valori dei momenti inflettenti alter- natamente semplici e doppi. i Osservasi inoltre che come operazione di verifica si potrà a vece della poligonale 4,m,'m,m,"m,m, costruire la A,m,m,m,m,'m, la quale dà i momenti alternatamente semplici e doppi come la prima, ma con ordine variato. Questo secondo metodo, oltre a dar luogo ad una solu- zione grafica diretta, è indubbiamente più comodo e pra- ticabile del primo, tuttochè sia un po’più complicato, tuttochè i punti f,' fy' f,' ecc. provenienti dalla duplica- zione delle ordinate Ff obblighino l’operazione principale a contenersi in una scala relativamente piccola; e senza che perciò sia evitato l'inconveniente di intersezioni molto oblique, come quelle che servono a determinare i punti CA es ecc. Le modificazioni che qui si propongono al metodo gra- fico diretto del Fourert hanno per oggetto di semplificare notevolmente l’operazione, di evitare le intersezioni so- verchiamente oblique, di contenere la soluzione in limiti più raccolti, e conseguentemente di poter lavorare in più ampia scala. Tali modificazioni sono indicate nella tav. III, e le proprietà che le suggerirono potrebbero essere assai facilmente dimostrate con metodo diretto; ma esse sca- turiscono molto semplicemente combinando tra loro i due — metodi del FoureT or ora esposti. Segnate infatti per ogni travata le verticali (I) di cui nella tav. I, e le verticali (E) ed (F) come nella tav. II, i è facile dimostrare che i punti di concorrenza e (metodo diretto) ed i punti di concorrenza ? (metodo di falsa po- sizione) debbono trovarsi per ogni travata su di una retta che passa per l'appoggio di destra, e che i punti è _ ed f si trovano a loro volta in linea retta col punto di È appoggio a sinistra. Ragionerò a cagion d’es. sulla 3? tra- | vata: fra i diversi valori ipotetici assegnabili ad m, per tracciare le corrispondenti poligonali di falsa posizione, è lecito immaginare quello per cui il valore del momento sull'appoggio 4, diventerebbe nullo. La poligonale di falsa posizione, essendo tracciata come quelle della tav. I, uni- rebbe allora il punto A; col punto di concorrenza î,, e prolungata all'incontro della verticale (4,) segnerebbe un | certo valore del momento in 4, eguale ad A,n,. Se ora invece di segnare la poligonale di falsa posizione come nel primo metodo di FoureT, io segnassi una poligonale | ancora di falsa posizione, ma di momenti alternatamente O: eoN nt 7° spia di Rd 13 afro gi AN TREIA Ani US TS a SIEDO fe DE I z Sid atte ” 9 pi RS £ DI È Ca Pr 954 RT a dosi sa RR e% ur semplici e doppi, devoti il metodo indicato 1 ne] v.IL partendo da quello stesso valore ipotetico di m, che rende nullo m,, è chiaro che la. retta m,my' si cambierà nella. ng Az. Or questa retta deve a sua volta incontrare al pari della m,my' la verticale (£,) nel punto di concorrenza 6;; epperò è dimostrato che i punti e, î3 ed Ay debbono trovarsi su di una medesima retta. Con ragionamento in tutto analogo si prova che i punti fs; ia ed A, sono essi pure su di una medesima retta, la quale farebbe parte della poligonale di falsa posizione a momenti alternati semplici e doppi, che ha nullo n mo- mento in A. Intanto da questa proprietà, che potrebbe essere anche direttamente ed in diversi modi dimostrata, nasce il me- todo seguente, più facile e spedito per la soluzione gra- fica. del problema. «In. ogni travata .si tracciano le verticali (7) (E) ed (F) dividenti la, travata..a cui si riferiscono nel rispettivo i idro? ; i x rapporto. p, 2a e i I punti /, E ed F, non occorre dirlo, dipendono giinogi I dai rapporti di lunghezza di due . travate consecutive, epperò rimangono sempre gli stessi per qualsiasi ipotesi sulla distribuzione dei sovraccarichi. Poi si elevano altre verticali sul mezzo di ciascuna travata - in B, segnando le ordinate Bp= spl* con che riesce tracciata-la poligonale p,pyPz . +.» Segnati parimente i punti di mezzo H, H.,H;.... di due travate consecutive, si elevano le perpendicolari fino al- l’incontro della retta poligonale - -PiPa Pak 500 A hanno così i punti h, h «dra eo Roo SANS) : | Colle tre verticali (E) (I) ed (F)e col punto & per ogni | travata si risolve il problema nel modo che segue : _ Si unisce A;h, e si trova sul prolungamento f,; si uni- sce A,f, e si trova î,; poi Ayî, e si ha sul prolungamento il punto e, . Seguitando per avere gli stessi punti nella 3° travata, si unisce e, h, con che si ha f,; poi 4, f; per avere i, e Bey: finalmente A, i, darà il punto e,. ue. . Si trova così proseguendo il punto i per ogni travata; VE ed allora partendo dall'ultimo appoggio A; e cominciando «e ad unire A; con è, ecc., si segnerà immediatamente la poligonale A; m,m,..... dei momenti semplici. JE Per controllo servendosi dei punti e ed f si avranno le x . due poligonali dei momenti alternatamente semplici e doppi. È Paragonando le due soluzioni grafiche indicate separa- tamente nelle tavole II e III, ben si vede come in i quest’ultima sia evitata la costruzione dei punti f,' fy' ecc. » \ Di PE ; A er Ve | provenienti dalla duplicazione delle ordinate Af, i quali | punti troppo si scostano dal resto dell’operazione, e dànno luogo ad intersezioni più oblique ed incerte. i | Credo ad ogni modo che il metodo grafico di FouRET, Ca «con o senza le suesposte modificazioni, debba essere | preso in attenta considerazione dagli Ingegneri pratici, non che dai costruttori di ponti metallici a travate ret- tilinee. AR L’Accademico Segretario :d — A. SoBRERO, MA ì Tags i tATOE cui giabt Ago? iI Persa plein Gitai nn, sIIp: Migone. soglie dI va Determinazione grafica dei momenti inflettenti sugli appoggi Metodo di falsa posizione del Sig. fouret. Ferie LA FS men i Lao WL po EI ur" si NE I = \ G 1, e f Torino La EF*Doytn Tav IL. I\ Determinazione grafica deì momenti inflettenti sugli appoggi Metodo diretto del Stig Foure. Tao. II. Tav. ILL. PS: e GEE wo pr Il —=—— x 5 a = pi A : gen SU ug Determinazione grafica dei momenti inflettenti sugli appoggi Soluzione dell'Ingegnere Giovanni Sacheri . o 1875. ggi EQ Li (=) = ide) («—») rl (|) fe | fi = (== EQ [a tesi = (21 (>) Ei U2 CN SCIENZE MORALI 3 CA CVA Adunanza del 2 Maggio 1875. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SGLOPIS Il Socio Prof. Fagretti continua l’esposizione del TERZO SUPPLEMENTO ALLA RACCOLTA DELLE ANTICHISSIME ISCRIZIONI ITALICHE. V.Alla moderna scuola linguistica appartengono i due lodati espositori delle tavole di Gubbio, T. Aufrecht e A. Kirchhoff, che percorrendo la via con tanto acume . filologico spianata dall’abate Lanzi, riconobbero il fon- damento grammaticale del linguaggio degli Umbri. L’Auf- recht, professore in Edimburgo, ha di recente espresso il suo avviso sulla indole della lingua etrusca in una . brevissima relazione letta dal signor Ellis nella terza re- - lazione annuale alla Società filologica di Londra (1): egli non si accinge a tentare una interpretazione del cippo pe- rugino, che sarebbe opera temeraria; ammette per altro la conoscenza dei primi sei numerali etruschi, oltre i nume- rali composti, che abbiamo esaminati in questo scritto ; (1) Third annual address of the President to the philologycal society, delivered at the anniversary meeting, Friday 15 may 1874 by Alewander TI. Ellis esq. (pag. 9-12), DI 5 i È : > *i 4 f ss pi; Lai È >;f T E # K- FAR Ta ia "73 di ri 960 g: ? SERENE Ta É x * £ + RAI = riconosce il SERA di avis per aetas, ai ril per a a non: di clan per filius, di hinSial per spectrum, di fleres per di signum o statua ; conferma l’affinità del suffisso - al col lat. - ali; e ravvisa nei suffissi - asa, - esà, - isa, - usa la formazione di cognomi di donne, desunti dal coniugio (pumpnasa, fraunisa, lecnesa, trepusa, per Pom- ponti, Fruginii, Licinii, Trebiiù uror), derivati da altrettanti genitivi, come se si dicesse in latino Tullia Ciceronis-a e in greco KAvrasuynorpa "Ayapeuvovi-a. Da questa speciale formazione di cognomi femminili (la quale si verifica anche nel designare il prenome paterno, come aulesa= Auli filius e Sefrisa = Tiberii filius) è sospinto a dire che l’etrusco si distingue dagli altri linguaggi europei (1). Tuttavia le voci sopraccennate, che all’ Aufrecht par-. vero rettamente interpretate, provano la comunanza di origine dell'’idioma etrusco col latimo e col greco. Nello stesso convincimento è il Corssen, quantunque non paia che nelle sue indagini abbia sempre raggiunta la verità delle interpretazioni; ma per lui il parlare etrusco si ri- duce nelle sue analisi grammaticali quasi ad un dialetto della lingua del Lazio. È una illusione lo spingere tanto oltre la somiglianza! Si potrà dimandargli: come mai . Dionigi di Alicarnasso, ricercatore in Roma delle antichità italiche al tempo di Augusto e vivente Varrone, non avvisasse cotale simiglianza di forma, e dicesse per lo contrario, che così nel parlare come nel vivere fossero. gli Etruschi dissomiglianti dagli altri popoli! Dalle brevi parole del professore di Edimburgo non è sperabile che appo lui trovino buona accoglienza molte (1) This fact, if my explication be the true ane, is sufficient in itself to shew thai the Elruscan is distincl from the Indo-Euro- pean languages. : " : i 961 È arazioni date come sicure dal professore di Berlino; | e meglio mi vado confermando in questa credenza quando | veggo così diversamente interpretate due iscrizioni etru- sche, l’una graffita in uno specchio trovato nel territorio — di Vulci, e l’altra incisa nella statua di bronzo del Museo di Firenze, conosciuta col nome dell’Arringatore, della quale mi occorse discorrere più sopra. - È noto che le iscrizioni graffite negli specchi etruschi accompagnano e spiegano le rappresentanze: sono nomi di divinità, di genii, di eroi, talvolta d'uno stampo na- | zionale, più spesso tolti alla greca mitologia; ma rara- . mente accade di trovarvi il ricordo della donna che si valse del prezioso oggetto a crescere le attrattive della È giovinezza, o nascondere le rughe portate dagli anni; e due volte è occorso di leggervi la memoria di un donativo. Uno di questi specchi reca nel manico la seguente iscri- zione (C. i. ital. n. 2180): vipia alsinai turce versenas caiia — L’Aufrecht ha spiegato: Vibia Alsinaia dedit Versenae Caiae R filiae; e il Corssen, che legge alsinas invece di alsinai, | ha tradotto: Vibia Alsinii uror (dedit), éropevoe Versenius. Non esito un istante a dichiarare, che quanto sembra naturale e spontanea la interpretazione del primo, altret- | tanto mi riesce poco probabile quella dell’altro. Si ritorna sempre alla supposizione della scoperta di artefici etruschi, in questo e in simiglianti casi suggerita dalla voce turce, spiegata con l analogia della forma greca éropevoe , che | per un momento fu vagheggiata dal Lanzi; ma se con- | siderasi il fatto, che nelle opere d’arte toscanica, per . artificio celebratissime, non si trova mai un’allusione Si di pra das all’artefice, siamo portati a nea pe ta un donativo, sia, come pensa l’Aufrecht, di uîa* Vipia È Alsinaia ad una Versenia figlia di Caia, © forse meglio di. 7: un Versenio nato da Caia ad una Vibia Alsinia. Ogni diffi- in coltà scomparirebbe col determinare il valore del voca- i bolo turce, se cioè debba prendersi nella significazione di caglavit, oppure di donum dedit (donavit). Etimologica- mente valgono le medesime ragioni per derivare il turce tanto da ropet@, quanto da dapée; ma per confortare questa seconda derivazione soccorre la convenienza, siccome pensava il Lanzi, di riconoscervi una formola dedicatoria, naturalissima nei monumenti offerti alle . divinità, e molto più in uno specchio destinato forse o) quale dono nuziale, come nella cista del Museo Kir- “ cheriano, nella quale si leege Dindia Macolnia filiae dedit. Tale era pure la leggenda di un altro specchio (C.à. ital. n. 2982): LIA ARE 9 PORRO, ST gna perg aid '‘atriià sii mil tite cale atial turce 2A malstria ceer e nella quale Titus Calius Ati natus è il nome del donatore. Così fatto ufficio adempie il turce nei seguenti monu- P. menti di scoltura in bronzo, quasi tutte statuette, tranne : à i due ultimi, cioè un bassorilievo (n. 2603) e una lu- cerna (n. 1054): PI n. 804 autni SufulSas Autinius Tufultae (sacrum) | turce ETOpevoe (Corssen 1 638) n. 2603 bis tite alpnas Titus Alpnas turce aiseras eropevoe deabus SuflSicla trut- Tufulticlae (et) igor vecie veciae 2 bis ‘canzate 3414 selvansl leSanei alpnu ‘ecn turce larSi n. 1055bis larSia atinei sl fleres puantrn turce v. cvinti arnt- ias culpiansi alpan turce . cvinti arn- tias selan- sl tez alpan turce larce lecn[e] turce fleres uSur lanu eisi mi fleres svulare aritimi fasti ruifris trce clen ceyxa mi suSdilvel- SuriSura turce au velSuri fniscial scalptum 0° opus splendidum Letania Alpno (dedit); hoc étopevce Lartius (1 460, 629) . Lartia Atinia Silatii uxor (dedit); opus flatum Publius Antrinius ETOpevoe (1 629) Velus Quintius Arun- tine filius scalptum opus (dedit); Alpan étopevoe (1 624) Velus Quintius Arun- tiae filius opus splen- didum dedit; Alpan ETOpevoE (1 624) Largus Licinius (dedit); erbpevoe opus flatum aucior Lanius îstic (hic) ii, È me opus flatum. . splendidum Artemidi Fastia Rufrii ugor (dedit); étopevoe Clenius Ceca (1 626) me avéiSnxe Lars Vel- turilura; éTopevoe Aulus Velturius Fniscia matre natus : (1 623 sg.) 6 eta NERO 7 La E rss 2 De ali s 964 è et A PrO \ 2-4 ong» — n. 1054 a. velscus Aulus Volscus ( dedit sie SAD SuplSas Tufultae (sacrum); — ci. alpan turce Alpan èropevoe. (1 638) Queste iscrizioni, che il Corssen traduce con sorpren- dente facilità, non erano state per lo innanzi compiuta- mente dichiarate: talune voci rimangono oscure. Ammetto che fleres o fleres, al pari di fieres e flere, abbia il significato di opus flatum ossia simulacrum ex aere (già riconosciuto dal ch. Gamurrini e dall’Aufrecht), che s’în- . contra in alcune piccole statue di bronzo (Corp. inscr. ital. n. 267, 1055bdis, 1930, 2599, 2613), in due altre statue egualmente di bronzo del Museo di Firenze (n. 255, 1922) e presso la imagine di una divinità graffita in uno specchio perugino (n. 1069); ma stento a credere che, nelle iscri- zioni schierate in questa pagina, canzate significhi scal- pium, culpiansi scalptum opus, svulare e selvansl o selvansl opus splendidum. Quanta ricchezza nell’ etrusco linguaggio! E aggiungasi, che anche la voce tinscvil, isolata nella chimera aretina (C. i. ital. n. 468), è spie- gata per opus scalpium, che diventa ozioso in un monu- mento di scultura in bronzo, come è ipotetico lo scu/psît celsa opuscula ricavato dal vocabolo celyls inciso in un rozzo coperchio di pietra (Suppl. pr. n. 437), la cui cassa funeraria non è conosciuta. E poi: quanti e quali inci- sori in pochi monumenti! Titius Alpnas o semplicemente Alpan , Publius Antrinius, Lartius, Largus pp , Lars Velturius e Clensius Ceca. i Un attento esame delle surriferite iscrizioni e la natura dei monumenti mi persuadono della convenienza di pi- gliare la voce turce o turuce come una forma-di dopevxe Tu entrano nelle di icenivinta tavole del asrionii : fu vìsto mai il nome dell’artefice: solo nei due specchi sopra ricordati s'incontra la formola di un donativo, am- messa dal Corssen nella prima parte della lesgenda; e solamente in questi due verrebbe fuori il nome dell’in- cisore, quasi che il nome suo e quello del donatore non dovessero mai di necessità andare disgiunti. Egli è vero che il Corssen vede un semplice ricordo di donativo nella breve leggenda di un altro specchio, che dice mi tanc- vilus fulnial (Suppl. pr. n.469), e che traduce me Tana- quilius Fulnia matre natus (dedit); ma il perchè nel com- piere la frase siasi data la preferenza a dedit anzichè a caelavit, sull'esempio delle sopra arrecate iscrizioni, non è detto. Vedremo in seguito, che mi tancvilus fulnial niente altro significava, che lo specchio è di Tanaquilla figlia Folnia. A complemento della dichiarazione di turce per éropevoe (caelavit) il Corssen reca in mezzo altre iscrizioni con molta abilità e con altrettanta licenza ristaurate : tali sono quelle incise in quattro statuette (C. è. ital. n. 49, 78, 1044/er, 2614) e in un frammento d’ incerta natura (Suppl. pr. n. 443): n. 49 Sucer hermenas Tocerus Erminius (dedit); turuce VSS TOPEUO E Pri 1 ca ST ER (1 630) n. 78 [ilo turce ramS eum eropevoe Ramtus alf u[h]tavi Albus Octavia matre natus selvan opus splendidum i (1 641) 63 "66. se ai RS too È Sar 1014 ter. pipi [2] naira. pra: - Publia Pi yecpelma 00 5 Pelma: Vis matre. al Pudasista Putinius-\rsios dB turke sel[vans]] STOpevde: opus £ plndidum al 55 | itiniomofte630). | | n.2614ter'in tùrct vel eum ropevoe Veliusi. ina! ; sveitus Suetius b attuato î to, pa (1649) 1793) — Suppl. pr. n. 443 sui mita). Pa % Ri > : | 7 ì DIA SI Ta -_ 80D turfce]. hoc eropevoe ca SO 4 ci i latin canae ix Latinia matre ‘matae Annae ra cile s.alpan i opus Ridge 400% 4 Di a Auli filius (1640) Sarebbe ‘troppo lungo e paresi le singole voti di queste leggende, quasi tutte guaste 0‘cor- rotte ‘o frammentate: piacemi per altro ‘non dimenticare o lasciare inosservate. da dei jo SR cortonesi (C. I. italin.1051 seg.) i PVI Sb MSA Sy. vinti arnt- cv evinti arn- PIRRO “ias culpiansi “tas solaio e ; SV At rire e 591 SLA PA VO En siede | irta PXSITHL. EDI | li POSSEANN 1 CIvT Lt i La iena ira le due iscrizioni costa in questo.:. gehe - nell’una.trovasi.culpiansi là dove l’altra reca selansl, e che nella seconda s'incontra la voce tez, che manca i nella prima. Il significato di dedit nel tez era stato rico- nosciuto da lunga pezza (Gloss. ital. col.1777); tez e turce, in questo unico caso congiunte , compiono la formola dedicatoria dedit donavit, tramezzata dalla voce a/pan, che suona più volte in monumenti della stessa natura e mela — 1 Re pi n pi î sl Upr : È ; Ò NS - 4 ig Ò N. Ne : 5 , RA; Sr destinazione, e che sembra corrispondere al libens merito delle lapidi romane, derivata da una radice comune con #7-c0 e volup-tas. In queste due statuette, poco disso- miglianti tra loro, e da una stessa mano lavorate, come furono dedicate da una medesima persona a non so quali divinità etrusche, si suppone che l’artefice abbia voluto ap- porre una dichiarazione per lo meno inutile se culpiansi significa scalptum opus, come si è detto di tinscvil, o per verità ridicola se selansl abbiasi a tradurre opus splendidum. Non appunterò la frase opus flatum caelavit (n. 1055 dis) o caelavit opus splendidum (n.78); ma dirò che nella formola (n. 255) caelavit opus flatum auctor Lanius îstic (hic), l’auctor è una riempitura, e l’ îstie od hic non ha senso. Ritornando sopra la spiegazione di turce o turuce (ra- ramente per vizio di scrittura trce) per donavit o donum dedit, ed escludendo la supposta derivazione da opel, che ci porterebbe alla conoscenza di tanti artefici imma- ginarii, è da avvertire una circostanza, non isfuggita alla critica di Sophus Bugge (1): in un vaso dipinto (di argilla), rappresentante Alceste e Admeto , l’ iscrizione etrusca si compie con la formola fler Srce, per nulla diversa da fleres turce; e sarebbe egli giustificato l’impiego di cae- lavit in una figulina? Strana improprietà di linguaggio, come il talce spiegato dal Corssen per taliavit in una rozza olla cineraria, ugualmente di terra cotta, prove- niente dalle necropoli di Chiusi o di Arezzo. (1) Literaturzeitung (Jena) an. 1875, n. 259. Adunanza del 23 Maggio 1875. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS. pa - ee» e In questa tornata il Socio (CLARETTA proseguendo la lettura della sua Memoria sui principali storici piemon- * tesi, e specialmente sugli storiografi della Real Casa di Savoia, accenna alle singolari benemerenze della saluz- zese famiglia Della Chiesa, la quale produsse Gioffredo, Ludovico, Giovanni Antonio e Francesco Agostino, autori gli uni e gli altri di cronache e storie, che illustrarono non poco gli studi e la letteratura patria..L’autore s’in- Ri © trattiene in particolar modo su Francesco Agostino, nato nel 1590, ed eletto vescovo di Saluzzo nel 1644, ancorchè il nunzio Cecchinelli non avesse intralasciato di nuo- cergli assai presso il cardinale Barberini, accagionandolo di soverchia propensione al governo della duchessa Cri- stina di Francia, che sosteneva aspra lotta con Roma per le lunghe vertenze dellimmunità ecclesiastica. Monsignor Della Chiesa dimostrava inclinazione agli studi storici sino da’ suoi anni giovanili, e sebbene di- stolto da altre cure, nel 1619 pubblicava la vita del ve- scovo di Saluzzo Giovenale Ancina, nella quale aveva p” di particolar cura d’inserire non poche interessanti note, già relative all’istoria della sua patria ed ai molti per- sonaggi distinti da essa generati. E siccome arduo è sempre il cammino dello scrittore che vuole narrare il vero, così già quell’operetta cominciava a produrre al suo autore qualche amarezza, procacciatagli da coloro che si credevano lesi da certe sue espressioni, con cui realmente era avvenuto. | Anche il catalogo degli scrittori piemontesi e di altri degli Stati ducali, che sebbene contenesse molte omis- sioni, tuttavia non era privo di molti pregi, attiravagli censure per parte del monaco cistercense Andrea Rossotto da Mondovì, che nel suo sillabo degli scrittori piemontesi, non volendo compatire al buon volere del giovine scrit- tore, compiacevasi a punzecchiare il Chiesa, affettando un rigore più di quel che in realtà gli dovesse compe- tere, poichè ancor egli ometteva notizie importanti in quella sua opera, non ispregevole però, avuto riguardo ai tempi ed alla sua istruzione. Ma il risultato ottenuto in breve volger d’anni dal Chiesa per quelle sue pubblicazioni, inaspriva non poco quegli scrittorelli che non sanno darsi pace di veder co- ronate con qualche premio le nobili fatiche ch’altri im- piega a benefizio della patria. Ed a vero dire sino dal 1626 Carlo Emanuele I lo eleggeva suo consigliere e cu- stode degli archivi; e Vittorio Amedeo I nel 1635 con- ferivagli l’ufficio d’istoriografo e cosmografo, consideran- dolo « persona sperimentata delle istorie e pratichissimo in ogni sorta di scrittura, caratteri e lingue ». Con tutti i pregi però che adornavano l'animo di mon- signor Della Chiesa, non seppe dimostrarsi abbastanza cauto nell’uso di alcune espressioni, non prevedendo che in tempi, in cui era appena sbozzata la storia nostra, certe osservazioni su paesi e su persone non potevano essere ricevute con indifferenza, nè venir punto conva- lidate dall’opinione pubblica. Nel capo undicesimo della sua Historia cronologica S. R. E. cardinalium, archiepiscoporum, episcoporum et abbatum . it ttt E pedemontanae regionis, essendosi lasciato sfuggire erte © ; 5, ; verità alquanto dure sugli Astigiani, incontrava tosto acre she 3 sdegno per parte di un anonimo, creduto però il padre be ; Filippo Malabaila astigiano, che consegnava alla stampa ‘S0 un opuscoletto tutto riboccante di fiele, e che intitolava i Clypeus civitatis Astensis ad retundenda tela quae auctor chro- E nologicae historiae de praesulibus pedemontanis in eum in- i f- tersit. i 4 583 Si apriva una di quelle guerre di penna, a cui era Cai pur cotanto avvezza l’ Italia di quei giorni, meno acre | 2 È, però di quella che altrove procurò ogni genere di azioni RS proditorie, e ciò in grazia del carattere ond’erano rive- be: stiti quei contendenti. Non tacque il Chiesa, che alla sua a volta pubblicava la IMustratio historica undecimi capituli i “a chronologicae historiae praesulum Pedemontii, la quale gli i ni attirò l'amara risposta, che vide la luce a Lione nel 1656 A ue col titolo Clypeus civitatis Astensis. Liber apologeticus varia » A eruditione de institutione et iuribus regni Italiae erornatus, “A auctore reverendo patre Philippo Malabaila astensi, monaco =@ GA cisterciensi. i 4 È: Ma per quanto si possa col fuscellino riconoscere che i 6: hit. il Chiesa siasi lasciato sfuggire qualche amarezza contro | i gli Astigiani, ogni appunto scema a fronte della ruvida — BL be asprezza de’ suoi avversari, i quali troppo male seppero È (> celare la passione che rodevali; nè il lavoro esimio del | 528 vescovo di Saluzzo meritava di venir definito fenebricosa AI illustratio, nè egli stesso essere-chiamato quidam magiste- rulus; epiteti che la posterità in tanta distanza di tempo i è riconosce ora infondati, e nel pronunziar tale giudizio , A rende i dovuti elogi al Chiesa, che devesi senza dubbio proclamare benemerito assai degli studi storici in Pie- monte. POT Cero L’Accademico Segretario GasParE GORRESIO, na FATTI & ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAL AL dl MAGGIO 18 15 i Verthandelingen der K. Akademie van Wetenschappen; Deel XIV. Amsterdam, 1874; 4°. Verslagen en Mededeelingen der K. Akademie van Wetenschappen; Afdeeling Natuurkunde; tweede Reeks, Deel VIII. - ca Let- terkunde, Deel IV. Amsterdam, 1874; 8°. Jaarboek van de K. Akademie van (eteri laiben. gevestigd. te Am- i sterdam voor 1873. Amsterdam; 8°.- Catalogus van de Boekerii der RK. Akademie van Wetenschappen, gevestigd te Amsterdam; Deel I, Stuk 1. Amsterdam, 1874; 8°. Processen-Verbaal van de Gewone Vergaderingen der K. Akademie van Wetenschappen; Afdeeling Natuurkunde, van mei 1873 tot en met april 1874; 8°. Musa; Elegia Petri Esserva Friburgensis Helvetii, cui cerlaminis poétici | instituti ex legato Jac. Henr. Hoeufft praemiun adiudicatum est in consessu publico Academiae Regiae Disciplin. Neerland. a. d. VII id mart. anni CIDIOCCCLXXIY. Amstelodami, 1874; 8°. Natuurkundig Tijdschrift voor Nederlandsch-Indié; uitgegeven door de koninklire Natuurkundige Vereeniging in Nederlandsch-Indié; Deel XXXIII; zevende Serie, Deel IIl. Batavia, 1873; 8°. Sn SÉ È Ugg La SES î CRA A pt «i Sd Aa Donatori Rs: i R. Accademia | <3 di Amsterdam. 0 Id. îd, Id. Id. : 53 f n° Id, È be SAI 28 R. Società mn. di Storia natuf,j, — di Batavia, «Sr 23 sh a Società di Arti. e Scienze Resi di Batavia. - Accademia R, ss ni delle Scienze di Berlino. Società delle Scienze, - fisiche e naturali di Bordeaux. _ Soc. di Geogr. — commerciale _ di Bordeanx, , Istitato nazionale di Ginevra, E; Accal. di SE Lettere ed Arti di Lione, Id, Soc. d’Agricol,, Storia naturale ed arti utili di Lione, Società Linneana « di Lione. Soc, Geologica di Londra, % | Soc. Zoologica di Londra. NoUA; Ml Mananayan ali Travancore . (Londra). Tijdschrift > voor Indische Taal-, Land - en volkenkandi i XXI, Aflev. 3, 4. Deel XXII, Aflev. 1-3. Batavia, 1874; 80, Nofà&len van de Algemeene en Bestuurs Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XII, n. 1-3. Batavia, 1874; 8°. £ Monatsbericht der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin; Marz 1875. Berlin, 1875; 8°. Mémoires de la Société des Sciences physiques et naturelles de Bor- deaux; tome X, 2 cahier. Bordeaux, 1875; 8°.. Questionnaire général adressé par la Société de Géographie com- merciale de Bordeaux à MM. les Capitaines de Navire, Voyageurs et Correspondants de la Société. Bordeaux, 1875; 24°. Bulletin de l’Institut National Genevois ; tom. XX. Genève, 1873; 8°. Mémoires de l’Académie des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Lyon. Classe des Sciences; tome XX. Lyon, 1873-74; 8° maj.. Mémoires de l’Académie des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Lyon. Classe des Lettres; tome XV et XVI. Lyon, 1870-75; 1 vol. 8° mai. Annales de la Société d’Agriculture, Histoire naturelle et Arts utiles de Lyon. Quatrième série, tome IV-VI. Lyon, 1872-74; 8° mai. Annales de la Société Linnéenne de Lyon; tome XX et XXI. Lyon, 1874-75; 8° maj. The Quarterly Journal of the Geological Society, etc.; vol. XXXI, n. ‘121,122, London, 19/9 8 The Zoological Record for 1873; being volume tenth of the netord of Zoological Literature; edited by Edward CALDWELL RvyE. Lon- don, 1875; 1 vol. 8°. Observations of magnetic declination made at Trevandrum and Agu- — stia Malley in the Observatories of his Highness the Maharajah of Travancore, G. C. S. I., in the years 1852 to 1869, being Tre- vandrum magnetical observations; vol. 1, discussed and edited by John ALLAN Broun. London, 1874; 4°. n SÙ fà [ È lis Catholigue He Louvain, etc., nouv. série, tom. DEXII. Louvain, Uniselal | 1873-74; 8°, E) n di Lera 3h de l’Université Catholique de Louvain; 38 et 39 années, 1874 et 1875. Louvain; 24°. Theses Facultatis theologicae; n. 379-405. Id. Facultatis iuris; n. 33-37. Id. Facultatis medicinae; n° 74-75. Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; serie 2?, R. Istituto Liotabi i "i . Q0 di Scienze e Lett, - vol. VINI, fasc. 10 e 11. Milano, 1875; 8°. CLI "a «Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia patria per le pro- RR. Deputazioni vincie Modenesi e Parmensi. Vol. VIT, fasc, 1, Modena, 1875; 4°. di nea DI i h odena Monumenta Boica; vol. XLII edidit Academia Scientiarum Boica. Accademia Reale ita Monachii, 1874; 4°. delle Scienze. di Monaco. i . Bullettino meteorologico dell’ Osservatorio del R. Collegio CarLo Osservatorio | È au . o del R. Collegio ALBERTO in Moncalieri; vol. IX, n. 8. Torino, 1875, 4°. pen Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche Sica mura ; di Napoli; Febbraio e Marzo 1875. Napoli, 1875; 4°. SCE A Bulletin de la Société de Géographie; Avril 1875. Paris; 8°. Soc, di Geografia i Parigi, Mémoires de la Société d’Ethnographie, etc., XII, 2!"° partie, session Soe. demografia 1873. Paris, 1874; 8°. (Parsi Actes de la Société d’Ethnographie, etc., 1ère série, III, session 1862- Id. 1864. Paris, 1864; 8°. w Annuaire de la Société d’Ethnographie, ete., 1874. Paris, 1874; 8°. Annuaire de la Société Américaine de France, etc., 1874. Paris, 1874; 8°. so FIORI y i Francia (Parigi). Di Bullettin de la Société Impériale des Naturalistes de Moscou; tome Accad. I opargleo o ì delle Scienze XEVIII, n. 3. Moscou, 1875; 8°, "di Pietroborgot e aufinitr tie) . Pe? d ba 5 sé = ves —_Osservatorio Annalen des physikalischen Central- Observatoriums, he bro. von H. Wixp; Jahrgang 1873. St. Petersburg, 1875; 1 vol. 4°. ; | MiaisterodiAgr, Bollettino meteorologico mensile; Maggio 1875, 3° Decade, pag. 173- om” 184; 8° gr. ia _ ® £ | Ateneo Orienta'e Congrès provincial des Orientalistes à Saint-Etienne, du 19 au 25 | (Saint-Étienne). Septembre 1875; Réglement de la Session de Saint-Étienne (Loire). Saint- Etienne, 1875; 60: LE perignr Rivista scientifica, pubblicata per cura della R. Accademia de’Fi- sen siocritici di Siena; Marzo-Aprile 1875; Siena, 8°. n Ace. di Medie. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; n. 16-18; 8°. di Torino. Società italiana Cenni monografici sui lavori per la bonificazione delle valli del primo per la Bonilic.” Circondario di Ferrara. Torino, 1875; 8°. de’ Terr. ferraresi (Torino). . ; soc, Geologica Abhandlungen der K. K. geologischen Reichsanstalt ; Band VIII, à di Vienna, Heft I. Wien, 1875; 4°. 100 s Id. Jahrbuch der K. K. geologischen Reichsanstalt; XXV Band, n.1. Wien}.1875:; 8°. Id. Verhandlungen der K. K. geologischen Reichsanstalt; Jahrgang 1875, ©. n. 1-5, Wien, 1875; 8°. sig. Principe Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e B. BoncowPaGNI. fisiche, pubblicato da B. BONCOMPAGNI; Gennaio 1875; Roma, 1875; 8°. Id. Sur les emprunts que nous avons faits à la science arabe, et en par- ticulier de la détermination de la troisième inégalité lunaire, ou variation, par Aboul-Wéfà de Bagdad, Astronome du IX° siècle; Lettre de M. L. Am. SEpILLOT à D..B. Boncompagni. Roma, 1875; 4°. is KaAutore, Sull’importanza e sull’indirizzo della Meteorologia agraria; Nota del Prof. Gaetano CanTONI. Milano, 1875; 8°. e. Il Traduttore. Volgarizzamento del libro di Job, con spiegazione e commenti; per Beniamino Consoto. Firenze, 1874; 1 vol. 8°, & Sopra ‘alcuni ‘mezzi. iranasli per distruggere la filossera della vite; HE Riassunto d’una lezione data nel R. Museo industriale italiano i in Mi dionine dal Prof. Alf. Cossa. Udine, 1875; 8°. Lettere cosmologiche, ossia esposizione ragionata dei fenomeni più oscuri ed importanti delle singole scienze e dell’andamento so- RE ciale, in base glio ne della natura; di Michele Giorpano. #83 Torino, 1875, vol. II; De quelques mors de cheval italiques, et de l’épée de Ronzano en bronze; par le Comte J. Gozzapini. Bologne, 1875; 4°. Appendice alla Storia della Legislazione di Sicilia, di Vito LA MANTIA. Palermo, 1875; 8°. Locomozione a vapore sulle strade ordinarie dalla stazione di Biella al Santuario d’Oropa; Conferenze di LanziLLo Vincenzo. Torino, 1876;.8°. | La langue primitive de la Chaldée et les idiomes touraniens ; Etude L'A. È - de philologie et d’histoire, suivie d’un glossaire accadien, par Francois LENORMANT. Paris, 1875; 1 vol. 8° maj. « —’ Studi sopra i suoni rappresentati dalle lettere dell’aîfabeto italiano L'A. per l'insegnamento rapido del leggere e dello scrivere: Precetti teorico-pratici pei maestri, del Cav. Matteo Augusto Mauro. Roma, È 1875; 16°. Lettere, sillabe e parole per insegnare a leggere e scrivere ai sol- 1 duet a dati SnAlfabeti) coordinate al metodo filologico del Cav. M. Augusto ti Mauro. Roma, 1875; 16°. 0a “dl Note alle lezioni di tassazione e di assestamento forestale, professate L'A. si Sh nel R. Istituto forestale di Vallombrosa dal Prof. F. PrccioLI; i o . (litograf.; 4°. R Note alle lezioni di stima e statica forestale, professate nel R. Istituto Id.3,3-10468 _ —’—’ forestale di Vallombrosa dal Prof. F. PiccioLI; (litograf.); 4°. di Nella solenne inaugurazione del monumento a Gaudenzio Ferrari in AS Si Varallo-Sesia, 6 settembre 1874; Discorso di Giuseppe REGALDI. Firenze, 1875; 8°. % È ‘rafeln Abenor de puo sd aus } — bildet sind; auf dem grande der Kummerschen ” Via plexen Zahlen, berechnet von Dr. C. G. REUScALE. E 1 vol. 4°. i ini 7 Pi ASSIRR O DL: Poesie provenzali ed italiane di Paolo LanFRANCHI da Pistone fio colte ed illustrate dal Conte Carlo BaupI di vaga, Cagliari , 1875; 8°. fio; LA. Notizie sterico-statistiche sul Comune di Castelletto-Stura; del Geo- i metra Mario Viara. Cuneo, 18755 16°. i is Ù ITACA »“ n: } L 47 4 13495 pai ,» i L atei * 1a f a Si x A - Pi “ IO i + È drteT “ rpd PES LATI: o pene a tore tiu ft Ti be 2,34 CUTE T2 +9) C LO i (a) È. Per n l'pari I avremo. _ n! drZa(12n3 + ila) fed £ cena) T(n+1)n+2) = 07, o gr al) +3)" Hiepnipos tb tit sen (nina Erin eli ua adr i. (n+A1)(n+ 2) (+ 1)(n +2)” onde nascerà una serie convergente. © © Di id, 4 ; 194 0 - pa Per nimpari =2m + drli ,vairesg@iggnni also porge: — 3 sala ihrrttp *Beee gu ste - Se noftezs olgitin Pala 3 ts (1? 2:Lmn= ei +. Wi =haF}G ii f PI e È e 19491 6igh & en (n! 7) =+ sen aa Fogitetls omMissogia sen n'or) = sen i [na Io Ia) forio) scarti pala ere mir È syno * [RsbflsTK 9a DIG pf9; 3 FIXTE Q1f) io i br i db, x n+1, (n+1) (na+-2) (n+-3) iii 3 (n+1)° il che darà tre serie convergenti. In pur eguaglianze k indica un numero intero impari. Adunque anche per x=seni, e x=cosl1 la serie proposta è convergente. Ai valori indicati di È, si devono. aggiungere, con oansr 16 i munari si RIEMANN Ì oltipli pari gn 1» i intagli impari di e, 5(e-:) , che noi .mettiamo invece ‘di ile; Me Ei p) e AN tre de multipli; qualunque: siano: di sen e .cost. ‘Percioechè se abbiamo n!%x, a=kz+, e c Pra anto, TEM Lon SUP ponendo m intero, ne risulterà x i ef G affetti “seni(n! 27) = sen (ma +mu)=coskmr. sen mu È : Sars BM è è be Pe port SIT" } î 37 DI M° uo A ù c | PRO: n coskma=+1, senmu=mut a=mua ; grado. 2.93 1h sOnO i e sì riconoscerà come dianzi che la serie. proposta si spezza in altre serie convergenti. ù La serie si riduce ad un numero finito di Lee e quindi rappresenta ancora una quantità finita e determi- nata, se 7 è. un numero razionale qualsivoglia, zi. poichè. 4 5 n i Me per n LR (o) SA qil deo iran divi- sibile per 9, e quindi n!x7 sarà un multiplo esatto di x e il suo seno sarà zero. Così in prossimità di un'valore dato di x potremo assegnare a questa variabile un’infi- nità di valori, pei quali la serie rappresenti una quan- tità finita e determinata. : Si potranno all’incontro dare ad x altri valori, pei quali il termine generale della serie tenda verso +1, per esempio se prendasi x eguale ad un multiplo RADAR, di Jay CERN ego 61 (i AROOIR RE (A PORTS ROSIE DID ARSA RI nai \ Il Riemann ha indicate anche le serie che hanno per termine generale - Cn COS n* x ovvero €, senn®.w, supponendo che c, sia una quantità positiva decrescente in infinito con d e che x abbia una proporzione razio- 2pr LUO cost? nale con 27. Facciamo AF Ga n=kq+r, e siano P, 9, T, k numeri interi positivi, p e g primi tra sè, e r minore di g, compreso r=0: avremo n'o=2Ppgr+ ikpre + 21 nn e quindi Qr° pe fp cosn’x = cos D F FABTCH talchè stendendo la somma 3e,cosn?r da eg qule AIB i termini. hear stesso coseno otterremo 1 Mitis* elssibor'ata È r—=q—-! z ES. rp Dei, (cr+ 0r+9 + Cr+agt ..- + Cr+kq) COS 3, 3 Dl r=0 ; HERO ii q_1 È; ran Ora la somma ) cos - o sarà “nulla 0 de diversa Alpo SI 4 o E da zero. Nel primo caso si avrà tisi 29ì 2(g-1)°px osl(1-1)°P=__, q e perciò la somma precedente potrà cambiarsi in (2 2 oe cost LEA 2.2?p7 2(q - Pei cos—T—-..:+C0S q as OnCgr1 + Cr+g ga Fre 2r°pr cos —— , dd \ + Crtkg—C(k+1)g_1 ws ove la quantità fra parentesi presenterà per ognuno dei q—1 valori di r i primi termini d'una serie convergente formata da termini decrescenti in infinito e con segni alternati: adunque, facendo crescere indefinitamente È, avremo la somma di g—4 serie convergenti, e la loro riunione formerà pure una serie convergente. Abbiamo con- siderato un numero kg di termini della serie ®c,cosn*s: se si vuol considerare un numero di termini che non sia multiplo di g, basterà ai primi ci aggiungere altri termini coi PP RO - Cn4y COS(N+1)}r + 024,008 (N+2)?% + ecc. so in numero minore di 9, e la somma di questi sarà sempre i minore di 9gc,.,, il cui limite è zero, perchè g è dato @ Cn+, decresce in infinito: la serie reRkona detto, tor- | vergente. sila i £ PA ripa 1 Supponendo al contrario che la somma Yicos 2° ny o ci i SI VIOTIPIAA DI Ria SIPSENIT (RSI SI 1999 EEMEIEI O 3 ; PALI RR È ‘diversa da zero e chiamandone A il valore, dovremo | alle indicate serie convergenti aggiungere la somma (0g1toagnr tag te Og) 7 e la quantità scritta qui fra parentesi crescerà indefinita- i mente con % se questo avviene della serie che ha per Nr À termine generale c,. Imperocchè essendo i termini cy i decrescenti, si avrà &° Glg_-1> Og tg +0g+ + Cages 0! SL È Gessi? Cagli + 0gg 094 ++ Cada) È Cra > Chat Ckq + Chig+1 +... + Cw#+ a bi q q g g )dH e in conseguenza la detta quantità fra parentesi sarà mag. giore di. ius “2 glOsit 0a +04 ++ 0 hragna] al S tei, che cresce indefinitamente con %, contenendo la somma dei primi (k+1)g termini della serie Zc, cominciata dal termine cy_;,. Pertanto in questo caso la. serie Zc,cosn?x sarà divergente. Allo stesso modo si dimostrerà, che per iN la b 3 i i pLa serie 2 c, senn*x è convergente se la somma ) ‘senn*x Li 0 20 si riduce a zero, ed è divergente se la stessa somma «è diversa da zero, purchè sia divergente anche. l’altra sa | serie Zc,. È Risulta dalla teorica de’residui quadratici che le somme _ q-1 g_1 x Y} cos nix, Y sen n°x sono nulle per un'infinità di o GI ER 65 sist Pa Fato di x, e sono pure. ‘diverse da‘ pe finità di valori di x, e che gli uni e gli altri valori si pre- sentano in ciascun intervallo tanto ristretto quanto sì voglia. noATolls ni HI pa Un altro esempio del Riemann è tratto ‘da una trasfor- mazione della serie (o) I [P:£OHG VE II Mei e pi ria ove (na) indica l’eccesso di na sul mumero intero più vicino, oppure -zero se na è ug la oea lic pad dai due numeri interi più vicini. pi Supponendo « razionale, faremo r= =‘ con pi e q nu- né pa . > Ri e ay ble p sit meri interi primi tra sè : sia n=%g+r, con k e r in-. teri, r0 sarà ne=kp+ 7, ge partendo da n=kq, pei successivi valori n+1, n+2,...n+g—1 si avrà ordinatamente r=1,2, ... q—1, sicchè rp darà alzé i successivi multipli p, 2p, 3p, ...-(g—1)p, che. divisi per gq lascieranno in altro ordine i medesimi resti so 7%, iv Vila d ... q-I, una metà minori e una metà maggiori dit. Chiamato © r' uno dei resti minori di FIRE r' ‘uno dei ' . tri e Vi pe x resti maggiori di 3; avremo Walser se n corrisponde 3 r!'\ —_r" ica ad r', e (n )=-(1-2)=-! se n corrisponde ‘ :q q — Sid SITO / a x TI POI LI E. — LETTO O e di Fin pa mi more di 2° Se 1 è pari, Potrà aversi un resto r=£ te ad "t. Do ma RMOrA na sarà ad ugual piasario dai perte interi vi- cini e si avrà (na)=0. Così nel periodo da n=kg+1 ad n= kq+q—4 ia serie pi conterrà per ogni ter- È LR n di mine pri un termine . — Fppa e l’aggregato di questi due r'(n'—n') A i i dog =2 termini sarà Canin Pamore numericamente di £ 2n! n! evn'—n' non può supe- perchè »' è minore di 3° Aia 9 PES ilo ao aggregato sarà minore di igr-V (ei! La presi nello stesso periodo sarà sempre minore numeri-, camente di i e). Adunque la somma dei termini com- q È 2 7 1 ( A ni 3 ‘supposto n=kg; onde la somma di un numero qualsi- \ voglia di termini "elia ‘sesie YI pitose le mosse da un termine comunque sia lontano, sarà minore in valor assoluto, della. somma d’ altrettanti termini della serie io) DE TATILIO ed (essendo questa convergente , sarà conver- gente anche la prima. OLI È ì È ] n ff si . . - f . Ora per trasformare la stessa serie, ricordiamo che si ha qairdoo uu = senus A QU + ! 3 gu= ui gpl u— ecc. , anroo BITTO ‘it GS i i i na | n nn MA purchè sia —7<%<7, è avvertendo che il secondo n diari sarà, ancora un, numero membro non es se cambiasi. u in ut 265 Mi. posto & intero, faremo u=207 se il Cata sui diviso per 7 dovrà esprimere v quando abbiasi — - SILS pr altrimenti eepimeni il resto dianzi rappresentato 0 con (05 onde sie: RT CA 3 1 pr As 1 a ti 4 ra nine cain] &, fas? een 7 e _ ja Sia 1/1 1 1 ap lsen2nar— - sendnar+ 1 sen Gnam...) T 2n In ? GITA! SA A Nella serie qui chiusa fra parenigri ogni ‘termine è I 1 Pa della forma. £ vello 2mar, con im multiplo di n, e posto m=én, quel termine può rappresentarsi. con DIL sen2mx7, ove 0 indicherà un divisore, dim. E Per ottener la serie Da bisogna dare ad n tutti i valori 1,,2/.3,..k.\e_ sommare; «un dato-numero m si presenterà più volte secondo le diverse maniere di com- porlo col prodotto di due fattori @ e n, e la somma di tutti i termini in cui entrerà lo stesso numero m sarà () T tei \GAsIA tia Re fono: AR sii Ma ov iriatmtot i ODASIRSO È: stesa la sommatoria a tutti i divisori 6 di m; laonde la . U4 2 LI ; serie ) cal sarà così trasformata nell'altra de If) DIRLA ) Dici lm PE Pa dm mai sa come fu annunciato da RIEMANN. Vie 4 ci È di i indicate , supponiamo p impari e q pari, e diamo ad x PÀ Ritenuto une: ‘e però essendo convergenti le serie OE q 8 un incremento positivo o negativo +e. L'incremento di MI. (n x) sarà infinitesimo con e se il multiplo na non si “i trova ad ugual distanza dai due numeri interi vicini e se ne è un numero intero; ma se ng è una frazione > Cai =" RA ea d (754, REP ng LI che si trovi alla distanza - dai due numeri interi vicini, in questo caso si avrà (na)=0, il multiplo n(e—e) dif- Di: ferirà meno dal numero intero minore e il multiplo pi 3 n(x +e) differirà meno dal numero intero maggiore, in- teso che e sia un infinitesimo positivo; e posto c'=r—e, Pi dae Ei ” ’ 7 ; : { 1 ‘ad x'=x+e, l'eccesso (n&') si esprimerà con ani, < 8 sa i x 7 ; 1 X ‘E l'eccesso (nx") si esprimerà con — (3—ne), onde si boo DA, Bi avranno i termini , È Indio e[ E . SR VARO] i FRENA È g q_3g q_99 ee ca accadrà per n=3, N=4+5=7 n=2Q+3= <= vi: clan \ 1 dgr . ... ++, Sicchè — avrà la forma —; con é impari, e rac- Qi gi i 6 3A cogliendo i termini corrispondenti e trascurando gl infi- ; È nitesimi..formeremo le somme 55 (1 + ; + - +.. ) È i n Adunque se chiamasi f(x) la somma ves, avrassì ; PS dI fe—a=fl@)+7(1+ o vr) i Ù 3 1 3 1 5 fe+a=fla—z(1+3 +3+..) i 4 OPEÀI _* pe iva, essendo 2= =: f(x) sarà quantità finita, mentre ‘f(e— ) e f(r+%, csinadite e sia piccolo Maps À A ii a Lt quantità finita, per essere infinita la somma + 3 ++ po: } 21 ivi Si ha pertanto, come affermò RIEMANN, una serie. trigo- nometrica che per ogni valor razionale Birtisi a nu Upiore: tore impari e denominatore pari rappresenta una quantità finita, ma non può restar compresa tra "limiti finiti in alcun intervallo piccolo quanto si voglia, e per conse- guenza non è capace d'integrazione. |. Se con f(x) si rappresenta la somma della cd ib ousiss.omstrobizmo0 sì VELE, nello stesso modo” fo+g=flm—a(itg+ ret). r9t08 dy stfofova Ay9b ia (do ERA i seria Di DITO conforme alle asserzioni di RIEMANN; ma ino questo caso f(x) è sempre una quantità finita, che solo divien discon- I&UYD: 48: 0 DOM) , tinua per valori di x della forma qui SICRENRO, -, con p e g numeri interi primi tra sè, e g pari. È fanzine n) assa dal valore (5)+ 7 Fs «hl valore (ez >} d i q 4q° Ù q trai mentre x passa da im a risi F onde la variazione to- OI hi ui n° tale della funzione è 33, questi | i termini An delle tre serie a cui accenna RIEMANN. e oe een) , abbiamo 7 | Fatto E Spi = - 3 (A) p"— B, pp" —B.pî" — B,pi" — ...), cal che si deve sommare da n=1 ad n= ce: e inoltre po- nendo p=e"' e differenziando rispetto ad x, troviamo Così, facendo attenzione alla terza serie S", vedremo. na- o scere da essa in Quest periodo due termini "_ 1 en RU] ii qui» EB(- vio kn'e+ O senkn' 2)= sta " (dè: , n! non sarà maggiore di e 3 sarà minore di LO 1 53 q 2 ’ nin" 7. n° SUUTI 7 dove r',si, potrà supporre non rane ian di PONS Si avrà lo stesso resto r' prendendo i valori n'+ » n'+ 29: ecc., e lo stesso resto 7" prendendo i valori n'"+ 9, 'tT nii4+24 0 ecc. e Bi Minà sarà così moltiplicato per quantità, che formeranno una serie VALZER ‘avendo tumna somma minore di i 507 Ame a errate di più, questa serie sarà indipendente da & e sarà quindi la stessa per tutti i valori di %. Adunque non potendo r' $ ‘otterremo. un. numero Per, ogni i valor. di ke avere che i, valo interi da. 1 a; Ul finito di valori di Ron Bi sen Pan ciascuno ‘sarà moltiplicato per una determinata ‘serie con- vergente R', che corrisponderà a agaladatbualore gl: r': laonde, dovremo ‘sommare rispetto. ai valori di r' ‘e per ogni v' sommare da h=1 ak=, il che darà © ELE ente sn e quest’ ultima somma si ricaverà dal valor dI riferito i diug 2r'n di noe” facendovi ‘n=1 e ‘prendendo o= a , Poichè ne sarà la parte moltiplicata per Pr e avrà un. valor finito e ‘determinalo. Essendo poi finito il numero dei va- lori di r', anche la somma totale avrà un valor finito e determinato, e concluderemo che per mezzo della terza serie S!" si formia ‘ùna funzione dix» che per r=270 acquista un, valor, finito. e. determinato... Considerando invece la seconda serie. s', 4 pirati che la gonna, dei termini dedotti. da n non multiplo di gQ avrà ancora un valor finito; ima che lo stesso non è della somnra dei termini in'cui av è multiplo di q. ‘Per questi valori di n sarà coskne=4, p=1, ec si dovranno som- + * al 1% Ei. a DD santi SICLETI 2 81 Me d Me > naro i valori di DE i Bacoskna prendendo n=9, asi ia) 99 --,° ONde si bi i neon ‘0 : sa 1 < BRE 1 , gni PERTOLL. GILICLE 1 Do i (3 METTI + Tg RISCHIO )aB=— fat ri i - poscia sommare questa espressione da h=1 a k= e, il che darà per 2kBx ciò che diventa ca : quando. sì fa n=1,=1; e si otterrà quindi una somma infinita. La seconda serie S' si deduce dalla terza S" integran- done tutti.i termini; e pertanto risulta che la terza serie è convergente. un’infinità di volte in ciascun intervallo e che la seconda prende un'infinità di volte in ciascun in- tervallo una somma! infinita. Rrevann dice (forse avvi er- rore di copia 0 di stampa) che tale somma è nulla. La seconda serie, non, restando compresa tra limiti finiti in alcun intervallo benchè piccolissimo, non è pi i x ‘ tegrazione. i i 1501 Notiamo inoltre che la seconda serie 58" si è ottenuta differenziando «i termini della prima $, e che e ® convergente per gli stessi valori di «. i "N ( 3 | i LI LEA «Ik V . + È i ’ È î OV Si ebbe nel $ IIl l'esempio d'una funzione ri), ‘che, in i ga d’un VBior: razionale st conserva un valor finito, ma passa dal valore (+7 + io al valore r($ VE Tà : p P mentre x passa da pigri daga e si notò. che questa funzione è capace d’integrazione. Un siffatto integrale | . if ali CANE da "a O ZAIRE tiva dr Reti REN RA N o; ; i: ; Y 4 1005 sarà una funzione continua di x, poichè l'integrale è il limite d’una somma d’elementi, che si accresce o scema d’una quantità infinitesima, quando i limiti variano di quantità infinitesime; e questa funzione continua di non avrà derivata ogniqualvolta x prenda un valor ra- zionale © a numeratore impari e denominatore pari: perocchè r(E ui e) non tende ad un valore unico quando e tende a zero. Così -devesi a Riemanw d'avere pel-primo indicate funzioni continue, che mancano di derivata per un’ infinità di valori della variabile prossimi a qualsiasi valor dato della. medesima. L'indicazione del Riemann suggerì al valente: suo ‘disce- polo Dottor Ermanno HanxgeL, rapito alla scienza in età molto immatura, un principio ch'egli chiamò condensa- zione delle singolarità, e col quale potè formare altre fun- zioni continue mancanti di derivata in punti del loro corso tanto vicini quanto si voglia a dati punti qualsiansi. Altri esempi furono proposti nelle scuole tedesche, in guisa che da oltre dieci anni vi è cessata ogni' discus- sione intorno alla necessaria esistenza delle derivate per tutte le funzioni continue. Anzi il signor WeEIERSTRASS provò che vi sono funzioni le quali restano continue per tutti i valori reali della variabile e non hanno derivata determinata e finita per alcuno di essi. Sue Una dimostrazione dell’esistenza della derivata era. stata tentata dall’AmpèrE(1), e il suo ragionamento che Lacnorx riprodusse. attribuendolo a BineT. AINÉ (2) fu. tenuto per (1) Journal de l’École Polylechnique , 13° cahier, pag.148. (2) Lacroix, Traité du caleul differentiel'et du calcul intégral, tom. 1, pag. 241-242 in nota (2° ediz. Parigi; 1810). RA e Sii aa ali, die « ki SARA a i [ : Tago 2 x ba Te az FAFORO RS A & Testa k CA seddiafaczatene e: siena da. Pomlii e ; dal sig:B RAND: LamarLE S'avvide che qualche cosa vi mancava PI cercò di perfezionare quella dimostrazione; e finalmente il signor F. Gibert: volle ampliarla per conchiuderne anche Vim- possibilità dei casi. indicati da Riemann eda HanKEL, del quale censurava le. dimostrazioni (1), ma: dovette poi ar- rendersi all’ evidenza d'un esempio recato dal signor Prof. H. A. Scawarz di Zurigo, e datosi allora ad indagare il vizio dei ragionamenti prima usati, lo scoprì e additò con molto senno (2). Tuttavia il merito di avere faito av- vertire un tal vizio appartiene, secondo il sig. \THOMAE, al signor WEIERSTRASS (3). Le. ragioni addotte da questi geometri sembrano infirmare del tutto la dimostrazione dell’AwpèRE, anche in quella parte che il signor Paolo I Du Bois Reymoxp (4) vorrebbe salva scioè in quanto ne risul- fl+e) Lo) terebbe che il limite di non può esser nullo per tutti i punti d'un intervallo, nè infinito per tutti i f(®+)—f(a) punti, e che se ro” ha Sen per Questa va- 8 s@gicii lore dii & un limite finito e determinato, dev essere, u=I1. Un'altra dimostrazione assai breve, ma che,pare affatto insufficiente. È illus oria, cosicchè non potè. fermare V'at- tenzione dei. matematici, fu data dal. celebre. e sventurato Evaristo GALOIS negli Annali del Gergonne (Tom. hi 3 pag. 182). di " : Ls VIZI PETS VET TO VI (1) oa. cowronnési el autres Mémoires Publiés par l'Acad. Roy. de Belgique. Collection in 8°, tom. XXIII. (2) Bulletins; de -V Acad; Regi de Belgique, 2°: série; Tom. XXXV, pag. 709-747. it ia (3) TuoWAE, Abriss einer Theorie der complezen Tloronea ue 1873), pag. ti in nota. r0dns1 18h Invia (4) Giornale di Crelle-Borchardi , tom. 79, pag. 28 in notai ‘a ia mi ristringerò qui a pid eiros gli ‘esempi. ‘che Hansel propose di funzioni continue non aventi derivata pei valori razionali della variabile, e cercherò di supplire con dimo- strazioni più rigorose a quelle poco invero esatte ch’egli diede, e mettere così fuor di controversia il principio ingiustamente deriso della condensazione delle singolarità. VI: Î D) Gli esempi di HankEL sono ottenuti assegnando forme particolari alla funzione p(y) in una serie rappresentata generalmente con x g(sennaz) NS , 1 1 ove s denota un esponente positivo maggiore di 3 e pel valore di x si prende un numero razionale irreduttibile 7 Il più femplice si ha da p(y)=y?, e lo considero pel primo. | I valori di n saranno multipli o no del denominatore q. Per n multiplo di g, porremo n=#%g, e sarà sennaz=0, senn\x+e)7= £senkge7, onde nella espreSsiohe di f(® +e) — [(x) si avrà una parte Dificrstoa RIT 1 Ni leenbase)? k=1 4 k=1 sà e questa parte, a causa dell’esponente }, sarà composta di termini tutti positivi. Dividendo per e si avrà nella espres- f(r+e) —f(e) sione del rapporto una parte composta di si; i de PR Kara. dra pe ipa le rada 0 ‘+ 5 ’ “he E 0 + VII pro mi LIO via EN 9 IA a ip rie POI ha 1A se” dd pa povtig q £q* " I) e quindi il suo valore assoluto sarà maggiore se i quello del primo termine dgr (sengen)i Eq che cresce indefinitamente per e infinitesimo. L’altra parte del medesimo rapporto feta ie a composta di termini della forma (y+A4y)— (1) e n° * con y=sennez, y+Ay=senn(r+e)7: ma ply+ Ay)—p(y)=(y+Ay}}-y=—- UA 3 +yff Yy3 + yi fatto y+A4y=y,; ed essendo y,3 e y3 positivi, il denomi- 4 natore non sarà minore del termine y3, e la frazione non sarà maggiore numericamente di » 2 — y? ey Yi ui = tl ay, Yy3 Yy3 4 e sarà in conseguenza minore di 2y_3Ay, perchè yey, 4. non possono superare |. Ora il maggior valore di y 3 si otterrà supponendo y il più prossimo a zero, ossia l’arco na il meno diverso da un multiplo di semicirconferenze, il che avverrà, per essere o=l , quando np diviso per g A o i e così la parte che corrisponderà ai valori di n non mul- tipli di g sarà minore numericamente della, somma dei valori numerici di 3 1 ET Ahék [Ar Cf )2 MISODII 39291 e a maggior ragione sarà minore della. stessa somma, accresciuta dei termini che si formerebbero dandovi adn valori multipli di ‘9, cioè minore di PI ZIRO ridotti s'e Ay al loro valor numerico. Ma MAP) © — da uti ner Ay= senno +e)7—sennar=2sen—-cosn esperòsb li cia ae AYS 2 sen 20 Sap Rto 2 ite Es 2 3 (e anche per s > 1 : f U ia a 1+ — Fai ha un valor finito e determinato. DICI - Si conchiuda che quel rapporto è composto di due parti, SI una delle quali rimane finita e l’altra diventa infinita per £ SR infinitesimo, positiva con e positivo, negativa con e ne- gativo. Così pel valor razionale e=t; la funzione f(x) e: “ST da decrescente divien crescente e avrebbe un minimo, ma Bi il rapporto di non tende ad alcun limite fisso, — e per ciò non vi è derivata. ‘ HankeL reca un altro esempio nel quale si pone P(y) — log (ay?) ’ intendendo con a una costante positiva. Preso ancora n= , senè multiplo di g, faremo n=kg e avremo nella. f(x +) —f(0) espressione del rapporto una parte c 1 > (kg) log(asen?kgez) ' k=1 i perchè @(y) sarà nullo per y= senkp7x=0; ma supposto a<41, e positivo, tutti i termini di questa somma saranno negativi, e supposto e negativo, tutti i termini saranno positivi, onde il valor numerico della medesima somma sarà maggiore di quello del primo di essi 1 q°e log (a sen? ge 7) che cresce indefinitamente per e infinitesimo, essendo zero il limite del prodotto elog (a'e?) qualunque sia il numero finito a'. Quanto all’altra parte dello stesso rapporto for- mata con termini CAVO lm A0)) ens , in cui n non è multiplo di 9g, e per conseguenza y non è nullo nè @(y), la derivata del termine generale Du) è em=-i (1a) È ed essendo y 3, questi limiti formeranno una serie convergente dotata di convergenza equabile. Perciò la serie delle derivate avrà per somma la derivata F'(x) della somma F(x) dei termini in cui n non è multiplo f(a+)=f(2) di g; e chiamata R la parte di formata coi termini in cui n è multiplo di g, si avrà lim f(e sr ll =PF' (2) +limR, e F'(x) presenterà un valore determinato e finito. .. Nella parte R sarà n=kq, y=0, y=+sennez, ely) PM) 0; onde il termine BID si ridurrà a Sen ner sen ner. il fattore per e=0 ha il limite 1, ma l’altro j faitore sen— non ha limite fisso e oscilla tra —1 e +1; 1 il numero % può prender tutti i valori interi da 1 a_ ©, ma, come lo stesso HawnkeL avverte, la somma di tutti questi termini per s abbastanza grande, può considerarsi | ridotta al primo termine. ‘ove m rappresenta un numero intero, e ne risulterà R ì 6 ge De 1 Ii Q » 2ma Zu quindi si potrà render e tanto piccolo quanto si voglia “prendendo m abbastanza grande: così il valor assoluto di T quel primo termine sarà --— e potrà per s sufficiente- q ii mente grande ridursi ad esso tutta la somma. Ma sce- gliendo per determinare e il segno superiore avremo il ter-. su1” n mine —, e scegliendo il segno inferiore avremo — gia si scorge littie che questa parie non ha limite fisso per = infinitesimo. Laonde sarà per ogni valor commen- surabile È i di x la quantità F°(x) determinata e finita ma lim R indeterminato sebbene finito, e così la derivata della. funzione f(x) sarà anch’essa indeterminata e oscillante almeno tra valori finiti. IX. Dobbiamo infine dimostrare che nei casi esaminati la funzione f(x) è continua. Tale dimostrazione ci viene som- ministrata dal sig. F. GrLBert. nell’accennata sua Memoria Dr del 4 maggio 1872, della quale resta ancora incolume. questa piccola parte. unico determinato, compreso tra —l e +1, e che varii con y in modo continuo, onde @(y+d)—@(y) si possa svolgere col teorema di TayLor per è abbastanza piccolo; sia @(y) nullo per y=0 e s>8. Pongasi g(sennar). ni ra=È II indicando con m un numero intero, che si potrà scegliere grande quanto si voglia, ne dedurremo fuga YeGener) y* piene) n= na=MYt1 e non essendo @(senna7) maggiore di 1 in valor asso- luto, avremo numericamente X g(sennar) - Là L : dà ns # > n SI) ’ n=MH1 uTM+1 laonde y ?( iii sennaT Hi hi inni ptt cirio. ui Cn DOS f( ) n ms: n_—=1 dove A sarà positivo o negativo, ma numericamente mi- ci , nore di 3 per essere s—12>2; e poscia m f(cepraf(aj= N elenniete rl oplsennar) pu nS a Ei n=1 « supponendo e un incremento infinitesimo e h' una fra- zione compresa tra —1 e +1. Ora diamo ad m un va- o data $, e poi facciamo "decrescere e tanto che l’espressione g|senn(e +) 7] — p(senner) na abbia un valor numerico inferiore a s da n=4 sino Di n=m: sarà allora LOR, fl+a—f@)<2%, e potendo < supporsi tanto piccolo quanto si voglia, l’in- cremento f(r+e)—f(x) potrà restar inferiore ad ogni gran- dezza data, e quindi f(x) sarà una funzione continua per tutti i valori reali di x, siano commensurabili o incom- mensurabili. dARI - della seguente” sua Nota nt SULLE CHIODATURE NELLE TRAVI IN FERRO SOLLEGITATE DA FORZE PERPENDICOLARI AI LORO ASSI E CON PARETE DI ALTEZZA COSTANTE. 4. Assunto di questo lavoro. — Un’ operazione, la quale esercita grandissima influenza sul modo di resistere, sulla stabilità e sull’economia di costruzione delle travi com- poste in ferro, che finora si è fatta e che tuttora si fa seguendo regole empiriche, è quella per le unioni delle varie loro parti mediante chiodature. Queste regole, non tenendo alcun conto delle svariate condizioni in cui pos- sono trovarsi le travi per rapporto alle forze sollecitanti, nè tampoco della diversa azione che i mezzi di congiun- gimento devono sviluppare nei differenti siti delle unioni per raggiungere l’ intento, necessariamente conducono, nella generalità dei casi, a risultamenti erronei, i quali, quantunque non compromettenti la sicurezza, pure quasi sempre sono in disaccordo con quel giusto grado di eco- nomia che è necessario porre in tutte le costruzioni, e segnatamente in quelle metalliche. Una teoria adunque, atta a dare le norme per fare le chiodature occorrenti nelle travi composte in ferro in modo che queste presentino in ogni loro parte quel giusto grado di resistenza che, senza spreco di materia e di Andale domandata dai bisogni dell’ ne di ben ne a mi parve in armonia coi progressi che questa va ognor facendo; e credetti conveniente di accingermi allo studio della medesima basandola sulle dottrine della resistenza dei materiali, come sono applicate dagli ingegneri co- struttori. 2. Resistenza allo scorrimento longitudinale melle travi con sezione rettangolare. — Un Colonnello del Genio russo, il signor JourRAwsKI, fin dal 1856 insegnò come si possa valutare la resistenza allo scorrimento longitudinale in una sezione parallela allo strato delle fibre invariabili per una trave, sollecitata .da forze perpendicolari al suo asse, e con sezioni rette rettangolari tagliate dal piano di sollecitazione secondo i loro assi principali centrali d’inerzia. Il signor BrEsse, nel suo prezioso lavoro inti- tolato Cours de mécanique appliquéee, diede un cenno di questa resistenza, ciò che feci io pure nel mio lavoro sull'arte di fabbricare, e segnatamente nel volume inti+ tolato Resistenza dei materiali e stabilità delle costruzioni. Nel caso della trave parallelepipeda, se considerasi la sezione retta qualunque CD (/ig.1) rappresentata nel ret- tangolo C,D, D, C,, e si dicono | a quel lato È, €, dell’indicata sezione, il quale è pa- rallelo all'asse neufro x G,a', b l’altro lato C,D,, v la distanza di una retta m,m,, condotta nella sezione considerata parallelamente a C,C,, dall’asse neutro x G, x, v' la stessa distanza per una determinata retta paga I, il momento d’ inerzia della sezione indicata per rapporto all’asse neutro suddetto, e si 8? È III sil momento inflettente relativo alla sezione netta CD a motivo delle forze applicate alla trave a dritta della sezione stessa , : - si ha: che la resistenza longitudinale , riferita all’ unità di superficie, in un punto qualunque della retta m,m,, è data da AL *). Mic x (); che la resistenza longitudinale sulla superficie elementare MM, Ng m, , di altezza m,n,=dv e di lunghezzam,m,= a, vale. ap Te e che la resistenza longitudinale Q su tutta la superficie H,C,C,H, risulta vdv; 0= plat apt (e-e") i VE dI, 4 o” Nel passare dalla sezione retta CD, il cui centro ha l’ascissa 0G= per rapporto al punto 0 dell’asse, alla se- zione vicinissima C'D' cui corrisponde l’ascissa 06'=z+dsz, il valore di Q cangia e diventa Q0.-+40; cosicchè, essendo (*) Che quest'espressione rappresenti la resistenza longitudinale riferita all'unità di superficie in un punto qualunque della retta m, mg; facilmente lo si deduce dalla teoria della flessione, quale SRG esposta nei trattati sulla resistenza dei materiali ad uso degli ingegneri, per il caso dei solidi rettilinei sollecitati da forze per- pendicolari ai loro assi e tutte contenute in uno stesso piano in- tersecante ciascuna sezione retta secondo un asse principale cen- . trale d'inerzia. i costanti. ‘i valori di a, b, o ‘ed V BETS, | ottiene 0+d0= sr(1-r") (node) " Fra la resistenza longitudinale provocata nella parte HC della sezione retta CD e quella provocata nella parte H'C' della sezione retta C'D' vi ha per consesuenza la diffe- renza d0Q data da 99 LS: du d0=37 E sa 424) e questa differenza rappresenta una resistenza, la quale tende opporsi allo scorrimento del prisma HCC'H' paral- lelamente alla direzione GG', o, in modo più preciso, parallelamente allo strato delle fibre invariabili, Se ora si considerano nel corpo due sezioni rette E F ed E'F', a cui corrispondono per rapporto all'origine 0 le due ascisse 0K=z, ed OK'=z,, e se vuolsi la. re- sistenza 7, la quale si oppone allo scorrimento lungo LL', si deve integrare il valore di 40 fra i limiti definiti dalle ascisse z, e z,, cosicchè risulta dg | 1 ©) du T=57-(1 b— v' ) qa 4 È z \ 1 13 RL) Questo valore di 7 rappresenta quella resistenza allo scor- rimento che deve. poter opporre la materia costituente il prisma nella superficie, parallela allo strato delle fibre invariabili, rappresentata in LL', affinchè lungh’essa non avvengano spaccature longitudinali, o altrimente (quando lungo questo piano siavi interruzione di continuità) quanta resistenza devono presentare i mezzi di congiunzione della Aci Mn > AE LI te | parte superiore alla inferiore, affinchè le x DO DI di ter Basta cose sì passino come se l’interruzione di continuità non esistesse. ; api 2 RARI Osservando che il fattore (i bo ) è indipen- 3 È (A dente dall’ascissa z e dipendente soltanto dalla forma e dalle dimensioni della sezione retta del prisma, e che, È lu, : astrazion fatta dal segno, la derivata 7 è lo sforzo di taglio N, si può dire che il valore di 7 è dato da ng T=C\Ndz 1 Rag LARA 12 c=;7(4 Dv È Si fa osservare come la costante € non è altro che il coef- ficiente del momento w nell’espressione della resistenza 0. essendo 3. Resistenza allo scorrimento longitudinale melle travi con sezioni rette composte di elementi rettangolari. — Si consi- deri, per esempio, una trave colla sezione retta rappre- sentata nella figura 2°, si dicano a, a' ed a" le larshezze 4,4,, BB, e C,C., b, b'e b"le distanze x 4:, BB, e yC, delle rette A, Ag, B,B, e C,C, dall'asse neutro xG,2', v' la distanza yF, della retta F,F, dal detto asse neutro , e si conservino alle lettere /,, Ne & i significati che loro furono attribuiti nel precedente numero. I valori Q', 0" e 0" delle resistenze longitudinali cor- rispondenti alle tre aree rettangolari H,A,A,H,, 1,B,B,I e C,C,F,F, sono rispettivamente n ed il valore di 0 della resistenza longitudinale relativa all'area totale F,C, I, B, H, A,AgHyByI,C,F,, eguale alla somma 0'+0"+ 0", è dato da da 0=;7 T_|a(b*—b")+a' (0°) +a'b'—o! Je Se ora si vuol trovare la resistenza 7 allo scorrimento longitudinale sulla superficie F, F, e fra due sezioni rette. della trave di ascisse z, e z,, bisogna fare il differenziale di Q considerando « come funzione dell’ascissa z e quindi du integrare fra i limiti z, e 3,. Osservando che +, e quando si faccia astrazione dal segno, è lo sforzo di pat N, e_ che il coefficiente costante che moltiplica l'integrale risulta i quello stesso che moltiplica il momento # nella espres- sione di Q, si ottengono le formole PE I) ae, gio'gi® ARE a re SENI AO la =3 a(b— d'°)+a' (0 —b"")+a"(b"°—» iS pr Zog vi Ndz . Sa T=6 Il problema non sarebbe punto più difficile se, invece | della resistenza allo scorrimento longitudinale su una superficie parallela allo strato delle fibre invariabili , si volesse la resistenza allo scorrimento longitudinale su una 0 più superficie perpendicolari allo strato suddetto, per | esempio, su quelle rappresentate in D, B', e D.B', (fîg.3). Dicendo in questo caso i — a, a' ed a" le larghezze A4,4,, B,B,'+-B,B,' e C,C/+C,C4, b, b',b'eb'"le distanze 2A4,, BB,, yC, ed E, D, delle pope cAs4545 Bi BB BC, GiGCE eddie dall asso neutro x G, 2’, ; e conservando alle lettere /,, N e & le sigpificazioni già indicate, si ha che i valori 0', 0” e Q'" delle resistenze o longitudinali corrispondenti alle tre aree H,A4,4,4H,, ne: I,B,B,'Ci+1,B,B,'C, e K,C,CiD, +K,C,C,'D,, e che quindi quelli di Q, C e 7 sono quelli stessi già trovati nel caso precedente col solo cangiamento di v' in db". S Il metodo stato seguìto per trovare la resistenza allo +25, GA scorrimento longitudinale su una parte qualunque di se- PE zione parallela allo strato delle fibre invariabili posta al di sopra, serve pure per una parte di sezione analoga posta al di sotto dello strato medesimo. cà rea dtt. x ET: 4. Rappresentazione grafica del fattore | Ndz. — Questo Za integrale, che si trova nella formola determinatrice di 7, ossia della resistenza allo scorrimento longitudinale fra due determinate parti di una trave, è suscettivo di una interpretazione geometrica utile a dichiararsi per la fa- cilità che apporta nelle operazioni sulle chiodature. Se cioè sull’asse delle ascisse 0z (fig.4) si portano a partire | dall’origine le due distanze 04, ed 04, rispettivamente eguali a z, e z,, e quindi si costruisce la linea, B,B, le cui ordinate rappresentano i valori assoluti degli sforzi Z9 LEA RE; di taglio N, il fattore | Naz rappresenta l’area della 2, sarti fisura A, B,B, A, comprese fra l’asse delle ascisse 02 e due ordinate 4,8, ed Aa Ba corrispondenti ai due estremi della parte di trave considerata. Se adunque si indica con S quest’ area, il valore di 7 vien dato da Lee essendo € la costante di cui già si è parlato negli ultimi due numeri, ed S l’area or ora indicata. 5. Potenza congiuntiva delle chiodature, e coefficiente di giunzione. — Le forze T, alle quali si riferiscono le ri- cerche degli ultimi tre numeri, rappresentano quelle re- sistenze allo scorrimento longitudinale che deve poter. opporre la materia costituente i corpi considerati in cor- rispondenza delle superficie per cui furono calcolate , affinchè lungh’esse non avvengano spaccature longitudi- nali; o altrimente, quando sulle dette superficie vi ha interruzione di continuità, quale e quanta resistenza de- vono presentare i mezzi di congiunzione delle due parti del corpo, affinchè le cose si passino come se l’interru- zione di continuità non esistesse. I mezzi di congiunzione che si vogliono considerare in questo numero sono i chiodi che si impiegano nella composizione delle travi metalliche, e quindi non è fuori di proposito il chiamare potenze congiuntive i valori di 7, in quanto essi rappre- sentano le resistenze che verranno provocate nei chiodi o altrimenti le energie o potenze con cui questi devono collegare due parti destinate a stare unite. Il coefficiente € dipendente dalla forma e dalle dimensioni della sezione retta della trave si può chiamare coefficiente di giunzione. Corrispondenza delle potenze congiuntive alle aree dei diagrammi degli sforzi di taglio, e centro di potenza con- giuntiva. — Se consideransi due parti di una trave lunghe A;A' ed A'A, (fig.4), e se si indicano con S' ed S" le aree corrispondenti A4,B, B'A' ed A' B' B, A, del diagramma degli sforzi di taglio, se questa trave per la lunghezza A, A, ha sezione costante in modo da non variare per le due parti A, A' ed AA, il coefficiente di giunzione C, le potenze congiuntive 7' e 7", per le indicate parti di trave, sono date da (UH TESS. Se ora si divide la prima di queste equazioni per la se- conda, si ottiene Fira! TS ossia che le potenze congiuntive per le due parti di trave considerate sono proporzionali alle aree corrispondenti del diagramma degli sforzi di taglio, o ancora che a po- tenze congiuntive eguali devono corrispondere aree equi- valenti sul diagramma suddetto. La potenza congiuntiva per una parte di trave lunga A,A4, varia generalmente da un elemento all’altro della superficie alla quale essa si riferisce; ma vi ha un punto G, che si può dire centro di potenza congiuntiva, nel quale, supponendo concentrata tutta la potenza 7, si ottiene nella corrispondente parte di trave lo stesso effetto come se non vi fosse interruzione di continuità. Per determinare questo punto si chiamino N l’ordinata MN del punto qualunque N della linea B, B, degli sforzi di taglio, 67 3g ll'asciesa rà di questo punto, Paiae hef. ii 5 ip i z, @ 23 le ascisse 0A, ed 04, dei due punti PRI ni B, e Ba di linea suddetta, D quell’ascissa 0C, la gRUla determina la posizione della sezione trasversale della trave in cui trovasi il centro di potenza congiuntiva, e si conservi alla lettera C il significato che già le fa at- tribuito. Se immaginasi un ‘ordinata M' N' infinitamente vicina ad M N, la potenza congiuntiva elementare per da parte di trave lunga M M'=4dz vale 5 CNdz; ed il momento di questa potenza elementare rispetto al piano passante pel punto 0 e perpendicolare ad 0 è dato da CNzdz. La potenza congiuntiva per la parte di trave lunga ‘4, VAR: ed il momento di questa potenza stessa V900ne al defi- nito piano sono IAT C\Ndz 3 £ Fa Frlidste BETA CANzdz, nfosttaze: Zi : ra C'RT4A - e quindi, pel noto teorema dei momenti, si avrà 3a Za Otitusana 4h DC\Ndz=C\Nzdz|, (io ila! eil (IT Zi È » É ag Nzdz Ndz superficie G della figura A4,B,B,4, € quindi si si conchiude che, per una data parte di trave lunga 44, A, e di se- RAG costante, si può determinare la sezione retta in cui trovasi il centro di potenza congiuntiva, cercando il Mi centro G della corrispondente superficie del diagramma degli sforzi di taglio. La sezione retta cercata è quella corrispondente al punto G. ; 7. Chiodature delle tavole delle travi în ferro ai bracci dei //--/ 0° cantonali, cui devono trovarsi unite. — Le travi in ferro di BE uso più frequente sono quelle che hanno sezione in forma 33 di doppio 7 (fig.5), e che constano di due tavole A riu- Mo: nite ad una parete B perpendicolare alle tavole stesse me- diante cantonali o ferri d'angolo C. L’unione delle tavole ai ferri d’angolo si fa mediante chiodi, ed è il riparto di questi che qui mi propongo di studiare. Suppongasi che, traendo partito della teoria relativa alla stabilità dei solidi rettilinei sollecitati da forze per- fe pendicolari ai loro assi, siasi fissato di porre, per la ta- Ò vola superiore, una lamiera fra le sezioni trasversali (fig. 6)}.0 ed 1, due lamiere fra le sezioni trasversali 1 eo tre lamiere fra le sezioni trasversali 2 e 3 , e così di seguito, come chiaramente appare dalla figura. La linea degli sforzi di taglio, stata costrutta col prendere la Be retta A4,z per asse delle ascisse, sia B,B,B,D. | È 41 Questo valore di D rappresenta l’ascissa 00 del centro di i i | si AG4:S Aa LE Ao Mei. Jo aa Pe tino te: di quelle parti di trave alle ai corrispondono sezioni rette costanti, e considerando particolarmente le chioda- ture per le tavole superiori, sì dicano Ter Iear lega 00 0i4 00 1 DIOMEDE CI sezioni rette delle parti suddette, C,, Ca, (3, .... i relativi coefficienti di giunzione , a la larghezza della tavola superiore, i b la distanza della superficie LIE della Bi superiore dall’asse neutro x2' MIT #01." RNA c la grossezza, supposta CERI: di tutte le lamiere MRO componenti la tavola superiore, Gi ivalori.di. Ci Cax;lso «i ipa « gi isaniana; — (204 0) Se ora immaginasi divisa l’area compresa fra l’asse delle ascisse 4,5 e la linea B,B,B,D degli sforzi di taglio me- diante le ordinate corrispondenti ai punti da A, Aa, ito; Dr. ce een SOI chiamano Par e pai e MAIA: le aree delle figure 4538, B 4, , OR: A, ASI RIO Dara T,,t,, T3,......-.... le potenze congiuntive della tavola ai ferri d’angolo per le parti di trave 4,4, , Pigi ' Adi 46; 59 Neo si è detto al numero #- si ha x i ; AS t0: T,=(C,$, @ vele, e Ue * Suppongasi ora, come sempre succede nelle pratiche applicazioni, che vogliansi eseguire le chiodature delle 3 tavole ai ferri d’ angolo mediante chiodi di dimensioni i _note, e che debbasi determinare il numero di questi ul- re timi per ‘ciascuna delle parti di trave, le cui lunghezze sono 4,4; RIST TO Pa 4,4; 3 «+0... +... Chiamando perciò Q la superficie della sezione retta di un chiodo, CSR R” il coefficiente di rottura nel senso trasversale pel da ferro di cui i chiodi sono formati, i : n! il coefficiente di stabilità ; | Ca Tan Tric ad pumeri de chiodi da impie- i | garsi rispettivamente nei tratti di trave lunghi A AgÀ, 3 - "52 P- TEL ARI I RIN “3 per la ‘sicurezza. delle chiodature si avranno le ip lgzcia. __ di stabilità > Sr nvaÎoì getto. È pp n° AN OTIS te n“RvQg,=T, o otel ale e, è elo)let è lo) 6 = dalle quali immediatamente si deduce i TL, = N vo Ta La Cn RNQ NT (3196280 SERA ti Flos î [O COSIO: I valori di £,, X3, £;, +... ..... risultano generalmente numeri frazionari, e siccome ciascuna tavola sarà in- chiodata ai ferri d'angolo mediante due file di chiodi, i numeri intieri e pari; immediatamente superiori ai numeri frazionari trovati, esprimeranno quanti chiodi occorrono per unire le tavole ai ferri d’ angolo nelle considerate porzioni della trave. Le' metà nj,7,; mM, .000P%7.00dì questi numeri intieri e pari rappresenteranno quante file trasversali di due chiodi ciascuna bisognerà porre nelle parti di trave colle lunghezze 4,4,, 4j43, 4g4y; siria. Si tratta ora di decidere come devono essere disposte . le file dei chiodi per ciascuna delle parti di trave state indicate. Considerando, per fissare le idee, la prima parte di lunghezza 4,4,, nella quale si devono porre n; file trasversali di due chiodi ciascuna, a motivo dell’ egua- glianza della potenza congiuntiva di ogni fila e pel teo- rema del numero precedente sulla corrispondenza di aree equivalenti del diagramma degli sforzi di taglio ‘ad eguali potenze congiuntive, si ha: che l’area 4;BB, A; deve essere divisa in n, parti equivalenti con rette a, dj; d20g, dz bg, +. ..+...... perpendicolari ‘alla direzionesrAja; ‘e che le file di chiodi devono essere poste coi loro assi in corrispondenza delle rette 0°9,, 0"9,, 09}; + perpen- i 1031 dicolari ad A, e passanti pei centri di superficie 9g, , 99, 93» eos. delle fisusè AyBj 0, d,., G, D, 0gdg3 dg 005955 Il metodo stato indicato per determinare il numero e le posizioni dei chiodi, che in una trave con sezione a doppio 7 devono unire le tavole ai ferri d'angolo, mette in evidenza come generalmente i chiodi sono da porsi a distanze disuguali, e come per conseguenza non possa a meno di condurre a gravi errori la pratica invalsa e fi- nora stata seguita da tutti i costruttori di mettere i chiodi a distanze uguali. D'altra parte però il porre i chiodi a distanze disuguali, quantunque non possa risultare ope- razione manuale menomamente difficile, tuttavolta che per ogni parte della trave siano somministrate ai fabbri- ferrai le distanze successive, può a taluni sembrare lavoro men pratico e non scevro da inconvenienti. In vista di ciò, senza molto scostarsi dai risultati teorici, e senza rinunciare totalmente alla semplicità che apporta il col- locamento dei chiodi a distanze eguali, pare conveniente di seguire quest’ultima disposizione soltanto per ciascuna «delle parti in cui vi sono cangiamenti nel numero delle . lamiere; e questa cosa si può fare sostituendo al dia- gramma B; B, BD degli sforzi di taglio la spezzata circo- scritta Bp E, Big Ba E BababEy ine i: co’ suoi lati al- ternativamente paralleli e perpendicolari alla 4,4. Assu- mendo per. valori delle aree S,,/S,, Ss, Lc... quelle dei rettangoli 4A,B,E,4, : 4, B1E>4g; AgB3E;A;; 0... ig si possono calcolare le corrispondenti forze congiuntive Figo Ta5 Ty pilos.' noe quindi i, numeri g,,;jLay: Laser I numeri interi e pari immediatamente superiori ad Lis Lay Ly) ee rappresentano quanti chiodi si de- vono impiegare sulle lunghezze dia PTIVCDAPRE TY. ip STIRO, della trave e, le SL di questi numeri. quelli delle. ìl equidistanti da due chiodi ciascuna. i 1 Seguendo il metodo pratico or ora indicato , di porre cioè le file dei chiodi a distanze eguali per ciascuna delle parti in cui vi sono cangiamenti nel numero delle la- miere, si ammette per ciascuna di queste parti una po- tenza congiuntiva maggiore di quella necessaria. Il numero di chiodi eccede generalmente di qualche poco il bisogno; in quelli posti in sezioni trasversali in cui le ordinate del diagramma teorico poco si allontanano dalle ordinate; del diagramma pratico, è provocata una resistenza assai pros- sima al limite conveniente pèr la stabilità; in quelli in- vece, i quali corrispondono a sezioni trasversali per cui le ordinate del primo diagramma molto, si scostano da quelle del secondo, la resistenza provocata è minore di quella che stabilmente e permanentemente si può in essi cimentare. Segue da ciò che il metodo pratico di cui stiamo parlando è solamente. approssimato, che generalmente conduce ad impiegare un numero di chiodi eccedente quello strettamente necessario, e che non permette di però è di facile e semplice applicazione, e d’altronde non può portare molto lungi dalla verità, quando i lati AA, AjAg, 4,4; +0. 0 non sono molto lunghi, e quando, essendo tali, si suddividono in due o più parti. 8. Chiodature delle tavole alle pareti delle travi în ferro. — I mezzi, per unire le tavole A (fig. 5) alle pareti B, sono gli stessi ferri d'angolo €, e si ottiene lo scopo mediante una fila di chiodi , i quali contemporaneamente attra- versano la parete ed i due ferri d’angolo suddetti; | Conservando alle-lettere Lx, j;Zxa; Segr ra aCpolloo C;, MERO DTA , a, beci significati che loro furono attri- realizzare la massima economia di mano d'opera. Esso Mar” | —‘’‘buiti nel precedente numero , ed esprimendo le lettere fertagigli depo b" le lunghezze da esse indicate sulla figura 6°, si ha: che i coefficienti di giunzione C,", 04, Cy',........ del complesso della tavola e dei ferri d'angolo alle pareti, per le parti di trave lunghe 4,4,, A,Ay, 434;; ..0-...) sono gli stessi coefficienti C,, C,, C;, .........., già stati trovati nel precedente numero, aumentati dei coef- ficienti di giunzione relativi ai ferri d'angolo che uniscono la tavola superiore alla parete della trave; che questi ultimi valgono, per le parti di trave suindicate , i rap- porti dai rara SIAE Mia costante; che questo fattore costante è 3 [a' (0° Resi ge p"*)] ; e che quindi, ponendo 4=5 |a" —b'')+a"(d' — b"°)] .....*. moltiplicati per un fattore i valori dei coefficienti C',, C',, 0%, ......... sono dati da Indicando ancora con S,, S,, S3, .......... le aree delle figure 4,8,B,4;, 4,B,BAy; 4,,8,4 e dicendo ie Li cadi di int nn ini d PAIS dedtie (0° DI we Ham AVA PIACERE ì ADE er", s AA rit lpiatopeniggaonro 702. Te potenze cotanto” «4 tavola alla parete per le sinti di trave Adi» A, fida da Ah DA ARA IST Te —_ C,'S, ? l ra MIYI' :3 n RETI “Avendo le lettere Q, Riv ed niv i significati che alle medesime furono attribuiti nel precedente numero, indi- cando con Y,, Yg; Yz» «-.-... il numero dei chiodi da impiegarsi- rispettivamente Mati parti di trave. lunghe. Abi; AA Ang Alpi .. ed osservando che ogni chiodo presenta due sezioni resistenti allo scorrimento 5 trasversale, si hanno le equazioni di stabilità i PE Agi AZIO Hi CR ARCO, 9 2nN RYQ Us" da _ © pla eio,o. e) &} bd) 0. elle. ea) (6° tg dalle quali si deduce | ‘a à oa @ 1 Y= 57V AND va ts 119% IS LAI TaVAVD ritto til i Mn a - itipvalori di Vas VanMUgn sb. .-. SON generalmente espressi da numeri frazionari, ed i numeri intieri, imme- diatamente superiori ai numeri frazionari trovati, espri-. mono quanti chiodi occorrono per unire il complesso della tavola superiore e dei ferri d’angolo alla parete. Per rapporto al modo di disporre i chiodi nelle diverse parti per cui furono trovati i valori di Y,, Y3,Y;, -..- ed anche per quanto si riferisce alla sostituzione del me- todo teorico al metodo pratico di porre i chiodi a distanze eguali. per | ciascuna delle parti 4, 4,, 4 Ao» A 245: SIR in cui hanno luogo cangiamenti nel numero delle lamiere componenti, la taxola > valgono ui osservazioni già state 1 valori di Ti I ue SERIA maggiori. dei, Valori di Dia La Ts, real e deriva da questo. fatto, che i ‘chiodi posti sulla. linea AB (fig. 7) si dovrebbero porre a distanze un po’ minori di quelle da osservarsi, fra le file di due chiodi ciascuna, per l'unione della tavola ai ferri d'angolo. La diversità fra queste distanze però non è quasi mai molto grande, cosicchè conviene generalmente fare i soli calcoli per distribuire i chiodi sulla linea AB e seguire, per quelli destinati all’unione delle tavole coi ferri d'angolo, la regola pratica di porli in corrispondenza dei mezzi di quelli da, collocarsi sulla linea suddetta. 9. Osservazione sull’ aebo limbo prodotto dai fori pei chiodi. — I fori, pei chiodi destinati all'unione delle tavole ai ferri d’angolo ed all'unione del complesso delle tavole e dei ferri d'angolo alle pareti, producono un’ interruzione di continuità nelle fibre del metallo, interruzione, della quale, in modo tutto favorevole alla stabilità, si potrebbe tener conto nel calcolo della costante C e dei momenti n 10360 dl a | cel d'inerzia I, col considerare la sola parte tratteggi ta della — le sezione rappresentata nella figura 8. Si fa però notare che la pressione prodotta dalle capocchie dei chiodi contro le lamiere fra esse serrate, che la coesione laterale delle fibre e che l'appoggio opposto dai fusti dei chiodi alle fibre compresse, diminuiscono, se non del tutto, almeno per la massima parte, il notato inconveniente, e che quindi si ; può senz'altro, come già si è fatto nei precedenti numeri, supporre che i fori non esistano. Aggiungasi ancora che trattasi di calcoli, i cui risultamenti finali dipendono da equazioni le quali contengono un coefficiente di stabilità che si pone a bella posta onde tenere in qualche modo conto di quelle circostanze, i cui effetti non si possono precisamente valutare. 40. Conclusioni. — Il metodo stato esposto, per eseguire le chiodature nel caso più frequente della pratica di travi con sezione a doppio 7 e con pareti di altezza costante, senza difficoltà si può applicare anche per le travi con più di una parete, sempre quando sia verificata la surri- ferita condizione d'altezza. Questo metodo riesce spedito, di facile applicazione e, quando al diagramma teorico degli sforzi di taglio si sostituisca il diagramma poligo- nale, conduce a risultamenti che per nulla complicano le operazioni materiali delle chiodature, e permette un ‘notevole risparmio di mano d’opera con una sensibile economia sul costo finale del lavoro. Nel caso di travi con altezza variabile non sarebbe più costante, ma sibbene una funzione dell’ascissa z, il fattore che moltiplica il differenziale cb dz nell'espressione di d0Q0. Segue da ciò che il valore di 7, per una determi- nata parte di trave, alle cui estremità corrispondono le dui vP, È; n fi da Pa AE AI oe een ie FRE è qRT ordhao NED _ Ill | ali I | RS ls | e D Tarnnia ES Ticaro PAU 7 1%, VIE Pat ve | "i Di te | ascisse 5, © z,, sarebbe dato da una formola //G///G/000 T= e che quindi sarebbe geometricamente rappresentato dal- l’area compresa fra l’asse delle ascisse ed una curva, le cui ordinate sono f (2). Questa curva, come quella degli GE Sa sforzi di taglio per il caso delle travi con parete di al- os tezza costante, servirà per istabilire il numero dei chiodi da porsi in determinate parti della considerata trave di altezza variabile. Con ‘altra Memoria mi propongo di svol- gere minutamente questo argomento delle chiodature per travi di altezza variabile; ed in seguito farò anche vedere come, partendo dall'idea della potenza congiuntiva colla \ quale devono essere unite le differenti parti di una trave 3 @ composta, si possa determinare la grossezza dei ferri d’an- $i; > golo per unire le tavole alle pareti, le grossezze delle ERE: pareti e quelle dei differenti loro pezzi quando sono reticolate. | WA co x deste, da uri MRS fi ” lesi sò) tei , A sa + > Xi 1088 SRI SETS ICAO È su dal a vo = In cen adunanza il Socio par Alessandro Dor degli i senta colle parole seguenti alla Classe alcuni lavoti*del R. Osservatorio Astronomico di Torino, di cui egli è Di- rettore : Ho l’onore di presentare all'Accademia le osservazioni state eseguite in questo Osservatorio dall’Assistente per le Osservazioni meteorologiche, sig. Dottore Donato Levi: 1° col Termografo elettromagnetico nel secondo semestre del 1874; 2° col Barografo elettromagnetico in tutto l’anno 1874. TOS AP È 4 - Tr pd Ì ALe ae Le Le quali Osservazioni verranno pubblicate nel solito fa- scicolo annuale dell’ Osservatorio da unirsi agli At? ac- cademici. AHOMOJOJTT A EROLIOTPe ITASOM INvaioe In questa adunanza la Classe elegge a Socio Straniero dell’Accademia il sig. Michele Eugenio CHhevreuL, dell’Isti- tuto di Francia: questa “elezione venne approvata con Decreto Reale in data del 15 luglio 1875. L’Accademico Segretario A. SoBRERO. CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Giugno 1875, 2 STESANO. 161727 PREC MENOO n PP _S ® LD CA Aa î cf) pi ora e eta | GLASSE | DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE e Adunanza del 13 Giugno 1875. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Vien letta la seguente Memoria, comunicata alla Classe dal sig. Cav. Avvocato Vincenzo Promis, SU. UNA MEDAGLIA INEDITA DI CARLO EMANUELE I. Del lungo ed avventuroso regno di Carlo Emanuele I, il quale succeduto ad Emanuele Filiberto suo padre nel 1580 morì nel 1630, assai interessanti memorie noi ab- biamo nelle numerose medaglie che a suo onore vennero allora coniate, e delle quali pubblicò esatti disegni il Litta nella splendida sua opera sulle famiglie celebri ita- liane (1), inserendovi tutte quelle a'suoi tempi note ed esistenti in gran parte nel Medagliere di S. M. Da quel- l'epoca in poi due soli nuovi pezzi si scoprirono, il primo de’ quali dubito sia stato già edito nello scorso secolo, ‘onde per ora non ne do l'impronta: dirò solo che il suo diritto è uguale a quello della medaglia che forma og- (1) Duchi di Savoia. Medaglie, n. 25-43. Pi Mi | getto di questa notizia, prteat [poj veli ilbitsto de i fc, B. Amedeo col capo cinto d’aureola;, con manto ducale; - _ e col collare dell'Annunziata; con in giro :B. AMEDEVS SABAVDIE.DVX.II., ed all’esergo HORATIO ASTESANO: e Il secondo pezzo dal suo possessore Can. Teol. A.:Bosio: fu gentilmente non è guari ceduto alla collezione suddetta, Esso è in bronzo ed ha da un lato il busto del duca volto. a destra con corazza riccamente intagliata e colcollare’ dell'Annunziata che nel nostro disegno appare un po’ com: fuso per essere l'originale non troppo ben conservato; $ Attorno al busto leggesi CAROLVS.. EM DVX .. SAB. Po Pi per Carolus Emanuel dux Sabaudiae princeps Pedemontis , ed all’eserso HORATIO ASTESANO . 161 ., non distinguendosi più l'ultima cifra affatto liscia. IU £qSq, 190 Dall’altro lato evvi un trofeo composto di corazza, armi E. e bandiere, e sormontato da una corona ducale, convin OR giro ILLAESA . SVPERSYNT. . ;. Otrsipis. 019229 ID Da un esatto confronto del diritto di questa! medaglia con altre di Carlo Emanuele IL lavorate pure dall’Astesano, il conio appare identico a quello riportato dal Litta al SE N° 30, eccettochè a vece di rosette tra le parole nel ee nostro pezzo sonvi punti. Parmi quindi poter fissare T'e-' va secuzione al 1618. noisstramaili } pula Il suo rovescio poi credo sia allusivo al Pibtbssìi rogeisi SIA cui riguarda un’altra medaglia pure coniata dall’Astesano) 0 ai sulla quale vedesi nel rovescio la pianta di Asti fortifi* M cata collo scritto Asta servata 1615; che quindi valendosi di un diritto già prima lavorato , sia stata questa battuta s@ dopo la pace d’Asti, in forza della quale il duca promise Mu. di disarmare e «li non invadere colla forza gli stati cdi Mantova, volendo indicare col motto. e col: simbolo: cap= uri, postovi che malgrado tale trattato le sue armi erano ri- # FETO I E VETTE 8 nn | maste illese. Alle quali circostanze secondo me alludono pure due altre medaglie dello stesso principe aventi nel rovescio l’una un S. Carlo col motto Discerne causam meam, ela seconda un trofeo d'armi ed in giro Nec conduntur nec retunduntur. i “Solo ora rimane a dar un breve cenno del coniatore. Orazio Astesano compare per la prima volta come in- tagliatore dei conii delle monete nella zecca di Torino nel 1610. Lavorò poscia pelle medaglie del duca nel 1613 - e1615, e forse ancora in altri anni senza che però esistano di ciò indizi sicuri; nel 1631 fece un bel diritto di me- daglia col ritratto corazzato di Vittorio Amedeo I, ed altro all’effigie del principe Tommaso; nel 1632 una ne coniò per papa Urbano VIII col rovescio del porto di Civita- «ft vecchia e col motto Nunc re perfecto. Dopo tal epoca non trovai più traccia di questo artista, il quale meriterebbe di essere alquanto più conosciuto di quello che effetti- vamente lo sia. ) modgat- Il Socio CrarertA nel proseguire la lettura della sua | Dissertazione sugli storici piemontesi, e specialmente sugli ° storiografi della R. Casa di Savoia, continua l’analisi delle opere di Monsignor Della Chiesa, prendendo parti- colarmente ad esame la Corona reale di Savoia, la quale servì a rendere popolare sino a' giorni nostri il nome dell’indefesso vescovo di Saluzzo. «L'argomento che aveva a trattare il Chiesa, non era sgombro affatto di difficoltà, ned egli se ne illudeva, accennando infatti nella stessa sua prefazione, special- mente: all’ indolenza-ed alla vanagloria dell’ aristocrazia, molti della quale affettavano una origine Ki on: tana dal vero; molti poi « stan dosene neg ittosi ne’ lor castelli, contenti solo d’una vana fama della loro. «nobiltà sparsa per il volgo fallace, lasciano fra gli ozii talmente irrugginirsi che appena sanno i nomi degli avi, senz avve- dersi che in un medesimo tempo sopra la tomba delle memorie incenerite de’ loro antenati celebrano i funerali al proprio onore, e che alcuni altri scordatisi delle leggi della gratitudine, non si sono degnati nemmeno far ri sposta alle nostre lettere ». Feta Con auspizii così sconfortanti egli dava mano all’ese- cuzione di un lavoro, difficile a compiersi in tempi in cui le scarsissime pubblicazioni di scritti di argomento, patrio rendevano indispensabile ad un autore il dover ricorrere alle fonti, cioè agli archivi fornitissimi delle famiglie maggioreggianti, delle abbazie e dei capitoli che il concedere od il diniegare il favore di compulsarli, fa- | cevano consistere affatto nel mero loro arbitrio. ‘d agata, Ma sorretto dal buon volere e dalla passione ardentis- sima di illustrare la storia del suo paese, il Chiesa sor-. montava tutte quelle difficoltà, e nel 1655 pubblicava la. prima parte, che nel 1657 fu susseguita dalla seconda. 3 Senonchè ancor qui, come velemmo sollevarsi aspra. guerra alla pubblicazione della storia cronologica, sorge-. vano detrattori, solleciti a rilevare, non dico quelle toc canze che capitano in molte composizioni, e di cui non. è priva la Corona reale, scritta senza dubbio in uno stile. troppo familiare e con dicitura molto corrotta, ma quelle. lesgiere omissioni e que’ nèi, che rivelano nei censori il sentimento della passione, ond’erano essi animati contro. il verace scrittore di quell’opera. ria E fra quei frivoli, ma per il momento perniciosi. anno-. e — n 5 fr Br ene SURI essere riferiti A cietà ‘della celebre db. ‘abbazia di S. Maurizio d’Agauno nel Vallese, e l’avvocato patrimoniale generale dello Stato, Antonio Gambarana. ‘Quasi sempre però queste anifesta ioni d’animavver- Par finiscono per tornare col tempo onorevoli a coloro contro cui sono lanciate, e di disdoro ai loro autori ; e da tal ragionamento era animato il Chiesa, il quale con indipendenza di giudizio compiendo alla sua missione di propagare il'vero, nobilmente sprezzava i suoi avversari. E fra la prima e la seconda parte della Corona reale fram- metteva î fiori di blasoneria per ornar la corona di Savoia con D fregi della nobiltà, intitolandoli al conte Filippo S. Martino d’Agliè, per difenderli dagli strali che natu- ralmente prevedeva sarebbero stati scoccati contro. « Le passioni de’ grandi e le emulazioni de’ letterati, così scriveva nel proemio , che principalmente nascono e si nutriscono nell’ozio, so che non lascieranno di calpestare i campi più fioriti, onde non ben difesi potrebbero re- sistere al loro impeto le fatiche degli ercoli più possenti, non che star sicura questa operetta all'ombra delle ghirlande, delle palme e degli allori; ma andremo con la guida di un innocente a ridire, a ricercare il riposo da quel solo uomo che da se stesso difeso, allro di- fende ». | Bisogna però dire che quella scrittura poteva benissimo venir accolta con piena indifferenza, e ritenersi innocua ed innocente, siccome non confortata dal menomo cenno storico, non dirò sui casati descritti, ma nemmeno su quegli emblemi stessi, oggetto dell’opera, la quale però, avuto riguardo alla anancanza fra noi di lavori di quel genere, può ancor oggidì venir consultata con frutto da quei pochi che si compiacciono dell’arte araldica. TA; a È ii Ùuce I aivnià ‘fu’ ritenitito” 1 Cita) 1 Maralor oa monte, poichè i in un ordinario periodo di na compose un è. PA numero straordinario di opere ed opuscoli , ed i suoi RS manoscritti superano di gran lunga i lavori fatti di pub- blica ragione. Fra questi tiene il primo luogo la Descri- zione del Piemonte, opera di più volumi, compilata con accuratezza ed ordine degni di commendazione} ed in o. te cui egli fu sorretto da immenso affetto al paese ed a’ PAL suoi principi, a cui onoranza procurava; di rendere cele- me; s brato il nome piemontese. tio. 19 fr L'autore analizza ne’ suoi punti principali paese, S i nella quale il Chiesa si era proposto di descrivere ampia- È: Ra mente il Piemonte, cioè gli Stati, che intorno alla metà DI del secolo xvit possedeva la Casa di Savoia ‘di qua'de’ se E i monti, comprendendo anco la parte del Monferrato: ‘svg- "na getta ai duchi di Mantova, e le Langhe, in. “gran ‘parte ‘Sta indipendenti ancora. LI TRS i: E dopo avere accennato agli altri lavori manoscritti fi del Chiesa, fra cui a quello relativo alla storia delle fa- Se miglie nobili, ricorda alle sue benemerenze ed alla morte Ser. avvenuta a Saluzzo nel 1662. de Di Pegi imola tia: £ÌI19g 0 i, 9 6‘ fiato ec à , nor n sì | Vv È: Di ted | SA fi ———————t——i JIA vit e5itid ih ni h i end. be n q n) i a, 13, en stenta i ia La, « vg ilebif Hola 11 Agen der 27 Giugno. 1873. Nico; 8200 mo) PE "Tr da 3 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS i@1 -fitg' ib 1! : (la -8T929U <£ “0 Nuovo documento sulla scoperta dell’ Australia. ce opinioni dei cosmografi intorno alla scoperta ed ai «primi scopritori dell’ Isola dell'oro, ossia dell’Australia, fu- Trono finora incerte e diverse. V’ ebbe fra i geografi chi opinò:che quella terra venisse scoperta nello scorcio del .secolo xvi od anche prima; giudicarono altri che i primi «Scopritori. fossero gli, Olandesi, i quali di fatto si attri- ibuirono. per qualche; tempo l'onore d’avere innanzi ad ogni altro approdato colle loro navi a quelle terre auri- - ;;fere;, altri rinomati ed esperti geografi, indotti dall’ auto- _Fità di vecchie, carte geografiche, tenevano invece come «molto più probabile che la scoperta dell'Australia si avesse ad attribuire ai Portoghesi. La medesima diversità di opi- nioni e di giudizi si rincontra nel erande fatto della sco- perta dell’America. Non parlo dei popoli settentrionali, che si crede abbiano afferrato all'America prima di Colombo; ma ei venne recentemente pubblicato un dotto e sensato libro (1), in cui si tiene e si dimostra come molto pro- babile, sebbene non ancora pienamente accertato, che l'America venisse scoperta-mille-anni prima di Colombo dai Cinesi, o per meglio dire dai pellegrini Buddhisti della Cina, e che all'America si abbia a riferire il nome di a dr- (1) Fusana or the Discovery of America by chinese Buddhist “ve i priests in the fifth century by G. G. Leland. — London, 1875, Fusand; che si trova. meli velazionio den CERA legrino Hoei-Shin. Così suole avvenire di qudsllantibote grandi scoperte, tanto nel dominio scientifico quanto nella cerchia dei fatti; la priorità è in esse sovente posta in controversia ed attribuito or all'uno or all’altro il primo onore. Ma il vero scopritore sarà pur stase dicato. colui che seppe render utile la sua scoperta, ed assicurarne al mondo i benefizi. VTOLMLOSTI Sopra tale questione venne in quest’ adunanza letta una leltera del portoghese Gopinno pe EreDIA, riputato cosmo- grafo e capitano di navi, a Don Francesco da Gama, go- vernatore dell’Imdia, e padre del celebre Vasco da Gama, trovata recentemente nei famosi archivi de la Torre de Tombo; e di cui un esemplare fotografico venne mandato all'Accademia delle Scienze di Torino. In quella lettera, che può dirsi un vero documento storico, scritta l’anno 1600, si parla con precisi particolari del Mar dell'oro, della terra dell’ oro, ossia dell'Australia, del suo sito, della sta- gione più opportuna a navigare per quei mari; degli ‘osta- colieche ivi si hanno a vincere, e della esterna esplo- razione fatta allora di quell’aurea terra, alla quale. poi, secondochè è provato da dati storici, approdò l’anno'se- guente colle sue navi Godinho de Eredia al tempo in- dicato nella sua lettera. Egli fu perciò, siccome appare; insieme coi Portoghesi da lui condotti; il vero' scopritore della Terra dell'oro, ossia dell'Australia, l’anno 160100" Molte altre più e meno importanti questioni s’ avranno a risolvere intorno a quella terra d’Australia, dove ‘tutto. è muovo ancora ed in gran parte inesplorato. Si trovò, a’ cagion d'esempio, negli abitatori dell'Australia; per quel che spetta al loro sistema sociale, alle loro leggi” tradizionali, una somiglianza manifesta cogli abitatori pile ci dell’ Tndia; Hassi a dire she sian ve ‘nuti dall’India i primi occupatori dell’ Australia? oppure che emigrassero dall’Australia gli abitatori Anaryi del sa dell’ India ? + Gli indigeni dell'Australia hanno un sistema di crono- mas che si connette colla costellazione delle Pleiadi, ed il loro anno s' inizia all’ apparir che fanno in maggior numero e più manifeste quelle stelle; tale uso è comune a-più altri popoli: quali conseguenze si potranno dedurre da-questo fatto ? Ma l’età nostra è feconda di ricerche edi scoperte d’ogni sorta, storiche e geografiche, fisiche, filologiche ed etnografiche: saranno pure un dì chiarite le oscurità scientifiche dell’Australia. La lettera di Godinho de Eredia di cui ho parlato più sopra è la seguente, tradotta in nostra lingua: | “e Molto illustre Signore, _evAll’arrivo dei navigli mi si disse che Vossignoria molto illustre aveva qualche tristezza; epperciò da fedel servi- tore: io mi recai tosto a palagio per esprimere a Vossi- gnoria molto illustre il mio dolore della morte di Vasco di Gama, che Dio assunse alla sua eterna gloria; ma sebbene più volte mi provassi ad entrarvi, mai non mi venne fatto, essendo che Vossignoria molto illustre stesse rinchiusa ed appartata, siccome era ben giusto. Ciò nul- lameno.io ricordo a Vossignoria molto illustre ch’ella fu fortunata e favorita così che ha trovato appunto ciò che bramava; e veduto ciò che attendeva, vale a dire navigli che han fatto prospero viaggio, e gente del Portogallo venuta. a tempo per l’impresa dell'oro —» E: giacchè l'impresa è ben più di Vossignoria molto La jet pin da di ul porn eri a I i » o ne” PFA <5 hi x n'a # RON Sallzinei ‘che non mia, non mi. È Gioni Mobo ii Vossignoria molto illustre che il dì 13 di settembre è.il tempo conveniente a far vela per Malaca, e meno ancora mi è d’uopo mettere in rilievo questo affare di scoperte, conciossiachè Vossignoria molto illustre ne abbia. pieno intelletto, e sia d'ogni cosa a sufficienza informata.;.e, come tale, sia per fare quanto è più necessario. Gli. è per ciò che allorquando Ella stimerà opportuna la disco- perta dell'oro, io potrò venir provveduto; e quanto tempo io no’l sarò, gli è assai di rigore paterno... (di tempo con- cesso al duolo,; senza dubbio; — il testo lascia qui alcun che a desiderare). ;008%36 » Ma non posso astenermi dal ricordare a Vossignoria molto illustre che la riuscita della scoperta dell’oro di- pento pure dalla conoscenza 0 tempi VAR nb ‘scenza e questo ordine Ss inizi incontro ai tempi rispiù «fortunosi del mondo. rriil reo » Ed a maggiore spiegazione è uopo sapere che nel sud- detto. mar dell'Oro infieriscono procelle dal marzo fino al.giugno, e che tosto dopo, giovandomi di questo mos- sone del settembre, io posso starmi tutto il novembre a Malaca, e nel dicembre partire alla volta di Solor, d'onde, nel gennaio posso quindi far vela per Timor, Ende o Sabbo, e svernare in alcuna di quelle isole, ed attingere quivi più compiute informazioni sull’oro; poscia, nel- l'agosto o nel settembre, col nome di Dio onnipossente, intraprendere la scoperta della fortunata isola dell’Oro. » E trovandomi presto per il mossone d'aprile, io sono allora costretto a rimanere in Malaca giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre e novembre, ed a partire in dicembre per Solor. : de Portman Welsiiiona itiolto è tto i orliuseiniibto, gra converrà al servizio di Dio, del Re di Portogallo “e di Vossignoria molto illustre, chè altro io non sono ‘fuorchè suo servitore e suo stromento per compiere la “scoperta dell’ oro, scoperta a cui mi sprona la mia co- scienza, e per la quale Dio vorrà concedermi favore; ed ‘a tal fine io alzo la voce dinnanzi a Vossignoria molto ‘illustre per ch’ella getti gli occhi su di me per un tanto. ‘bene, avendo in questo bene così gran parte Vossignoria molto illustre. Cui voglia Nostro Signore mantenere in ‘salute e vita per il sostegno dell’India Orientale e quello de’ suoi servitori. » ManorL GopinHo De EREDIA ». Molte Società geografiche e tvall'altre la Società geo- i Rata di Parigi hanno attribuito alla lettera qui pubbli- cata il valore e l’importanza storica che merita; e ne ‘'chiarirono, ne confermarono le indicazioni, riscontran- odole con altri dati acceriati e messi in luce da recenti ‘studi, e che perfettamente si accordano colle particolarità E ERIHOME in ati lettera. Gaspare GORRESIO. cage er . Il Socio Prof. Fasnerti continua l'esposizione del || , 1995 4 \ î N ma ESA + > : e TERZO SUPPLEMENTO e resto dti a | SCIA ALLA RACCOLTA ratio s Es, DELLE ANTICHISSIME ISCRIZIONI ITALICHE." A sh _ uf VI. Venendo ora alla iscrizione incisa nella statua di h Ii bronzo del Museo Etrusco di Firenze, diremo innanzi mr: tutto che la interpretazione dell’Aufrecht è molto discosta ala da quella del Corssen. Il testo dice (C. è. ital. n. 1922): Mei aulesi metelis ve vesial lepri si ‘(91902 ue ‘cen fleres tece sansl tenine ib atelen “SG tuSines xisvlics ». ile 0asq AI . Dalla lettura della prima linea sorgeva spontanea 1° idea” o ze che il personaggio effigiato in attitudine di oratore. fosse” SEA un Aulo Metello: aulesi metelis ve vesial elensi ‘tra SR ducevasi Aulo Metello (Metilio?) Veliî filius Vesié nato; nel ci monosillabo cen riconoscevasi un prenome ditta (Gloss. ital. col. 822), in tece il greco Edmxe per ni + (Gloss. ital. col. 1778), e in tuSines un aggettivo derivato © “cad in quelle due iscrizioni (l’ una di Corneto e l’altra iI “ES Toscanelta ) la stessa posposizione aveva avuto luogo în in = “e ‘principio (il che accade sovente nelle lapidi dell’ Etrur uria | : marittima) con pumpui laròdi e vipinazt «eSrexn 3 vece di Lartia ‘Pompeia e Setrius Vibinianus. ca Le due lessende che incominciano con eca dui i (n.5) e mi suti (n.10) non si legzono in urne o. sar cofagi che contenevano le ceneri o il cadavere incombusto. degli estinti, ma in due monumenti di altra forma (une e dicola sepolcrale e una stele) apposti ad locum sepulturae; e ne scenderanno spontanee le traduzioni: eca suSi Sanyvilus gii MIRO Ò cdl haec (est) sepultura Tanaquilis Masiniae natae mi suti Sanyvilus titLa ltd, i ae ro sum sepultura Tanaquillis - ii uxoris a simiglianza dello specchio: uf mi Sanyvilus fulnial 3 SI) s sum (speculum) Tanaquilis Fullonia matae. ||| (0° Il vasetto di Cere, che non va confuso con dle solite, 3 olle cinerarie, inscritto mi Sanyvilus (n.41), accenna. i alla donna che lo possedeva, cioè sum Tanaquilis , sono 1 S di Tanaquilla; e così pel vaso perugino o cortonese in. Sanyvilus caiial (n. 14) s'intende sum Tanaquilis® Caid natae. Nè in Sanygvilu gui (n.15) = Tanaquilis filia (rel. e filius) di un ossuario di Bomarzo vien meno l’applica-. zione del modo d’intendere e spiegare le surriferite leg-,. sy ai A ginde irnao lg emon Ta con. quius (gr. HVIHVS - vios) di una stele orvietana (Ci. i. ital. n. 2048). “Nè queste interpretazioni espongo in via di semplici congetture, checchè siasi detto o si vada dicendo in con- trario a sostegno di altre e troppo speciose dichiarazioni, non escluse quelle del Corssen, che i filologi alemanni, riverenti senza pedanteria, giudicano severamente, e che in Italia vengono da taluni accolte quasi alla cieca, da o nessuno discusse. Una non dubbia prova che danyvilus non è altra cosa che il genitivo di $Sanyvil (Tanaquilla) ci ‘offrono due iscrizioni incise ne’ sarcofagi del sepolcro degli aleSnas, scoperto in quel di Viterbo: sono i nu- meri 3 e 7, che qui giova di nuovo trascrivere: Sanyvilruvgi puia arndal ale[$]ans Tanaquil Rufia vidua Aruntis Aletinîi ; aleSna....Si arnSal clan Sanyvilusc ruvfial Aletinius — s Aruntis filius Tanaquilis Bufiae natus Si vede chiaramente, che Sanyvil ruvfi (Tanaquil Rufia) era maritata ad Arunte Aletinio (arnSal aleSans), e che da loro nacque Larte od Arunte (il prenome è guasto nel marmo.) che si aggiunse il prenome paterno (arndal) e il matronimico, cioè fanyvilus ruvfial (Tanaquilis Rufiae filius). Nulla di più manifesto, e di meno sog-. geito a controversia. E ciò posto, il significato di mi per me come potrà sostenersi inchiuso nelle iscrizioni mi Sanyvilus e mi Sanevilus fulnial? E non è più consentaneo alla natura dei monumenti e all’indole epi- grafica degli Etruschi lo spiegare nell’uno dei casi sono di Tanaquilla , e nell'altro sono lo specchio di Tanaquilla figlia di Fullonia ? : basta por ‘mente da voce ‘pal; pate si eta i en na 3a - % } x , : KRT 4 DI AAC , è di Pr i % n è + ’ ) f È atta b Loti ‘ fo RL a o; , a Mat» » È Mer V'ha grande dovizia di monumenti strani pin ee S LI il monosillabo mi non può ricevere altra plausibile spie- "a "SE gazione, che quella di gigi. Un primo gruppo si ‘compone Me di quelle leggende, che al mî, con cui esse incomin- È fi. ciano, aggiungono un nome personale uscente in -s.0d “6 -s; e questi nomi personali non sono al caso retto, ma. co posti al genitivo : 105 “tri Pe: i AIR 1, (C. i. ital. n. 451) mi akrs b bioaggoo pr- 2. (Suppl sec. n. 87) mi alfinas O FERA, i d- 3. (C. i. ital. n.2336) mi apirSdes ecc... È Pea 4, (C. i. ital. n. 355) mi aviivs ecc. Î i 5. (C. i. ital. n. 265) mi aviles apianas' Li mr 6. (C. i. ital. n. 2606) mi hurtinas AA 7. (C. i. ital. n. 263) mi keties I «a 8. (C. è. ital. n. 451) mi lalals I S 9. (C. î. ial. n. 26410) mi larus ri | fe 10, (C. i. ital. n. 266) mi larus arianas anas ‘deg vi n “Si klan sera | Sali 11. (0. i. ital. n. 807) mi maris ece. è FARO i 12. (C.i. ital. n. RAG a) mi murs ecc. (LE So 13. (Suppl. sec. n. 84) mi mukis rapanaia NA bi; i 44. (C.d. ital. n. 26041) mi papas....ta.- vi i 15. (Suppl. terzo ) mi ramaSdas LR Si SA se 16. (C.î. ital. n. 2184 bis) mi ramuSdas kaia sinaia NOE SR Di (Suppl. pr. n. 384) mi ramSas i 9: 8. (C. i. ital. n. 2612) mi repesunas aviles i de 9. (Suppl. terzo Pea snuries axunas 95 A (C.î. ital. n.2610bîs) mi tiiurs kaduniias ul + 09 cH (C. i. ital. n. 809) mi tukerus i le: 2. (C.i. ital. n.809 bis) mi uneitas di ; i i È A 3. (C. î. ital. n. 439) mi vels tites mulnanes TY Ue, 194 (Sint pr. Bi 518) mi venelus num clanies - R9 . (Gi . ital. n, 2050) mi venelus p 526 CIA i. ital. n. 2049) mi venerus vinucenas (27. (Su ippl. pr..n. 517) mi venerus Imrce ecc. a T'ali ‘iscrizioni sono incise in vasi (n. 2, 6,11, 17,18, 21122;/24; 27), in colonnette di pietra (n.5, 25, 26), in coperchi di ossuarii (n. 7, 23), in cippi sepolcrali. (n.3, 4, 10), in due tavole di bronzo (n.9, 20), nella ha parete di un sepolcro (n.8), in un ossuario (n.12), in una gemma (n.14). Il Corssen le considera come ricordi di donativi, sottinteso il verbo dedit o dederunt; ma in mi ramagdas, che non è diverso da mi ram8as (n.17), scritto sotto il piede di una tazza, trova necessario sottin- tendere fecit. Non ci occorse mai di vedere ramaSas o ramuSdas, più spesso ramdas, adoperato nel'caso retto, per lo meno in maniera DR non dia luogo a dubitarne: nelle urne cinerarie, nei sarcofagi e in altri monumenti sepol- ; crali o di altra natura troviamo che ramda (raramente randa) è prenome di donna, attestato due volte dai ri- tratti che accompagnano le iscrizioni, come in namsàa Pi visnai (C.i.italin. 2327 lera) e ulznei ramSa (Suppl. sec. n. 109); ‘alle «quali iscrizioni voglionsi aggiungere, np le incompiute o d’incerta trascrizione (0.4. ital. ni'2091 2350, 2358, 2437): ramsa sesumsnei (C.i. ital. n. 2044) pa ramSa apatrui (C. i. ital. n. 2335 c) & ram3a serlnai (C.i. ital. n. 2359) ramda euenei (C. i. ital. n. 2416) ramSa utei (C.i. ital. n. 2429) ram9da zertnai (Suppl. pr. n. 435) ESE, “vramSda huzonai (Suppl. pr.n.436) è tadimetisi 2208 5 ramSa vipia (Suppl.pr:n:438:bîs a)cisi00 soy ni “am È ramà3[a] matulnei (C.i. ital. n. 2340); sCmer a f ramsa purseSnei (Suppl. prin. 442); cv obasune pr. a randa tarynai (C.i. ital. n. 2366; cf.n. 2385) #8! eo Ci ritnei ramSa puia (C.i. ital. n. 2078) ianits tà, pepnei rams3a velus (C.i. ital. n. 2079) amo asIg Mie; visili ramSa (C.i. ital. n.2021) riso è DS Sa cainei ramSa (C.i.ital. n. 2267). a rto%is2 “0 ...tni ramSa (Suppl. terzo) Oro Cata i: I 3 ARI “9 In questi esempi, affermata la desinenza dei gentilizi in Sa È -ia, - ei, - ai, - vi, ramSa è prenome di donna ecvale 58 Aruntia. Altrove lo stesso prenome ramSa è seguito dal CA nome del marito, come ramSa hastis, ramSa capznas, E? ramda ceardis (C.i. ital. n. 880, 1404, 1641). Dei due “A a titoli, spettanti ad ina donna chiusina, ramSa e ram$Sa Es lautniSa venziles' (Suppl. sec. n. 38 sg.), si è detto BD quanto basta nel dichiarare le voci lautni e lautnida. fr} «La forma ram3ai viene da un cippo perduto, visto | 0 dal Buonarrota ((C.i. ital. n.2077); ma vuolsi avvertire la 2-30 forma ramSu, almeno per la sua uscita in = w. Si legge ca in'un’olla sepolcrale: ramSu alsinei (C.i. ital. n. 2554 dis); 4 $ altrove randu (C. è. ital. n. 26009), e ranSu parmni < “06 în coperchio di ossuario con ritratto muliebre (C.è. ital: 1 Asa n. 2197); il che fa credere che ramSu e ranStu ab CE S .biano a compiersi in ramSuia e ranSuia: ranSui ti ss è noto per un altro titolo sepolcrale (C. î. gr. n..2600#): 0 Siffatto prenome randa ha poi dato il matronimico n ranSeal nell’ossuario perugino n. 1408 (arnS'weti D ranSeal), non che i diminutivi ranSula (Ci ital “i n.2568/er b) e ranSvla (n. 2351 ranSvla targnai); pr ramSa nella composizione delle epigrafi etruséhe: tra- sscurando qualche titolo d’incerta lezione, come ramdas larsi (U.i. ital. n. 2564), farò notare l’urna chiusina 15 apluni ramSas ecc. (C. i. ital. n.580), nella quale il prenome ram$as appartiene alla madre di Larte Apollonio; ed è ugualmente prenome materno nella leggenda di un sarcofago di Norchia {C. è. ital. n. 2070) che incomincia arnS yxurcles larSal clan ram$das pevtnial= Aruns Garcilius Lartis filius Aruntiae Petiniae natus; e così lar$ arnSal plecus clan ramdasc apatrual ecc. di un sarcofago di Corneto (n. 2335 a) si tradurrà Lars Aruntis filius Plecus Aruntiae Apatriae natus. La forma meno co- mune ramSase e la sua corrispondente ram$desc, se fu. ben letta in una cassa funeraria di Vulci (C. è. ital. n. 2327 ter db) spiegano l’incontro di Sanyvilusc rim- petto a Sanyvilus. Perle quali considerazioni, lasciando da parte. i men chiari titoli cornetani di due stele o co- lonnette sepolcrali (Suppl. pr: n.438 bis b, c), la epigrafe mi.ramSas, letta in una ciotola di terra nera trovata avBieda (Suppl. pr.n.384), si tradurrà sum Aruntiae, ossia sono ila coppa di Arunzia, senza ricorrere ad un nome Rantus, nè ;:supporre a capriccio la mancanza di un verbo, ora: dedit, ora fecit. Trattasi del nome di chi possedeva il vaso: certo il fecit non conviene in alcuna maniera al titolo ramSdas patilnial (Suppl. pr. n.439), cioè sono di Arunzia figlia di. Patilnia, quando si avverta che fu graffito. in un vaso dopo la cottura. Il fabbricante non avrebbe egli segnato nel-vaso il nome suo mentre la creta era molle? Indica pure il nome del possessore il ram9das inciso in un anello cornetano di oro ((C. i. ital. Ma ramSas si affaccia, a simiglianza di Sanyvilus, «in una posizione ben diversa da quella verificata per FRAC 066. x Ei « SI ° I E, ; pi È ta È A E agita 3 si n. 2033 bis). È poi incerto l’altro titolo ramu$ aiui se-. " nt n gnato in una fibula d’oro (C.i.ital. n. 2179=2340 bis).. | { Pr Tutte queste indagini sui prenomi femminili Sanyyvil. E | e Sanyvilus, ramSa ramSas escludono indiretta-. i as mente la interpretazione di mi per me, per la quale non. Ra di sarebbe più sperabile aggiungere la intelligenza di un. Sa ; gran numero di etrusche iscrizioni: il pronome me non. “OÙ comporterebbe dopo di se un genitivo, specialmente È Sa : nei brevissimi titoli simiglianti a mi Sanyilus e mi di iS ramgSas. E forme di genitivi sono tutti quei nomi. per- se. : sonali accoppiati al monosillabo mi nelle ventisette epi- > SR “grafi sopra trascritte: i quali escono tutti in - $ 0-8, È G che, se cade spessissimo come desinenza del nominativo, (o se si conserva generalmente nel genitivo: se vediamo mi. Bi % laruse milarus = sum Laris, vedremo ugualmente Lar LS e laris al nominativo, come in latino Zar e Laris, nelle a ‘ iscrizioni che ricordano il nome degli estinti. ipa pc A Sonvi per altro degli esempii, ne’ quali il mi è seguìto, | È. da un nome posto al nominativo; ma in questo caso non “3 sì tratta più di un nome di persona: accenno alla iscri- Sd zione della statuetta di bronzo del Museo di Firenze, che ‘$ i incomincia con mi fleres (C. i. ital. n. 267) e all’altra. ‘SAI © d’una statuetta parigina (0. è. ital. n. 2613) inscritta mi È fleres svulare aritimi ecc.: con mi fleres si volle | 0 significare sono la statua ecc. Con queste due, iscrizioni. j È hanno grande analogia quelle che si leggono in due ta ur. statue di marmo, l’una nel Museo fiorentino e l’altra nel. fe volterrano, le quali incominciano con mi cana larSias, e) ((C. i. ital,n.349) e mi cana larSal numSral (Cri. ital; © c n.264): è una ipotesi del Corssen che cana sia nome di. Br uomo (Canas), o per dir meglio un espediente adottato. 1 ogniqualvolta il valore di certe voci etrusche giunge in- — compreso od oscuro: i e forse anche in vaso dipinto ((C. i. ital. n. 2435), pare che. storiografi della Real Casa di Savoia, trattando del rino- mato Samuele Cuichenon di Bressa, che contempora- neamente a monsignor Della Chiesa fa decorato della qualità d’istoricgrafo, ma non ebbe le auree doti d’animo : di cui ‘era a dovizia fornito il vescovo di Saluzzo. Il Guichenon riuscì ad acquistare molta fama per la pubblicazione della Histoire généalogique de la Royale Maison de Savoîie, partagée par titres, fondations de monastères, ma- L nuscripts, anciens monumenis, histoires et autres preuves authen- tiques; opera, che, per quante mende riconosciute dai ca critici essa pur contenga, servirà però sempre di fonda- i mento ad ogni scrittura sull’istoria della Casa di Savoia. Invero, essendogli quel lavoro stato affidato dalla celebre duchessa Cristina di Francia, reggente lo Stato a nome di suo figlio Carlo Emanuele II, ottenne facilmente tutte le agevolezze possibili, e che uno scrittore di qualsiasi tempo potrebbe esser pago di conseguire a suo favore. Non solamente ei fu rimunerato coll Ordine Mauriziano, distinzione a quei dì ambitissima, col dono di preziosi la È | gioielli, con un. veniamo csnera on 7 fondi dello Stato, ma quel che più cale, colla’ qualità de i d’istoriografo ducale, mercè cui egli poteva ottenere quella -G E facilità di compulsare gli archivi, onde con essi veni> 3 ec vangli agevolate le indagini necessarie per compilare il i Ro suo lavoro. Questo pubblicavasi a Lione nel 1660 in un È ©3600 $: sesto che tutto doveva spiccare fasto e magnificenzajia. | vi. seconda delle idee della duchessa, che non risparmiò &' | SA spesa alcuna, affinchè l’opera riuscisse commendevole e “E per la parte tipografica, e per quella artistica, contenendo” | i di essa pregevoli intagli di Depiene e di Thurnegsen. |’ o SA ; Se come fu detto la storia genealogica può venir tae- e ciata di molte appuntature, racchiude però meriti, ‘che fs Mc non si devono disconoscere, e quello non ultimo di averci 1 AO trasmesso non pochi documenti, andati poi dispersi, e Lu Se : parecchie iscrizioni romane e medievali, che altrimenti. I ga non sarebbero giunte a noi, per essere state involte nella. , bi sorte che toccava alla galleria ducale; rimasa preda delle sor fiamme, regnando Carlo Emanuele II nigi STA ; Pochi anni dopo il Guichenon pubblicava la Bibliotheca” | & Sara ] Sebusiana, collettanea di carte, diplomi e privilegi di pon- © RR tefici, imperatori, re, principi e personaggi potenti, in i varie età conceduti a chiese, monisteri ed a privati, dd i e che deve ritenersi la prima raccolta di documenti in. 5 gran parte appartenenti alla monarchia, e concernenti. È DI altresì il Lionese e il Delfinato. O ren Pa Sicuramente che, con tutti i pregi che si possono aseri* bc vere alla storia genealogica, mal ricorrerebbe ad essa chi” © volesse avere una esatta idea ed un sicuro racconto ‘di molte ‘vicende politiche, su cui conveniva alla monarchia - di tirar un velo , affine di celare il vero stato della loro orditura. Molto pure s’'ingannerebbe chi fiducioso pre- si i aa di 3 So | stasse fede alla sua narrazione nella parte che concerne | la storia, dal fine del secolo xvi alla metà del susse- guente, ne’ quali seguì scrupolosamente la linea traccia- tagli dal Governo. | Come scrittore aulico propagò con tutto il corredo delle ragioni che potevano presentare un grado di probabilità l'opinione della derivazione Sassone ne’ principi di Sa- È voia, che per ragioni politiche essi sostenevano con mar- È cato impegno a que’ giorni; anzi venne persino incrimi- nato di aver nella lezione di documenti aggiustate certe parole ed espressioni che potevano giovare al suo in- tento; ma comunque, nella lunga dissertazione dettata ; all’uopo:, non lasciò di dar prova di un giudizio critico, nè affatto comune a que’ tempi. | Rimunerato splendidamente dalla duchessa, che seppe 3 essergli riconoscente del compiuto lavoro, volle ancora iptitolarle altra scrittura, relativa alla sua stessa vita; ma fu tardi, poichè Cristina morivasi nel 1663, ed il suo figlio Carlo Emanuele più non curavasi far di pubblica 1 ragione un parto, che non ritraeva al vero nè l'indole, nè le azioni della duchessa, che lo spudorato autore aveva voluto offrire come l’ideale della virtù, dell’accor- ‘tezza e della sapienza. *Fama migliore ridonda al Guichenon per la sua storia È della Bressa, opera voluminosa che racchiude quanto di I memorabile era succeduto in quella vastissima provincia, | dai. tempi della romana dominazione allo scambio di essa È } 7a p- To ì a n pr. col marchesato di Saluzzo, sul principio del secolo xvi. E merito del Guichenon fu senza dubbio di aver in essa raccolto interessanti documenti relativi alla fondazione .di.abbazie, priorati, città, castelli, signorie, feudi e fa- miglie. bingo dia 7-6 sd varo “Miele ont. nta CSATRAZE DE RA SI 10° se «a _j} Quest’indefesso storiografo morivasi di soli. ccinquanta- sette anni nel 1664, lasciando pure una glio grande di manoscritti, e veniva giudicato ‘assai diversa- mente dagli scrittori contemporanei e posteriori. Ed.anche contro questi apprezzamenti conviene che si guardi:bene chi desidera formarsi un adeguato concetto del Guichenon. Avendo egli in giovine età abiurato il protestantesimo, gli antichi suoi correligionari non gli perdonarono quella sua risoluzione ; quindi non è a stupire se Giovanni Leger, valdese fanatico, e che sconvolse colle sue furie ed vire le quete e ridenti valli pinerolesi, non intralasciò di sca- raventar contro di lui tutte le contumelie, che il mo- derno progresso ha ineluttabilmente bandito, insieme a tante altre sinistre e malvagie azioni allora abituali. Per ragioni politiche fu anche preso di mira da Ema- nuele Tesauro, scrittore di molta dottrina; ma che avendo schiettamente, a quel che pare, seguita la parte de” prin- cipi cognati ed infensi al governo della. duchessa Cri- stina, non potè perdonare al pieghevole storico tutte quelle espressioni, che non si potevano ritenere favore- voli ai principi. Anche il Denina, nella sua storia dell’Italia oecidentale, lo qualificò come un povero panegirista, raccontando, per iscreditarlo, l’aneddoto attribuito al dottissimo e giudi- ziosissimo cardinale Gerdil, il quale vuolsi che avesse detto di non credere, che anche i più pazienti leggitori s'inducessero a leggere da capo a fine l’istoria sua ge- nealogica. Ma questo è uno sconvolgimento d’idee, e ben si sa che a simili opere si ricorre specialmente da co- loro che hanno bisogno di essere informati sui fonti della nostra storia e sui documenti che valgono a confortarla, anzichè di ricrearsi a qualche passo di amena letteratura. Va” «SE las i È” i ta cc dell’ Eresia, e Gal Hoffman nella Nova scriptorum ac mo- _—numentorum collectio; e, fra i moderni; dal Libri, e con ‘ miglior successo e fede da Luigi Cibrario, che scrisse, ‘aver il Guichenon adempito nobilmente il suo mandato, “e meritato, non meno per la diligenza con cui riuscì ad ‘esporre la verità, che per le ricchezze storiche da lui . divulgate, le splendide e veramente regie rimunerazioni avute dai principi di Savoia. (sà Pa ile adi e, dl et k CERN | 4 È È In questadunanza vennero eletti Soci Nazionali resi- denti i i signori Cav. Teologo Collegiato Prof. Vittore TesrA, À Gi “Cav. Avv. Vincenzo Promis, reggente la Biblioteca di P SD M. il Re d'Italia : queste di furono approvate con i - Decreto Reale in data del 25 luglio 1875. ; T egrovgi ; d Si L’Accademico Segretario | GAsPARE GORRESIO. RIA resto, il iGuichenori fu sieb vere suo ichiso bilico e dal Varillas; nella prefazione al tomo 1 dell’ Istoria Den. Pei - ian. U DE: È Lo © E <3 P) , st bo $ i ste, si a aa . è , fo tod i cati 24 a pp i | 13 6. 00, ta cr a i Et dC Te AEPR, * porsi En eo AIR, A L cat Di * #7 © (a La-1 = LD i =& ih "i: Pi h Di È) a é a Sa 1) ta. frogage TI Ì ‘ ” Ù fi iv niti. fa : Ò : } AE MAROR ot uni STEIO, i nioisnn& WSL dimore 5 e cont pai shise.* se sii smi ; i: rat Miri. f f «10 pa 1, opa Sa i "ill FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIEZNE i DI TORINO paL 1° aL 30 arugno 1875 Donatori Ace, di Scienze Rad lugoslavenske Akademije Znanosti i Umjetnosti; Knjiga XXXI. E U. Zagrebu, 1875; 8°. degli Slavi Merid. (Agram). 00 Eighth annual Report of the Provost to the trustees of the Peabody Istituto Peabody Institute of the city of Baltimore; June 3, 1875. Baltimore, 1875; 8°. (Baltimora). Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna; Accademia serie terza, tomo V, fasc. 4. Bologna, 1875; 4°. delle Sonne . di Bologna. È x Rendiconto delle Sessioni dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto Id. di Bologna; anno accademico 1874-75. Bologna, 1875; 8°. Illustrated Catalogue of the Museum of comparative Zoòlogy, at Museo Harvard College, n. VII, Revision of the, echini by Alexander AGas- “losmnageali 2 siz; part. 4; — n. VIII, Zoòlogical results of the Hassler expedi- ; 5 tion, etc. 1, echini, crinoids and corals, by Alexander AG4aSsIZ and L. F. de PourtaLÈs. Cambridge, 1874; 8° gr. t Bulletin of the Museum of comparative Zoblogy, at Harvard College. 14 Cambridge, Mass.; vol. II, n. 7, 9 and 10. Cambridge; 8°. -#0000 Commemorative Notice of Luis Agassiz, by Theodor LyMan; 8°. Id. x fog Commission de Météorologie de Lyon; 5 Série, tome VI, 1873; 8°. Comm. Meteor. — a3 a di Lione, i 70 hi si | Società Geologica di Manchester, PAD val ta % | —’Soc. Messicana «di Storia Nat. «—_»‘Messico). “KISS ma | e | R.Istit, Lomb. (Milano). | IVA 3) Id. i osa " i n SPO » Pri delle Scienze «_ di Monaco. per. 4 # rg i è ES Id. Ae RIA di, 4 ”% Di o : a” Id. è La 4 fog - 0 e e pi — OT 137 RATTI CESSI RIONI volo > Transactions of the Manchester Geological Society, ceto. a DA 1875. Manchester, 1875; 8°. . ; aTovas allo La Naturaleza; periodico cientifico de la Sociedad Mexicana de Historia natural; tomo II, entrega 40-42; - tomo III, cotregia. 3- 5. México, 1873-74; 8° gr. {4 + Memorie del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; Classe di Scienze matematiche e naturali; vol. XHI, fasc. 2, Milano, 1875; 4°. 9 61962 sh. Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; serie 2?, vol. VINI, fasc. 13. Milano, 1875; 8°. Accademia Reale Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und historischen Classe der iî. B. Akademie der Wissenschaften zu Miinchen; Band I, Heft 1, Miinchen, 1875; 8°. Monographie der Sapindaceen-Gattung Serjania; von L. RADLKOFER. Miinchen, 1875; 4°. Ueber den religiosen Charakter des griechischen Mythos; Festrede gehalten in der éffentlichen Sitzung der KR. B. Akademie der Wissenschaften zi Miinchen, etc. von Dr, Conrad BUuRsIan. Miinchen, 1875; 4°. i | ——’1‘Amministrazione Annales des Mines etc., septième série; t. VI; 62me liyr. de 1874. delle min.di Fr. MG (Parigi). Paris, 1874; 8°. - soc. di Geografia Bulletin de la Société de Géographie etc. ; Mai 1875. Paris; 8°... di Parigi, ° La = Ind. e Comm. 1,4) (Roma). Il Municipio "a di Torino. a i Reti. Il Club alpino ut Italiano (Torino). me " No în IC$E Id, pe 7 Foa AI mc: Lo - Aficisterodi Agr, Bollettino meteorologico mensile; Dicembre 1874, 1% Decade, pag. 221 a 244. Roma; 4°. site Bollettino medico-statistico della città di Torino; dal 14-27 Giugno 1875; 4°. Bollettino del Club Alpino italiano ecc.; vol. VII, n. 23. iosa pc Hi L’Alpinista: Periodico mensile del Club Alpino italiano; pra e Giugno 1875. Torino; 8°. Rial Meat o Commentario della vita e delle opere del Conte Guidobaldo Bonarelli della Rovere, scritto da Giuseppe CampPorI. Modena, 1875; 4°. The American Journal of Science and Arts; editors and proprietors, | professors James Dana and B. SiLLMan; etc. vol, VII, n. 41-42; -vol. VIII, n. 43-48. New Haven, 1874; 8°. Le Industrie, l’Agricoltura e il Commercio; Periodico settimanale I Direttori. . diretto dai Professori ELIA e PANIZZARDI; n. 22-24. Torino, 1875; 4°. ic La Sacra Bibbia tradotta in versi italiani dal Comm. P. B. SiLoRATA. Il Traduttore. | Roma, 1875, disp. 23 e 24; 8°. | Pit Un Usd Pato Ro!/0%, to dani A - aomtalo 28478; ; ni-Lè AC AURERDEE BIMPR oc REIERIRE VITA e TA) l tra:sola Mist ottonib.:. 1 nidatà di pi PREBI ce O, » > 4 CRI (a ARRORAR bucgiota e Fri TETAabio INDICE GENERALE | — DEGLI AUTORI E DELLE MATERIE CHE SI CONTENGONO NEFVOLUMI I a_X DEGLI ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO i CA ni ce a la >| [421 Di a HTAI I | ——’SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE VIRILE DEGLI Autori delle Memorie contenute nei Tomi I a X della parte Fisico-Matematica - degli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino NB. Il numero romano indica il volume. Il numero arabico segna la pagina. Le iniziali N,S. accennano Ia NOTIZIA STORICA che precede immediatamente la pubblicazione degli Atti. AGASSIZ (Lurc1) - Eletto Accademico Straniero. I, 134. —— V. LESSONA MrcagLE. ANTINORI (Orazio) - V. SALVADORI. AUCAPITAINE (Barone Enrico) - Expériences sur l’expan- sion possible de quelques Mollusques terrestres au delà des eaux salées. N.S., 29. —— V. DE FILIPPI Fiurpo. s BAER (CarLo Ernesto DI) - Eletto Accademico Straniero. .T, 431, BASSO (Giuseppe) - Sunto di una Memoria intitolata: Sulla < — deviazione massima dell'ago calamitato sotto lazione della corrente elettrica. V, 289. -—— Determinazione della velocità del suono nell'aria per mezzo d'un’ eco polifona. VI, 52. -—— Nuova bussola reometrica. VI, 120. —— V. CODAZZA Grovanni. ; BAUDI pi SELVE (Frawinio) - Coleopterorum generis Amau- rops Syntaxis (e Pselaphidum familia). X, 236. Re , PRON] , Id teo 4 Vader Ta SI 3: Met a Vi è sura N°, BELLARDI (Luigi) - N. GASTALDI Bojey ‘LESSONA. 0° u BELLUCCI (GiusePPE) - Lettera intorno all’ alimentazione ed | al sonno dei Tritoni. IV, 200. BERRUTI (Giacinto) - Intorno agli sforzi trasmessi dalle ruote dentate. 1V, 574..- V, 79. —— Eletto Accademico Nazionale residente. VI, 521. -—- Descrizione e teoria di un termodinamometro. VII, 185. BETTI (Enrico) - Eletto Accademico Nazionale non residente. N.S., 146. —— Toso di elettricità statica. I, 24. 5 BOCCARDO (GeroLAmo) - Lettera intorno ad una pioggia terrosa caduta in Genova. V, 459... BRUNO (Giuseppe) - Dimostrazione di una proprietà dell’ eli- coide sghembo a piano direttore, ed osservazioni sopra una proposizione del trattato di Stereotomia di Leroy. : II, 601. — Intorno ad alcune proprietà dell’elicoide sghembo a piano direttore. III, 494. -— Ricerche sulla linea dei punti di un iperboloide sghembo, nei quali” i due raggi principali di cur- vatura della superficie sono uguali in lunghezza fra loro. VI, 133. -—— Eletto Accademico Nazionale residente. VI, 524. —— (ieneralizzazione e eorollari di un noto teorema di geo- metria.. VII, 235. —— Alcune proposizioni sulle coniche. VII, 783. » —— Sopra una relazione fra il punto in”cui s' incontrano due tangenti ad un’ ellisse, e quello in cui concor- rono le normali a questa linea nei punti di contatto alle anzidelte tangenti. VIII, 90. —— Un teorema sui punti comuni ad una parabola e ad una circonferenza. VII, 357. —— Sulla versione italiana della Geometria descrittiva del i FiepLER, fatta dai signori Sayno e Papova. X, 252. -—. V. GENOCCHI Anceto. BR E n vg CANNIZZARO (Sranista0) - Eletto Accademico Nazionale non residente. N.S., 66. CARLEVARIS (Prospero) - Nuovo procedimento di cloro- 104 metria. HIHI, 573. —— V. GASTALDI B. e SOBRERO A. CASTIGLIANO (Atserto) - Intorno alle resistenze dei | tubi alle pressioni continue e ai colpi. d’ariete. IX, 222. 6 -— Intorno all’ equilibrio dei sistemi elastici. X, 380. CAUDA (Vaterico) - Analisi di un nuovo combustibile fossile italiano. IV, 638. —— Minerali italiani analizzati (Appendice al vol. IV degli Atti). CAVALLERO (Agostino) - Dianematmometro, ossia strumento per istudiare le leggi della distribuzione del vapore Mo nelle macchine motrici animate da questo fluido, me- diante la valvola a cassetto guidata da un eccentrico n. circolare. II, 608. tica —— Di un apparecchio per la determinazione sperimentale delle costanti degli anemometri. VIII, 663. <—— Freno idraulico di AGupio, Carr e Cowp., e sua appli- . cazione al locomotore funicolare Acupro. X, 577. —— V.RICHELMY Prospero e Conte PaoLo pr ST-ROBERT. CAVALLI (Giovanni) - Lettura d’una Memoria intitolata : sS Recherches, à l'état actuel de l’industrie métallurgique, SO de la plus puissante artillerie, et du plus formidable vaisseau cuirasse, d'aprés les lois de la mécanique et des résultats de l'expérience. N.S., 87, 88, 99. -—— Sunto di una Memoria intorno alle cagioni che deter- minano la rottura dei grossi cannoni. I, 516. È —— Supplément à la théorie du ghoc des projectiles d’ar- tillerie. IMI, 4174. —— Sunto di una Memoria sulla resistenza dei tubi all’ urto dell’acqua entroscorrente d'un tratto arrestata. III, 663. CAVALLI (Grovanmi) - lienna sull'onda ph nera. inoffensiva per le bocche a fuoco, tanto più neces- saria dopo la loro rigatura. V, 276. Mista —— Sulla misura della densità e “della SIRADIO dell aria locale. IX, 19. : CENEDELLA (ArtILIO).- V. SOBRERO A. ri ef i CHASLES (Micgete) - Eletto Accademico Straniero. IX, 80. CHIÒ (FeLIce) - Nota sulla formola sommatoria. V, 152. —— Théorème relatif a la différentiation d'une intégrale , définie par rapport à une variable comprise dans la fonction sous le signe /} et dans les limites de l’in- tégrale, étendu au calcul aux différences, et suivi de pane applications. VI, 4194. Troisième Mémoire sur la série de LaGRANGE. VII, 647. i CIPOLLETTA (Domenico) - Presentazione di una Memoria . intitolata: Dell’equilibrio di un solido appoggiato in una estremità, incastrato nell'altra, e caricato da n pesi. N.S., 23. po CODAZZA (Grovanni) - Eletto Accademico Nazionale resi- î ‘dente. III, 173. 3 —— Relazione intorno allo scritto del Prof. F. Marco, Inti- tolato: Origine del magnetismo dei Pianeti, e loro in- fluenza sul Sole. IMI, 297. —— Sulle macchine dinamo-magneto-elettriche. III, 729. ——- Relazione intorno ad una Memoria del Prof, G. Basso, intitolata: Sulla deviazione massima dell'ago ‘calamitato sotto l’azione della corrente elettrica. V, 288. —— Indicazione a distanza per rottura di circuito applicata agli indicatori delle temperature. V, 744. Lal —— Relazione sopra una Memoria del sig.-Prof. G. Basso, i intitolata : Nuovagbussola reometrica. VI, 120. —— Sunto di una Memoria intitolata: Trasmissione pneuma- tica della forza ad un veicolo stantuffo, senza variazione dell'aria circolante. VI, 271. —— Parole di congratulazione al Presidente. VII, 47. A teca dite » abi Ma ii ni gia È Lui ao n rt Do La e dl - Eletto Accademico Nazionale non re- sidente. V, 187. COSSA (ALronso) - Ricerche di chimica ataarezo» IV, 187. —— Sulla determinazione delle formole mineralogiche di alcuni carbonati romboedrici misti. IV, 768. —— Eletto Accademico Nazionale residente. VI, 155. —— Sull’idrozincite di Auronzo. VI, 189. -—— Sulla composizione delle barbabietole da zucchero, esa- minate in differenti periodi del loro sviluppo. VII, 134. —— Sulla formazione dell’asparagina nelle veccie. VII, 265. Sulla formazione del solfuro d’idrogeno. VII, 295. —— Sulla storia dello zucchero. VII, 561. —— Sulla cloropicrina. VII, 591. -—-—. Sulla scomposizione della clorofilla prodotta dalla luce del magnesio. IX, 100. —— Comunicazione intorno alla germinazione dei semi nel protossido d'azoto. IX, 195. —— Comunicazione di nolizie preliminari intorno ad una roccia peridotica del Piemonte. IX, 434. Intorno alla Iherzolite di Locana nel Piemonte. IX, 545. —— Comunicazione verbale del risultato dell'analisi di due Dolomiti, e delle ricerche sulla Sellaite. IX, 772. —— Sulla composizione del mosto dell’uva in diversi periodi della sua maturazione. X, 56. COSTA (Oronzio GasriELE) - Presentazione di un lavoro (in via di pubblicazione) intorno alle roccie dell’ Appen- nino. N.S., 42. CRACE-CALVERT (F.) - V. SCLOPIS S. E. Conte FepERIGO. CURIONI (Grovanni) - Lettura d’una sua Memoria intitolata: Sulla spinta delle terre nel caso più generale che si può si presentare all'ingegnere costruttore. II, 490. —— Sul rifiuto che devono presentare i pali nelle fonda- zioni. II, 98. | —— Sulla resistenza trasversale dei solidi elastici, VII, 597. sa a % da i) di pa + A 3 ki 2 DA osa 1086 AZIEA eda de CURIONI (Giovanni) - Sul lavoro della recite i are in un solido elastico qualunque, sollecitato da vs comunque operanti. VII, 33. —— Sulla rottura e sui lavori di riparazione della. sa de’ Giovi. IX, 26. __ pe d'una Memoria Sulla determinazione delle gros- ezze dei rivestimenti delle gallerie in terreni Amoi: xy 2581054 —— Ricerche teoriche sulla stabilità del piso e Ladel nuovo rivestimento del tronco di galleria de’ Giovi, rovinato nel principio dell’anno 1873. IX, 556. —— Cenni sui metodi di ricupero delle navi sommerse. IX, 616. —— Esperimenti sul vetro temprato. IX, 365. «Lettura d'una Memoria che ha per titolo: L’ elasticità nella teoria dell'equilibrio e della stabilità delle «ee X, 631. aaa —— khSulle chiodature nelle travi in ferro sollecitate da forze perpendicolari a’ loro assi, e-con parete di altezza ia X, 41017. DALLOSTA (L.)- Scandagli del lago del Moncenisio (tav. 4, 2, 3), 4 de laghi di Avigliana e Trana (tav.4, 2, 3). HI, 372. DANA (Gracomo) - Eletto Accademico Straniero. Te 80. DARWIN (CarLo) - Eletto Accademico Straniero. IX, 80. DE FILIPPI (Frcrero) - Parere intorno ad una Memoria del sig. Barone AUCAPITAINE , intitolata : Ewpériences sur l’expansion possible de quelques Mollusques terrestres au dela des caux salées. N.S., 20. i} Spad i —— Il Syrraptes paradoxus in Italia: N.S., 24. i -——- Intorno ad un carattere anatomico tratto dallo studio del cranio puo scimmie dell’ antico e xi nuovo mondo. N.S., deu —— Lettura d'una dc sul genere Eleutheria e A nuovo genere Halibothrys. N.S., 56. ia ARE ss î i Pola edi LUMI e - K i die rin, rn) S NA MA NRE To GRATE SR DE FILIPPI (Fruirpo) - Relazione intorno al metodo del ir Prof, Gorini per la conservazione delle sostanze ani- mali, e specialmente dei cadaveri umani. N.S., 64, 76. 2 Relazione di un’ascensione sul Demavend. N.S., 442. I -—— Relazione intorno ad una Memoria del Professore IssEL, : intitolata : Catalogo dei Molluschi raccolti dalla Mis- sione Italiana in Persia. N.S., 438. : —— Nota sulla classificazione degli animali. I, 107. —— Osservazioni fatte nella traversata da Gibilterra a Rio- Janeiro. I, 376. i —— Osservazioni fatte nella traversata da Rio-Ianeiro a Batavia. I, 601. —— Lettera contenente le ullime sue osservazioni fatte du- rante una parte del suo viaggio da Singapore a Saigon, al Giappone ed alla Cina. HI, 227. DEL BECCARO (Tommaso) - V. GENOCCHI Anceto. DELPONTE (Gro. Bat.) - Lettura di una Memoria intitolata: 3A Un ricordo botanico del Prof. F. De Ficippr. IV, 399. ——- Lettura di una Memoria sulle Desmidiacee del lago di Candia in Piemonte. IV, 643. s —— Relazione intorno ad una Memoria del Prof. Augusto Gras, intitolata: Le Ranunculacee del Piemonte. V, 284. —— Lettura di una Memoria intitolata: Specimen de Zygne- maceis. X, 983. DELPONTE (Grovanni BarTIsTA) e GRAS (Aucusto) - Presen- tazione di due lavori intitolati: Ranuneulaceae pede- montanae ; revisio specierum ete., e le Ramunculacee i della Flora pedemontana, esposte ecc. V, 287. DENZA (Francesco) - Osservazioni delle Stelle cadenti del pe- % riodo di novembre fatte in Piemonte nel 1867. III, 95. —— Aurora polare osservata in Piemonte il 5 aprile 1870. V;1743; —— Programma delle osservazioni fisiche che verranno ese- guite nel traforo del Fréjus dai signori P. A. SeccHI, Ing. DramitLa-MuLLeR, e P. Francesco Denza. VII, 24. ta x TT <= ed» DIREZIONE DEL TRAFORO DEL Gai Lettera di iretta/alla sa, Accademia delle Scienze di Torino. I, 24. DONATI (M.) - V. RICHELMY Prospero. i un DORNA (Aressanpro) - Sulla media aritmetica nel calcolo delle compensazioni. IV, 757. —— Observations de l’essaim d’étoiles filantes de la période du 12 au 14 novembre 1869 (stampato nel Bollettino . meteorologico ed astronomico, anno rv. 1869). —— Eletto Accademico Nazionale residente. V, 187. —— Sulla formola barometrica del Conte Paolo di ST-RoBERT. V, 404. pil pe: 11 —— Sulla importanza scientifica di Soperga e della Sacra Be. di S. Michele per l'Osservatorio di Torino, e sulle mr loro rispettive differenze di livello. V, 463. — ‘SP —— Tavola logipsometrica. V, 542. Sa v ; —— Introduzione di un lavoro intitolato: Catalogo delle 634 AS Stelle principali visibili alla latitudine media di 45° colle “a coordinate delle loro posizioni medie per l’anno 1880, Di 5; R ed Atlante di 12 carte contenenti le dette Stelle | — ‘$06 proiettate stereograficamente sull’orizzonte di 2 in 2 ee ore siderali, coi circoli e paralleli di declinazione — Ga. di 10 in 10 gradi. V, 748. —— Descrizione degli strumenti di precisione adoperati nel R. Osservatorio astronomico di Torino per l’ esalta determinazione del tempo. V, 886. RANISEGLRO —— Presentazione di una Nota intorno alle Leoneidi e Per- seidi osservate nel 1870. VI, 57. —— Lettura d'un lavoro sulle osservazioni inibito del R. Osservatorio astronomico di Torino, e’ sulle altezze barometriche risultanti dalle indicazioni del barografo. VI, 59. —— Presentazione di lavori del R. Osservatorio askrondmieo di Torino. VII, 336. —— Intorno all’Aurora boreale del 4 febbraio 1872. VII, 504. A A M St; — DORNA anto - Sulle Cato celesti della nella Acca- demia delle Scienze di Torino. VII, 737. —— Intorno alla priorità delle scoperte ed a qualatta osser- vazione di aurore boreali e di perturbazioni magne- liche, in riguardo alle supposte vicendevoli azioni elettro-magnetiehe del Sole e dei Pianeti. — Stelle 39 cadenti. — Rondoni. — VII, 799. A —— Presentazione di lavori del R. Osservatorio astronomico “2.0 4 008 di Torino. VIII, 59, 83, 587. 3.000 Sulle altitudini della strada ferrata delle Alpi. IX, 90. È Sl Rettificazione di formole. IX, 404. Presentazione di lavori del R. Osservalorio astronomico di Torino. IX, 93, 290, 615. —— Presentazione delle Osservazioni meteorologiche ordi- 43 narie dell’anno 1874. X, 772. 34 el —— Presentazione del 1° e 2° semestre 1874 delle Osser- pr: vazioni astronomiche eseguite col termografo elettro- magnetico dal Professore D. Levi, e di quelle ese- oli guite dal medesimo Prof. D. Levi col barografo elettro- «magnetico in tutto l’anno 1874. X, 805, 4038. > FAÀ pi BRUNO (Francesco) - Presentazione di un nuovo LE apparecchio barometrico. I, 3142. sa | | | —— Nuovo barometro a mercurio. V, 393. ° i ul —— V. RICHELMY Prosrero. Ca FOSCOLO (Giorgio) - Sui semidiametri condotti dai vertici dà, o dai punti di contatto di una linea poligonale mer» semi-regolare inscritta o circoscritta ad una conica. Lo VII, 338. i FUBINI (Simone) - Di alcuni fenomeni che si osservano du- rante la compressione del midollo spinale di rana. Aa VII, 839. a —— Contributo allo studio della lente cristallina. VIII, 543. —— Sulla presenza di sostanza condrogena nella cornea di varie specie di animali. IX, 84. ——- Influenza della luce sul peso degli animali. x 30. 71 1090 MRO, i e ai GALLETTI (Maurizio) - Sunto di una Memoria intitolata: Determinazione volumetrica dello zinco; N.S.} 27. GASTALDI (BarroLomeo) - Eletto Accademico Nazionale re- sidente. N.S., 146. 9 —— Sunto di una Memoria intorno ad alcuni fassili della To- scana e del Piemonte. I, 38. ig —— Relazione intorno ad una Memoria del sig. RuworINO, intitolata: Sopra le caverne di Liguria e principalmente sopra una recentemente scoperta a Verezzi. I, 279. —— Comunicazione di una lettera. del. Prof. Carlo Voet sopra alcuni cranii antichi. I, 297. TAO —— Nuove osservazioni sopra le origini dei bacini lacustri. I, 398. —— Sulla esistenza del Serpentino in posto calli colline del Monferrato. I, 464. -—— Presentazione di alcune ossa di Orso trovate in una caverna del Piemonte. I, 581. —— Presentazione di alcune fotografie di oggetti microsco- pici, eseguite secondo il metodo proposto dal Com- mendatore CarLevaris. II, 140. —— Scandagli dei laghi del Moncenisio, di Tratti, di ei gliana e di Mergozzo (nei Circondarij di Susa, di Torino e di Pallanza), con brevi cenni sulla origine dei bacini lacustri. III, 373. i -—— Sunto di una Memoria intitolata : nonni di alcuni oggetti di remota antichità rinvenuti in Italia. IV. 755. —— Relazione intorno ad una raccolta di armi e strumenti di pietra delle adiacenze del Baltico. V, 841. — Su alcune antiche armi ed alcuni strumenti di bronzo e rame provenienti dall'Egitto. V, 862. -—— Sulla scoperta del Berillo nelle rocce cristalline di Val d’Ossola. VI, 282. —— Dono di una sua Memoria che ha per tale Studi geologici sulle Alpi occidentali. VII, 430. -—— Intorno ad alcuni fossili di Aretomys e di Licosdisbelaas VII, 249, tt sa) cart; pv VARONE ne avi ‘È Peg A ir n Vai I PRIN Sii a die aa È < ‘ANBE «GASTALDI (Bartotomeo) - Presentazione del Panorama ue delle Alpi, quali si osservano dalla città di Torino. VII, 445. - —— Cenni necrologici su Edoardo LarteT. VII, 476. —— Mazzuola o martello-ascia in pietra. VII, 484. -—— Berillo di Pallanzeno (Val d’Ossola). VII, 483. —— Deux mots sur la géologie des Alpes Cottiennes. VII, 662. —— Sulla Cossaite, varietà sodica di Onkosina. X, 189. —— Sur les glaciers pliocéniques de M. Desor. X, 490. ‘—— ‘Osservazioni alla lettera del Prof. Arturo IsseL. X, 770. GASTALDI e LESSONA - Relazione sulla Memoria del Prof. BeLLARDI, avente per titolo : Y Molluschi dei terreni ter- ziari del Piemonte e della Liguria (parte II). IX, 197. GENOCCHI (Anceto) - Sunto di una Memoria intitolata: Sulla formazione ed integrazione di alcune equazioni differen- ziali nella teoria delle funzioni ellittiche. N.8., 22. —— Nota intorno alla riduzione degli integrali ellittici. N.S.,39. —— Sunto di una Memoria intitolata: Studi intorno ai casi d'integrazione sotto forma finita. N. S., 88. —— Relazione intorno ad una Memoria del Prof. Tommaso DeL Beccaro, intitolata: Teoria degli strumenti ottici (parte prima). I, 281. ‘——- Relazione sopra una Memoria del Prof. Giuseppe Bruno, contenente alcuni teoremi intorno al paraboloide iper- 4’ bolico, seguìli da una breve Nota che tratta d’un’altra specie di conoidi. I, 390. —— Presentazione di alcuni opuscoli del Principe Boncom- PagNI. II, 436. ——- Di una formola del Lerniz, e di una lettera di La- GRANGE al Conte Fagnano. IV, 263. “-—— Presentazione di alcune copie di una lettera di LAGRANGR a nome del Principe Boncompacxi. IV, 323. —— Intorno ad una dimostrazione di Daviert DE FoNCcENEX. IV, 323. “———— Intorno ad un teorema di calcolo differenziale. IV, 327. ad È sé 4% Il ù NES e, I Val EI ta ao ‘ vi, A “i GENOCCHI (AAA - Sunto se una a Manama | int lata mostrazione di una formola di LEIBNIZIO @ Lacnance, e di alcune formole affini. IV, 398. | TA, —— Presentazione di un opuscolo del signor Hoier, e di un fascicolo del Bollettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche, pubblicato dal cri __—cipe Boncompacni. IV, 763. t —— Presentazione di alcuni opuscoli per parte del signor Principe Boncompacni. V, 188, 506. -—— Di alcuni scritti eMtribuiti ad Agostino Cavony. V 881. — Di‘una controversia intorno alla serie del Lucas. VII, 18. | —— Intorno ad alcune lettere del Lacrance: IX, 746. —— Intorno ad alcune serie. X, 985. wp: GIGLIOLI (EnRIco) - Nota sul così detto sistema nervoso vi coloniale dei Briozoi. 1, 134. » — La fosforescenza del mare: Note pelagiche ed osser- sd RI vazioni fatte durante un viaggio di circumnaviga- CAZZI zione (1865-68), colla descrizione di due nuove Nocli- ce luche. V, 485. Pa Bei GIGLIOLI e SALVADORI (Tommaso) - Altre nuove 0 poco note specie d’uccelli, raccolte duranle il viaggio fatto intorno al mondo dalla pirocorvetta italiana Magenta negli anni 1865-1868. V, 273. i GIORDANO (Fetice) - Sulla orografia e sulla geologica SA costituzione del Gran Cervino. IV, 304. da. GIRACCA (CarLo) - Presentazione di un lavoro intitolato : fe. i Studi sperimentali sulla innervazione del cuore. N.S., e 36, 43. i Ì GOBBI-BELCREDI (Girolamo) - Degli errori azimutali del teodolite. VII, 435. GORINI (PaoLo) - V. DE FILIPPI. GOVI (GiLBERTO) - Di un nuovo ter SIP a gaz a massima: e minima, e registratore. N. S., pr: + dovI (Gnitenrof* - ‘Tntorao all'a zione sa Col) ì i corpi diafani colorati or sui raggi dello spettro lu- minoso. N.S., 43. i 222 Gli specchi magici sh Cinesi. N.S., 67. =. Presentazione di un Catetometro. N.S., 75. —L Livello del viaggiatore. N.S., 86 —— Nuovo metodo sperimentale atto a dimostrare i fenomeni fed "dell’induzione elettrica. N.S., 140. Ve — Sull’importanza delle larghe aperture nei microscopi. (uniao NS. 424. —— Esame microscopico di una polvere caduta in Tunisi il 16 marzo 1865. N.S., 4141. -— Ricerche d’Elettrostatica. I, 206, 221. —— Melodo per determinare la lunghezza del pendolo. I. 505. —— Presentazione d’uno strumento calcolatore degli inter- valli nelle scale musicali. I, 387. — Esposizione verbale intorno alla distribuzione dell’elet- tricità nell’Elettroforo. 11, 30. —— Sunto di una Memoria intitolata : Sulle anomalie che pre- 4] senta il caoutchoue vulcanizzato rispetto al calore. II, 225. —— Nuove esperienze sugli specchi magici dei Cinesi. II, 357. = Nuove ricerche sulla gomma elastica vulcanizzata. II, 3 155, 456. | $ Presentazionè d’un prisma variabile solido. H, 457. Dimostrazione di una formola psicrometrica approssi- © mativa. II, 484. TA si -—— Relazione sul concorso per un premio governalivo. II, 490. -——- Nota intorno al primo scopritore della pressione almo- sferica. II, 562. -—— Comunicazione intorno all’ autenticità di alcuni docu- menti posseduti dal sig. Cuastes. III, 424. —— Nuova Camera lucida. III, 220. p -— Vorra ed il telegrafo elettrico ; Ricerche storiche. i II, 423. st di i , 4 tf i. » 2, PARATA n ’ AVA (0: PIC CRORNIERIRE è SAB GOVI (Giserto) - Nota intorno all’ apparizione d'un bolide ue. i iridescente. III, 515. 0 —— Presentazione di due Camere lucide. IV, 43. Me. —— Applicazione dei metalli in ‘strati sottilissimi alla co- fo” struzione delle Camere lucide, e ad altri usi. IV, 185. "A -—— Letura di una Memoria intitolata: Sull’uso della formola ce SE . di FresneL nel calcolare l'intensità della. luce: riflessa Ri : e trasmessa dalle lamine di vetro. IV, 348. -—— Romagnosi e l’eleltro-magnetismo. IV, 426. H —— Anomalie del caoutchouc vulcanizzato rispetto al calore. - SRI MOTIVI rue x —— Presentazione di un fascicolo del Bullettino di Biblio- grafia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche, pubblicato dal Principe Boncompacni. st 637. -—— Nuovo manometro. IV, 767. —— Intorno a certi manoscritti apocrifi di GaLiLeo. V, 427. Intorno a un congegno per dimostrare varii fenomeni “di di meccanica molecolare. V, 193. nix) i —— Dell’attrito a distanza. V, 199. d —— Di un nuovo metodo per ottenere le fiamme. Nenaibità 28 V, 396. | = -—— Nota sulla sensibilità acustica dei getti gassosi freddi. V, 175. x —— Comunicazione di un lavoro intorno all’inventore del li- vello a bolla d'aria. V, 747. | —— Nuove esperienze sulle correnti elettriche. V, 762. -——— Lettura di un lavoro intorno all’apparente attrazione delle ombre dei corpi. VI, 57. —— Correzione dei coefficienti nella formola per calcolare le dilatazioni assolute del mercurio. VI, 122. —— Revisione delle cifre del RecnauLT. VI, 193. —— Sur l’état électrique dans l’intérieur des bons et des mauvais conducteurs électrisés. VI, 265. -—— Lettura d'una Memoria Intorno alle dispersioni anormali operate dalle materie coloranti a riflesso metallico. VI, 274. 5 ati PITT RR %, E 5 21095. GOVI (Geibiana) - Sur la date d'un travail inédit de MeusniER, relatif à l’équilibre des machines aérostatiques, et sur celle de l’extrait que Monce en a laissé, et que lAca- -.0 »...démie des Sciences de Paris vient de publier. VI, 286. —— Lettura d'una Memoria Sul primo inventore del compasso pio, di proporzione. VI, 381. -—— Sulla opportunità di pubblicare una traduzione inedila dell’Ottica di ToLomeo. VI, 401. —— Histoire des Sciences. - Sur l’invention de quelques étalons naturels de mesure, VII, 145. —— Intorno alla dispersione anormale e ai fòchi cromatici o. delle lastre e dei prismi. VII, 362. —— ll. S. Offizio, Copernico e GALILEO, a proposito di un «opuscolo postumo del P. OLivieri sullo stesso argo- mento. VII, 565, 808. 7 —— Sul significato della così detta Origine cosmica delle ine aurore boreali. VII, 806. GRAS (Aucusto) - Tavola sinottica delle Ranunculacee del Piemonte. V, 286. —— Appunti di sinonimia botanica. V, 889. —— Sulla Flora Carniolica di Giovanni Antonio Scopoti ; (hh | osservazioni e nole, VI, 29. —— Eletto Accademico Nazionale residente. VI, 52 —— Cenni sulla vita e sugli studi di Paolo Savi. VI, 520. - VII 140. —— Relazione intorno ad una Memoria del sig. TAPPARONE- sgoiseo Cameri, che ha per titolo : Zoologia del viaggio intorno al globo della R. Fregata Magenta durante gli anni sagl 1865-68. — Malacologia. - Molluschi, Gasteropodi, Ace- fali e Brachiopodi. VIII, 582. —— Lettura d’una Memoria intitolata : Appunti di Sinonimia sob 0 «botanica; -- Nota 2. - VIII, 581. -—— V. DELPONTE Gio. BATTISTA. HELMHOLTZ (Ermanno) - Eletto Accademico Straniero. "2 PY Ma 1287, E Mii pi ù > ADAM SRai5 39 de Bu ui HOFMANN talia - Eletto Accademico Strani ISSEL (Arturo) - Ostriche del porto di Genova. 10, 583, ; Lettera al signor Cav. Prof. B. GasraLpI. X, 765.” —— V. DE FILIPPI. (a Al i LANINO (Lucrano) - Comunicazione di una Nota intorno alla costiluzione dei terreni adiacenti alla via ferrata da Foggia: a Napoli. IV, 43. it —— Sulla costituzione geologica dei terreni adiacenti alla strada ferrata Foggia-Napoli nel tronco Bovino-Ponte. V, 69. LESSONA (Micugte) - Eletto Accademico Nazionale residente. HI AT3; i — Nola. sul Porcellio Klugii. II, 187. -—— Nota intorno alle ostriche nel porto di Genova. ]II, 357. —— Cenni biografici intorno a Giovanni Van. peR Hoeven. HI, 420. —— Relazione sopra una Memoria del Prof. G. Cinciro: Sui corpuscoli Pacinici. III, 577. —— Osservazioni antiche e recenti relative alle abitudini dei Rondoni (Cypselus Apus). VI, 234. -—. Relazione ‘intorno ad una Memoria di L. BELLARDI, intitolata: I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. VII, 253. ——. Cenni necrologici intorno a Luigi Acassiz. IX, 94. —— Commemorazione di Felice Edoardo Son MENEVILLE. IX, 383. -—— Dell'azione della luce sugli animali. X, 364. Nota intorno alla ipoapofisi della talpa. X, 483. LESSONA (Mricuee) e GHIGLIANI (Virrore) - Sulla resi- stenza vilale delle mosche nel vino. V, 189. LESSONA (MrcneLe) e TAPPARONE-CANEFRI (Cesare) - Nota sulla Macrocheira Kaempferi Ste8., e sopra una nuova specie del genere Dichelapsis. IX, 185. LESSONA - Nota intorno alla riproduzione della Salaman- drina perspicillata. X, 47. Suo ST LEVI (Donaro) - Sulle evolventi allungate od accorciate delle |». linee piane. IV, 576. NIC —— V. DORNA AtessanpRro. dita) LIEBEN (ApoLro) - Di un metodo per iscoprire l’ alovoe me- diante la sua trasformazione in iodoformio. IV, 565. Sull’ioduro di benzile. IV, 584. LUVINI (Grovanni) - Proposta di un nuovo metodo di osser- vazione delle Stelle cadenti. N.S., 92 —— Presentazione di una Memoria inlitolata: Di una bilancia che può servire alla misura delle masse del Sole e della Luna, ed alla predizione delle eruzioni vulcaniche N.S., 440. —— Alcune sperienze e considerazioni intorno all'adesione i tra solidi e liquidi. V, 869. —— Intorno ad una creduta ricomposizione del gas tonante. VII, 744: i —— Intorno ad una creduta ricomposizione del gas tonante ; Nota seconda. VIII, 655. -—— Di un nuovo strumento meteorologico-geodetico-astrono- mico, il Dielteroscopio. TX, 389, 729. —— Equazione d' equilibrio di una massa gassosa sotto l’azione della sua elasticità e della forza centrifuga. X, 508. —— Proposta di una sperienza che può risolvere in modo decisivo la questione: « Se l’etere nell'interno dei corpi sia con questi collegato e li segua ne’ loro mo- vimenti totalmente, parzialmente o punto ». X, 517. LYELL (Carto) - Eletto Accademico Straniero. X, 235. MALLET (A.) - Nole sur l’oxygène et sur un nouveau pro- cédé de préparation de ce gaz. II, 239. MANUELLI - Osservazione sulle scintille elettriche. VI, 766. MARCHI (Pierro) - Premiata la sua Memoria sulla Spiroptera obtusa. II, 40. MARCO (Fetice) - Origine del magnetismo de’ Pianeti, e PA loro influenza sul Sole. TII, 308. MATTEUCCI (GCarLo) - Intorno all'osiavnsi ad ila si, di correnti elettriche proprie della Terra. N.S., 52. —— Intorno all’azione spiegata dal Zolfo in polvere sulla forza eleltro-motrice di una pila. N.S., 116. “—— Di una: sostanza terrosa caduila dall’ atmosfera sulla pirocorvetta Etna. N.S., 418. cagato —— Intorno all'istituzione di un servizio mekoralesito n per le probabilità del tempo. N.S., N24, MAZZOLA (Giuseppe) - Nota sul diametro del Sole. VII, 336. —— Effemeridi per l’anno 1873. VIII, 60. —— Determinazione del diametro solare mediante lo studio delle esagerazioni cui vanno soggette le grandezze ‘.apparenti degli astri. VII, 587. i JOM -—— Effemeridi per l’anno 1874. IX, 290. i —— Effemeridi per l’anno 1875. X, 636. TOM MAYER (Giutio Ruserto) - Eletto Accademico Straniero. 11I, 4173. 1) 40 —— Comunicazione di un brano di lettera. V,. 90, MENABREA (Conte Lurci FeDERIGO) - Lettura d'una Memoria intitolata: Principe genéral pour déterminer les pressions et les tensions dans un système élastique. N.S.; 137., Presentazione dell’opera: Principes de Thermodynamique del Conte Paolo di ST-RoBERT. I, 25. Luigi Lagrange. II, 540. I AAZKIDAR Sul principio d'elasticità : dilucidazioni, V, 685. Lettera a S. E. il Presidente dell’Accademia. VII, 198, Correzione da introdursi in una sua Memoria stampata nel vol. XXV delle Memorie accademiche. X, 45. MOLESCHOTT (Iacopo) - Sunto di una Memoria sal'omprigi logia, del pulcino. I, 134. —— Sulla forma dell’ arresto del cuore in seguito alla:so- 3; ans Wraeccilazione del nervo pneumogastrico: I, 342, —— Relazione sulla Memoria inviata al concorso sul tema di Zooltomia ed Embriologia. 11, 34. — Commemorazione di F. De Ficippi. Il, 434, i è ESS MOLESCHOTT (lxcopo) - Annunzio della dedica di un'opera -_’ al Prof. De Fruppr. II, 4173. —— Tentativi per imitare in grande i movimenti dei confuso del sangue nei più minuti vasi sanguigni. ]II, 365. = Sull’elettrotono primario e secondario dei nervi. V, 466. ._—— Cenno necrologico sul Dott. Cerise. V, 192. —— Sugli effetti emodinamici della recisione dei nervi pneu- mogastrici. VII, 692. Azione del cervelletto, relativamente alla locomozione degli animali. X, 635. -—— Sull’azione della bile e di alcuni suoi componenti nei peptoni. X, 919. MOLESCHOTT (lacoro) e FUBINI (Simone) - Sulla condrina. VII, 269. MONTAGNA (Crescenzio) - Lettera al sig. Comm. Angelo ‘ Sismonpa. I, 34. MORIGGIA (ALipRrAnDO) - Descrizione di un’ escrescenza cor- nea sviluppatasi sulla mano di una donna. I, 449. MORIS (Gruseppe Gracinto) confermato Vice-Presidente del- l'Accademia. III, 95. E ORSONI (Francesco) - V. SOBRERO. PAGANINI (5. Nicorò 1.) - Numeri amicabili da lui trovati. I3eg8 In PAGLIANI (Luci) - Ricerche sulla funzione fisiologica dei gangli nervosi del cuore. IX, 45. PALEOCAPA (Prerro) - Eletto Accademico Nazionale resi- dente. II, 139. PERAZZI (Costantino) - Lettera al sig. Commend. Angelo —Sriswonpa intorno ai giacimenti cupriferi nella Pro- vincia di Nizza (tra il Varo e la Tinea). N.S., 13 PULCIANO - Lettera al Cav. Alessandro Dorna. IX, 93 RAMORINO (Grovanxi) - Comunicazione di due lettere in- torno alle esplorazioni intraprese nella Liguria per rintracciarvi le grotte ossifere. N.S., 145. -—— V. GASTALDI BarroLomeo. , A Mit pre Ary È n FaA Leg ERO [api preti TERI STLINI FI NCAS i USE pero, —— Della porcellana magnesiaca di Vinovo. II, 221. —— Preparazione dei legnami col residuo bituminoso del petrolio d'America. Il, 649. | “—— Preparazione dei legnami col bitume residuo della raf- finazione del petrolio. HI, 411. —— Relazione sulla Memoria del Prof. CanLevalIS, intito- lata: Nuovo pr ocedimento di clorometria. III, 57À. —— Nola intorno ad un nuovo combustibile fossile italiano analizzato dal Prof. Valerico Caupa. IV, 638. È SOBRERO (Ascanio) - Presentazione di un riassunto di analisi di minerali italiani, eseguite dal Prof. Valerico CAupA. IV 107, I -— Sunto di una Memoria del Professore Attilio CENEDELLA sulla macchiatura dei bozzoli ed il mezzo d’impedirla. Col V, 282. i e —— Alcuni appunti riguardanti la Nitroglicerina, la Nitro- = “mannile e la Cellulosa nitrica. V, 665. —— Eletto Segretario perpetuo della Classe. V, 685. —— Analisi delle Calamine. VI, 429. c 0 —— Della cagione della malattia del baco da seta. VI, 435. |——— Notizia biografica di Eugenio Srswonpa. VI, 327. Esame della foglia del gelso; parte prima. VI, 483. ——— Della conservazione dei legnami col mezzo del bitume, residuo della raffinazione del petrolio. VI, 494. —— Presentazione di due comunicazioni del sig. Francesco E * Orsoni. VII, 661. ue _ —— Di un caso speciale di fermentazione alcoolica. IX, 635. "300 SOMMEILLER (Germano) - Eletto Accademico Nazionale fee da residente. VI, 521. “o SPEZIA (Giorio) - Scandagli del lago di Mergozzo (tav. HI (8 | e IV). III, 372. da ._—— Lettera al sig. Prof. B. Gasrapi. II, 386. _—— Nota sopra un Calcifiro della zona delle pietre verdi. X, 19. STRUVER (Grovanni) - Minerali dei graniti di Baveno e di Montorfano. I, 395. —— Cenni su alcuni minerali italiani. III, 123. —— Sulla Sellaite, nuovo minerale di fluorio. IV, 35. Su una nuova legge di geminazione dell’Anortite. IV. 38. LI —— Note mineralogiche. VI, 358. e —— Sodalite pseudomorfa di Nefelina del monte Somma. ARCA VII, 329. Mes. —— Studi cristallografici intorno all’ Ewratite di Traversella. Pi VIE. 377. È: = Mi ? RR ®, È, , & 4 » n DI ie) ‘SetaiveR (Giova) - Sulla peridotite di Bald disse EX monte. IX, 763. — V. SELLA Quintino. _ _ TAPPARONE-CANEFRI (Avv. Crsant); V. GRAS Aucu —— V. LESSONA Mrcnete. o emoisd TESSARI (Domenico) - Sopra la descrizione geometrica ci ingranaggi ad assi con concorrenti. VI, ‘143. è TISSOT (E.) - Lettura di una Memoria intitolata: | Étude géologique de l'isthme de Suez dans ses rapports avec l’exécution des travauc du canal maritime. N.S., ero. | foi ictcitictnsit 123, 127. Us UZIELLI (Gustavo) - Risoluzione analitica dei problemi della Cristallografia. II, 346. î VOGT (Carto) - Lettera sopra alcuni cranii antichi. DEVI ZUCCHETTI (FerpinanDo) - Integrali simmetrici. IV, 333. —— Sulla costruzione dei denti delle ruote dentate per mezzo di evolventi di circolo. IV, 342. —— Presentazione di una macchina. IV, 346. -—— Nota relativa ad un giunto per la trasmissione del mo- vimento fra due assi concorrenti. VII, 904. fa qua —— dea i iu “orodeio 16%] INDICE GENERALE” 1 i a DELLE: Materie contenute nei Tomi. Tra x T ri no ila | della parte Fisico-NMatematiea È degli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino 3 LA [ai n infaidi ANATOMIA ep EMBRIOLOGIA. - Intorno ad un carattere anatomico tratto dallo studio del cranio delle scimmie | dell’antico e del nuovo mondo. De FiuipPi Filippo. NS., 36. —— Sunto di una Memoria sull’embriologia del pulcino. Mo- toi LescHoTT Iacopo. I, 134. - —— Relazione sulla Memoria inviata al concorso sul tema di Zootomia ed Embriologia. MorescHorT Iacopo. II, 34. -—— Memoria premiata sulla Spiroptera obtusa. MarcHi Pietro. II, 40. -—— Relazione sopra una Memoria del Professore G. Craccro sui Corpuscoli Pacinici. Lessona Michele. III, 577. —— Lettura della Memoria del signor Craccro G. sui Cor- puscoli Pacinici. Ili, 590. —— Della migliore preparazione dei tubetti della lente cri- stallina, e della loro origine. MoricGia Aliprando. VANTO —— Contributo allo studio della lente cristallina. FuBINI Si- mone. VIII, 243. —— Nota intorno alla ipoapofisi della talpa. Lessona Michele. X, 483, EA si 4 da ‘ln "< 72 EZIO ARTE MILITARE. - Lettura di una Memoria intitolata : îe- cherche, à l'état actuel de l’industrie mélallurgique, de la plus puissante artillerie, et du plus formidable vaisseau cuirassé, d'après les lois de la mécanique et des résultats de l’expérience. Cavatri Giovanni. N.S., 87, 88, 99. — Sunto di una Memoria intorno alle cagioni che deter- minano la rottura de' grossi cannoni. (CAVALLI Gio- vanni. I, 516. —— Sunto del Supplemento alla teoria dell'urto dei proietti di artiglieria. Cavarci Giovanni. MI, 174. —— Cenno sull’ottenuta polvere da guerra inoffensiva per le bocche a fuoco, tanto più necessaria dopo la loro rigatura. Cavacci Giovanni. V, 276. i ASTRONOMIA e METEOROLOGIA. - Proposta di tn nuovo metodo di osservazione delle Stelle cadenti. Luvwini Giovanni. N.S., 92. —— Sul.vero -ieiioola di una terzina di DANTE. - Conte Paolo di S'-RoBERT. I, 588. -— Osservazioni delle Stelle cadenti del periodo di novem- bre, fatte in Piemonte nel 186%, Denza Francesco. “Sn I1I, 95. The -—— Nota intorno all'apparizione di un bolide iridescente. e; Govi Gilberto. IK, 515. AS% —— Lettera intorno ad una pioggia terrosa: cadula in Ge- ©. LORA nova. Boccarpo Gerolamo. V, 459. LOVE % —— Sull’importanza scientifica di Soperga e della Sacra di ‘ci San Michele per l'Osservatorio di Torino, e sulle E loro rispettive differenze di livello. Dorna Alessandro, “Ar V, 463. "I —— Observation de l'essaim d’Étoiles filantes; du période | du 12 au 14 novembre 1869 (stamp. nel Bollettino meteorologico ed astronomico, anno IV, A869). -—— Aurora polare osservata in Piemonte nel 5 aprile 1870. Denza P. Francesco. V, 743. —— Introduzione di un lavoro intitolato: Catalogo delle 634 | ie fate visiti JOS latita) vi dn 45°, colle coordinate delle loro posizioni medie per l’anno 1880: ed Atlante di A2 carte contenenti le delle Stelle protet- tate slereograficamente sull’orizzonte di 2 in 2 ore side- rali, coi circoli e paralleli di declinazione di 10 in A0 acini Dorna Alessandro. V, 748. ‘ASTRONOMIA € METEOROLOGIA. - Descrizione degli stru- menti di precisione adoperati nel R. Osservatorio astronomico di Torino per l’esalta determinazione del tempo. Dorna Alessandro. V, 886. —_. Presentazione di una Nota intorno alle Leoneidi e Per- seidi osservate nel 1870. Dorna Alessandro. VI, 57. — Lettura d'un lavoro sulle Osservazioni MRO ‘del R. Osservatorio astronomico di Torino e sulle ‘altezze barometriche risultanti dalle indicazioni del barografo. Dorna Alessandro. VI, 59. ‘22 Presentazione di lavori del R. Osservatorio astronomico di Torino. Dorna Alessandro. VII, 336 - VII, 59, 83, 587 - IX, 93, 290, 615 - X, 772, 805, 1038. “ —— Nola intorno al diametro del Sole. Mizzi G. VII, 336. —— Intorno all’aurora boreale del 4 febbraio 1872. Dorna Alessandro. VII, 501. —— Sulle Carte celesti della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Dorna Alessandro. VII, 737. ie rane alla priorità delle scoperte ed a qualche osser- vazione di aurore boreali e di perturbazioni magne- tiche, in riguardo alle supposte vicendevoli azioni ‘ elettro-magnetiche del Sole e dei Pianeti. - Stelle cadenti. - Rondoni. Dorna Alessandro. VII, 799. LL Sul significato della così detta Origine cosmica delle w aurore boreali. Govi Gilberto. VII, 806. n Ta Effemeridi per l’anno 1873. Mazzora Giuseppe. VIII, 60. ‘—— Determinazione del diametro solare mediante lo studio delle esagerazioni: cui vanno soggette le grandezze apparenti degli astri. Mazzora Giuseppe. VII. 587, patenti da e 23% è VS ca ; =. n ui, Mlaidi or. e n VOR, pi i (e oe Lar] ARCI gu ASTRONOMIA E METEOROLOGIA. - Efemeridi per “—— 4874. MazzoLa Giuseppe. 1X, 291. pz. —— Di un nuovo strumento meleoiote siga Gare mico, il Dieteroscopio. Luvimi Giovanni. IX, 389, 730. en —— Effemeridi per l’anno 1875. Mazzora Giuseppe. X, 636. uc, ATTI ACCADEMICI. - Lettura della Norizia Sonica dei la- | vori della Classe di Scienze fisiche e matematiche per l’anno 1862. Sosrero Ascanio. NS., 55,,60. —— Programmi di concorso. I, 17. — _ Filezioni - N.S., 53, 66, 146. - I, 43, 134. - Il, 139. - INI, 95, 173. - V, 163, 187, 287, 685. - VI, 52, 155, 524. - VIII, 96, 742. - IX, 80. - X, 235, 1038. —— Adunanza generale del 15 giugno 1867. II, 535. -—— Adunanza delle due Classi per l'inaugurazione del mo- numento del Barone Giovanni Prana. VI, 15. —— Conferimento del premio accademico al Sig. Dott. Pietro i Marcui. II, 40. ssd k —— Lettera del signor Presidente dell’ Accademia al Mi- ee. |. nistro dell'Istruzione Pubblica, relativamente ai la- < PER “—°’‘vori trasmessi all'Accademia come concorrenti ad un n. ‘premio governativo. I, 218. -— Doni fatti all'Accademia. I, 93, 4187, 273, 365, 44lI, pere > 499, 697. - II, 4114, 244, 335, 423, 474, 527, 673. ie © = HI, 79, 163, 254, 351, 507, 565, 635, 7431- IV. 139, 255, 389, 557, 631, 723, 803.- V, 454, 265, 385, 449, 655, 834, 1053. - VI, 104,179, 257, 319, 407, 477, 569. - VII, 217, 319, 465, 553, 644, 734, 944, - VIII, 143, 229, 345, 413, 573,904. - IG. ‘AA (71, 367, 535, 721, 963. - X, 1073. - —— Relazioni - V. nella N.S. e negli Atti: De FiuiePr, Co- DAZZA, DeLPONTE, GastALDI, GeNOCCHI, Govi, Gras, Lessona, MocLescnHort , RicneLmy, Conte Paolo di ST-RoBERT, SELLA, SALVADORI, SOBRERO. 3 -—— Discorso pronunziato all’ apertura dell’ adunanza della Classe. ScLopis S. E. Conte Federigo - VII 17. dla “è PI Più ee” rità. LA Siag 0) rw + wé cari ACCADEMICI. - Parole di Aalto al Presi- " dente. Copazza Giovanni. VIII, 17. BIBLIOGRAFIA E CRITICA. - Comunicazione intorno all’au- - tenticità di alcuni documenti posseduti dal signor Cnastes. - Govr. III, 121. —— Vorma e il telegrafo elettrico; Ricerche storiche. Govi Gilberto. III, 425. -—— lNotizia relativa alla pubblicazione d'una Lettera di La- grange al Conte Fagnano. GenoccHi Angelo. IV, 397. —— Romacnosi e l’elettro-magnetismo. Govi Gilberto. IV, 426. —— Intorno a certi manoscritti apocrifi di GALILEO. - Govi Gilberto. V, 127. —— Comunicazione di un lavoro intorno all’inventore del livello a bolla d’aria. Govi Gilberto. V, 747. —— Dialcuni scritti attribuiti ad Agostino CaucHy.- GENOCCHI ‘Angelo. V, 881. -—— Sur la date d’un Travail inédit de MeusnIer relalif à “ — équilibre des Machines agrostatique, et sur celle de l’Extrait que Moxce en a laissé, et que l’Aca- démie des Sciences de Paris vient de publier. Govi Gilberto. VI, 2 —— Lettura di una Memoria Sul primo inventore del compasso di proporzione. Govi Gilberto. VI, 381. —— Histoire des Sciences. — Sur l'invention de quelques éta- lons naturels de mesure. Govi Gilberto. VII, 115. —— Comunicazione d’una lettera di Luigi LAacrRANGE.-ScLOPIS S. E. Conte Federigo. VII, 428. —— I S. Offizio, Copernico e GaLiLeo, a proposito di un opuscolo postumo del P. OLivieRI sullo stesso argo- mento. Govi Gilberto. VII, 565, 808. —— Di una controversia intorno alla serie del LAGRANGE. - GenoccHi Angelo. VIII, 18. x gg munita gie di una lettera inedita del Principe Leo- | poldo pe'Mepicr al P. G. B. Riccroti. - Govi Gilberto. | VINI, 194. 4 5 > di ay É \ 4 (BIBLIOGRAFIA © RAEE: : ad ad’ dp «e Lagrange. — Genoccm. Angelo. IX, ‘746, ; SEU —— Sulla versione italiana della Cron descrittiva del FiepLER, falta dai signori SAYNO e PADOVA: - Bruno %, Giuseppe X, 252. pi Ca BIOGRAFIA ep ANNUNZI NECROLOGICI. - Lettarà della So È . biografia del Barone Giovanni PLana.- EOS 5: E. Ml - Conte Federigo. N.S., 3. pes Ala -—— Annunzio della morte del Marchese Lorenzo PET: «E N.S., 146. Ra pe: dr —— Luigi LAGRANGE, - L. F. MenapRea. II, 540. «e —— Commemorazione di Filippo De Fiumi. - MotescHoTT i Sona di-2. Tacopo, 1, 434. Bre. “—— Annunzio della morte del Sr C.B. Mosca. - ScLoPIs ei .n S. E. Conte Federigo. III, te "—- Annunzio della morte ni N. TALI - Scropis 8. E. i; 3 ..,,,- Conte Federigo. II, i “—— Annunzio della morte Sh Generale Polia ScLOPIS SAS sir S. E. Conte Federigo. III, 123. i SIG —— Aonunzio della morte di Davide Brewser.-ScLopIs SE. be; fa. Conte Federigo. III, 297. se —— Notizie biografiche intorno al Comm. Carlo Bernardo fo Mosca - RicneLmy Prospero. III, 390. - —— Cenni biografici intorno a Giovanni Van peù HoEven. bs. i - Lessona Michele. II, 420. E — —— Notizie della vita di Carlo Martevcc. - Scroris S. E. TR . Conte Federigo. IV, 17.10 30 rs Nolice biographigue sur Sapi Carnor. - Conte Paolo di, sn aa te; St-RoperT. IV, 154. a — — Annunzio della morle del Cav. P. Parocapa\ -' Sctòris est» ._S. E. Conte Federigo. IV, 397. dl rr Notizie della vita di Pietro Pareocapa. - Scuoprs S. E. & RIO Conle Federigo. IV, 400. FSE =.= Annunzio della morte dei Professori G. Giuseppe Moris i i ed Antonio BertoLoNI. - ScLoprs S. E. Conte Fede- rigo. IV, 574. - pioGnaPia. ED ANNUNZI NECROLOGICI. - paga e i PRI TN morte del Socio Comm. Gianlorenzo Cantù. - ScLopis Miei ci. ib avavd,. E Conte Federigo. V, 90. . i Di Carlo Ignazio GruLio; Commemorazione. - RicneLMY Prospero. V, 9. ——— Cenno necrologico intorno al Dottore Cerise. - Mote- LV scHoTT Iacopo. V, 192. —— Annunzio della morte del Comm. Eugenio Srsmonpa. - i ScLopis S. E. Conte Federigo. V, 683. —— Annunzio della morte del Comm. Paolo Savt. - ScLoPIs S. E. Conte Federigo. VI, 327. Notizia biografica di Eugenio Srswonpa. - SoBRERO Asca- nio. VI, 327. 7 Amnunzio della morte di Giovanni HerscnEL. - ScLoPIS S. E. Conte Federigo. VI, 483. ——— Cenni sulla vita e sugli studi di Paolo Savi. - Gras A. VII, 140. —— Cenni necrologici su Edoardo Larter. - Gasratpi B. VII, 476. o ‘—— Cenni biografici intorno a Luigi Acassiz. - LESssoNa Michele. IX, 94% a —_— Commemorazione di Felice Edoardo GuériN MENEVILLE. - Lessona Michele. IX, 383. —— Annunzio della morte del Cav. Augusto Gras. - Rr- cueLmy Prospero. IX, 729. 1 Commemorazione del Cav. Augusto Gras. - ScLopis Sa S. E. Conte Federigo. IX, 743. 5 1 —— Commemorazione di Carlo LyeLr. - ScLopis S. E. Conte Federigo. X, 526. BOTANICA. - Sulla Sazifraga florulenta MorETTI. - Conte Paolo di S°-Rosert. I, 203. k ° —— Leltura di una Memoria intitolata: Un ricordo OE Puri» del Professore F. De Ficiprr.- DeLronte G. B. IV,399. .——— Lettura di una Memoria sulle Desmidiacee del lago di Candia in Piemonte. Deponte G. B. IV, 643, 644, Pn - ST TANT] ni : SUSA PNDCORI si i - Relazione flutti ad una ia Meg del Profe .s80 i Augusto Gras, intitolata: Le Ranunculacee del Piemonte. E. “— - Decrponte G. B. V, 284. SS —— Tavola sinoltica delle Ranunculacee del ‘Piemonte. e Gras Augusto. V, 286. __ Pie sifiiatone di due lavori intitolati: Ranunculaceae #5 pedemontanae ; revisio specierum ecc., e Le Ranuncu-_ lacee della Flora pedemontana, ind ecc. DELPONTE G. B. e Gras Augusto. V, 287. —— Appunti di Sinonimia botanica. Gras A. V, 889. o 1 —— Sulla Flora Carniolica di Giovanni Anlonio ScopoLi; SR Osservazioni e note. Gras A. VI, 29. 0 i —— Lettura di una Memoria intitolata: Appunti dî Sinonimia 1 - botanica. Gras A. VIII, 581. ME, CHIMICA. - Sunto di una Memoria intitolata: Determinazione. s volumetrica dello zinco. GaLLetTI Maurizio. N.S., 27. feta —— Presentazione di alcune fotografie di oggetti microsco- pici, eseguite secondo il metodo proposto dal Comm. 86 Cartevaris. - GastaLpi Bartolomeo. II, 440, 20 Bio; —— Intorno all’idraulicità della Gioberlile. SoBrERO Ascanio. e. netto, #63 - ‘I 114. Men. —— Della porcellana magnesiaca di Vinovo. SosRERO Ascanio. A :D 6941], 221. i —— Nole sur l’oxygène et sur un nouveau procédé de pré- SP paration de ce gaz. Marce A. II, 239. —— Preparazione dei legnami col residuo bituminoso del pe- _ trolio d'America. Sosrero Ascanio. Il, 649. - II, 411. —— Relazione sulla Memoria del Professore Prospero Car- LEVARIS, intitolata: Nuovo procedimento di clorometria. Sosrero Ascanio. HI, 571. VISTI Nuovo procedimento di clorometria. CarLEvARIS Pro- 3 spero. II, 573. —— Ricerche di chimica mineralogica. Cossa Alfonso. IV,487. — Di un metodo per scoprire l’alcoole mediante la sua trasformazione in iodoformio. Liesen Adolfo. IV, 565. a dra ravioli "enna - Sull'ioduro di RARE ORTO Adolfo. Iv 584. —— ‘Analisi di un nuovo combustibile fossile italiano. Caupa Valerico. IV, 638. —— Sulla determinazione delle formole Delio i di alcuni carbonali romboedrici misti. Cossa Alfonso. IV, 768. —— Alcuni appunti riguardanti la Nitroglicerina, la Nitro- mannite e la Cellulosa nitrica. SosreRo Ascanio. V, 665. | —— Sull’idrozincite di Auronzo. Cossa Alfonso. VI,.189. [4 —— Analisi delle calamine. SosreRo Ascanio. VI, 429. — Conservazione dei legnami col mezzo del bitume resi- duo della raffinazione del petrolio. Sobrero Ascanio. VI, 494. —— Sulla condrina. Morescnort Iacopo e FusinI Simone. VII, ‘mr 269. —— Sulla formazione del solfuro d’idrogeno. Cossa Alfonso. VII, 295. —— Sulla cloropicrina. Cossa Alfonso. VII, 591. —— Intorno ad una creduta ricomposizione di gas lonante. Luvini Giovanni. VII, 744. - VII, 655 — Sulla presenza di sostanza condrogena nella cornea di varie specie di animali. Fusini Simone. IX, 84. -—— Sulla scomposizione della clorofilla, prodotta dalla luce del magnesio. Cossa Alfonso. IX, 100. i —— Comunicazione intorno alla germinazione dei semi nell protossido d'azoto. CossA Alfonso. IX, 195. —— Di un caso speciale di fermentazione alcoolica. So- © © BRERO Ascanio. IX, 635. CHIMICA AGRARIA. - Sunto di una Memoria intitolata: Della cagione della malattia della vite e de’ mezzi per debel- 4 larla. SosreRo Ascanio, N.S., 99. dia —— Sunto di una Memoria del Peolemnre Attilio CeNEDELLA — «sulla macchiatura dei bozzoli ed il mezzo d'impe- dirla. SosrERO Ascanio. V, 288. . Fà tt 4% rica } x ni - y o » dl a % x i db da GRA 1118 po {Tote 19,0 n da sela. Sosrero Ascanio. VI, 435. -—— Sulla composizione delle barbabietole da zucchero, € esa- minate in differenti periodi del loro sviluppo. Cossa Alfonso. VII, 131. re —— Sulla formazione dell’asparagina nelle veccie. Cossa Al- br fonso. VII, 265. ——- Sulla storia dello zucchero. Cossa Alfonso. VII, 561. —— Sulla composizione del mosto dell’uva in’ diversi pe- riodi della sua maturazione. Cossa Alfonso. X, 56. FISICA. - Presentazione di una Memoria intitolata : Dell'e- quilibrio di un solido appoggiato in una estremità, in- castrato nell'altra, e caricato da nm pesi. CIPOLLETTA Domenico. N.S., 23 fi —— Relazione intorno al metodo del Professore Gorini per LA la conservazione delle sostanze animali e special- us. mente dei cadaveri umani. De Ficiepi Filippo. N.S., bi 61, 76. Cod —— Di un nuovo termometro a gaz a cor e minima, de e registratore. Govi Gilberto. N.S., Me - .— Intorno all’azione assorbente che i Dr diafani co-. sa si lorati esercitano sui rag a dello spettro luminoso. Mer Govi Gilberto. N.S., : bi. ..__- Gli specchi magici dei DE Govi Gilberto. N.S., 67. byi> -——- Presentazione di un Catetometro. Govi Gilberto. N. S. 15: De, è -—— Livello del viaggiatore. Govi Gilberto. N.S., 86. SA -— Nuovo metodo sperimentale atto a dimostrare i feno- DI ae meni dell’induzione elettrica. Govi Gilberto. N.S., fs . A 110. a -—— Sull’importanza delle larghe aperture nei microscopi. ec Govi Gilberto. N.S., 124. MR —— Esame microscopico ii una polvere cadula in Tunisi e: l il 16 marzo 1865. Govi Gilberto. N.S., 144. È A È, ——- Presentazione di una Memoria intitolata: Di una bilancia Eh: s9 CHIMICA AGRARIA. - Delle cagioni ina? ipo E i PRA — Esame della foglia del gelso. Sosrero Ascanio. VI, 483. e. n X naar Ly che, può servire alla misura delle. masso. del ad CACAO della Luna, ed alla predizione delle eruzioni dita. «oa - Luvini Giovanni. N.S., 140. s FISICA. - Intorno all'esistenza A alla direzione di correnti elet- pet 0 triche proprie della terra. Matteucci Carlo. NS. 52. —— Intorno all’azione spiegata dal zolfo in polvere sulla forza elettro-motrice di una pila. a Carlo. > N.S., A46 toa —— Di una sostanza terrosa caduta dall'atmosfera sulla = -- pirocorvetta Etna. Matteucci Carlo. N.S., 118. Intorno all'istituzione di un servizio meteorologico per ur le probabilità del tempo. Matteucci Carlo. N.S., 4121. è —— Lettura di una Memoria intitolata: Principe général pour 3 | déterminer les pressions et les tensions dans un système AE élastique. L. F. Menaprea. N.S., 137. “00h «Invio del disegno di un sismometro. RawsreDT Carlo. fer i sg N Bo ho: —— Sunto della descrizione di una macchina ad aria calda a calore rigenerato; di Carlo Resto: e lettura di un parere intorno alla medesima del Professore Prospero RicneLmy. N.S., 7, 8. i rr Teorema di elettricita statica. Berti Enrico. I, 24. tal —— Presentazione di un nuovo apparecchio barometrico. È Fai di Bruno Francesco. I, 342. 73 Rc .__— Relazione intorno ad una Memoria del Professore Tom- È maso DeL Beccaro, intitolata: Teoria Ac (E ottici (parle prima). Genoccni Angelo. I, _——— Ricerche d’Elettrostalica. Govi Gilberto. I. 206; Q9A1, _— Metodo per determinare la lunghezza del pendolo. Govi oi Gilberto. I, 505. "SL 008 .—_— Presentazione d’uno strumento calcolatore degli inter- 2A valli nelle scale musicali. Govi Gilberto. I, 587. —— Presentazione dell’opera: Principes de Thermodynamique del Conte Paolo di ST-RoBert - L. F. MenaBREA.T, 25. 7 Relazione intorno ad un nuovo apparecchio barome- #VTJ ùu (oo dit dal sig. Cav. n Fab DI Passo. - RicneLmy Prospero. I, 394. FISICA. - Intorno alla formola barometrica ed alla rifrazione atmosferica. Conte Paolo di ST-Rosert. I, 193. —— Résultats d’expériences faites à diverses hauteurs tou- chant la durée de combustion de la matière de la poudre. Conte Paolo di S"-Rosert. I, 405. —— Aggiunta alla Memoria del Prof. Gilberto Govi sul me- todo per determinare la lunghezza del pendolo. Conte Paolo di ST-Roserr. I, 513. i —— Esposizione verbale intorno allà distribuzione della elet- tricità nell’Elettroforo. Govi Gilberto, Il, 30. —— Sunto di una Memoria intitolata : Sulle anomalie che. presenta il caoutchouc vulcanizzato rispetto al calore. Govi Gilberto. H, 225. —— Nuove esperienze sugli specchi magici dei Gipesi. Govi. Gilberto. II, 357. -—— Nuove ricerche sulla gomma elastica vulcanizzata. Govi Gilberto. II, 455, 456. —— Presentazione di un prisma variabile solido. Govi Gil- berto. II, 457. i -—— Dimostrazione di una formola psicrometrica approssi- maliva. Govi Gilberto. II, 484. pz! -—— Nota intorno al primo scopritore della pressione atmo- | sferica. Govi Gilberto. Il, 362. : —— Table hypsométrique pour délerminer rapidement, sur o place, la difference de niveau de deux stations, et pour réduire les indicalions du baromètre , dans une station, à ce qu’elles seraient dans une autre. Conte Paolo di ST-Rosert. II, 43. -—— Lettura di una Memoria intitolata: Nouvelles tables hypsometriques. Conte Paolo di S"-Rosert. II, 483. —— Tableau graphique donnant à vue l’altitude d'une stalion au moyen de la seule observation du baro- mètre et du thermomètre à cette station. Conte Paolo di ST-RoBerT. III, 20. piso “Des situati n Hassan tei do les corps solides de forme prismatique par une ‘raction ———’longitudinale. Conte Paolo di S-Rosenr. III, 201. —— Nuova Camera lucida. Govi Gilberto. III, 220. —— Relazione intorno allo scritto del Prof. Marco intitolato: Origine del magnetismo de’ Pianeti, e loro influenza sul — Sole. Copazza Giovanni. III, 297. — Origine del magnetismo dei Pianeti, e loro influenza dI — —’— sul Sole. Marco Felice. III, 308. + -—— Relazione sopra una Memoria del Professore Giorgio “CD ._— Foscoto, intitolata: Descrizione ed uso del declinatore orario. Conte Paolo di ST-Rosert. IV, 331. i — Lettura di una Memoria intitolata: Sull'uso delle for- ca mole di Fresnel nel calcolare l'intensità della luce ri- flessa e trasmessa dalle lamine di vetro. Govi Gilberto. IV, 348. —— Anomalie del Caoutchouc vulcanizzato rispetto al calore. n Govi Gilberto. IV, 571. . —— Sulle macchine dinamo-magneto-elettriche. Copazza Gio- vanni. IV, 729. —— Osservazione sulle scintille elettriche. ManveLLi. IV. 766. —— Nuovo manometro. Govi Gilberto. IV, 767.00 Ce qu'un courant d’air continu peut causer sur une substance; i ‘ Pièce de lettre de M. Jules Robert Mayer. V, 90. —— Intorno a un congegno per dimostrare vari fenomeni i di meccanica molecolare. Govi Gilberto. V, 193. È —— Dell’attrito a distanza. Govi Gilberto. V, 199. fa. — Relazione intorno ad una Memoria del Professore Giu: * 0 seppe Basso, intitolata: Sulla deviazione massima del- “e lago calamitato sotto l'azione della corrente elettrica. SRI Copazza Giovanni. V, 288. IRPIETE x —— Sunto della Memoria sovraccennata del Prof. ipseppe, >> SAS Basso. V, 289. (6 —— Nuovo barometro a mercurio. Faà DI Bruno Francesco. V, 393. 73 Vite, a» Don 83 FISICA, - - Di un nuovo metodo per ottenere le Haag ni _T__—_ sibili. Govi Gilberto. V, 396.00, 10: aa ‘Sulla formola barometrica del Conte Paola di ST-RoBERT. - Dorna Alessandro. V, 404... ..L sare — Tavola logipsometrica. Dorna Alessandro. V, bi2. Nota sulla sensibilità acustica dei getti gassosi freddi. Govi Gilberto. V, 475. illa. Sul principio d’elasticità; Dilucidazioni e documenti annessi. L. F. MenaBrEA. V, 685. $i allciai Alcune esperienze e considerazioni intorno all’adesione tra solidi e liquidi. Luvini Giovanni. V, 869. Descrizione d'una Macchina filglbrione Scarrini. Giu- seppe. VI, 52. Determinazione della velocità del suono nell aria per mezzo d’un’eco polifona. Basso Giuseppe. VI, 52. Lettura di un lavoro intorno all’apparente ‘attrazione delle ombre dei corpi. Govr Gilberto. VI, 57. Relazione sopra una Memoria del signor Professore Giuseppe Basso, intitolata: Nuova bussola reometrica. Copazza Giovanni. VI, 120. q, Nuova bussola reometrica. Basso Giuseppe. VI, 120. Correzione dei coefficienti nella formola per calcolare le dilatazioni assolute del mercurio. Govi Gilb. VI, 122. Revisione delle cifre del RegnauLT. - Govw Gilberto. VI, 193. THE A Lie Sur l’état électrique dans l’intérieur des bons et des mauvais conducteurs électrisés. Govi Gilberto. VI, 265. Lettura di una Memoria intorno alle dispersioni anormali operate dalle materie coloranti a riflesso metallico. Govi Gilberto. VI, 271. Ù Sunto di una Memoria inlitolata: Trasmissione pneu- matica della forza ad un veicolo stantuffo, senza varia- zione dell'aria circolante. Copazza Giovanni. VI, 274. Intorno alla dispersione anormale e ai fòchi cromatici delle lastre e dei prismi. Govi Gilberto. VII, 362. TIRA VERE Ao E ROL. | FISICA. - Metodo oltico per misurare le grossezze minime. Govi Gilberto. VIII, 83. -—— Di alcune nuove Camere lucide. Govi Gilberto VIII, 253. —— Pirometro ad aria con manometro ad aria compressa, Copazza Giovanni. VII, 351. —— Intorno alla misura delle altezze col barometro: Studi storici. I. Geminiano MonrANARI (1671). - Govi Gil- berto. VIII, 260. 361. —— Di un apparecchio per la determinazione sperimentale NE: delle costanti degli anemometri. CAvALLERO Agostino. i. i VIII, 663. v. —— Sulla misura della densità e della impurità dell’aria locale. CavaLLi Giovanni. IX, 19. —— Rettificazione di formole. Dorna Alessandro. IX, 104. .—— Esperimenti sul vetro temprato. Corioni Giovanni. X, 365. 3 —— Equazione d’equilibrio d'una massa gassosa sotto l’azione della sua elasticità e della forza centrifuga. Luvini Giovanni. X, 508. —— Proposta di una sperienza che può risolvere in modo vo decisivo la questione: Se l'etere nell'interno dei corpi wa sia con questi collegato e li segua nei loro movimenti è totalmente, parzialmente o punto. Luvini Giovanni. fs " ME R/o81 7: Mi FISICA TERRESTRE. - Relazione di un’ascensione sul De- Di mavend. De Fiuippi Filippo. N.S., 112. Mis —— Esplorazione della temperatura delle rocce della galleria ; del Moncenisio. Srswonpa Angelo. VI, 57. —— Altezze sul livello del mare di alcuni punti dell’ alto Piemonte, determinate col barometro. Conte Paolo di ST-Rosert. VI, 272. —— Programma delle osservazioni fisiche che verranno ese- ho: guite nel traforo del Fréjus dai signori P. Angelo Seccni, Ing. DrawcLa-MiLLer, P. Francesco Denza. . VII, 24. na FISICA "TERRESTRE. - Sulle altitudini. della stra erre delle Alpi. Dorna Alessandro. IX, 90. . vi ee -— Lettera al signor Cav. Alessandro Dorna. s'Poieilho Ing. IX, 93. TESIO FISIOLOGIA. - Presentazione di un lavoro intitolato: Studi sperimentali sulla innervazione del cuore. Ginacca Carlo. i N.S., 36, 43. —— Nota sul così detto sistema nervoso coloniale dei Briozoi. GicLioLi Enrico. I, 134. -—— Sulla forma dell’arresto del cuore in seguito alla so- vraeccitazione del nervo pneumogastrico. MotescHOTT Iacopo. I, 312. n —— Tentativi per imitare in- grande il movimento iù cor- puscoli del sangue nei più minuti vasi sanguigni. Motescnort Iacopo. HI, 365. —— Lettera inlorho gii ed al sonno dei Tritoni. BeLLucci Giuseppe. IV, —— Sulla resistenza vitale delle or nel vino. Lessona mM. i e V. Guiiani. V, 189. 4 —— Sull'elettrotono primario e secondario dei nervi. Mo- LescHOTT Jacopo. V, 166. —— Di alcuni fenomeni in si osservano durante i com- pressione del midollo spinale di rana. FuBINI Simone. VII, 839. Sr —— Sugli effetti emodinamici nella recisione dei nervi pneu- mogastrici. Morescnort Iacopo. VIII, 691. —— Ricerche sulla funzione fisiologica dei ganglii nervosi del cuore. PacLiani Luigi. IX, 45. —— Influenza della luce sul peso degli animali. Fusi Si- mone. X, 30. -— Dell’azione della luce sugli animali. Lessona Michele. X, 361. i —— Azione del cervelleito , relativamente alla locomozione degli animali. Mocescnort Iacopo. X, 635. -—— Sull’azione della bile e di alcuni suoi componenti nei pepioni. Morescnott Iacopo. X, 949. ; = — GEODESIA. - Degli errori azimutali del teodolite. Gossi- i Beccrepi Girolamo. VIII, 435. —— V. ASTRONOMIA e METEOROLOGIA (Luvi). GEOGRAFIA. - Relazione in risposta alle lettere di S. E. il Ministro dell'Istruzione Pubblica, in data 14 novem- vas bre e 24 gennaio p. p., relative a notizie e materiali | e da inviare al Congresso Geografico di Parigi. X, 979. GEOLOGIA. - Presentazione di un lavoro (in via di pubbli- — cazione ) UL, alle roccie dell'Appennino. O. G. Costa. N.S., —— Lettera al sig. ini Angelo Siswonpa intorno ai gia- cimenti cupriferi nella Provincia di Nizza (tra il Varo e la Tinea). Perazzi Costantino. N.S., 13. —— Lettura di una Memoria intitolata: Etude géologique de l’isthme de Suez dans ses rapports avec l’exécution des tra- vaur du canai maritime. — E. Tissor. N.S., 123, 127. — Lettera intorno al traforo del Moncenisio. Direzione del traforo. Î, 24. —— Nuove osservazioni sulla origine dei bacini lacustri. GastaLpi Bartolomeo. I, 398. ——— Lettera al sig. Comm. Angelo Srswonpa. - MonraGNa vi Crescenzio. Î, 34. Her, — Sunto di una Memoria sulle roccie antracitifere delle Alpi. Sisuonpa Angelo. II, 17. —— Scandagli dei laghi del Moncenisio, di Trana, di Avi- “Ta gliana e di Mergozzo (nei Circondari di Susa, di Sa Torino e di Pallanza), con brevi cenni sulla origine 5 ei dei bacini lacustri. GasraLpi Bartolomeo. III, 373. cd —— Lettera al sig. Prof. B. GasrALpI sugli scandagli eseguiti - GI al lago di Mergozzo. Spezia G. II, 386. des — Comunicazione di una Nota intorno alla costituzione dei terreni adiacenti alla via ferrata da Foggia a Napoli. Lanimo Luciano. IV, 43. —— Sulla orografia e sulla geologica costituzione del Gran Cervino. Grorpano Felice. IV, 304. } ” > fida ql vr £ Pepi 1 PES AOP CAEN * CERA NP, i" 1126. i TOR pad a vi Li A GEOLOGIA. - Osservazioni sulla Memade del signor Felice Grorpano intorno alla costituzione geologica del Gran Cervino. Siswonpa Angelo. IV, 840. -—— Osservazioni sulla Memoria del signor Felice Grorpano intorno alla costituzione geologica del Gran Cervino. SeLLa Quintino. IV, 563. —— Lettura della Relazione sui lavori presentati allAcca- demia pel concorso al premio accademico sui terreni solforiferi della Sicilia. SeLLa Quintino. IV, 756. -—— Sulla costituzione geologica dei terreni adiacenti alla strada ferrata Foggia-Napoli nel tronco Bovino-Ponte. Lanino Luciano. V, 69. —— Studi sulle giaciture cuprifere e manganesifere della Liguria e sulle rocce che le racchiudono, seguìti da alcune norme per la loro ricerca, con ragguagli sulla natura ed origine della serpentina e suoi affini. SricnoriLe Giuseppe. VII, 33. -—— Dono di una Memoria che ha per titolo : Studi geolo- gici sulle Alpi occidentali. GastaLpi B. VII, 130. -—— Deux mots sur la géologie des Alpes Cottiennes. GasTALDI B. VII, 662. —— Observalions à l'article de M. Gabriel de MortILLET, Conservateur-Adjoint du Musée archéologique au Chàteau de Saint-Germain-en-Laye, publié dans la Revue Savoisienne sous le titre de Géologie du tunnel de Fréjus, ou percée du Mont-Cenis. Siswonpa Angelo VII, 748. —— Surles glaciers pliocéniques de M. Desor. - GastaLDI B. X, 490. —— Lettera al Cav. Prof. B. Gasratpi. - IsseL Arturo. X, 765. 3 î -—— Osservazioni alla lettera sovraccennata. Gasratpi B. Ro 270: GEOMETRIA. - Relazione sopra una Memoria del Professore Giuseppe Bruno, contenente alcuni teoremi intorno. 0 e ca I «al paraboloide iperbolico, seguìti da una breve Nota .. che tratta d’un’altra specie di conoidi. GeNocCHI Angelo. I, 390. GEOMETRIA. - Dimostrazione di una proprietà dell’elicoide ai —_— sghembo a piano direttore, ed osservazioni sopra una ‘5 proposizione del trattato di Stereotomia di Leroy. - Bruno Giuseppe. II, 601. -—— Intorno ad alcune proprietà dell’elicoide sghembo a Al piano direttore. Bruno Giuseppe. Ill, 194. (> SIE —— Sulle evolventi allungate od accorciate delle linee piane. (Fo Levi Donato. IV, 576. < —— Ricerche sulla linea, luogo dei punti di un iperboloide © +72 sghembo, nei quali i due raggi principali di curva- ‘00 tura della superficie sono eguali in lunghezza fra e loro. Bruno Giuseppe. VI, 133. Sa —— Sulle superficie di egual pendenza. Recis Domenico. > VI, 500. ci —— Generalizzazione e corollari di un noto teorema di SE Geometria. Bruno Giuseppe. VII, 235. N. —— Sui semidiametri condotti dai vertici, o dai punti di ‘08 contatto di una linea poligonale semiregolare inscritta o circoscritta ad una conica. - FoscoLo (Giorgio. VII, 338. —— Sopra una relazione fra il punto in cui s'incontrano \ due tangenti ad un'ellisse, e quello in cui concor- rono le normali a questa linea nei punti di contatto È » alle anzidette tangenti. Bruno Giuseppe. VIII, 90. L ) -—— Un teorema sui punti comuni ad una parabola e ad Mr = una circonferenza. Bruno Giuseppe. VII, 357. “i —— Sul tracciamento delle punteggiate proiettive simili. fr: Sacgeri Giovanni. IX, 76. > IDRAULICA. - Ricerche teoriche e sperimentali sull’efflusso Di ue: dei liquidi dai vasi per mezzo di brevi tubi conici divergenti. RicueLmy Prospero. I, 582. —— Nota intorno agli esperimenti istituiti nello scopo di re, gi ca 3 a 6; Lex & 8 Pi di: bart toh Ma Z gii 8 LI f y Ap & ca 7 y k ud, determinare la portata media del fun Pe a HELMY Prospero. I, 584. CIONI INGIN 3 IDRAULICA. - Di una nuova foggia di chiaviche a luce mo- dulare automobile. RicaeLwy Prospero. III, 643. MATEMATICA. - Sunto di una Memoria intitolata: Sulla for- mazione ed integrazione di alcune equazioni differenziali nella teoria delle funzioni ellittiche. GenoccHI Angelo. N.S., 22. ana —— Nota Rina alla riduzione degli integrali ellittici. Ge- noccni Angelo. N.S., 39.0 —— Sunto d'una Memoria intitolata: Studi intorno ai casi d’in- tegrazione sotto forma finita. Genocc®i Angelo. N.S., 88. —— Numeri amicabili trovati da B. Nicolò I. Paganini. - II, 362. | fica —— Estratto di una Memoria intorno alla risoluzione di alcune equazioni a tre variabili per mezzo di un regolo calcolatore. Conte Paolo di S"-Rosert. II; 454! -—— Di una formola di Letsniz, e di una lettera di LacrANGE al Conte FAGNANO. - GENOCCHI Angelo. IV, 263. —— Intorno ad una dimostrazione di DAviET DE FoNCENEX. - GenoccHi Angelo. IV, 323. pf —— Intorno ad un teorema di calcolo differenziale. GE- noccni Angelo. IV, 327. —— Integrali simmetrici. ZuccHeTTI Ferdinando. IV,333. —— Sunto di una Memoria intitolata: Dimostrazione di una formola di Leibnizio e Lagrange, e d'alcune formole affini. GenoccHi Angelo. IV, 398. ——- Nota sulla media aritmetica nel calcolo di compensa- zione. Dorna Alessandro. IV, 757. —— Nota sulla formola sommatoria. Cuò Felice. V, 753. —— Théorème relatif è la différentiation d'une intégrale définie par rapport è une variable comprise dans la fonction sous le signe /, et dans les limites de l’in- tégrale, étendu au calcul, aux différences, et suivi de quelques applications. Criò Felice. VI, 19%. ; | MATEMATICA. - Intorno ad AE trasformazioni delle ‘equa- zioni differenziali del problema dei tre COPPI. SIACCI Qossi Francesco. VI, 440. | 1 go -—— Troisième Mémoire sur la série de LacranGE. - CHIÒò Bi Félix. VII, 647. is —— Studi intorno ai casi d'integrazione solto forma finita; Memoria II. Genoccni Angelo. VII, 682. i -—— Intorno ad una trasformazione simultanea di due forme quadratiche ed alla conica, rispetto a cui due co- niche date sono polari reciproche. Stacci Francesco. VII, 758. —— Teorema sui determinanti, ed alcune sue applicazioni. Sracci Francesco. VII, 772. i —— Rapport sur l’utilité des Tables de Logarithmes à plus ao de sept décimales, à propos d’un projet publié par SI M. Sano. - Govi Gilberto. VIII, 157. O. MECCANICA e COSTRUZIONI. - Note sur le travail méca- 4 i nique dépensé dans la compression et sur le travail Be; restitué par la détente d’un gaz permanent. Conte di Paolo di S"-Rosert. I, 283. 5 —— Sull’ Odontografo di Wicuis. - RicneLmy Prospero. Il , uG 123. d —— Dianematmometro , ossia strumento per istudiare le bb leggi della distribuzione del vapore nelle macchine "4 aa motrici animate da questo fluido, mediante la valvola ine ‘a cassetto guidata da un eccentrico circolare. CavaL- ho, LERO Agostino. II, 608. 7 00 -—— Relazione intorno ad un nuovo propulsore sottomarino proposto dal sig. M. Donati. - RicteLmy Prospero. I, 341. < —+—— Relazione intorno ad una Memoria del Professore Gio- = vanni Curioni, intitolata: Sulla spinta delle terre nel caso più generale che si può presentare all'ingegnere costruttore. Ricuetmy Prospero. Il, 477. —— Lettura di una Memoria intitolata : Sulla spinta delle X terre nel caso più generale che si. può presentare val i l ingegnere costruttore. Curioni Giovanni. IL, 490. MECCANICA e COSTRUZIONI. - Opera stampata. col titolo : Corso di lezioni teoriche normali sulle macchine motrici ; mandata in dono all'Accademia dall'Autore Professore Agostino CavaLLero. II, ——- Sul rifiuto che devono presentare i pali che si impie- gano nelle fondazioni. Curioni Giovanni. HI, 98. -—— Sunto d’una Memoria sulla resistenza dei tubi all'urto dell’acqua entroscorrente d’un tratto arrestata. Ca- vaLLi Giovanni. III, 663. —— Sulla costruzione dei denti delle ruote dentate per mezzo di evolventi di circolo. ZuccaerTI Ferdinando. IV, 42. — Modello di un giunto per la trasmissione del movimento rotatorio fra due alberi non paralleli. ZuccHETTI Ferdinando. IV, 346. —— Lettura di una Memoria intitolata : lrgern DE sforzi trasmessi dalle ruote dentate. Berruti Giacinto. IV, S74..- V, 179. ) —— Lettura di una Memoria intitolata: Dita ai ed Er- gometri. RicneLmy Prospero. IV, 757. - V, 47. —— Alcune note intorno alle ruote dentate. Fratta Pro- spero. V, 575. —— Atlante di macchine a vapore e ferrovie; del Prof. Mr stino CavaLLero; mandato in dono all’ Accademia. VI, 145. —— Sopra la descrizione geometrica degli i ingranaggi ad assi non concorrenti. Tessari Domenico. IV, 413. -—— Descrizione e teoria di un termodinamometro. BERRUTI Giacinto. VII, 485. -—— Nota relativa ad un giunto per la trasmiesione del mo- vimento fra due assi concorrenti. Zuccaerti. Ferdi- nando, VII, 504. % —— Sulla resistenza trasversale nei solidi elastici, Cugini Giovanni. VII, 597. MECCANICA e COSTRUZIONI. - Sul lavoro della resistenza molecolare in un solido elastico sollecitato da forze comunque operanti. Corroni Giovanni. VIII, 33. —— Sulla determinazione del centro di spinta di un terra- pieno contro un muro di sostegno; Memoria conte- sd nente un confronto fra i varii metodi finora proposti. DA Regis Domenico. VIII, 174. do —— Sulla rottura e sui lavori di riparazione della galleria pi dei Giovi. Curioni Giovanni. 1X, 26. CC —— Intorno alla resistenza dei tubi alle pressioni conlinue i. e ai colpi d’ariete. CastigLiano Alberto. IX, 222. —— Sulla determinazione delle grossezze dei rivestimenti delle gallerie in terreni mobili. CurionI Giovanni. IX, 253. —— Ricerche teoriche sulla stabilità del primitivo e del | nuovo rivestimento del tronco di galleria dei Giovi c rovinato nel principio dell’anno 1873. Curioni Gio- "TAI vanni. IX, 556. Le —— Cenno sui metodi di ricupero delle navi sommerse. R- Curioni G. IX, 616. CA -—— Intorno all'equilibrio dei sistemi elastici. CASTIGLIANO i Alberto. X, 380. —— Freno idraulico di Acupio, Cat. e C., e sua applicazione 00 4 ” allocomotore funicolare AguprIo. - CAvaLLERO Agostino. vo [ Sr. h sd —— Lettura d'una Memoria che ha per titolo: L'elasticità ul La nella teoria dell'equilibrio e della stabilità delle vdlle È: Curioni Giovanni. X, 631. 36 —— Impressioni prodotte dall'esame della Memoria del Co- lonnello Conti intorno all’attrito. RricneLmy Prospero. pi X, 773. si —— Determinazione grafica dei momenti inflettenti sugli -//-/-- appoggi di un ponte a più travate. - Modificazioni Rota del metodo proposto da FoureT all'Accademia delle Scienze di Parigi. Sackeri Giovanni. X, 940, | MECCANICA è E COSTRUZIONI. - Sulle por: nelle travi | MR in ferro sollecitate da forze perpendicolari ai 10h to assi, e con parete di altezza costante; Nota di Gio- 9 vanni Curioni. X, 1017. MINERALOGIA e METALLURGIA. - Lettera intorno alla sco- dl perta di alcuni nuovi metalli. SeLLa Quintino. N.$., 50. —— Comunicazione intorno ad un banco di quarzite incon- trato nel traforo del Moncenisio. SeLLa Quintino. N.S., 446. À —— Lettura di una Nota intorno ad un frammento di gneis con impronta di equiseto. Siswonpa Angelo. N.S., 85. -—— Minerali dei graniti di Baveno e di Montorfano. StRUVER Giovanni. I, 395. —— Sull' esistenza del Serpentino in posto nelle colline del Monferrato. GastaLpIi B. I, 464. -—— Relazione sulla Memoria intitolata: Studi sulla Mineralogia italiana di Giovanni Striver. - Sera Quintino. II, 44, —— Risoluzione analitica dei problemi della Cristallografia. UzieLLi Gustavo. II, 346. — - Cenni intorno ad alcuni minerali italiani. Srrùver Gio- vanni. III, 123. -—— Sulla Sellaite, nuovo minerale di fluorio. StRiveR Gio- vanni. IV, 35. SI Intorno ad una nuova legge Ù geminazione della Anortite. SAR Srriver Giovanni. IV, 3 (ea —— Relazione sulla Memoria da Dottore Giovanni STRIVER, intitolata: Studi sulla Mineralogia italiana ; Pirite del Piemonte e dell’Elba. Serra Quintino. IV, 285. —— Note mineralogiche. Srriver Giovanni. VI, 358. <- —— Scoperta del Berillo nelle roccie cristalline di Val d’Os- mt sola. GastaLpi B. VI, 282. —— Sodalite pseudomorfa di Nefelina del monte Somma. Srriiver Giovanni. VII, 329. 4 -—— Studi cristallografici intorno all’Ematite di Traversella. : Srriver Giovanni. VII, 377. panta ae pueta i 4 133 arti di 71} atri UG ART a DIE < ifinialiic@n E "METALLURGIA. "Berillo. di. Pallanzeno “(Val d’Ossola). Gasranpi B. VII, 483. —— Comunicazione di notizie preliminari intorno ad una roccia peridotica del Piemonte. Cossa Alfonso. IX, 431, d —— Intorno alla Iherzolite di Locana nel Piemonte. Cossa Alfonso. IX, 545. —— Nota sulla peridotite di Baldissero in Piemonte. StriiveR Giovanni. IX, 763. Bi —— Comunicazione verbale del risultato dell’analisi di due ;/// Dolomiti, e delle ricerche sulla Sellaite. Cossa AI- DE. ‘ fonso. IX, 772. i oi: —— Nota sopra un Calcifiro della zona delle pietre verdi. Spezia Giorgio. X, 19. —— Sulla Cossaite, varietà sodica di Onkosina. GastaLpi BL. R IB9. (320 PALEONTOLOGIA ED ETNOGRAFIA. - Comunicazione di due lettere intorno alle esplorazioni intraprese nella si Liguria per rintracciarvi le grotte ossifere. Ramo- DE: rINo Giovanni. N.S., 145. A —— Presentazione di un lavoro intitolato: Matériaur pour Li servir d la Paleontologie du terrain tertiaire du Piémont; sc première partie: Végétaux. Sismvonpa Eugenio, N.S., BI. "00 —— Sunto di una Memoria intorno ad alcuni fossili della n; Toscana e del Piemonte. GastaLpI Bartolomeo. I, 38. —— Relazione intorno ad una Memoria del signor Giovanni s Ramorino intitolata: Sopra le caverne di Liguria e Pon Zigan sopra una recentemente scoperta a Ve- ezzi. GastaLpi Bartolomeo. I, 279. —— Gt di una lettera del Professore Carlo Voct sopra alcuni cranii antichi. GastaLpI Bartolomeo. I, SE 297, 298. Sa —— Presentazione di alcune ossa di Orso trovate in una À caverna del Piemonte. GastaLDI Bartolomeo, I, 581. —— Presentazione di un tronco di pianta fossile e di cri- stalli di zolfo. SeLLa Quintino. I, 474. E ig ai, pe: | PALEONTOLOGIA xD ETNOGRAFIA. - Sunto di ut ci moria intitolata : Iconografia di alcuni oggetti di TR, antichità rinvenuti in Italia. GastaLpi Bartolomeo. IV, 755. : > —— Presentazione di una nuova parte del lavoro sapa Matériaux pour servir à la Paléonthologie du terrain ter- tiaîre du Piemont (Protozoaires et Célentérés). Sismonpa — Eugenio. V, 163. —— Relazione intorno ad una raccolta di armi e strumenti di pietra delle adiacenze del Baltico. GastaLpI Bar- tolomeo. V, 841. —— Intorno ad alcuni resti fossili di Arctomys e di Ursus spelaeus. GastaLDI Bartolomeo. VII, 249. -—— Relazione intorno ad una Memoria di L. BELLARDI, intitolata: I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Lessona Michele. VII, 253. -—— Mazzuola o martello-ascia di pietra. GASTALDI B. VII, 484. —— Appunti sulla Memoria del signor Gene F. A. S. E.: On changes of climate during the glacial epoch. Ga- staLDI Bartolomeo. VII, 449. — Relazione sulla Memoria del Professore BeLLARDI, avente per titolo: I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria (parte II). GasraLpi B. IX, 197. PATOLOGIA. - Descrizione di un’eserescenza cornea svilup- patasi sulla mano di una donna. MoriccIa Aliprando. I, 449. PRESENTAZIONE DI LIBRI ecc. - Presentazione di un’opera stampata del sig. Professore CavaLLERO, intitolata : Corso di lezioni teoriche normali sulle macchine motrici. Conte Paolo di ST-Rosert. III, 16. —— Presentazione di alcuni opuscoli del Principe Baldas- sare Boncompagni. - Genoccni Angelo. II, 436. —— Presentazione di alcune copie di una lettera di La- GRANGE, a nome del Principe BoncompaGnI. - GENOCCHI Angelo. IV, 323. A, SS demia. L. F. Menagrea. VIII. 198. 5 . ——— Correzione da introdursi in una Memoria stampata nel vol. XXV delle Memorie accademiche. L. F. MeNABREA. X, 45, oa sr: sus ii "Ri sa ca tn FRUIRE O PR PRIST: Fa 33 P7 1136. ZOOLOGIA. - Expériences sur l’expansion MIRA si dt ques Mollusques terrestres au delà des eaux salées. Avcapitaine Enrico. N.S., 29. —— Parere intorno ad una Memoria del sig. Barone Enrico AUCAPITAINE, intitolata: Expériences sur l’expansion pos- sible de quelques Mollusques terrestres au delà des caue salées. De Fiuteri Filippo. N.S., 20. —— k1Lettura di una Memoria sul genere Eleutheria e sul nuovo genere Halibothrys. De Fruipri Filippo. N.S., 56. —— kPresentazione di una Memoria del Professore IsseL in- titolata: Catalogo dei Molluschi raccolti dalla Missione Italiana in Persia; e Relazione intorno alla medesima del Prof. De Ficipri Filippo. N.S, 138. —— Sulla classificazione degli animali; Nota. DE FILIPPI de lippo. I, 107. —— Osservazioni fatte nella traversata da Gibilterra a Rio- Taneiro. De FiLippi Filippo. I, 376. —— Osservazioni falte nella traversata da Rio-Ianeiro a Batavia. De Ficippi Filippo. I, 601. —— Lettera contenente le ultime osservazioni fatte dann una parte del viaggio da Singapore a Saigon, al Giappone ed alla Cina. De Ficippi Filippo. II, 227. —— Nota sul Porcellio Klugii. Lessona Michele. 187. —— Nota intorno alle ostriche nel porto di Genova, Lessona Michele. HI, 357. —— Ostriche del porto di Genova. IsseL Arturo. II, 583. —— La fosforescenza del mare; Note pelagiche ed osserva- zioni fatte durante un viaggio di circumnavigazione 1865-68, colla descrizione di due nuove Noctiluche. GicLioLi Enrico. V, 485. -—— Osservazioni antiche e recenti relative alle abitudini dei Rondoni (Cypselus Apus). Lessona Michele. VI, 234. —— Relazione intorno ad una Memoria del signor Avv. Tapparone-CANEFRI, riguardante la nuova specie del genere Nephrops. SALvapoRI Conte Tommaso. VIII, 82, | FOOLOGIA. - alia. pra da: una Nerina del sig i Avv. TAPPARONE- Canerri, che ha per titolo : Zoologia del viaggio intorno al globo della R. Fregata Magenta, -. durante gli anni 1865-68. Malacologia. Molluschi, Gaste- A, | ropodi, Acefali e Brachiopodi. Gras A. VIII, 582. CE CANTÙ CESARE - Elelto Accademico Nazionale non residente. "a iL 0900; "CARDUCCI (GramBatTISTA) - V. FABRETTI ARIODANTE. bl "CARUTTI (Domenico) - Sunto d’un lavoro storico con cui << prese ad illustrare due documenti di due Ministri di "i ‘B01 Casa Savora alla Corte di Spagna. S. 23, 36. i marti Sunto d'una sua introduzione storica. ad uno seritto ||. |_’inedito di Monsignor Claudio di Seysser, che ha per 2 E i... 7 litolo : Le discours du feu Monseignewr de Thurin. S., 75. “— Sunto di un suo scritto che ha per titolo: Della neutralità ‘17 della Savoia nel 1703. S. , 120, 429, 133. data - Sunlo di una Memoria iitolbta: Lorenzo Coster. INI, 602. --— Sunto di una Memoria intitolata: Saggio critico intorno a i) Properzio e ad una nuova edizione della Cinzia. HI, 671. fa - Le Repubbliche e i Principali italiani nel secolo XV N ci, (Brano d'una Storia della Diplomazia di Casa Savoia). goin MIL, AI in FASSEL ( (PaoLO) - ‘Dono fatto all'Accademia d'una lettera è RECTO stampala intorno all'iscrizione trilingue scoperta in Sardegna. S., 274. BS - — GASSEL-(Paoso) Vi: GHIRINGHELLO Giuse Ada: È CASSINI (Gian Domenico) - Frammenti manoscritti di un \# EOS poema sulla Cosmografia. S., 250. delia È A 1 Di; E. si 1154 ‘ “ ped PROMIS (CarLo) - Relazione sulla Memoria del Prof.;G. F. MuratoRI, intitolata: Asti, colonia romana e sue iscri- zioni latine. IN, 47. i —— Introduzione alla Storia di Torino. IV, 596. x -—— Notizie sulle indagini fatte in Avigliana. IV, 649. , —— Il Torinese Caso Gavio Silvano uccisore di SENECA il filosofo. V, 635. —— L'iscrizione cuneese di CaTavigno figlio d’ ooo soldato nella coorte IM dei Britanni. V, 767. —— Storia degli Architetti romani. VI, 93, 97, 162, 235, 253, 297. e (340. -— Sopra alcune iscrizioni erronee. VI, 385, 457 e 462. —— Sugli Ingegneri militari che operarono o serissero in Piemonte dall’anno 1500 al 1650. VI, 535. —— Lessico di voci architettoniche latine scordate od omesse da Vitruvio. VII, 689, 845,850, 889. - VIII, 100, 102. PROMIS (Domenico) - Relazione intorno alla copia d’un documento inedito che trovasi negli archivi comunali di Beausset, inviato all'Accademia dall’Abate Ma- gloire Grraup DI ST-Cyr. S., 87. —— Sunto d’un episodio della Storia di Scio., S.,, 270. —— Sunto di una Memoria sulla Zecca di Selo, durante il dominio dei Genovesi. I, 87. —— Ricerche sopra alcune monete antiche scoperte nel Vercellese. I, 159. Du —— Cenni sopra una medaglia di Bartolomeo, DeLca RoveRE. II, 461. —— Di una medaglia rappresentante Beatrice Langosco, e brevi notizie sulla sua famiglia. II, 657. —— Sunto di una Memoria sulle monete della repubblica di Siena. II, 137. Sunto di una Memoria sulle zecche di Messerano e Crevacuore. IV, 381. -—— Notizia di una bolla in piombo del secolo xt RI 670. -—— Medaglia di Tommaso Vacrerga DI Rivara. VI, 393. RE TIVA OE ORA o PROMIS (Vincenzo) - Eletto Accademico Nazionale residente. XxX, 1071. —— Cenno su una Medaglia inedita di Carlo Emanuele I. X, 10441. RENDU (Eucenio) - V. SCLOPIS S. E. Conte FepERIGO e GORRESIO Gaspare. REYMOND (Gran Giacomo) - Eletto Socio Nazionale resi- x dente. S., 146. —— Presenta i primi fascicoli delle pubblicazioni sulla col- tivazione del cotone in Italia, fatte per cura della Commissione Reale. S., 196. —— Esposizione del disegno d'un suo lavoro sul paupe- rismo. S., 255. RICCI (Marchese MattEO) - Eletto Socio Nazionale residente. S., 285. | —— Sunto d’un brano letto della sua traduzione di Eropoto. S., 312, 317, 322, 325, 332. —— Delle origini elleniche. II. 155. - Parte seconda. HI. 2140. - Parte terza ed ultima. III, 463. —— Comunicazione di Nole illustrative di alcuni passi più controversi dei libri primo e secondo di Eroporo. IV, 479, 505. - Id. dei libri secondo e terzo. V, 429, 612 e 808. - Id. del libro quarto. VIII, 265. RICOTTI (Encore) - Disegno d'una sua opera sulla Storia della Monarchia Piemontese. S., NA —— Relazione sul lavoro presentato al concorso intorno al tema: Descrivere la condizione degli studi storici in Italia dalla pace d’Aquisgrana al 1848, ecc. S., 30. — Sunto di alcuni capitoli della sua Storia della Monar- chia Piemontese. S., 5 ds 86, 142,178, 224, 229, 242, 244, 266, 295, —— Sunto della prefazione da una breve storia del comune in Italia. I, 434. —— Della varati) di alcuni scrittori di Storie italiane del secolo xvu. II, 485. PI sia Ro i bia * x AR Li + x \ eo nr bit ani Pt RA N È > lai L pP%, PRESE] SARO a TT, Ca > TT 3 Cl cri a | ie tà a tea RIA A PRE A | A SS o, RICOTTI (Ercoce) - Comunicazione di alcuni brani della Storia della Monarchia Piemontese. IV, 135 e 227. —— Degli effetti della polvere da guerra nell’ incivilimento europeo. IV, 599, —— Influenza della scoperta dell'America sull’incivilimento europeo. V, 446. —— Della giustizia in Francia sotto Lurcr XVI. - VIII, 99. —— Breve idea del suo libro sulla Rivoluzione protestante. - IX, 109. -—— La Religione sotto l'impero declinante. IX, 456. RITSCHL (FepeRIco) - Eletto Accademico Straniero. I, 235. ROSSI (GiroLamo) - V. CASSINI Gran Domenico. ROSSI (Francesco) - La Stele di Si-Esi detto Pinawu nel Museo di Torino, con traduzione interlineare e note. VII, 304. —— La Stele dello scriba TOrHEMHA, con traduzione letterale e note. VIII, 694. i —— Illustrazione di una cassetta funeraria del Museo Egizio. IX, 345. SAULI (Conte Lopovico) - Rieletto Direttore della Classe. S., 58, 235. x SCLOPIS (S. E. Conte FepERIGO) - Comunicazione dell’ultima parte della sua Storia della Legislazione negli Stati del Re di Sardegna dopo il ABAL. S., 4. —— Sunto d’una sua Nota storica intorno a Carlo Mon- ragNINI che fu Ministro residente all’Aja nella seconda metà dello scorso secolo. S., 138. —— Esposizione d’un brano della parte ancora inedita della sua Storia della Legislazione italiana. S., 143, 175, 190, 233, 250, 258. —— Eletto Vice-Presidente dell’Accademia. S., 225. —— Discorso intorno alla vita ed ai lavori scientifici del Conte Alberto DeLLa Marmora. S., 226. —— Annunzio della morte del sig. Barone Giovanni PLANA. S., 231. i RR ARIA it» i 4157 | SCLOPIS (s. E. Conte FeDERI60) - Eletto Prosidente dell’Ac- cademia. S., 256. —— Presentazione del volume terzo della sua Storia della Legislazione italiana. S., 272. —— Necrologia del Cav. Carlo Varese. Il, 59. -—— Notizia biografica sul Barone di Barante. lI, 72. —— Notizie intorno alla vita ed agli studi di Vittorio Cousin. II, 292. x —— Nota sopra l’opera del sig. JoURDAIN, intitolata: Histoire de l’Université de Paris. Il, 365. —— Discorso letto nell'adunanza generale del 15 giugno 1867. II, 535. -— Cenni storici su C. G. A. Mrrrermarer. III, 31, —— Notizie della vita e degli studi del Barone Giuseppe Manno. III, 315. _—— Parole d'accoglienza al Professore Momwsen. IV, 595. —— €Cenno necrologico del Cav. Francesco Baruccni. V, 133. —— Relazione sull'opera del sig. E. EcceR, l’Hellenisme en France. V, 136. —— Cenno necrologico del Cav. Ab. Antonio Coppi. V, 607. —— Presentazione di libri per parte del Prof. Vincenzo GARELLI. V, 632. —— klDella vita e degli studi di Amedeo Perron. V, 778. —— Discorso per l'inaugurazione del monumento del Barone PrLana. VI, 16. —— Notizie della vita e degli studi del Conte Luigi CrBrARIO. VI, 63apo —— Notizie della vita e degli studi di Monsignor Andrea CÙarvaz. VI, 240. —— Notizie degli studi di Carlo Promrs. VIII, 730. -—— Commemorazione di Alessandro Manzoni. VII, 740. —— Notizie della vita del Conte Prospero Barso. IX, 120. —— Notizie della vita e degli studi di Domenico Casimiro Promis. IX, 468. —— Notizie della vita e degli studi del Conte Lodovico Sauri D'ILiano. X, 63. è SPANO (Giovanni) - Sunto d’un suo scritto interpretativo sopra un'iscrizione trilingue scoperta in Sardegna, e sottoposto al giudizio del Peron, del CavepoNI e del Garrucci. S., 99. i —— Sunto di una Memoria su una tavola di bronzo tro- vatasi nel territorio di Esterzili in Sardegna. II, 93. —— Lettera al Conte Carlo Baupi pr Vesme intorno ad un Diploma militare sardo. IX, 887. —— Lettera al Conte Carlo Baupi pi Vesme intorno ad -al- cune antichità sarde, riportate da corrispondenze dei due illustri fratelli Domenico e Carlo Promrs. X, 302. TESTA (Virrore) - L'iscrizione di Mesa, re di Moab, illu- strata e commentata. VIII, 754. - IX, 435, 679, 7715. - X, 135, 344, 454, 543, 694. —— Eletto Accademico Nazionale residente. X, 4071. TOSTI {P. Lurer) - Eletto Accademico Nazionale non resi- dente. VIII, 900. VALLAURI (Tommaso) - Eletto Socio Nazionale residente. II, i49. —— Sunto di una Memoria intitolata: Animadversiones in dissertationem Friderici Ritschelii de pottae Plauti no- minibus. II, 467. —— Il Piemonte e la poesia drammatica. II, 590. —— Sopra un'iscrizione latina trovata in Milano l’anno 1867. III 225. —— Osservazioni critiche sul volgarizzamento di C. Crispo SaLLustio fatto da Vittorio ALrERrI. IV, 357. —— M. Arti PLauri locum in Mostellaria a Friderico Rrr- ScHELIO depravatum nativae sanitati reddidit. V, 364. —— De voce Divus in christianis inseriptionibus perperam usurpata. VI, 165. —— Comunicazione d'un’ epigrafe romana. VII, 187. —— De locis duobus quos Alfredus FLEckErSENUS vitiavit in Captivis Plautinis. VII, 454. AI w m 4 * PRASSI STA (A METANO NOSLSOO Se TLIVOE VALLAURI (Tommaso) - De infesta sonar in Graecos © aemulatione. VIII, 249. —— De recentiorum inventis latine significandis quae per- tinent ad rem vehicularem et navalem. IX, 344. —— Animadversiones in locum quemdam Plautini militis glo- riosi a Friderico RirscHeLIO insigniter vitiatum. X, 26.5. VESME (Conte Carro Baupi p1) - Idea generale , e sunto d’alcuni brani d’una sua Storia d'Italia dal 1796. S., 13 —— Esposizione d'un saggio d'un suo lavoro storico sulla rivoluzione di Francia. S., 77. —— Cenni intorno all'origine dei drei d'Arboréa.S. ,236. —— Presenta un codice manoscritto d’Arboréa, clio in lingua latina. S., 249. —— Presenta parecchi antichi documenti appartenenti all’ar- chivio della città d’Iglesias. S., 330. ——- Relazione intorno ai lavori inviati ‘al concorso sul tema proposto dalla Classe sull’ Influenza del contratto en- fiteotico. 1, 47. —— Notizia biografica del Comm. Pietro Martini. I, 267. —— Grerarpo da Firenze e ALposranpo da Siena. I, 490. -—— Sunto di un’Appendice alla Memoria del Commendatore G. Spano intorno ad un bronzo trovato ad Esterzili. II, 149. — Sunto di una Memoria intitolata: Dell’ industria delle mimiere mel territorio di Villa di Chiesa (Iglesias) in Sardegna nei primi tempi della dominazione Aragonese. IV, 227, 357, 494, 647 e 779. - Sunto dei capitoli ix-x1. V, 143. —— Illustrazione di un frammento inedito di diploma mili- tare degli Imperatori ELtocaBaLO e Alessandro Severo. IV, 620. — Documenti di Arboréa inviati allAccademia di Berlino. IV, 798. —— Dell’antica denominazione, e del modo di citazione dei frammenti dei giureconsulti inseriti nelle Pandette. VR v ASSI. pi AC “ ny 2 de dari dx VEE oe) via d 5: TRAE PA EUGIATO x LL ea TS no VESME (Conte sio) Bau DI) - = Sull’ ‘antenicità dei ‘docu > Di menti di Arboréa. V, 929. * —— Sopra alcune iscrizioni in volgare toscano de’ secoli x, x e xiv. VII, 454. —— Dei varii modi coi quali si espresse per TATA RARI doppio. suono del ce del g.nei primi tempi della lingua italiana. VIII, 204. —— Sunto di un lavoro che ha per titolo: Del volgare to- scano e della lingua italiana: Ricerche filologiche. X, 264, 279, 452, 534, 534. | ZOBI (AxTONIO) - Lettura d’una sua Breve nota mecrologiea «= = © del Marchese Cosimo Ridolfi. S., BAT. 0° IO TOTONT VA sa _ dari Soto (IR a DI dit eine ("INDICE GENERALE © e iehi deri Data Materie contenute nei Tomi La X della parte Storico-Filologica 1 degli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino > B. Il numero romano indica il volume. x i Il numero arabico segna la pagina. La lettera S indica che il Sunto citato si trova nel volume che ha per titolo : Sunti de' Lavori Scientifici ecc., che precedettero la pubblicazione degli Atti dal 1859 al 1865, scritto da Gaspare GoRRESIO, Segretario perpetuo della Classe. ANTROPOLOGIA. - Sunto di una Memoria sulla trasforma- zione della specie. GarrincneLLO Giuseppe. I, 171, 263, 424, 476. - II, 64, 95, 280, 373, 499, 6684. - III, 234, 329, 444. - IV, 215, 382, 502, 647. - V, 2341, 374, 769. - VI, 300, 312, 387. - VII, 464, 543, 617, 715, 897. —— Nota intorno ad una pretesa dimostrazione matematica della recente apparizione dell’uomo sulla terra. Govi Gilberto. II, 404. —— Appendice alla Nota intorno ad una pretesa dimostra» zione matematica della recente apparizione dell’uomo sulla terra. Govi Gilberto. III, 501. ARCHEOLOGIA. - Sunto verbale del rapporto su certi stru- menti di selce trovati nelle caverne di Mentone. DeLLa Marmora Alberto. S., 5. —— Nota intorno ad un monumento trovato in Corsica. AvucapitaIne Enrico. S., 35. —— Sunto d'una dissertazione sull’indipendenza dell'oracolo di Delfo. PerRon Amedeo. S., 73. er MEER E DE AG IRR sE GOA 196 ARCHEOLOGIA - Illustrazione dei monumenti di Val d’ as Prowrs Carlo. S., 94, 96, 104, 108, 140, 4413, 148. —— Sunto d’una Memoria sulla ragione dei nomi personali presso gli antichi abitatori d'Italia, e particolarmente presso i Romani, gli Etruschi e gli Umbri. FABRETTI Ariodante. S., 245. —— Notizia d’un'i ibesinione scoperta nel Novarese. lisi Ariodante. S., 245. —— Comunicazione d'un’ iscrizione scoperta nell'Italia me- ridionale. FaBRETTI Ariodante. S., 259. —— Esposizione dell'idea fondamentale dell’opera di Giulio Braun, intitolata: Naturgeschichie der Sage. GORRESIO Gaspare. S., 272. --— Dono fatto all'Accademia d’una lettera stampata intorno all’iscrizione trilingue scoperta in Sardegna. Casse Paolo. S., 274. —— Nota sul libro del Conte Giovanni GOZZADINI; il quale ha per titolo: Di un'antica Necropoli a Marzabotto nel Bolognese. Gorresio Gaspare. I, 362.; —— Notizie sulla Necropoli Etrusca scoperta presso Orvieto. FasreTTI Ariodante. I, 240, —— Comunicazione intorno a scoperte fatte negli scavi pra- ticati nell'isola di Therasia. De Cicara G. HI, 24. —— Sunto di una Memoria su una tavola di bronzo tro- valasi in Esterzili, in Sardegna. Spano Giovanni. II, 93. —— Sunto di un’Appendice alla Memoria del Comm: G. Spano intorno ad un bronzo trovato in Esterzili. BaupI DI Vesme Conte Carlo. II, 149. —— Lettera al sig. Professore Comm. Gaspare Goa intorno ad alcuni punti della Storia dei Tolemei. Lumsroso Giacomo. III, 444. —— Sopra un'iscrizione latina trovata in Milano l’anno 1867. Vaccauri Tommaso. HH, 225. —— Seconda lettera al sig. Professore Comm. Gaspare Gor- i SER rog e [ae CIRO PITON, CERA x a rESIO, intorno ad alcuni punti della Storia dei To- lemei. Lumsroso Giacomo. III, 549. ARCHEOLOGIA - Sullo Scheno Eracleese, Egiziano e Greco. Peyron Amedeo. III, 593. —— Sunto di una parte dell’illustrazione della prima tavola di Eraclea. Perron Amedeo. IV, 499. —— Notizie sulle indagini fatte in Avigliana. Promrs Carlo. IV, 619. —— Documenti greci del R. Museo Egizio di Torino. Lum- Broso Giacomo. IV, 683. —— Osservazioni sopra un’ iscrizione umbra scoperta in Fossato di Vico. FaprETTI Ariodante. IV, 785. -—— Sopra un papiro greco del tempo dei Lagidi, che con- cerne l’agricoltura dell’ Egitto. Lumproso Giacomo. V, 207. —— L'iscrizione cuneese di Catavigno figlio d’Ivomago, sol- dato nella coorte III de’ Britanni. Promis Carlo. V, 767. —— Figuline di Cipro date in dono all'Accademia. FABRETTI Ariodante. V, 830. — Osservazioni sul regno dionisiaco, ginecocratico e de- mocratico di Filopator Tolomeo IV. Lumroso Gia- como. VI, 95, 99, 239. —— Intorno ad alcune iscrizioni erronee. Proms Carlo. VI, 385, 457, 462. -—— Archeologia Alessandrina. Lumgroso Giacomo. VI, 400. —— Scoperta del Tempio di Venere a Golgos nell'isola di Cipro il 6 marzo 1870. Parma pi Cesnora Conte Luigi. VI, 554. —— Comunicazione d’un’ epigrafe romana. VaLLauri Tom- maso. VII, 187. —— Notizie raccolte in tre Musei d’antichità. LumBroso . Giacomo. VII, 4191. i —— La Stele di Si-Esi detto Pinaeu nel Museo di Torino, con traduzione interlineare e note. Rossi Francesco. VII, 304. . 4 gig: # 9 earth.» tut SR e» ; Pu e) ni _ PR NAS < e ec Dig di PI ©: Gs "x rta 0 ad L ga” nt 6a”) x ti) IRIS 3 Ma “e som bo TESTO Da Pi *> i L AVA Las ‘x ad a si Le, » Per (TS Nt I ha net di ta & ne) cca a Mao. % SES JE tà fe GU au: î) ta È # < n Pu È (P° Pr »* < * Piet ei 116s 4 VR ARCHEOLOGIA. - iù Stele dello scriba TOTHEMHA, con tra- duzione letterale e note. Rossi Francesco. VII, 694. —— Frammenti d’iscrizioni etrusche scoperte a Nizza. Fa- BRETTI Ariodante. VII, 854, 894. —— Nuovi studi d’Archeologia Alessandrina. LumBroso Gia- como. VII, 692, 848, 853, 908. —— Aneddoti d’Archeologia Alessandrina. LumBroso Gia- como. VIII, 466. —— L'iscrizione di Mesa re di Moab, illustrata e commen- tata. Testa Vittore. VIII, 754. - IX, 435, 679, 775. - X, 435, 344, 454, 543, 694, 870. -——- Illustrazione di una cassetta funeraria del Museo Egizio di Torino. Rossi Francesco. IX, 315. —— Lettera al Conte Carlo Baupi pi VesME intorno ad un Diploma militare sardo. Spano Giovanni. IX, 887. —— Scavi dell’isola di Cipro. FasretTI Ariodante. IX, 955. —— Lettera al Conte Carlo Baupi pi Veswe intorno ad al- cune antichità sarde, riportate da corrispondenze. dei due illustri fratelli Domenico e Carlo Promis. - Spano Giovanni. X, 302. 1 —— Nota di Paleoetnologia modenese. Coppi Francesco. X, 866. ATTI ACCADEMICI. - Elezioni. N.S., 6, 10,14, 58, 61, 66, 106, 146, 225, 235, 285.- I, 235. - II, 449, 155.. - II, 346. - IV, 804. - V, 264, 41052. - VII, 4514, 853. VIII, 900. - IX, 149, 4074. —- Notizia d’un decreto del Presidente degli Stati Uniti Messicani relativo ad un monumento da eseguirsi in Italia e da innalzarsi do ciltà del Messico ad Alessandro HumpoLpr. S., —— Programma proposto dalla pra per l’anno 1859, i sopra il tema seguente: Descrivere la condizione degli studi storici in Italia dalla pace d’ Aquisgrana al 4848, seguendo il carattere letterario dei varii principali serit- tori, ecc. S., AT "3 A 3 } È dan TA, R 7 pe e - - tai eden + atato i n 9 PA i init TR Le EVE TIE ca ‘ - n 7 pi 1 VSS PA ko La Pai + fe f o + rr ere Sl Sia lic Dre e ETICO ATTI ACCADEMICI. - Notizia di un volume di relazioni sui vari monumenti d’ antica età esistenti nelle diverse provincie dello Stato, mandato dal Ministro dell’ In- terno alla Classe di Scienze storiche. S., 38. —— Numero dei Soci Corrispondenti stabilito dalla Classe. S., 4h. —— Programma di concorso per l’anno 1861 : Investigare l influenza del contratto enfiteotico sulle condizioni del- l’agricoltura e sulla libertà personale degli agricolteri, specialmente in Italia. S., 45. Disposizione della Classe ‘rifiuaidio alla lettura delle Memorie di Autori non Accademici. S., 64. Notizia della scoperta, nell'isola di Sardegna, d'una iscrizione trilingue in bronzo, latina cioè, greca e fenicia. S., 84. Notizia d'una lettera con cui il Ministro dell’ Istruzione Pubblica im Francia offre in dono all'Accademia un esemplare deila Carta delie Gallie, eseguita di re- cente per cura del Governo da una Commissione di dotti Francesi. S., 93. Giunta composta dei signori Comm. Ercole RicortI, Cav. ALBINI e Comm. Gaspare GorrESsIo, incaricata di riferire alla Classe intorno ad un lavoro sull Italia contemporanea, su cui il Ministro dell’Istruzione Pub- blica domandò il parere dell’Accademia. S., 132. —— Comunicazione d’una Nota con cui S. E. il Ministro del- l’Interno manda in dono all'Accademia alcune opere storiche e politiche pubblicate sotto i suoi auspizi. S., 191. —— Parole d'accoglienza al Professore Momwsen. - ScLopis S. E. Conte Federigo. IV, 595. Indirizzo di condoglianza a S. M. perla morte di S. A.R. il Duca di Monferrato. I, 185. —— Risposta del Ministro dell'Istruzione Pubblica al pre- detto indirizzo. I, 439. CI 1166 i ds ATTI ACCADEMICI. - Indirizzo a S. M. nell’occorrenza delle Nozze di S. A. R. il Principe UmBERTO con S. A. R. la Principessa MarGHERITA. - GorREsIO Gaspare. INI, 505. —— Programma di concorso intorno ai Monti di Pietà in Italia, considerati sotto l'aspetto storico, economico e morale. Gorresio Gaspare. IV, 799. —— Risposta al R. Istituto Veneto intorno alle ricerche ed agli studi preparatorii per gli scavi archeologici da farsi in Italia. VII, 637. ——- Programma di concorso intorno all’influenza degli Studi greci sulla filosofia e sulle lettere in Italia. GorRESIO Gaspare. VII, 909. —— Relazione della Commissione incaricata di dar giudizio intorno ai lavori manoscritti stati presentati sopra il tema proposto a concorso con programma del 29 novembre 1874. IX, 335. —— Programma di concorso intorno alla Filosofia di An- tonio Rosmini ecc. BerTINI G. M. IX, 529. —— Relazioni - V. (Sunto de lavori scientifici e Atti) ALBINI, Baruccni, Baupr pi Vesme Conte Carlo, Bertini, Fa- BRETTI, Gorresio, Lumgroso, Carlo e Domenico Pro- Mis, RicoTTI. BIBLIOGRAFIA £ CRITICA. - Nota intorno ad un libro del sig. J. Croser-Moucner, intitolato : Saint-Anselme d'Aoste, Archevéque de Cantorbéry. GorrEsIO Gaspare, S43. -—— Senso filosofico dell’ Eutifrone di PLaToNE. GorrEsIo Gaspare .S., 48. -—— Intorno ad un opuscolo del sig. Eugenio RENDU, intito- lato: Note sur la fondation d'un Collège international à Paris, à Rome, à Minich et à Oxford. GorrEsIO Gaspare. S., 411. —— Presentazione d’un opuscolo che ha per titolo : Consi- derazioni di Pietro Martini, Presidente della R. Biblio- teca di Cagliari, sui due reso-conti delle adunanze del fera mato BO" 6 e 5 20 marzo 0 A864 della iaia Reale delle Scienze «x. di Torino. S., 256. BIBLIOGRAFIA E CRITICA. - Risposta all’opuscolo di P. «Martini, intitolato : Considerazioni sui due reso-conti . delle adunanze del 6 e 20 marzo A864 della Accade- mia Reale delle Scienze di Torino. (GorRESIO Gaspare. (S., 257. —_ Sonia d’alcuni brani letti, ed esposizione dell'idea ge- nerale d’un lavoro che ha per iscopo principale di confutare la Vita di Gesù, di E. RENAN. - GHIRINGHELLO Giuseppe. S., 261 —— Il Codice di Dalmazzo BeraRDENCO. - MuratoRI G. F. II; BI. —— Sunto di una Memoria intitolata : Saggio critico intorno a Properzio e ad una muova edizione della Cinzia. CaruttI Domenico. II, 671. —— Osservazioni critiche sul volgarizzamento di C. Crispo SaLLustio, fatto da Vittorio ALFIERI. - VALLAURI Tommaso. IV, 357. —— Esemplare di frammenti Liviani offerto all'Accademia. Teodoro Mownsen. IV, 599. —— Dell’antica denominazione e del modo di citazione dei frammenti dei giureconsulti, inseriti nelle: Pandette. Baupi pi Vesme Conte Carlo. V, 247. BIOGRAFIA £ ANNUNZI NECROLOGICI. - Annunzio della morte del Cav. Davide BeRTOLOTTI. - GORRESIO Gaspare Sh — Cenni biografici intorno al Professore Domenico Ca- PELLINA, - GorRESIO Gaspare. S., 56.. —— Cenni necrologici intorno a Federico “di Saviony. - Gorresio Gaspare. S., 93. —— Notizia biografica sul Cav. Costanzo GazzeRA, già Socio e Segretario della Classe. GorresIo Gaspare. S.,1214. —— Cenni intorno alla vita ed. agli studi del. Cav. Pietro Luigi ALBINI. - Gorresio Gaspare. S., 179. 1168 È, Pa BIOGRAFIA e ANNUNZI NECROLOGICI. - Cenni intorno na alla vita ed agli studi del Conte Alberto Dea Mar- “aa mora. - Gorresio Gaspare. S., 199. ‘di —— Discorso intorno alla vita ed ai lavori scientifici del 1% Conte Alberto DeLLa MarmoRA. - ScLopis S. E. Conte i: Federigo. -—— Annunzio della morte del sig. Barone Giovanni Piana. - ScLoprs S. E. Conte Federigo. S., 234. —— Breve Nota necrologica del Marchese Cosimo Ridolfi. ZoBi Antonio. S., 317. —— Necrologia di Celestino CaveponI. - GorrEsIO Gaspare. T}iggi = E Li PRA ATC e iti dl # Porcd = r so, —— Notizia biografica del Comm. Pietro MartINI. - BaupI SU pi Vesme Conte Carlo. I, 267. i. —— Notizia storica su Carlo Borra. - Boncompagni Cav. Carlo. do: II, 477, 259, 377. . L —— Necrologia del Cav. Carlo Varese - ScLopis S. E. Conte Spara - Federigo. II, 59. OR —— Annunzio della morte di Lord BaBincton MacautLAY. S., 20. TI —— Annunzio della morte del Barone Bunsen. - ScLopis furto S. E. Conte Federigo. S., 68. = SR —— Notizia biografica sul Barone di BarANTE. - ScLopis e S. E. Conte Federigo. II, 72. i» —— Notizie intorno alla vita ed agli studi di Vittorio Cousin. b E - ScLoris S. E. Conte Federigo. HI, 292. CE —— (Cenni storici su C. G. A. MirrerMaTER. - ScLopis S, E. i Conte Federigo. III, 123. si Mega —— Nolizie della vita e degli studi del Barone (Giuseppe Lo Manno. - ScLopis S. E. Conte Federigo. III, 345. —— Cenno necrologico del Cav. Francesco BaruccHI. - ScLopis S. E. Conte Federigo. V, 133. —— Cenno necrologico del Cav. Ab. Antonio Coppi. - ScLopis S. E. Conte Federigo. V, 607. —— Notizie della vita e degli studi del Conte Luigi CiBRaRIO. - ScLopis S. E. Conte Federigo. VI, 63. IGRAFIA UN! NECROLOGICI. - | «nali | vila of degli studi di Monsignor ‘Andrea. CHARVAZ. - ‘Scropis S. E. Conte Federigo. VI, 240... Ò —— Notizie degli studi di Carlo Promis. - ScLopis S. E. 200) Conte Federigo. VIII, 730. pieve —— Della vita e degli studi di Amedeo Peyron. - ScLoPIs “è Ri av. 0! (So. Conte: Federigo. V, 778. È, di. —— Commemorazione di Alessandro Manzoni. - ScLoPIs inni S. E. Gonle Federigo. VIII, 740. -—— Nolizie della vita del Conte Prospero BaLBo. - ScLOPIS 60008. E. Conte Federigo. IX, 120. x —— Notizie della vita e degli studi di Domenico Casimiro i Pros. - ScLopis S. E. Conle Federigo. IX, 468. —— Notizie della vita e degli studi del Conte Lodovico vu Sauri D'Ieurano. - ScLopis S. E. Conte Federigo. ECONOMIA SOCIALE. - Esposizione del disegno d'un lavoro ‘.‘sul pauperismo. Reywonp Gian Giacomo. S., 255. -—— Alcuni brani d’un libro inedito: I servi della gleba. ue Qrario Luigi. S., 45 i ETNOLOGIA. = Lettura d’una Notizia. manoscritta che ha p: per titolo: Comment les Francais sont-ils les fils des «moi Gaulois et les fréres des Italiens? Hreewatp. S., 234. —— Unità d'origine dei popoli Indo-Europei. onesto Ga- 0 spare. Il, 582. to) FILOLOGIA x LINGUISTICA. - Sunto di un’ appendice al ue —_—volgarizzamento di Tuc, intitolata: La Politica E di Licurgo. Peron Amedeo. S., 3. 10, TE DIA —— Sunto d'una seconda appendice al volgarizzamento di ‘00 Tucmipe , intitolata: l'Autonomia. Pevron ‘ Amedeo. S., 6. LU —— Sunto d'una terza appendice al volgarizzamento di Tu- — CIDIDE, intitolata: l’Ostracismo. Perron Amedeo. S.,9. —— Notizia intorno ad alcuni scritti filologici del Barone “ AucAPITAINE. - Gorresio Gaspare. S., 35. —— Sunto d’uno scritto interpretativo sopra un’ iscrizione 76 ‘PL DA s bas o AS £ Ur i o ai "sisi winifaice Raspene in ih Said a al giu . dizio del PryRon, sE, CaveDONI e del Ganncoci - Spano Giovanni. S., mia FILOLOGIA E cineca - “Sunito d’uno scritto che in- tende ad illustrare una greca iscrizione trovala in Taormina. Peron Amedeo. S., 147. {5 —— Giudizio intorno ad uno scritto di Salomone Jona, re- lativo all’interpretazione delle parole Raphel mai amech zabì almi, poste in bocca a Nembrot nel Canto xxxi dell’ Inferno. Perron Amedeo. S., 74, 76, 841. -—— Raffronto instituito fra l'epiteto di Merre dato ad ‘Escu- LAPIO nell’iscrizione trilingue scoperta in Sardegna, e quello d’ indicatore, rivelatore di rimedi ‘altribui- togli da TERTULLIANO : a proposito d’una lettera stam- pata del sig. P. CasseL. - GruirincHELLO Giuseppe. S. 274: —— Cenni intorno all’origine dei documenti d’Arboréa. Baupr pi Vesme Conte Carlo. S., 236. Presentazione d'un Codice manoscritto d’Arboréa, det- lato in lingua latina. Baupr pr Vesme. S., 249. —— Sunto d'uno scritto sottoposto al giudizio della Classe, intitolato : Ricerche intorno ad alcune parole Gheez- Amhara-Himiari , per servire alla storia linguistica, geografica e politica dei popoli Kussiti orientali ed oc- cidentali del mar rosso. GorrEsio Gaspare. S., 290. -—— Comunicazione di alcuni brani di un’opera intitolata : Della fortuna delle frasi. Manno Giuseppe. I, 428, 475. —— Sunto di una Memoria sugli antichi poeti italiani Gue- RaRDO da Firenze e ALpoBranpino da Siena. Baupi pi Vesme Conte Carlo. I, 490. —— Distinzione fonetica del nome e del verbo. prg dc Giuseppe. I, 663. —— Delle origini elleniche. Ricct Matteo. 1I, 155. - —— Delle origini elleniche, parte seconda. Ricci. Matteo. INI, 240. x | FILOLOGIA. E LINGUISTICA. - - Delle « origini iche, parte terza ed ultima. Ricci Matteo. III, 463. -— Sunto di una Memoria intitolata: Animadversiones in dissertationem Friderici Ritschelii de potae Plauti no- minibus. VaLLaurI Tommaso. II, 467. a —— La parola Plebiscito. Manno Giuseppe. 1I, 557. -— Gli Orneati. Peyroy Amedeo. II, 480. —— Nota illustrativa di un passo di Eroporo. - BERTINI Giovanni Maria. III, 498. —— Analecta (Papiri greci). Lumgroso Giacomo. III, 726. —— - -È; Imuas. Lumgroso Giacomo. II, 740. —— Leltera al sig. Professore Comm. Gaspare GorrEsIo intorno all'uso delle Iscrizioni e dei Papiri per la critica del libro di Aristea, a proposito dell’edizione procuratane dal Professore Moriz Scammr. - Lum- BROsO Giacomo. IV, 229. —— Comunicazione di Note illustrative di alcuni passi più controversi dei libri primo e secondo di Eroporo. - Ricci Matteo. IV, 479, 505. —— Lettera al sig. Professore Commendatore Gaspare Gor- rEsIO sulla collazione di due manoscritti di Aristea. Lumproso Giacomo. IV, 521. —— Sul morbo muliebre dei Sciti. GmrincneLLo G. IV, 619. —— Pocumenti di Arboréa inviati all’Accademia di Berlino. Baupi pi Vesme Conte Carlo. IV, 798. —— M. Ali Plauti locum in Mustellaria a Friderico Rit- . schelio depravatum nativae sanitati reddidit VALLAV- rIvys Thomas. V, 364. —— Note illustrative di alcuni passi più controversi dei libri secondo e terzo di Eroporo. - Ricci Matleo. V, 429, 612, 808. —— Sunto di un lavoro sopra alcune forme dei nomi locali dell’Italia superiore. FLEcHIA Giovanni. V, 947. —— Sull’ autenticità dei documenti di Arboréa. BaupI DI Vesme Conte Carlo. V, 929. LOLOGIA E ; LINGUISTICA. - ‘De rode Divus i in ristianis |’ inscriplionibus perperam usurpata. VALLAURI om- | - ME maso. VI, 165. —— Breve nota spiegativa di un passo di DanTE. - BERTINI Giovanni Maria. VI, 525. —— Sopra alcune forme di nomi locali dell'Italia superiore. “ FLecua Giovanni. VI, 177. —T Di un fenomeno fonetico della lingua latina. FLECHIA Giovanni. VI, 538. ) — Sunti del supplemento al Corpus inscriptionum italicarum antiquioris aevi, ordine geographico digestum. FABRETTI Ariodante. VII, 188, 299. —— De locis duobus quos Alfredus FrLeckerseNUs viliavit in Captivis Plautinis. VaLcauri Tommaso. VII, 454. —— Sopra alcune iscrizioni in volgare toscano de’secoli xt, xnr e xiv. Baupi pi Vesme. VII, 504. Va, —— Lettura e sunti d’un Lessico di voci architettoniche latine seordate od omesse da Virruvio. - Prowis Carlo. VII, 689, 845, 850, 889. - VIII, 100, 102. -—— Dell'origine della parola Nuraghe. FLECHIA Giovanni. VII, 859. = Occcriazioni paleografiche sugli antichi idiomi d’Italia, desunte da antiche iscrizioni. Faprerti Ariodante. VIII, 103, 142, 203, 299,383, 408, 464, 745. — Dei vari modi coi quali si espresse per iscritto il doppio suono del-c e del g nei primi tempi della lingua italiana. Baupr pr Veswe Conte Carlo. VIII, 204. —— De infesta Romanorum in Graecos aemulatione. VaL-. LAURI Tommaso. VIII, 2149. —— Nole illustrative di alcuni passi più difficili e contro- versi del IV libro di Eroporo. - Riccr Matteo. VII, SG 265. bis Vr —— Secondo supplemento alla raccolta delle antichissime a iscrizioni italiche. FapreTTI Ariodante. EX, 441, 38h, 673, 867. EE i î ca 1173 MEdLOGLE E LINGUISTICA. - De recentiorum inventis la- tine significandis quae perlinent ad rem vehicularem et navalem. VaLLauri Tommaso. IX, 344. -—— Sunto d'una Memoria letta, che ha per titolo : Psalterii Copto-Thebani Specimen, quod omnium primum în lucem prodit continens, praeter decem Psalmorum fragmenta, integros Psalmos duos et triginta, ad fidem Codicis Taurinensis, cura el criticis animadversionibus Bernardini Perroni. Accedit Amadei PeyRoNI dissertatio posthuma de nova copticae linguae orthographia a Schwarizio v. cl. excogitata. PeyRon Bernardino. IX, 669. —— Della varia fortuna della parola Sofista. Bertini Gio- vanni Maria. IX, 850. —— Lettura di uno scritto storico-glottico. FLecHtA Giovanni. IX, 885. —— Sunto di un capitolo delle Osservazioni grammaticali sulle antiche lingue italiche , in continuazione del vo- lume VIII degli Atti accademici. FaRETTI Ariodante. IX, 958. -—- Nomi locali del Napolitano, derivati da genlilizi italici. Frecma Giovanni, X, 79, —— Sunto d'un lavoro che ha per titolo: Del volgare to- scano e della lingua italiana; Ricerche filologiche. BaupI pi Vesme Conte Carlo. X, 264, 279, 452, 531, 534. —— Animadversiones in locum quemdam Plautini Malitis gloriosi a Frid. RirscueLIO insigniler vitiatum. Vac- LAURI Tommaso. X, 265. —— Terzo supplemento alla raccolta delle antichissime iscri- zioni italiche. FaprETTI Ariodante. X, 280, 427, 536, 959, 4052. FILOSOFIA. - Sunto di alcuni dialoghi intitolati : IZ nuovo Eutifrone. G. M. Bertini. S., 49. —— Sunto d’un lavoro sopra le religioni antiche della Grecia. G. M. Bertini. S., 72. —— Sunto d'uno scritto che tratta del sovrannaturale, prin- e La Tad PS sd DI Je dai gard È Neri BEATO la! pet, CORRE fat; cid A aa e craft pt PEN a KE SERA. Mo |“ —‘’cipalmente in quanto concerne e S'alliene agli studi rec biblici. Gumincuero Giuseppe. S. 127, 4130, 434, SS 170, 182, 192, 201. 1 A FILOSOFIA. - Sunto d'una Memoria Sulla filosofia critica. G. Mist, M. Bertini. S., 198, 206. Muri -—— Sunto d’una Nola a mado d’appendice alla Memoria Ty 2 intitolata: La critica scientifica ed il sovrannaturale. w GamncneLro Giuseppe. S., 297, 300, 332. -—— Sunto della prima parte d'una Memoria, il cui pro- posito è di delineare una Storia critica delle prove metafisiche della realità sovrasensibile. BERTINI Giovanni 8 go Maria. S., 326. Pe —— Sunto della San parte della stessa Memoria. BERTINI VS Giovanni Maria. I, 352, 613. "Sig i —— Introduzione ad un corso di filosofia. Bertini Giovanni mai Maria. 1, 503. i = RADIA —— Del duplice, distinto e successivo periodo della spon- PAS taneità e del filosofare. GurrimeneLco Giuseppe. II, ca Re 537, 606, 679. ia i —— Comunicazione di un capitolo della Storia della filosofia. der Bertini Giovanni Maria. IV, 674. SR — —— Schiarimenti sulla controversia fra lo spiritualismo e “30 il materialismo. Bertini Giovanni Maria. V, 295. “Sa si -— Sulla questione delle categorie dell'intelletto umano. “SSD Bertini Giovanni Maria. VII, 534. " (7A —— L'attività del vero.-A proposito d'un libro del signor 3 _ Littré ; impressioni e riflessi. Canonico Tancredi. us IX, 485. i € ERE -—— Relazione sul Manoscritto presentato dal Dottore aggre- Dro” gato Giuseppe GacLo: Sulla vera origine ed essenza * iS delle cose. Bertini Giovanni Maria. X, 662.